Tribunale di Pisa, Sez. Pen., 22 aprile 2014, n. 776 - Infortunio sul lavoro e assoluzione degli imputati. Iniziativa inaspettata e pericolosa del lavoratore
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI PISA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Pisa in composizione monocratica nella persona del Dr. Luca Salutini ha pronunciato all'udienza de! 17 aprile 2014 la seguente:
SENTENZA
nel processo a carico di:
S.M. nato a Omissis elettivamente domiciliato a Taranto, via Omissis, difeso di fiducia dagli Avv. Nunzio Leone e Egidio Albanese del foro di Taranto
N.R. nato a Omissis elettivamente domiciliato e difeso come sopra entrambi liberi/presenti
IMPUTATI:
(vedi il foglio allegato)
Conclusioni delle parti: vedi verbale di udienza.
Fatto
IMPUTATI
Del delitto p. e p. dall'art. 110 590 cp. 3 comma in relaz. all'art. 583 n. l C.P. perché S.M. in qualità di datore di lavoro, quale responsabile della ditta V.I. srl con sede in Taranto, N.R. in qualità di preposto all'impianto Eolico Monte Vitalba per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione di norme infortunistiche, nella specie:
S.M.:
art. 18 c. 1 e art. 71 c. 7 D. lvo 81/08, per aver omesso di formare e informare i dipendenti, conformemente alle norme tecniche di cui alla direttiva CEI 11 27 e CEI EN 50110-1, in merito alla esecuzione di lavori comportanti rischio elettrico, e per aver designato quale preposto all'impianto eolico il N.R., risultato non in possesso delle richieste qualifiche, come prescritto dalla citata direttiva CEI (P.L. Persona preposta alla conduzione dell'attività lavorativa)
N.R.:
art art 19 e. 1 lett. A e B) D. Lvo 81/08 per aver consentito che il FR. , unitamente al L.L. , svolgesse lavori comportanti rischio elettrico, senza predisporre idonee procedure scritte e senza aver verificato la relativa competenza e preparazione in materia; attraverso tali condotte indipendenti tra loro cagionavano a FR. S.C. lesioni personali con durata superiore a 40 gg. Consistite ustioni 2 e 3 grado dorso e regione scapolare, che lo stesso si procurava mentre, su incarico del N.R., era intento a svolgere lavori di manutenzione presso l'impianto eolico di Vitalba, in quanto, avendo omesso di sezionare il trasformatore della rete elettrica, rimaneva folgorato da una scossa elettrica
In Chianni il 10.9.2008
Diritto
S.M. e N.R., nella rispettiva qualità di datore di lavoro e preposto della società "V.I. s.r.l." di Taranto, venivano tratti a giudizio all'udienza del 10 luglio 2012 per rispondere del reato di lesioni colpose gravi con violazione delle norme antinfortunistiche in danno dell'operaio FR. S.C..
L'istruttoria dibattimentale si svolgeva alle udienze del 10 luglio 2012 (produzioni documentali del P.M. e della difesa, testi L.L., F.M.. C.P.). 19 febbraio 2013 (testi FR. S.C.. B.P.. L.G.) e 24 ottobre 2013 (esame degli imputati).
Il processo veniva discusso all'udienza del 13 marzo 2014 e rinviato per la decisione all'udienza tenutasi in data odierna.
*****
A parere di questo Giudicante, entrambi gli imputati debbono essere assolti dall'accusa loro ascritta per le ragioni che illustreremo tra breve.
Ricostruiamo intanto la dinamica dell'infortunio sul lavoro che ha dato origine all'odierno processo.
FR. C. e L.L., dipendenti della società "V.I. s.r.l." di Taranto, venivano inviati la mattina del 10 settembre 2008 nell'impianto eolico di Monte Vitalba, in territorio del Comune di Chianni, per procedere alla sostituzione di una pompa meccanica difettosa installata sulla sommità di un aerogeneratore.
