Cassazione Penale, Sez. 4, 12 dicembre 2014, n. 51781 - L'affidamento riposto nel venditore di una macchina non munita dei necessari congegni di sicurezza non esonera da responsabilità il datore di lavoro


 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
M.A. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2378/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del 07/07/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. De Rosa Damiano in sostituzione dell'Avv. Luca Santa Maria, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.



Fatto


1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 7/07/2014, ha solo parzialmente riformato la pronuncia emessa in data 9/10/2013 dal Tribunale di Corno, riducendo la pena a mesi due e giorni venti di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e confermando, dunque, la dichiarazione di responsabilità di M.A. pronunciata dal giudice di primo grado in relazione al reato di cui all'art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 1, in relazione al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 37 e 38.

2. M.A. era imputato in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione e di delegato in materia antinfortunistica della D. s.p.a., ed in tale veste committente del servizio di manutenzione e assistenza di tutte le strutture, apparecchiature e impianti da effettuarsi presso l'unità produttiva di (Omissis), nonchè utilizzatore della macchina e datore di lavoro di fatto di F.L.. Secondo l'accusa, egli aveva cagionato al lavoratore, in cooperazione con il produttore del macchinario, lesioni personali da cui era derivata una malattia nel corpo guarita in 492 giorni, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; segnatamente, per aver messo a disposizione del lavoratore una macchina priva di protezioni o di idonei dispositivi che lo proteggessero dai rischi di contatto e intrappolamento provocati dall'organo avvolgitore della rete metallica in moto, per non aver provveduto affinchè il lavoratore incaricato di utilizzo della macchina denominata rimpianto saldatrice disponesse di ogni informazione e di ogni istruzione d'uso necessaria in rapporto alla sicurezza, oltre che per non aver provveduto affinchè il lavoratore ricevesse una formazione adeguata all'uso della macchina.

3. L'infortunio era stato ricostruito dai giudici di merito come segue: il giorno (Omissis) F.L. era intento a svolgere le sue mansioni di addetto all'impianto saldatore mod. EVG GZS 102 HP n.K36650, utilizzato per creare reti di acciaio elettrosaldato, con l'incarico di vigilare affinchè il rotolo di rete si avvolgesse in modo regolare sul cosiddetto mandrino di avvolgimento; avendo notato che il rullo non si avvolgeva in modo perfettamente regolare, aveva tentato di raddrizzarlo dandogli alcuni colpi di assestamento mentre il rullo era in moto; era, quindi, rimasto impigliato all'interno del rullo con tutto il corpo.

4. Ricorre per cassazione il difensore di M.A., censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 590 cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Avendo la Corte di Appello ritenuto che il datore di lavoro versasse in colpa per aver messo a disposizione del lavoratore infortunato un macchinario non sufficientemente sicuro, il ricorrente si duole della violazione dei principi sanciti dalla Corte di legittimità in merito all'individuazione dei criteri che dovrebbero orientare il giudice nella valutazione circa il corretto affidamento del datore di lavoro sulla sicurezza del macchinario utilizzato dai propri dipendenti; in particolare, il ricorrente sottolinea come l'affidamento riposto dal datore di lavoro nella sicurezza di un macchinario integri condotta colposa solamente nel caso in cui si possa affermare che un imprenditore diligente si sarebbe accorto dell'insufficienza dei dispositivi di sicurezza. La Corte territoriale, si assume, ha omesso di indicare per quale motivo abbia ritenuto che, nel caso concreto, l'imprenditore diligente si sarebbe rappresentato la necessità di aggiungere al macchinario in uso al lavoratore ulteriori dispositivi di sicurezza rispetto a quelli già installati, trascurando che prima dell'infortunio non si erano verificati incidenti o episodi che potessero suscitare dubbi in ordine alla sicurezza della macchina, che quest'ultima era dotata di più dispositivi di sicurezza perfettamente funzionanti nella zona di lavoro dell'operatore, tra i quali la barra rossa di sicurezza, tutt'altro che inidonea a garantire un'effettiva tutela, che la macchina era stata acquistata per circa 2 milioni di euro da un'azienda tedesca leader di mercato era dotata di tecnologia sofisticata e assai complessa, era certificata CE ed era praticamente nuova;

