Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2014, n. 18590 - Lavoratore precipita in un pozzo. Ricorso inammissibile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA;
nei confronti di:
S.G. N. IL (Omissis);
B.M. N. IL (Omissis);
I.R. N. IL (Omissis);
G.L.A. N. IL (Omissis);
C.B. N. IL (Omissis);
B.C. N. IL (Omissis);
D.V.A. N. IL (Omissis)
ROMA METROPOLITANE SRL;
avverso la sentenza n. 14400/2012 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di ROMA, del 09/10/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERRAO EUGENIA;
sentite le conclusioni del PG Dott. STABILE Carmine, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore di B.M., I.R., G. L.A. e B.C., Avv. TAGLIAFERRI Francesco, che ha insistito nelle richieste formulate con memoria difensiva;
Udito il difensore di S.G., Avv. FEROLETO Antonio, che ha chiesto che l'impugnazione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, rigettata;
Udito il difensore di C.B., Avv. CARDOSI Francesco, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori di D.V.A., Avv. De Luca Luciano e Avv. MINCIARELLI Tatiana, che hanno concluso per l'inammissibilità;
Udito il difensore di Roma Metropolitane, Avv. GUIDI Andrea, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
Fatto
1. Il 9/10/2013 il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Roma ha dichiarato non luogo a procedersi nei confronti di S.G., B.M., I.R., G.L.A., C.B., D.V.A., B.C. in ordine al reato di cui agli artt. 40 e 589 c.p., per non aver commesso il fatto e in ordine ai reati contravvenzionali in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro per improcedibilità dell'azione penale ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, artt. 20 e segg.; ha, altresì, dichiarato non luogo a procedersi nei confronti di Roma Metropolitane S.r.l. in ordine all'imputazione di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 30, comma 1, lett. b), per insussistenza del fatto.
1.1. Il fatto da cui aveva tratto origine l'imputazione consisteva nel decesso del lavoratore T.L. presso il cantiere di via (Omissis), aperto per la realizzazione della Metro C, in data (Omissis); mentre erano in corso operazioni di taglio di uno dei pilastri posti a sostegno del solaio superiore di un locale adibito a servizi, sovrastante un pozzo profondo 28 metri, il lavoratore era precipitato nel pozzo sottostante.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, con atto denominato "dichiarazione di appello", ha chiesto che venga emesso il decreto che dispone il giudizio a carico di tutti gli imputati per il solo reato di cui agli artt. 40 e 589 c.p., e, nei confronti di Roma Metropolitane S.r.l., per il reato di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 30, comma 1, lett. b).
3. L'impugnazione è stata trasmessa a questa Corte con provvedimento del 7/01/2014 della Corte di Appello di Roma, trattandosi di sentenza non appellabile.
4. Nel merito, il ricorrente contesta la ricostruzione logico- giuridica della vicenda effettuata nel provvedimento impugnato e la carente valutazione degli elementi a carico degli imputati. In particolare, ritiene che non possa effettuarsi una prognosi di sicura inutilità del giudizio in quanto non è stato spiegato per quale motivo le condotte omissive dei soggetti che non hanno avuto un ruolo operativo nella vicenda non abbiano avuto rilevanza causale nella determinazione dell'evento letale verificatosi; ritiene la sentenza contraddittoria laddove ha affermato che l'imputato B. C. non ha commesso il fatto, reputando che la responsabilità debba essere individuata solo nelle condotte di soggetti che svolgevano mansioni nel cantiere, quali quelle appunto svolte dal B.; secondo il ricorrente, l'imputato B.C. dovrebbe rispondere della condotta negligente rispetto alla doverosa attività di controllo gravante sul capocantiere, tanto più in quanto dagli atti delle indagini preliminari risulterebbe che tale imputato fosse stato informato dell'imminente attività di rimozione dei pilastri. Con riguardo all'imputato D.V.A., datore di lavoro, l'asserita estraneità si fonderebbe, si assume, su due errati postulati, per cui da un lato al datore di lavoro non è imposto di essere fisicamente presente in cantiere e dall'altro risulterebbe che ci sia stato addestramento dei lavoratori e che gli stessi fossero muniti di cinture di sicurezza. Secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe disatteso la recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale, a prescindere dalla presenza costante in cantiere dell'appaltatore, permangono gli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia. La motivazione sarebbe incongrua con riferimento alla posizione degli imputati C.B. e G.L.A., basandosi sull'errato presupposto che quella del coordinatore della sicurezza sia mansione di alta garanzia, equivocando sul ruolo che deve avere tale figura. In particolare, sarebbe emerso che G.L.A. e la sua collaboratrice C.B. fossero stati posti a conoscenza della sussistenza di quei pilastri da notevole tempo, tanto evincendosi dall'elemento documentale dei rapporti giornalieri di cantiere, non considerati dal giudice. Gli imputati G.L. A. e C.B. avrebbero, dunque, dovuto attivarsi per l'adeguamento del P.O.S., prevedendo le operazioni di rimozione.