Va a questo proposito chiarito che la V.I. - emanazione della società danese "V.M. S.A." - dopo aver costruito un complesso di torri eoliche per conto della società "Parco Eolico Monte Vitalba s.r.l." di Livorno, aveva stipulato con la società committente un contratto per la gestione e manutenzione degli impianti di aerogenerazione.
In questo quadro, essendosi verificata una perdita d'olio dalla pompa destinata a lubrificare le parti in movimento di una turbina eolica, l'odierno imputato N.R., nella sua qualità di responsabile di area per l'impianto di Monte Vitalba, aveva incaricato il FR. e il L.L. di procedere alla sua sostituzione.
I due operai raggiungevano il sito, entravano all'interno della torre eolica e constatavano che in effetti, dalla sommità dell'impianto, era gocciolato verso il basso un modesto quantitativo di olio lubrificante che, passando attraverso il piano di calpestio posto alla base della torre (costituito da una grata metallica), era andato a formare una piccola pozza sul pavimento del vano sottostante, dove era alloggiato il trasformatore destinato a commutare la corrente elettrica da 700 a 15.000 volts (si veda il fascicolo fotografico del luogo dell' infortunio prodotto in atti).
A quel punto - come il FR. e il L.L. hanno concordemente dichiarato in dibattimento - gli operai decidevano di interpellare telefonicamente il loro diretto superiore N.R. presso la sede di Taranto per chiedergli se, oltre alla sostituzione della pompa, dovessero anche provvedere alla pulizia del pavimento del vano trasformatore.
Va a questo proposito ricordato che - come è emerso pacificamente da tutti gli atti del processo - l'accesso al vano trasformatore di un impianto eolico è una manovra intrinsecamente pericolosa, stante la presenza in quel locale di apparecchiature in media tensione, tanto che per poterla compiere è inderogabilmente prevista all'interno della V.I. una procedura standard che può essere così riassunta:
- gli addetti al lavoro debbono innanzitutto chiedere al responsabile di area l'autorizzazione ad accedere nel vano trasformatore;
- il responsabile di area, se ravvisa la necessità dell'intervento, provvede ad informare la società proprietaria dell'impianto della sua imminente disattivazione e della prevedibile durata di questa: dopodiché impartisce l'eventuale via libera alla squadra di manutenzione;
- ricevuta l'autorizzazione dalla sede centrale, gli operai provvedono prima di tutto alla messa fuori tensione dell'impianto (cosiddetto '"sezionamento"), poi prelevano - rompendo l'anello che la trattiene - la chiave del cancelletto di accesso al vano trasformatore, e solo a questo punto possono discendere al suo interno.
Che cosa avveniva invece nel caso che ci occupa?
Mentre il L.L., portatosi fuori della torre, cercava di contattare col cellulare il suo referente N.R. per chiedergli istruzioni sul da farsi (il N.R. ha credibilmente dichiarato in dibattimento che, se avesse potuto parlare col L.L., certamente non avrebbe autorizzato l'accesso ai vano trasformatore dato che la perdita di olio era di entità talmente ridotta da non comportare alcun inconveniente), mentre -dicevamo - il L.L. cercava di mettersi in comunicazione con la sede centrale, il FR., di sua iniziativa, senza disattivare l'impianto, contravvenendo a tutte le istruzioni lavorative fin'allora ricevute, discendeva nel vano trasformatore e,d servendosi di un aspiraliquidi. si metteva a ripulire il pavimento dalle tracce di lubrificante.
Allertato dal ronzio dell'apparecchio aspiratore, il L.L. tornava all'interno della torre e - resosi conto di quanto stava accadendo - si precipitava verso il quadro-comandi per azionare l'interruttore di emergenza.
Purtroppo, proprio in quel momento il FR. veniva accidentalmente in contatto con una parte in tensione del trasformatore.
La scarica elettrica che ne derivava, localizzata sulla sua spalla destra, gli provocava una "ustione' di terzo grado" per la quale veniva ricoverato dapprima all'ospedale di Pisa, e successivamente all'ospedale di Brindisi, rimanendo inabile al lavoro per complessivi 98 giorni (cfr. i certificati medici in atti).
