Cassazione Penale, Sez. 4, 06 marzo 2014, n. 10905 - Infortuni mortali e responsabilità di un direttore dei lavori




 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - rel. Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI CATANZARO;
nei confronti di:
F.N. N. IL (OMISSIS);
O.P. N. IL (OMISSIS);
inoltre:
F.F.;
I.M.;
IA.MA.;
I.G.;
Z.M.A.;
I.C.;
IA.CA.;
I.S.;
I.P.;
avverso la sentenza n. 117/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 12/11/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Ambrosio Vito che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza con riferimento a F. e per il rigetto nel resto.
Udito, per li parte civile, l'Avv. Ceravolo Giulio che ha chiesto annullare con rinvio della sentenza;
Udito il difensore Avv. Ganino Bruno che chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.


 

Fatto

 


1. Con sentenza del 12/1/2012 la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di condanna con conseguenti statuizioni civili risarcitorie resa in primo grado, dichiarava estinto per prescrizione nei confronti di O.P. il reato di omicidio colposo commesso con violazione di norme antinfortunistiche a lui ascritto e assolveva F.N. dal medesimo reato, confermando solo nei confronti di quest'ultimo le statuizioni civili.

1.1.Ai predetti era stato mosso l'addebito, il primo in qualità di direttore dei lavori, il secondo di preposto dall'impresa costruttrice per il controllo dell'esecuzione dell'opera, di non aver posto in essere tutte le attività prevenzionali e di sicurezza sul cantiere, così cagionando la morte di I.F. e M. D., dipendenti della ditta esecutrice P., investiti dal crollo di un fronte di scavo - realizzato con pendenza praticamente verticale e profondità pari a circa quattro metri, su terreno altamente instabile, saturo di acque e privo di armatura di sostegno, sul fondo del quale i predetti erano intenti, completamente sprovvisti di protezione individuale, a effettuare un getto in calcestruzzo per la realizzazione del piano di posa delle fondazioni di un erigendo muro di contenimento (fatto del (OMISSIS)). Al solo F., inoltre, era addebitato di avere, quale progettista e direttore dei lavori, in concorso con la committente e con il costruttore, eseguito lavori di scavo relativi alla realizzazione del piano seminterrato in totale difformità rispetto al progetto originariamente presentato ed al relativo permesso di costruire, nonchè in totale assenza di variante. Per tale reato l'accertamento processuale era stato definito con il proscioglimento per prescrizione in primo grado, non oggetto d'impugnazione.

1.2. La Corte territoriale, premesso che l'incidente si era verificato per l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche previste dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 12, D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 12 e 13; rilevato che la qualifica di direttore dei lavori rivestita dal F. comportava in sè il solo incarico di sorveglianza tecnica relativa alla esecuzione del progetto e che la responsabilità del direttore dei lavori per la sicurezza sul lavoro costituisce elemento ulteriore ed eventuale, ricorrente solo ove sia accertata una ingerenza nella organizzazione del cantiere; ritenuta, altresì, carente l'istruttoria riguardo all'ingerenza nell'attività lavorativa ed al potere di gestione del cantiere da parte del direttore dei lavori, escludeva la responsabilità dell'imputato per l'omicidio colposo. La Corte confermava, altresì, il giudizio di responsabilità nei confronti dell' O., in ragione della posizione di garanzia sullo stesso gravante quale responsabile di cantiere.

2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione sia il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Catanzaro che le parti civili.

2.1. La parte pubblica denuncia, con riferimento alla posizione del F., mancanza e contraddittorietà della motivazione e violazione della disciplina antinfortunistica. Osserva che la sentenza aveva mancato di rilevare che il profilo di colpa addebitato al direttore dei lavori è compreso nell'ambito delle condotte doverose che ad esso competono; che il direttore dei lavori, titolare di una posizione di garanzia derivata, per titolo negoziale, da quella originaria del proprietario, è penalmente responsabile del crollo delle costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare una oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e adottare le necessarie precauzioni o, altrimenti, scindere la sua posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico, e ciò in forza del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29.