b) mancanza o contraddittorietà della motivazione circa l'inadeguatezza della formazione della persona offesa in materia di sicurezza, violazione dei canoni di valutazione probatoria e travisamento della prova. Il ricorrente deduce che la Corte territoriale ha ritenuto credibili le affermazioni della parte civile in ordine all'esistenza di una prassi invalsa tra gli operai, per la quale lievi scostamenti del rotolo potevano essere risolti dall'operatore senza arrestare la macchina, senza riscontri a tali affermazioni in elementi esterni emersi nel corso del processo; in particolare, il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto che le dichiarazioni del teste S. costituissero valido riscontro, travisandone i contenuto, ed avrebbe trascurato le dichiarazioni rese da altri testi dell'accusa, che avevano categoricamente escluso l'esistenza di tale prassi.


Diritto

 

1. La prima censura mossa nel ricorso trae spunto da un dato di partenza che non trova corrispondenza nel testo della sentenza impugnata, nè in quello della sentenza di primo grado che, sviluppandosi secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, si saldano tra loro fino a formare un solo complesso corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv.257056; Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008, Raso, Rv. 241062; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv.216906; Sez. U n. 6682 del 4/02/1992, Musumeci, Rv.191229); si allude all'argomentazione per cui i giudici di merito avrebbero fondato la pronuncia di condanna trascurando di verificare la prevedibilità dell'evento alla luce del fatto che il macchinario messo a disposizione del lavoratore fosse già dotato di idonei presidi di sicurezza.

1.2. Nella sentenza di secondo grado si è premesso che la Corte riteneva correttamente applicati dal giudice di primo grado i criteri di valutazione delle prove testimoniali sottolineando come, in particolare, lo stesso teste M., che l'appellante aveva indicato a sostegno del gravame, avesse riferito in termini chiari ed univoci che durante la fase di montaggio del macchinario erano state posizionate cellule fotoelettriche che fermavano l'impianto in caso di transito di un operaio da tutte le parti in movimento, dunque anche tra la postazione di lavoro ed il rullo avvolgitore. Il Tribunale, la cui motivazione sul punto ha ricevuto conferma in secondo grado, aveva in proposito ritenuto accertato che, quando il produttore aveva consegnato alla D. s.p.a. la saldatrice, la macchina fosse dotata di un ulteriore presidio di sicurezza, costituito da una cellula fotoelettrica posta davanti al mandrino di avvolgimento, desumendone sulla base di logica deduzione che il presidio fosse stato rimosso per consentire una lavorazione più spedita da parte degli operai. Nella sentenza risulta affrontato anche il tema della prevedibilità dell'evento, nel punto in cui si è affermato che in assenza della cellula fotoelettrica i restanti presidi di sicurezza non erano all'evidenza sufficienti ad impedire che taluno operando davanti al mandrino avvolgitore potesse entrare inavvertitamente in contatto con lo stesso, con conseguente rischio di avvolgimento, pervenendo a tale affermazione sulla base dell'esame del materiale fotografico in atti, dal quale si evinceva, secondo il Tribunale, che la barra rossa di sicurezza posta per terra di fronte al mandrino non fosse ad una distanza tale da impedire a taluno di raggiungere con le mani il rullo, pur rimanendo con i piedi all'esterno della barra medesima.

1.3. Entrambe le sentenze hanno messo in luce l'obbligo che la normativa antinfortunistica pone a carico del datore di lavoro di vigilare affinchè i macchinari messi a disposizione del lavoratore siano dotati di tutti i presidi di sicurezza: il Tribunale ha, in proposito, richiamato la specifica prescrizione dettata dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68 in merito ai presidi di sicurezza che devono essere apposti agli organi lavoratori delle macchine e alle relative zone di operazione, ritenendo che l'apposizione di una cellula fotoelettrica sarebbe stata tecnicamente possibile ed agevole, oltre che con evidenza necessaria, tanto che in altri punti del macchinario simile presidio era presente; la Corte di appello ha, inoltre, richiamato il principio della programmazione della sicurezza introdotto con il D.Lgs. n. 626 del 1994 in attuazione di Direttive europee, per sottolineare l'obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi della produzione, rimarcando anche che la presenza della certificazione CE rende lecita la produzione e commercializzazione delle macchine ma non esonera il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, dall'obbligo di accertare la corrispondenza dei macchinari utilizzati ai requisiti di legge.

2. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito con riguardo al profilo che qui interessa, occorre comunque prendere le mosse dalla normativa introdotta con D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, cosiddetta Direttiva macchine, che ha disciplinato i presidi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti di sicurezza immessi sul mercato (denominata Regolamento per l'attuazione delle Direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine).

2.1. Tali norme traggono origine dalla cosiddetta Direttiva macchine 89/392, la cui base giuridica è costituita dall'art. 100 del Trattato CE (ora sostituito dall'art. 114 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea - TFUE), che consente all'Unione di adottare misure volte al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri al fine di assicurare l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno. L'art. 100A del trattato istitutivo della CEE, richiamato a fondamento della Direttiva 89/392/CEE4, si trova nella Parte terza del Trattato, intitolata Politica della Comunità, nel Titolo 1 intitolato Norme Comuni, nel Capo 3 intitolato Ravvicinamento delle legislazioni. Tale richiamo chiarisce che questa Direttiva è nata con l'obiettivo di armonizzare le disposizioni normative di vario livello degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione e sul funzionamento del mercato comune. L'art. 100A, nella versione consolidata, è riprodotta nell'art. 95 del Trattato. Dal testo dei Considerando della Direttiva macchine si evince che l'originario obiettivo del legislatore comunitario era quello di armonizzare le normative di sicurezza degli Stati membri concernenti la produzione delle macchine, ma con particolare attenzione alla creazione di un ambiente di lavoro più sicuro (4^ Considerando), al fine di agevolare la circolazione di questi prodotti nel mercato europeo. La Direttiva accoglieva un concetto generico del termine macchina e si proponeva l'espresso scopo di indicare i requisiti inderogabili ed essenziali di sicurezza e di tutela della salute relativi alle macchine.

2.2. La Direttiva macchine nella originaria versione è stata, successivamente, modificata con le seguenti Direttive, anch'esse indicate nel Regolamento di attuazione n. 459/96:

- la Direttiva 91/368/CEE5, che ha ampliato il campo d'applicazione della Direttiva macchine alle attrezzature intercambiabili, alle macchine mobili e alle macchine per il sollevamento di cose. Sono state aggiunte le parti 3, 4 e 5 all'allegato 1;

- la Direttiva 93/44/CEE6, che ha esteso il campo di applicazione della Direttiva macchine ai componenti di sicurezza ed alle macchine per il sollevamento e/o lo spostamento di persone. E' stata aggiunta la parte 6 all'allegato 1;

- la Direttiva 93/68/CEE7, che ha introdotto disposizioni armonizzate relative alla marcatura CE. 2.3. La Direttiva originaria e le sue successive modifiche sono state codificate, ossia unificate in un unico atto normativo, con la Direttiva 98/37/CEE, a sua volta lievemente modificata con l'esclusione dei dispositivi medici (Direttiva 98/79/CE), ed è rimasta in vigore fino al 29 dicembre 2009. L'intera normativa è stata riformata mediante rifusione in una nuova Direttiva, la n. 2006/42/CE, attuata nell'ordinamento italiano mediante D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17.

2.4. Mentre la normativa previgente era improntata prevalentemente sulla libera circolazione nel mercato interno di presidii antinfortunistici nella ricerca di un ambiente di lavoro più sicuro, la nuova normativa ha aperto una diversa prospettiva, al duplice scopo di consentire la libera circolazione delle macchine nel mercato interno e, al contempo, di garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza, non solo dei lavoratori ma anche dei consumatori (Considerando 3^), ampliando altresì la responsabilità del produttore all'omessa previsione di presidi antinfortunistici atti ad ovviare all'uso scorretto della macchina da parte dell'utilizzatore.