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La Pubblica Accusa ha ritenuto di dover ascrivere la responsabilità dell'infortunio allo S.M. e al N.R. innanzitutto attribuendo a costoro, rispettivamente, la veste di "datore di lavoro" dell'infortunato (Io S.M.) e di "preposto" (il N.R.), e poi enunciando a loro carico i seguenti profili di colpa:
- per lo S.M.. di non avere formato e informato il FR. e il L.L. in materia di esecuzione di lavori comportanti rischio elettrico, secondo quanto prescritto dalle norme tecniche CEI 11 27 e CEI EN 50110-1:
- inoltre, per avere designato come preposto dell'impianto eolico di Monte Vitalba il N.R. pur non essendo costui in possesso delle qualifiche richieste per rivestire la funzione di ""P.L." (ovverosia di preposto ai lavori secondo la terminologia della già citata CEI 11 27);
- per il N.R., di avere consentito al FR. e al L.L. di eseguire lavori nel vano trasformatore senza avere predisposto idonee procedure scritte atte ad evitare il rischio elettrico:
- e inoltre, di non avere verificato la competenza e preparazione degli operai addetti all'intervento.
Analizziamo ora attentamente il costrutto accusatorio.
Il quadro normativo
Si impone innanzitutto una ricognizione della normativa applicabile in materia di prevenzione e sicurezza dal rischio elettrico: compito questo sicuramente non agevole attesa la stratificazione di interventi legislativi verificatasi in anni recenti (si pensi alla rapida successione del D. Lvo 9.4.2008 n° 81 e del cosiddetto "correttivo" 9.8.2009 n° 106). e in considerazione dell'interferenza sui precetti legali delle norme tecniche emanate dal Comitato Elettrotecnico Italiano (C.E.I.), più volte richiamate dalla legge ad integrare la disciplina statuale attraverso lo strumento del "rinvio formale" a quella particolare fonte di produzione normativa.
Secondo il Giudicante, tali rinvìi hanno comportato la novazione del significato stesso di "norma tecnica" quale definito un tempo dall'art. 2 della legge 1.3.1968 n° 186 (secondo il quale si dovevano considerare costruiti a regola d'arte "i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici realizzati secondo le norme del comitato elettrotecnico italiano"), e ora dall'art. 2 lett. u) del D. Lvo 2008 n° 81 (che la definisce come una "specifica tecnica (..) la cui osservanza non sia obbligatoria"), facendo divenire vincolanti quei precetti di buona tecnica che fino ad ieri venivano considerali solo opzionali (si vedano infatti, in questo senso. Cass. 30.3.1981 n° 7253 e Cass. 24.10.1984 n° 1542).
Orbene, a parere di questo Giudice, la norma fondamentale che disciplina la materia oggetto del presente giudizio è non già l'art. 71 7° comma del D. Lvo 2008/81 richiamata dal P.M. nel capo di imputazione (la quale regolamenta essenzialmente la materia delle attrezzature di lavoro, vale a dire un profilo che non viene minimamente in considerazione nel caso di specie), ma l'art. 80 dello stesso decreto legislativo che impone al datore di lavoro l'adozione delle "misure necessarie affinchè i lavoratori siano salvaguardali da tutti i rischi dì natura elettrica", obbligandolo alla "valutazione dei rischi" e alla conseguente adozione delle ''misure tecniche ed organizzative necessarie ad eliminare a ridurre al minimo i rischi presenti".
Non è invece applicabile all'odierna fattispecie l'ulteriore disposizione contenuta nel comma 3 bis del citato art. 80 - che costituisce uno dei casi di rinvio formale alle norme tecniche CEI di cui prima si diceva - secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la conformità delle predette misure tecniche ed organizzative alle "'direttive (..) indicate nelle pertinenti norme tecniche", trattandosi di norma introdotta dall'art. 49 comma 1 lett. b) del D. Lvo 2009 n° 106, come tale non applicabile retroattivamente all'odierno infortunio avvenuto nel settembre 2008.
