Cassazione Penale, Sez. 4, 29 maggio 2014, n. 22233 - Infortunio mortale e responsabilità di un RSPP quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri
E' noto che "il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non operativo ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri (cfr. Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 49821 del 23/11/2012 Ud. (dep. 21/12/2012), Rv. 254094; Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 16134 del 18/03/2010 Ud. (dep. 26/04/2010), Rv. 247098; Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 32195 del 15/07/2010 Ud. (dep. 20/08/2010), Rv. 248555)."
Nel caso di specie, il RSPP avrebbe dovuto prevedere nel POS lo specifico rischio di caduta dall'alto, ciò in relazione a lavori che egli sapeva che si sarebbero svolti sul tetto o il cui espletamento avrebbe dovuto conoscere, se solo avesse svolto il suo compito con diligenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. L.T.M., n. a (OMISSIS);
2. R.F., n. a (OMISSIS);
3. R.S., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 28/11/2012 (n. 1633/2012);
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. IZZO Fausto;
udite le conclusioni del Procuratore Generale Dott. D'AMBROSIO Vito, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell'Avv. STELLATO Antonio, per le parti civili, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 23/3/2010 il Tribunale di Roma assolveva, per non aver commesso il fatto, L.T.M., R.F. e R.S. dal delitto di omicidio colposo in danno dell'operaio D.F.C.. Agli imputati era stato addebitato che, nelle rispettive qualità di capo cantiere il R.S., responsabile del servizio di prevenzione e protezione il R.F., dirigente responsabile della soc. ITECO il L.T., avevano consentito che l'operaio D.F., lavorasse sul tetto di una scuola in ristrutturazione, senza cintura di sicurezza e senza che i lucernai in plexiglas presenti fossero protetti, sicchè uno di essi si rompeva al passaggio del D.F. che precipitando in terra pativa un grave politrauma che ne determinava il decesso (acc. in (OMISSIS)).
Riteneva il tribunale che l'assenza di testi oculari non consentiva di ricostruire con certezza la dinamica dell'incidente; inoltre la variazione del programma di lavoro che aveva portato la vittima ad operare sul tetto, non era certo fosse a conoscenza degli imputati, potendo esser stata una iniziativa del preposto C..
2. Con sentenza del 28/11/2012 la Corte di Appello di Roma, su impugnazione del P.M. e delle parti civili, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava tutti gli imputati per il delitto loro ascritto e concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, determinava la pena in anni uno di reclusione, pena sospesa. Gli imputati venivano, inoltre, condannati al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separato giudizio.
Rilevava la corte distrettuale che dell'evento dovevano rispondere tutti e tre gli imputati, in ragione delle gravi violazioni delle norme di prevenzione che avevano determinato l'infortunio mortale. In particolare, R.S., come capo cantiere non aveva verificato le concrete modalità di svolgimento del lavoro e l'attuazione delle misure di prevenzione; R.F., come quale responsabile del servizio di protezione e prevenzione, non aveva provveduto ad aggiornare il POS in presenza di lavori da effettuare sul tetto della scuola, circostanza questa che doveva conoscere se solo avesse frequentato con una minima assiduità il cantiere; L.T. M., come responsabile della ITECO e, quindi, datore di lavoro, non aveva controllato che il lavoro si svolgesse in sicurezza.
3 - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, lamentando :
3.1. il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta programmata variazione di lavori. Invero le circostanza riportate della corte di merito e relative alla presenza di staffe, tubi e attrezzi non erano indicative di una programmata variazione della lavorazione, ma era compatibile con un mutamento attuato stesso la mattina del fatto.
Ciò era avvalorato da alcune circostanza, obliterate dalla corte di appello, quali il fatto che la porta metallica per accedere al terrazzo era divelta e il lucchetto di chiusura tranciato. Se i lavori fossero stati programmati, non ci sarebbe stato bisogno di attuare tale modalità di accesso al terrazzo.
