Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 settembre 2009, 19494 - Utilizzo di una sciarpa durante il lavoro e morte per strangolamento


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
AZIENDA AGRICOLA C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIPETTA 22, presso lo studio dell'avvocato RUSSO SERGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato DALLA BERNARDINA MARIO, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L., - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso l'avvocato TARANTINO CRISTOFARO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROSSI ANDREA, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
FATA ASSICURAZIONI S.P.A.;
avverso la sentenza n. 117/2005 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 18/02/2005 R.G.N. 307/03;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 18/06/2009 dal Consigliere Dott. AMOROSO Giovanni;
udito l'Avvocato RUSSO SERGIO;
udito l'Avvocato ROSSI ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.





Fatto





1. Con ricorso depositato il 7.1.1997 l'Inail, in persona del legale rappresentante pro tempore, adiva il giudice unico del lavoro del Tribunale di Verona chiedendo la condanna dell'Azienda Agricola C.A., in persona dell'omonimo titolare, al rimborso in proprio favore della somma di L. 279.691.116, erogata a titolo di prestazioni previdenziali agli eredi di P.A., deceduto in conseguenza dell'infortunio sul lavoro del (OMISSIS), previo accertamento della responsabilità della suddetta azienda nella causazione di tale infortunio.

Esponeva l'Istituto che erano imputabili alla ditta datrice di lavoro numerose violazioni di norme di prevenzione antinfortunistica, nonchè dell'art. 2087 c.c.; che il fatto costituiva reato e che sussisteva la responsabilità dell'azienda convenuta D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex artt. 10 e 11.

Si costituiva ritualmente la ditta resistente chiedendo il rigetto del ricorso e contestando le pretese avversarie. Chiedeva preliminarmente la chiamata in causa della Assicurazioni FATA s.p.a. ai sensi degli artt. 32 e 106 c.p.c.. Esponeva, nel merito, che l'infortunio era stato causato unicamente dal comportamento imprudente del lavoratore.

Veniva autorizzata la chiamata in causa della FATA s.p.a., che si costituiva ritualmente chiedendo il rigetto delle domande avversarie, associandosi alle argomentazioni della parte resistente.

Dopo l'assunzione della prova per testi, all'udienza del 21.2.2002 il giudice unico del lavoro del Tribunale di Verona, all'esito della discussione orale, decideva la causa con sentenza 21.2.2002 - 20.1.2003 n. 116 respingendo il ricorso con la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti.

2. Con ricorso depositato il 23.4.2003 l'Inail proponeva appello avverso la citata sentenza chiedendo l'accoglimento dell'originaria domanda.

Si costituiva l'Azienda Agricola C. chiedendo rigettarsi l'appello della controparte.

A seguito di ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti della FATA s.p.a., si costituiva anche tale parte associandosi alle argomentazioni difensive della ditta datrice di lavoro e facendo rilevare, in denegata ipotesi di accoglimento dell'appello, di essere tenuta a manlevare la ditta C. solo nei limiti del massimale di polizza.

Con sentenza del 18 gennaio - 18 febbraio 2005 la Corte d'appello di Venezia dichiarava l'Azienda Agricola C.A., in persona dell'omonimo titolare, responsabile dell'infortunio occorso in data (OMISSIS) al sig. P.A. e per l'effetto condannava la suddetta ditta al rimborso in favore dell'Inail della somma di Euro 144.448,40, oltre interessi legali dalla messa in mora (30.9.1993) fino al saldo. Accoglieva poi la domanda di manleva proposta dall'Azienda Agricola C.A. nei confronti di FATA s.p.a. e condannava detta ultima società, in persona del legale rappresentante pro tempore, a tenere indenne l'Azienda Agricola C.A. di quanto era stata condannata a pagare all'Inail nei limiti del massimale di polizza. Condanna l'Azienda Agricola C. alla rifusione in favore dell'Inail delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

In particolare la sentenza escludeva che la condotta del P. potesse essere considerata abnorme, imprevedibile ed assolutamente inopinabile.

3. Avvero questa pronuncia propone ricorso per Cassazione l'Azienda agricola con due motivi.

Resistono con controricorso l'INAIL. La società FATA non ha svolto difesa alcuna.