Di conseguenza ritiene questo Giudice che tutti i richiami alle direttive CEI 11 27 e EN 50110-1 contenuti nel capo di imputazione e poi ripresi nelle considerazioni svolte in dibattimento dai verbalizzanti Omissis, trovando fondamento in una lex superveniens rispetto al caso di specie, valgano ad identificare non già norme vincolanti, ma mere specifiche tecniche "la cui osservanza non è obbligatoria".
Ne è applicabile alla presente fattispecie l'art. 82 del D. Lvo 2008 n° 81 che disciplina la materia dei "lavori sotto tensione" (al solito facendo ampio ricorso al rinvio ai ''criteri definiti nelle norme tecniche" o alla "pertinente normativa tecnica" C.E.I.).
Premesso che la normativa statuale non specifica che cosa si intenda per "lavori sotto tensione", onde si impone, almeno a livello interpretativo, un richiamo alle indicazioni ricavabili dalla già citata direttiva CEI 11 27, va detto che sono considerati lavori sotto tensione quelli che debbono essere eseguiti "su" o "in prossimità" di parti elettriche attive (cfr. il punto 4 della direttiva citata).
Si considerano invece lavori "fuori tensione" quelli eseguiti su impianti disalimentati e messi in sicurezza.
Nel caso oggetto del presente giudizio vengono in considerazione, come si è visto, due interventi lavorativi completamente distinti l'uno dall'altro.
Il primo era quello - la sostituzione della pompa meccanica difettosa - che il FR. e il L.L. erano stati incaricati di svolgere: trattavasi pacificamente di lavoro "non elettrico" in quanto concernente un organo meramente meccanico non collegato né prossimo ad alcuna parte sotto tensione.
Il secondo lavoro - quello che in concreto ha dato luogo all'infortunio (la pulizia delle tracce di olio nel vano trasformatore) - era invece un intervento che gli operai non erano stati incaricati di svolgere, e che in ogni caso non avrebbero dovuto svolgere se non previa autorizzazione del N.R. e previa messa in sicurezza della zona di lavoro.
La direttiva CEI 11 27 (che - si ripete - viene qui in considerazione non come fonte integrativa del precetto legale, ma come regola di buona tecnica) stabilisce al punto 7.6 che quando "per eseguire un dato lavoro si deve penetrare in una zona sotto tensione, si potrà scegliere se lavorare sotto tensione oppure fuori tensione", in questo secondo caso "adottando le misure di prevenzione e protezione pertinenti".
Queste misure sono disciplinate al punto 11.1 e prevedono essenzialmente il sezionamento della parte di impianto interessata dal lavoro, l'adozione di provvedimenti contro riattivazioni accidentali, la verifica dell'effettivo distacco della tensione e la messa a terra delle parti sezionate.
Quando tutto ciò sia stato fatto, il lavoro non si considera più come sotto tensione (punto 11.5).
Dall'istruttoria dibattimentale è emerso che questa era esattamente la procedura che il FR. e il L.L. avrebbero dovuto eseguire qualora il N.R. li avesse autorizzati ad accedere al vano trasformatore.
Trattavasi dunque di un lavoro "fuori tensione", dovendosi a questo fine tenere presenti le modalità di intervento quali previste dalla procedura aziendale della V.I., e non quelle scaturenti dall'estemporanea improvvisazione di un lavoratore.
Ritenere diversamente finirebbe infatti per nullificare la stessa categoria generale dei "lavori fuori tensione", dal momento che ogni intervento su parti elettricamente disconnesse è soggetto alla immanente possibilità di qualche errore nella procedura di messa in sicurezza.
Identificata così nell'art. 80 del D. Lvo 2008/81 la norma di riferimento, veniamo ora ad esaminare le posizioni personali degli imputati.
La posizione S.M.