Rileva, altresì, che dalle risultanze si desumeva che il F. fosse consapevole della qualità assunta e delle responsabilità da essa derivanti. Osserva che i rischi connessi alla gettata in calcestruzzo non erano stati prospettati e che agli operai non era stato proibito di proseguire i lavori in cemento armato.

Con separato atto, relativo alla posizione dell' O., deduce violazione di legge in relazione all'applicazione dell'art. 157 c.p..

Osserva che, pur ritenendo applicabile ratione temporis la disciplina previgente alla L. n. 251 del 2005, non poteva ritenersi maturata la prescrizione del reato. La concessione delle attenuanti generiche, non ritenute dal giudice di prime cure prevalenti sulle aggravanti, non incide, infatti, sul trattamento sanzionatorio stabilito dall'art. 589 c.p., comma 1 che, prevedendo nel massimo la pena di cinque anni, comporta un termine di prescrizione di dieci anni in virtù del previgente art. 257 c.p., comma 1, n. 3. Ne discende che la prescrizione massima, tenuto conto delle cause d'interruzione, è di quindici anni. Rileva che allo stesso risultato si perviene anche con l'applicazione della vigente disciplina, giacchè la prescrizione ordinaria di dodici anni (termine raddoppiato ai sensi della L. n. 151 del 2005) deve reputarsi maggiorata, a seguito di interruzione, a quindici anni, pari al doppio di anni 7 e mesi 6 di reclusione.

Conclude affermando che la sentenza ha erroneamente applicato l'art. 157 c.p. dichiarando l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

2.2. Le parti civili deducono, a loro volta, vizio motivazionale.

Rilevano che, risultando certa dall'istruttoria dibattimentale una esecuzione dei lavori diversa da quella prospettata nella relazione tecnica e nel progetto ed essendo richiesta per la realizzazione delle opere la figura professionale del direttore dei lavori, la cui nomina va posta a corredo dell'istanza per il rilascio della concessione edilizia, ne discendeva la responsabilità del F..

Osservano che in proposito la motivazione della Corte territoriale era assolutamente insufficiente nel suo iter argomentativo e contraria al principio di ragionevolezza.

Con il secondo motivo deducono violazione di legge in relazione agli artt. 40, 223 e 589 c.p. e art. 2087 c.c.. Rilevano che i principi richiamati dalla corte territoriale riguardo alla mancata estensione della responsabilità del direttore dei lavori alla predisposizione di opere provvisorie necessarie per la realizzazione dell'opera principale erano ininfluenti nella specie, dato che dalle modalità del fatto, per come emerse dall'istruttoria, risultava che il F. aveva concreta ingerenza nell'organizzazione del cantiere sia per la posizione di garanzia rivestita, sia perchè egli, pur trovandosi sul cantiere, nessun comportamento aveva posto in essere per evitare l'evento mortale verificatosi per l'assenza di qualsiasi misura di sicurezza. Osservano, inoltre, che il direttore dei lavori, al pari dell'appaltatore, aveva l'obbligo di cooperare per evitare infortuni e salvaguardare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.



Diritto


Le impugnazioni proposte dal Procuratore generale e dalle parti civili con riferimento alle statuizioni nei confronti del F. sono fondate.

