Responsabilità del direttore di uno stabilimento per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonchè nell'inosservanza dell'art. 2087 c.c., D.P.R. n. 547 del 1955, art. 41, art. 49, comma 1, art. 68 e art. 375, comma 2, e art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 626 del 1994, per non avere assicurato la completa segregazione degli organi lavoratori e delle zone di operazioni delle macchine formatrici.
Aveva così cagionato lesioni gravissime a B. E., operaio addetto alla manutenzione, il quale, dovendo eseguire un intervento, ritenutane la lieve entità e la possibilità di agire a macchina in movimento, aveva introdotto la mano destra in un varco del macchinario dove uno dei dispositivi dell'utensile, agganciato il guanto che rivestiva la mano dell'operatore, aveva trascinato questa con sè, amputandola.
Premesso che l'infortunato aveva comunque commesso una grave imprudenza, la conformazione dell'apparecchio era comunque tale da poter inserire un intero braccio ed era stata modificata soltanto dopo il detto infortunio riducendone notevolmente l'apertura.
La Corte afferma che "in tema di responsabilità per gli infortuni sul lavoro quel che rileva è solo la contiguità e l'accessibilità della situazione di pericolo e quindi la sua prevedibilità ed evitabilità, laddove le specifiche mansioni del singolo lavoratore, fatta salva la ricorrenza di una condotta abnorme ed eccezionale, idonea a porsi come causa esclusiva dell'evento, si prestano, in via di principio, a essere apprezzate sul piano della verifica di un eventuale concorso di colpa della vittima nella causazione dell'incidente."
"L'imputato è stato chiamato a rispondere dell'infortunio in qualità di direttore dello stabilimento, posizione che, quand'anche non assistita da autonomia di spesa (e sarebbe fatto per vero singolare), gli dava comunque poteri di segnalazione e, al limite, di blocco dei macchinari pericolosi, poteri nella fattispecie non utilizzati."
Sussiste.
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
1) P.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 18/04/2007 CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMENDOLA ADELAIDE;
Udito il Procuratore generale, in persona del Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste;
Udito il difensore dell'imputato, avvocato RICCI Emilio, che si è associato alla richiesta del Procuratore generale.
1.1 Con sentenza del 1 febbraio 2005 il Tribunale di Savona dichiarava P.A. colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., u.c., art. 583 c.p., art. 40 c.p., comma 2, art. 113 c.p., art. 61 c.p., n. 3, commesso in (OMISSIS) in danno di B.E. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condannava a pena ritenuta di giustizia.
L'imputato era stato tratto a giudizio con l'accusa che per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonchè nella inosservanza dell'art. 2087 cod. civ., D.P.R. n. 547 del 1955, art. 41, art. 49, comma 1, art. 68 e art. 375, comma 2, e art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 626 del 1994, per non avere assicurato la completa segregazione degli organi lavoratori e delle zone di operazioni delle macchine formatrici, aveva cagionato lesioni gravissime a B. E., operaio addetto alla manutenzione, il quale, dovendo eseguire un intervento, ritenutane la lieve entità e la possibilità di agire a macchina in movimento, aveva introdotto la mano destra in un varco del macchinario, di larghezza solitamente pari a circa 47 cm. e altezza variabile dai 20 ai 33 cm.
Proposto gravame, la Corte d'appello di Genova in data 18 aprile 2007, in parziale riforma della impugnata pronuncia, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 3, valutate le già concesse attenuanti generiche in termini di prevalenza, riduceva la pena inflitta dal primo decidente.
In motivazione il giudicante, premesso che l'infortunato non aveva provveduto a fermare il macchinario, prima di eseguire l'intervento, così violando precise disposizioni aziendali e commettendo certamente una grave imprudenza, osservava che la conformazione dell'apparecchio, all'epoca dell'infortunio, era tale da consentire l'introduzione anche di un intero braccio nel varco di cui innanzi, laddove l'apertura era stata in epoca successiva all'infortunio prudenzialmente ridotta.
Stimava quindi "insostenibile" la tesi difensiva della interruzione del nesso causale tra condotta ed evento o della carenza dell'elemento soggettivo della colpa, in ragione della collocazione di cartelli di pericolo e della specifica formazione fornita al lavoratore.
Nessun rilievo poteva poi attribuirsi, secondo il giudice di merito, alla circostanza che l'incidente fosse avvenuto pochissimi giorni dopo la revoca della delega anti-infortunistica all'imputato, a seguito della centralizzazione delle relative competenze, per motivi di riorganizzazione aziendale, posto che di tale revoca il P. non era stato ancora messo al corrente; che le omissioni eziolagicamente rilevanti risalivano comunque alla sua gestione; che, in qualità di direttore e dirigente dello stabilimento egli aveva in ogni caso il potere-dovere di blocco degli impianti, in caso di situazioni di pericolo immediato per i lavoratori; che neppure risultavano mai da lui effettuate segnalazioni di rischio.
La Corte negava infine, in ragione dei precedenti specifici dell'imputato, l'adeguatezza della sanzione alternativa della multa.