Il presupposto logico-giuridico sul quale il P.M. ha basato le contestazioni mosse allo S.M. è che costui abbia rivestito la qualifica di "datore di lavoro" dell'infortunato.
Ritiene questo Giudicante che la posizione di garanzia attribuita all'odierno imputato sia del tutto infondata.
Va a questo proposito premesso che nelle società di. capitali la qualifica di "datore di lavoro", e con essa la responsabilità per la sicurezza dei lavoratori, compete all'organo provvisto dei poteri decisionali, e dunque di regola al consiglio di amministrazione, e per esso a tutti i suoi componenti, salvo che essi dimostrino in modo certo di avere delegato la materia a persona professionalmente idonea e con adeguata autonomia di spesa, secondo le specifiche prescrizioni dettate dall'art. 16 del D. Lvo 2008 n° 81 in materia di "delega di funzioni".
Basti citare a questo proposito quanto affermato, da ultimo, da Cass. 13.11.2013 n° 49402 ("Nelle società di capitale, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia").
Nello stesso senso possono vedersi anche Cass. 9.3.2005 n° 12370 ("In tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitale il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all'interno dell'azienda, e quindi con i vertici dell'azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni"), e Cass. 11.7.2002 n° 988 ("Nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi concernenti l'igiene e la sicurezza del lavoro gravano su tutti i componenti del consiglio di amministrazione. La delega di gestione in proposito conferita ad uno o più amministratori, se specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega").
Applicando questi consolidati principi di diritto al caso che ci occupa va rilevato che - essendo la V.I. una s.r.l. amministrata da un Cd.A. composto da tre persone (cfr. la visura camerale prodotta in atti dal P.M.) - la qualifica di datore di lavoro competeva ai suddetti consiglieri di amministrazione, tra i quali pacificamente non rientrava lo S.M..
Né - come si ricava dalla visura camerale appena accennata, o anche dal verbale del C.d.A. in data 19.12.2006 col quale venivano attribuite varie deleghe a vari dirigenti societari - erano state conferite all'odierno imputato funzioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro.
L'unica procura vagamente assimilabile ad una delega in materia di sicurezza era quella contenuta al punto 9) delle attribuzioni conferite allo S.M.. che prevedeva il potere di "firmare ordini di acquisto di materiali e dispositivi per la sicurezza e la protezione individuale senza limiti di importo, da esercitare a firma singola".
Trattavasi. com'è evidente, di una delega assolutamente settoriale, limitata all'acquisto di mezzi di protezione individuale, come tale non certamente idonea a conferire all'attuale imputato la veste di datore di lavoro onerato di un generale obbligo di sicurezza verso i dipendenti della V.I..
Tanto più che - se si scorrono pazientemente la visura camerale o il verbale di C.d.A. sopra richiamati - sarà facile constatare che la stessa identica delega di poteri per l'acquisto di mezzi di protezione individuale era conferita, da un lato, ai tre componenti dei C.d.A. (cfr. il punto 12 delle attribuzioni conferite all'Omissis), da un altro lato al direttore generale Omissis, e da un altro lato ancora ad una vera e propria platea di pari grado dello S.M. (al Omissis, tutti procuratori speciali autorizzati all'acquisto di mezzi di protezione individuale).
Tanto che viene fatto di chiederci in base a quale criterio lo S.M. sia stato individuato come delegato alla prevenzione e sicurezza, nella massa di amministratori, dirigenti e procuratori speciali aventi poteri identici a quelli a lui conferiti.
Interpellato in proposito, il verbalizzante F.M. ha chiarito di essersi basato, oltre che sul verbale di C.d.A. sopra citato, anche su un grafico fornitogli dalla V.I. che. nel rappresentare visivamente l'organigramma aziendale relativo al sito di Monte Vitalba, attribuiva allo S.M. la veste di "service department director" (cfr. l'allegato 2 delle produzioni del P.M.).