Con riguardo agli altri imputati, si assume, le valutazioni del giudice si fondano su una errata interpretazione della normativa in materia, avendo ritenuto che il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 164, comma 4, avrebbe consentito all'impresa Roma Metropolitane S.r.l. di delegare alla Metro C, contraente generale, ogni onere relativo alla sicurezza dei lavoratori, ivi compresa la nomina del coordinatore per la sicurezza, mentre tale schema non è applicabile alla materia e al caso in esame, dovendosi ritenere abrogata, per quanto concerne la sicurezza del lavoro, dalla normativa specifica e successiva di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 e, in particolare, dall'art. 304, lett. d), dovendosi applicare in materia di sicurezza dei lavoratori tale testo unico e il relativo Regolamento di Esecuzione n. 207/2010.
Non sarebbe sostenibile, secondo il ricorrente, che Metro C sia stata investita del ruolo di contraente generale e che quindi abbia assunto funzioni di committente e di responsabile della sicurezza, residuando nei confronti di Roma Metropolitane S.r.l. solo la figura di aggiudicatore. In atti vi sarebbero le significative dichiarazioni di F.M., non citate dal giudice, da cui emerge con chiarezza che il S. ha addirittura ostacolato l'attività di controllo, sul cantiere in questione, che il F. stesso doveva effettuare in qualità di soggetto appartenente all'organismo "Alta Sicurezza", a ciò deputato. Gli imputati I.R. e B. M. sarebbero stati inadempienti agli obblighi derivanti dai rispettivi ruoli, secondo il sistema delle deleghe, di responsabile dei lavori e dirigente della Metro C, società affidataria.
5. Con memoria depositata il 26/03/2014 D.V.A., a mezzo del difensore Avv. De Luca Luciano, e con memoria depositata il 5/04/2014, a mezzo del difensore Avv. Minciarelli Tatiana, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile ovvero rigettato per infondatezza.
5.1. Con memoria depositata il 27/03/2014 Roma Metropolitane S.r.l.
ha chiesto, a mezzo del difensore Avv. Guidi Andrea, che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero rigettato.
5.2. Con memoria depositata il 3/04/2014 C.B., a mezzo del difensore Avv. Cardosi Francesco Maria, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
5.3. Con distinte memorie, entrambe depositate il 4/04/2014, G.L.A., I.R., B.M., B.C., a mezzo del difensore Avv. Tagliaferri Francesco, e S.G., a mezzo del difensore Avv. Feroleto Antonio, hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In tema di impugnazioni, questa Corte ha affermato il principio per cui, qualora un provvedimento giurisdizionale sia stato impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto dalla legge, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento e l'esistenza della volontà d'impugnare, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, all'esito di tale verifica, in caso positivo, trasmettere gli atti al giudice competente, al quale è riservato in via esclusiva il potere di valutare sia l'ammissibilità che la fondatezza dell'impugnazione (Sez. U n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221).
3. Il principio dettato dall'art. 568 c.p.p., comma 5, secondo cui l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione attribuitale dalla parte, non consente al giudice incompetente, investito del gravame erroneamente proposto, di pronunciarsi in merito all'ammissibilità o meno dell'impugnazione, non rientrando tale pronuncia nella sfera che la norma attribuisce alla cognizione di tale giudice, che deve limitarsi a procedere alla esatta qualificazione del mezzo di impugnazione proposto ed alla conseguente trasmissione degli atti al giudice competente (Sez. 3^, n. 19980 del 24/03/2009, Passannante, Rv. 243655; Sez. 5^, n. 33336 del 24/06/2010, Martello, Rv. 248153).
3.1. Correttamente, pertanto, la Corte di Appello di Roma, in considerazione dell'inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere investita dell'impugnazione del Procuratore della Repubblica, ha trasmesso gli atti per competenza alla Corte di Cassazione.
4. Ma questa Corte non può non rilevare che l'atto di impugnazione, non solo reca un errato nomen iuris, ma manifesta anche l'inequivoca volontà del Procuratore impugnante di proporre appello. Ciò è reso evidente, non solo dalla assenza di indicazione specifica dei motivi in base ai quali la pronuncia impugnata sarebbe affetta da vizio di legittimità, ma anche e soprattutto dal petitum contenuto nelle conclusioni, che non ha ad oggetto l'annullamento della sentenza (unico provvedimento consentito in sede di legittimità), bensì la pronuncia di un provvedimento di merito, ossia il decreto che dispone il giudizio.
4.1. Essendosi in presenza di un atto di gravame denominato come appello e formulato con le richieste tipiche di tale mezzo di impugnazione, deve dichiararsi l'inammissibilità del ricorso (Sez. 6^, n. 7182 del 2/02/2011, PG in proc. Beltrami, Rv. 249452; Sez. 5^, n. 35442 del 3/07/2009, P.G. in proc. Mazzola, Rv. 245150; Sez. 3^, n. 23651 del 21/05/2008, Ribaudo, Rv. 240053; Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, dep. 26/01/1998, Nexhi, Rv. 209336).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2014