La sentenza di primo grado, invero, pur in assenza di una espressa accettazione, aveva attribuito la qualità di direttore dei lavori al F. in ragione della nomina da parte della committenza, sulla scorta della ritenuta accettazione di fatto dell'incarico desunta dalla presenza del predetto sul cantiere e dalla redazione da parte sua dei preventivi, con quietanza degli anticipi ricevuti anche in relazione alle opere di sbancamento. Aveva tratto, altresì, dalla circostanza relativa al blocco dei lavori - prospettato dall'imputato al F., proprietario del terreno presente sul posto, ove gli stessi fossero proseguiti senza il deposito del progetto corredato da relazione geologica presso il Genio Civile - la consapevolezza in capo allo stesso F. della qualità assunta e delle correlate responsabilità, nonchè della pericolosità della situazione creatasi, desumibile dalla stessa relazione geologica effettuata prima dello sbancamento e dalla constatazione da parte del direttore dei lavori, presente sul cantiere il giorno del fatto, della pericolosità dello sbancamento stesso, effettuato in difformità rispetto ai progetti e senza l'adozione di alcuna cautela nell'esecuzione dei lavori (si veda pg. 24 sentenza di primo grado), nonchè in ragione del rilievo limitato al solo profilo dell'incompletezza della procedura. Aveva desunto, altresì, dai fatti richiamati, l'omessa prospettazione da parte del direttore dei lavori di rischi per l'incolumità degli operai, così ravvisando la responsabilità dello stesso, quale tecnico, in solido con il responsabile della sicurezza, collegata all'attività conoscitiva peculiare correlata alle sue specifiche competenze tecniche e di settore.

A fronte dei descritti elementi, la sentenza di secondo grado non ha dato conto in maniera adeguata delle ragioni per le quali è stato disatteso il ragionamento dei giudici di primo grado, e, in particolare, delle ragioni per le quali fosse da escludere qualsiasi responsabilità del direttore dei lavori per mancanza di prova circa la sua ingerenza nell'organizzazione di cantiere, non potendo essere ritenuta decisiva in funzione di esonero dalla responsabilità la mancata presenza quotidiana di costui sul cantiere nè la rilevata assenza al momento della gettata in calcestruzzo e del crollo, pur risultando la presenza dello stesso nella mattinata e la prospettazione da parte sua di una possibile diffida a non proseguire le opere in mancanza dei necessari adempimenti amministrativi, non accompagnata dalla segnalazione dei gravi rischi connessi alla gettata del calcestruzzo e dalla proibizione della prosecuzione dei lavori in cemento armato (si veda al riguardo Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18445 del 21/02/2008 Rv. 240157: il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto).

Dalle argomentazioni svolte discende l'annullamento della sentenza sul punto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Catanzaro.

Passando alla posizione dell' O., deve ritenersi fondato il ricorso proposto dal Procuratore Generale. La sentenza di primo grado, invero, si limita a prevedere, esclusivamente in dispositivo, la concessione delle attenuanti generiche, senza effettuare alcun giudizio di comparazione con le contestate circostanze aggravanti.

Neppure è possibile desumere l'effettuazione di un giudizio comparativo di equivalenza o di prevalenza dalla comminazione in concreto della pena (nella misura di un anno e otto mesi di reclusione), compatibile con entrambe le ipotesi. L'esito del giudizio di comparazione è indispensabile ai fini della determinazione della prescrizione, da ritenere non ancora maturata, secondo il ragionamento svolto dal Procuratore Generale, in ipotesi di giudizio di equivalenza, pur applicandosi la disciplina vigente all'epoca del fatto. Se, infatti, a mente dell'art. 69 c.p., la concessione delle attenuanti generiche consente di escludere in ogni caso l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2 prevedendo la disposizione di cui al comma 1 del predetto articolo la pena massima di cinque anni di reclusione, il termine massimo di prescrizione deve essere determinato in dieci anni, prolungato della metà per l'avvenuta interruzione, talchè deve reputarsi non ancora maturato.

Deve, pertanto, disporsi l'annullamento della sentenza impugnata anche con riferimento alla posizione dell' O., con rinvio alla Corte territoriale in punto di comparazione tra le circostanze e conseguente computo della prescrizione.

Va rimessa alla Corte d'Appello, altresì, la regolamentazione delle spese tra le parti.


P.Q.M.


La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello penale di Catanzaro per nuovo esame. Spese tra le parti al definitivo.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2014