E' agevole rilevare che un semplice schema grafico, attributivo di una carica generica ai limiti dell'incomprensibilità, privo di una compiuta elencazione delle funzioni conferite, carente nell'attribuzione di poteri di spesa, non accettato per iscritto dall'interessato, non soddisfa minimamente ai requisiti di validità posti dall'art. 16 del D. Lvo 2008 n° 81 già sopra richiamato (cfr. in argomento Cass. 7.2.2007 n° 12800: "In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa").
Deve dunque concludersi che lo S.M. merita di essere assolto dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto, non avendo egli rivestito il ruolo di "datore di lavoro" rispetto al dipendente infortunato.
Può aggiungersi che - per quanto riguarda il particolare addebito di avere designato un soggetto inidoneo (il N.R.) come preposto al complesso di Monte Vitalba - l'estraneità ai fatti dello S.M. è ulteriormente confermata dal fatto che non furono sottoscritti da lui gli atti con cui il N.R. veniva nominato sia quale addetto al servizio di prevenzione e protezione (allegato 4 delle produzioni del P.M.), sia quale preposto (ibidem), sia quale "persona esperta" per l'esercizio e manutenzione degli impianti (allegato 5).
La posizione N.R.
I presupposti sui quali il P.M, ha costruito le contestazioni mosse al N.R. sono invece rappresentati:
1) dal suo ruolo di preposto:
2) dal suo ritenuto acconsentimento al lavoro nel vano trasformatore svolto dal FR.;
3) dalla sua inosservanza delle direttive CEI 11 27 e CEI EN 50110-1 consistita nel non aver predisposto idonee procedure scritte e non avere verificato la competenza tecnica dei dipendenti FR. e L.L..
A parere di questo Giudice, mentre è sostanzialmente condivisibile la qualifica di preposto attribuita all'odierno imputato, gli altri due postulati accusatori non reggono ad un attento vaglio critico.
In primo luogo perché è pacifico che il N.R. non acconsentì affatto a che il FR. si introducesse nel vano trasformatore, essendosi trattato di una improvvida ed imprevedibile iniziativa adottata da quest'ultimo all'insaputa non solo dell'odierno imputato (che in quel momento si trovava a Taranto), ma perfino del suo collega L.L. che stazionava nelle immediate vicinanze.
Quanto all'inosservanza delle norme tecniche CEI, devono essere qui richiamate le considerazioni svolte in precedenza circa l'esclusiva applicabilità al caso oggetto di giudizio dell'art. 80 del D. Lvo 2008 n° 81 che non contiene alcun rinvio vincolante a quella fonte extrastatuale, se non nel comma 3 bis che non viene però in considerazione nel caso di specie trattandosi di norma sopravvenuta. Ne segue che i compiti in materia di sicurezza incombenti sul N.R. nella sua qualità di preposto devono essere esclusivamente ritratti dalla disciplina generale, e in particolare dall'art. 19 del D. Lvo 2008/81 e non dalla direttiva CEI 11 27.
Questo chiarito, si deve ora ulteriormente osservare che:
A) a norma dell'art. 19 non compete al preposto di elaborare alcuna "idonea procedura scritta" (espressione questa con la quale il P.M. ha verosimilmente inteso richiamare il "piano di intervento" disciplinato dal punto 8.4 della direttiva CEI 11 27). dal momento che in base alla normativa generale le "misure tecniche e organizzative" sono esclusivamente a carico del datore di lavoro (art. 80) mentre spetta al preposto solo il compito di ''sovrintendere e vigilare" sulla loro osservanza (art. 19 lett. a), e non già di concorrere alla loro formazione;
B) compete invece pacificamente al preposto di verificare la preparazione professionale dei lavoratori che accedono in aree a rischio (art. 19 lett. b).
Tale preparazione deve essere peraltro vagliata non già alla luce delle categorie professionali schematizzate dalla direttiva CEI 11 27 (che distingue le figure della "persona esperta" o PES, "persona avvertita" o PAV. "persona comune" o PEC). ma, al solito, alla luce della normativa antinfortunistica generale.