2.2. La mancanza di motivazione in ordine alla posizione del C., caposquadra della vittima, il quale era colui che, sempre presente sul posto, dava le direttive dei lavori e le istruzioni agli operai. Il giudice di appello non aveva valorizzato ciò che era stato invece compreso da giudice di primo grado e che cioè la possibilità che la improvvisa variazione dei lavori fosse stata ordinata proprio dal C..
Diritto
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Va premesso che con costante giurisprudenza, questa Corte regolatrice ha stabilito che, quando la sentenza di appello riforma in modo totale il giudizio assolutorio di primo grado, essa deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalle parti nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (ex plurimis, Cass. Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005 Ud. (dep. 20/09/2005), Rv. 231679; Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 1253 del 28/11/2013 Ud. (dep. 14/01/2014), Rv. 258005; Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 8361 del 17/01/2013 Ud. (dep. 20/02/2013), Rv. 254638; Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005 Ud. (dep. 16/02/2006), Rv. 233083; Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 1381 del 16/12/1994 Ud. (dep. 10/02/1995), Rv. 201487).
Nel caso di specie il giudice di appello ha correttamente soddisfatto l'obbligo di confutare adeguatamente le ragioni che sorreggevano la decisione di assoluzione di primo grado, sicchè la motivazione risulta sufficiente a fondare il ribaltamento della decisione.
3. Ha osservato la Corte che la responsabilità degli imputati emergeva dalle seguenti circostanze:
- benchè non vi fossero stati testi oculari dell'incidente, non vi era dubbio alcuno che il D.F. fosse caduto dal tetto, per la rottura del lucernaio in plexiglas, mentre era intento a realizzare un raccordo dell'impianto di riscaldamento;
- era stato accertato che il lucernaio non aveva protezione; la vittima non aveva cintura di sicurezza; inoltre che il POS non prevedeva il rischio connesso a tale fase di lavoro;
- destituita di fondamento era la circostanza che l'esecuzione del lavoro sul tetto fosse stata una iniziativa individuale del preposto.
Infatti l'incidente si era verificato alle nove del mattino, pertanto era inverosimile che un cambio di programma dei lavori fosse stato deciso in pochi minuti la mattina del fatto da un mero preposto (il C., la cui posizione era stata archiviata nelle indagini);
inoltre l'istruttoria svolta aveva consentito di accertare che per effettuare il raccordo del riscaldamento, già erano state poste delle staffe sui muri; già vi erano tubi sul solaio e gli attrezzi di lavoro; pertanto la circostanza che già erano state svolte attività preparatorie, smentiva la tesi dell'improvviso e sconosciuto cambio di programma lavori.
Ha ritenuto la corte di merito che delle gravi e plurime violazioni delle norme di prevenzione dovevano rispondere il L.T., quale legale rappresentante del datore di lavoro ed il R.S. quale preposto capocantiere, titolari di autonome posizioni di garanzia.
Del fatto, inoltre, doveva rispondere anche il R.F. che era stato nominato "Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione" dal L.T., con comunicazione ritualmente inoltrata all'USL ed all'Ispettorato del lavoro. E' noto, infatti, che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non operativo ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri (cfr. Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 49821 del 23/11/2012 Ud. (dep. 21/12/2012), Rv. 254094; Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 16134 del 18/03/2010 Ud. (dep. 26/04/2010), Rv. 247098; Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 32195 del 15/07/2010 Ud. (dep. 20/08/2010), Rv. 248555).
Nel caso di specie, il R.F., nella sua qualità, avrebbe dovuto prevedere nel POS lo specifico rischio di caduta dall'alto, ciò in relazione a lavori che egli sapeva che si sarebbero svolti sul tetto o il cui espletamento avrebbe dovuto conoscere, se solo avesse svolto il suo compito con diligenza.
In considerazione di quanto detto, le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto operata dalla corte di appello ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
Consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Vanno inoltre condannati al pagamento le spese di questo giudizio in favore delle parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2014