Diritto


1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo di ricorso l'odierna ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 2087 c.c.) nonchè contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). La ricorrente, partendo dalla considerazione che la Corte d'appello ha ritenuto "normale" il comportamento dell'infortunato e da tale erronea convinzione ha dedotto la responsabilità datoriale, afferma che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in palese contraddizione sia sotto il profilo logico-formale che della correttezza giuridica, nonchè del travisamento dei fatti. A giudizio della ricorrente la Corte avrebbe erroneamente considerato "normale" il comportamento del lavoratore sulla base della considerazione essenziale che l'utilizzo in posizione obliqua del carro miscelatore - dessilatore fosse altrettanto normale presso l'Azienda C., e proprio in tale convincimento risiederebbe l'erroneità della sentenza che, partendo da un presupposto non dimostrato, o comunque errato sotto il profilo logico - giuridico, sarebbe pervenuta poi ad una conclusione appunto errata.

Con il secondo motivo l'odierna ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l'erronea applicazione dell'art. 1227 c.c., deducendo in particolare il concorso di colpa del dipendente che, al momento dell'infortunio, indossava una sciarpa, contrariamente alle indicazioni dell'azienda che avrebbe raccomandato ai lavoratori di non indossare indumenti che potessero impigliarsi nei macchinari utilizzati.

2. Il ricorso - i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato.

I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente almeno in parte, stante la loro connessione.

La Corte territoriale, con tipica valutazione di merito di apprezzamento delle risultanze processuali, ha accertato che il lavoratore, al momento dell'infortunio, stava svolgendo le sue mansioni abituali secondo le modalità consuete, eseguendo la fase di carico di un carro agricolo; carro questo che era venuto a trovarsi con la parte anteriore rialzata e con l'albero cardanico in posizione obliqua. Proprio in conseguenza di tale posizione, si era creata un'apertura tra il cono di protezione dell'albero stesso e lo schermo - cuffia di protezione applicato sul carro ed era divenuta accessibile la parte, in rotazione, del giunto cardanico con il pulsante di aggancio.

Il P. si era avvicinato all'albero cardanico, in prossimità della zona in cui erano presenti sia le leve di comando del carro, sia il display per la programmazione della bilancia e/o delle altre parti meccaniche; così facendo, la sciarpa che il P. indossava si era infilata nell'apertura accessibile, era stata presa dalla parte rotante del giunto cardanico ed aveva causato la morte per strangolamento del lavoratore.

Nello svolgimento di questa attività - ha accertato la Corte territoriale - l'uso della sciarpa, che aveva provocato lo strangolamento, era risultato tollerato dal datore di lavoro.

Immune da vizi logici è quindi la pronuncia della Corte d'appello nella parte in cui ha ritenuto che il datore di lavoro sia responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore per aver omesso di controllare e vigilare che di tali misure si fosse fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non assumendo alcun valore esimente per l'imprenditore l'eventuale concorso di colpa del lavoratore e potendo configurarsi un esonero da responsabilità per il datore di lavoro solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità e dell'assoluta inopinabilità.

Quindi l'eventuale colpa del lavoratore, dovuta ad imprudenza, negligenza o imperizia, non elimina quella del datore di lavoro, sul quale incombe l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso di causalità.

Nella specie la Corte d'appello ha valutato che la condotta del P. non era in alcun modo configurabile come abnorme, imprevedibile e assolutamente inopinabile, oppure come rischio elettivo, generato da attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso. Il lavoratore stava eseguendo le ordinarie mansioni assegnategli, senza che gli fosse stata vietata espressamente l'operazione con quelle modalità, laddove il posizionamento in obliquo del carro era evenienza non solo possibile ma anche probabile, per effetto delle caratteristiche costruttive del mezzo. Quest'ultimo avrebbe dovuto essere munito delle protezioni anche per la posizione obliqua ed invece si creava una fessura che rendeva la zona pericolosa non completamente protetta.

La sentenza impugnata perviene quindi all'accoglimento dell'appello dell'INAIL all'esito di un accertamento di fatto che risulta incensurabile, sotto l'unico profilo, deducibile in sede di legittimità, quello del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Invero - come questa Corte ha più volte affermato - la denuncia di un vizio di motivazione in fatto della sentenza, impugnata con ricorso per Cassazione (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5) - vizio nel quale si traduce anche la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, nonchè l'omessa od erronea valutazione di alcune risultanze probatorie - non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti, nè, comunque, una diversa valutazione dei medesimi fatti.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione in favore dell'INAIL nella misura liquidata in dispositivo; nulla invece sulle spese per l'altra parte intimata non costituita.



P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in favore dell'INAIL, liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali;

nulla per la parte intimata non costituita.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2009