Orbene, risulta dalla documentazione prodotta in atti dallo stesso P.M. (cfr. l'allegato 8 delle produzioni all'udienza del 10.7.2012) che l'infortunato FR. C. aveva superato i corsi formativi di "basic safety training" della durata di 5 giorni, di "1100 basic WTG' di 5 giorni e di "1300 main components" di 4 giorni, gli ultimi due aventi ad oggetto la "manutenzione e ricerca guasti non avanzata sulle turbine V.I.".
La frequenza di detti corsi è dichiarata dallo stesso infortunato (che significativamente ha imputato l'infortunio occorsogli non ad un difetto di informazione e formazione, ma ad un inspiegabile leggerezza da lui commessa perché distratto da problemi familiari contingenti) ed è confermata dagli istruttori tecnici Ing. B.P. e Ing. L.G..
L'inspiegabilità della condotta lavorativa del FR. alla luce della formazione antinfortunistica ricevuta è stata ben illustrata dal L.G. a pag. 26 del verbale di fonotrascrizione: "io le dico una cosa .. è pericolosissimo entrare nel vano trasformatore, è una cosa che non si fa mai, cioè noi mettiamo il terrore anche durante i corsi, con delle immagini anche abbastanza crude .. è una cosa che non si fa. quindi per me non è ragionevole quell'azione, non riesco ad associarla a nessuna istruzione di lavoro, a nessuna procedura ..").
Del resto, che il FR. e il L.L. fossero professionalmente qualificati alla messa in sicurezza dell'impianto di Monte Vitalba è dimostrato per tabulas dalla circostanza che, il giorno successivo all'infortunio, in occasione del sopralluogo svolto dai tecnici dell'U.S.L.. fu lo stesso L.L.. subordinato del FR.. a disconnettere l'impianto onde permettere l'accesso dei verbalizzanti al vano trasformatore.
Non è dunque ravvisabile alcun difetto di informazione e formazione dell'infortunato, né la genesi dell'infortunio appare riconducibile alla sua inadeguatezza professionale.
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Il P.M. di udienza ha ipotizzato a carico degli imputati un ulteriore profilo di colpa consistito nel non aver predisposto un dispositivo di blocco automatico tale da mettere fuori tensione l'impianto ogniqualvolta il cancelletto di accesso al vano trasformatore venisse per qualsiasi motivo aperto (secondo una precauzione adottata solo all'indomani dell'infortunio del FR.: si veda su questo pag. 61 del verbale di deposizione del teste F.).
Plurime considerazioni inducono a disattendere questa incolpazione aggiuntiva formulata dal P.M.
In primo luogo il fatto che trattasi di una profilo di colpa non contestato nel capo di imputazione, in ordine al quale gli imputati non hanno potuto difendersi, in secondo luogo il fatto che la mancata adozione di un dispositivo di blocco automatico era, in ipotesi, una misura di sicurezza pretendibile dal datore di lavoro e non dagli odierni imputati (nessuno dei quali, come si è visto, rivestiva quella posizione di garanzia).
In terzo luogo, e conclusivamente, perché l'adozione di un dispositivo di blocco ai fini dell'accesso a parti sotto tensione è una precauzione estranea alle pur rigorose norme di buona tecnica dettate dal CEI, che prevede una precisa e diversa procedura di disconnessione e messa in sicurezza (punto 11). mentre qualifica come meramente opzionali cautele diverse quali gli "impedimenti" di cui parla il punto 7.6, tra i quali in particolare le "barriere" di cui al punto 7.6.3.3. le quali comunque non sono concepite per prevenire "azioni volontarie inusuali" quale fu chiaramente quella posta in essere dal FR. nel caso di specie.
Si impone dunque l'assoluzione di entrambi gli imputati per non aver commesso il fatto quanto allo S.M. e perché il fatto non sussiste quanto al N.R..
P.Q.M.
Visto l'art. 530 c.p.p. assolve S.M. dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto e N.R. perché il fatto non sussiste.
30 giorni per i motivi.
Pisa. 17 aprile 2014