1.2 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di P.A., chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: - violazione di legge e segnatamente degli artt. 41 e 42 cod. pen., D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 68 e 82, per non avere il giudice di merito considerato che la segregazione totale degli organi lavoratori non avrebbe impedito l'evento, essendo questo avvenuto nell'ambito di un'attività di manutenzione la quale, per la sua esplicazione, prevede proprio la rimozione delle protezioni. Nè era stato valutato che appositi cartelli vietavano assolutamente operazioni di manutenzione con la macchina in movimento; che era prassi in azienda rispettare tale prescrizione; e che infine l'imputato stesso aveva riconosciuto l'inusualità del suo intervento. Ricorda anche l'impugnante che, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, i presidi di protezione dei macchinari, imposti dal D.P.R. n. 547 del 1955, mirano a tutelare l'operatore che possa venire accidentalmente in contatto con gli organi in movimento, e non riguardano pertanto le zone in cui vengano effettuate operazioni di pulizia o di manutenzione, dovendo queste pacificamente essere eseguite a macchina ferma.
Nella fattispecie l'istruttoria dibattimentale aveva dimostrato che l'area lasciata libera dalle protezioni era contenuta nei limiti più ristretti possibili e che in ogni caso il macchinario era munito di almeno quattro pulsanti di arresto di emergenza;
- violazione di legge, e segnatamente dell'art. 41 c.p., comma 2, per avere la Corte d'appello confermato la positiva valutazione della responsabilità penale dell'imputato benchè fosse stato acclarato che lo stesso difettava di autonomia di spesa e non aveva quindi alcuna possibilità di impedire l'evento;
- violazione di legge e segnatamente dell'art. 133 cod. pen., per avere la Corte escluso l'adeguatezza della sanzione alternativa della multa, in ragione di un precedente giudiziario dell'imputato, senza considerare che nella fattispecie le modalità dell'azione risultavano caratterizzate dalla colpa quantomeno concorrente della vittima, e che il grado di responsabilità dell'imputato, in ragione dei presidi esistenti, non poteva che essere definito modesto.
1.3 Con memoria ex art. 611 cod. proc. pen., depositata il 3 giugno 2008 i difensori dell'imputato hanno poi chiesto alla Corte di dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen..
2.1 Le doglianze sono infondate.
In tema di responsabilità per gli infortuni sul lavoro quel che rileva è solo la contiguità e l'accessibilità della situazione di pericolo e quindi la sua prevedibilità ed evitabilità, laddove le specifiche mansioni del singolo lavoratore, fatta salva la ricorrenza di una condotta abnorme ed eccezionale, idonea a porsi come causa esclusiva dell'evento, si prestano, in via di principio, a essere apprezzate sul piano della verifica di un eventuale concorso di colpa della vittima nella causazione dell'incidente.
Nella fattispecie il giudice di merito è approdato alla conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputato sulla base del rilievo che il macchinario oggetto dell'intervento presentava un varco pericolosissimo, la cui asserita funzionalità alla rimozione dei residui di vetro incandescente dal fondo, con ganci e simili attrezzi manuali, oltre a poter essere assicurata anche con più sicuri e moderni espedienti, non ne precludeva in ogni caso la riduzione entro limiti prudenziali, cosa del resto avvenuta in epoca successiva al sinistro, quando l'apertura venne ridotta a pochi centimetri.
A fronte di tale impianto motivazionale, corretto sul piano logico e giuridico, le critiche formulate dal ricorrente nel primo motivo di ricorso non colgono nel segno.
Esse sono invero volte a sostenere l'abnormità della condotta del lavoratore, con conseguente interruzione del nesso eziologico tra omissione ascritta all'imputato ed evento verificatosi. Ma l'assunto è resistito dalle acute osservazioni del giudice di merito in punto di assoluta inerenza al contesto lavorativo di riferimento dell'improvvido comportamento del B. e dunque di apprezzabilità dello stesso esclusivamente in termini di grave imprudenza.
Nè hanno pregio le contestazioni relative alla ritenuta carenza di adeguati dispositivi di sicurezza, essendo esse smentite per tabulas dalla dinamica dell'incidente.
Quanto poi alla dedotta impossibilità per il P. di impedire l'evento, oggetto del secondo motivo di ricorso, è sufficiente rilevare che l'imputato è stato chiamato a rispondere dell'infortunio in qualità di direttore dello stabilimento, posizione che, quand'anche non assistita da autonomia di spesa (e sarebbe fatto per vero singolare), gli dava comunque poteri di segnalazione e, al limite, di blocco dei macchinari pericolosi, poteri nella fattispecie non utilizzati.
Infine la richiesta applicazione della "sanzione alternativa della multa" è stata disattesa dal giudice di merito, in ragione "dei ripetuti precedenti professionali del P., anche specifici", e dunque con motivazione che, in quanto congrua e adeguata, rende la relativa valutazione incensurabile in questa sede di legittimità.
Il reato non può essere dichiarato estinto per prescrizione, siccome richiesto nella memoria depositata dai difensori, perchè il relativo termine viene a maturazione il 31 agosto 2008, per effetto di sospensione dal 24 febbraio al 29 giugno 2004, a seguito di richiesta di rinvio dei difensori.
Il rigetto del ricorso si impone dunque.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008