2.5. Dal raccordo di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, si è desunta un'anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli operatori ai quali siano imputabili dette attività. Si è, in sostanza, introdotto un minimum tecnologico obbligato comune (Sez. 3, n. 37408 del 24/06/2005, Guerinoni/n.m.) che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l'obbligo di controllo della regolarità della macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del lavoratore; d'altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati come costruttori in senso giuridico del macchinario quando, ad esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre ditte, l'obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato spettasse ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare tutte le componenti (Sez. 4, n. 4923 del 15/12/2009, dep. 2010, Bonfiglioli, n.m.).

3. Ma la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che le disposizioni che hanno dato attuazione alle Direttive macchine dell'Unione Europea, pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato le prescrizioni a tal fine necessarie. E' stato anche chiarito che l'obbligo di aggiornamento previsto a carico del datore di lavoro dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 5, lett. b) (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ora art. 18, comma 1, lett. z)) va valutato in relazione al generale obbligo incombente sul datore di lavoro di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori; quest'ultimo è, infatti, un obbligo assoluto che non consente, anche in considerazione del rigoroso sistema prevenzionistico introdotto dal citato decreto legislativo, la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (Sez. 3, n. 47234 del 4/11/2005, Carosella, Rv. 233191).

3.1. Posto, dunque, il principio generale per cui un macchinario messo in uso deve essere conforme alle prescrizioni in tema di sicurezza, ne consegue il corollario per cui il datore di lavoro che metta a disposizione dei lavoratori un macchinario sia sempre tenuto a renderlo conforme alle prescrizioni antinfortunistiche, indipendentemente da eventuali responsabilità del costruttore.

3.2. Ciò non significa, tuttavia, che il giudizio assolutorio nei confronti di un coimputato con posizione di garanzia derivante da una specifica normativa che impone obblighi di protezione di minore ampiezza rispetto a quelli gravanti sul datore di lavoro, nel caso concreto il produttore, non possa assumere rilevanza ai fini del giudizio di legittimità. Tanto si verifica laddove il giudizio di prevedibilità dell'evento da parte del datore di lavoro si sia fondato, come nel caso concreto, sul dato di fatto che un presidio di sicurezza presente al momento del montaggio del macchinario non fosse più presente al momento dell'infortunio. In simile ipotesi, non può seriamente contestarsi la motivazione che abbia desunto la colpa del datore di lavoro dall'evidente necessità che la macchina fosse dotata, quantomeno, di tutti i presidi di sicurezza forniti dal costruttore; risulta pertanto inconferente, proprio in relazione a tale punto della sentenza, affermare che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare che il macchinario fosse stato fornito da azienda leader nel mercato, che non si fossero in precedenza verificati incidenti o che si trattasse di macchina dotata di marchio CE, dotata di tecnologia sofisticata e praticamente nuova. Tale censura presuppone, infatti, che al macchinario messo a disposizione del lavoratore non fosse stata apportata alcuna modifica, ossia un'ipotesi diversa da quella esaminata in concreto.

3.3. A tali considerazioni deve aggiungersi che i giudici di merito hanno messo in correlazione l'evento occorso al lavoratore alla condotta colposa del datore di lavoro richiamando l'obbligo generale di diligenza gravante sul quest'ultimo in materia antinfortunistica, correttamente ritenendo esigibile dal datore di lavoro l'obbligo di controllare anche le modalità di accesso al macchinario, in linea con i chiari obiettivi del sistema prevenzionistico, che richiede che il datore di lavoro non ponga il lavoratore in condizione di sottovalutare i rischi connessi all'utilizzo delle macchine.

3.4. Se l'obbligo di agire presuppone la conoscenza o quantomeno la conoscibilità, con la diligenza propria dell'agente modello, della situazione che rende attuale l'obbligo medesimo, risulta incensurabile l'attribuzione di responsabilità per colpa al datore di lavoro che abbia provveduto a modificare la macchina asportando un presidio di sicurezza. Si tratta, infatti, di un comportamento che sulla base di un giudizio ex ante, mette in evidenza che il datore di lavoro fosse in grado di riconoscere la non conformità della macchina alla regola dettata dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68 conoscibilità che non sarebbe stato possibile escludere persino in caso di attestazione di conformità rilasciata dal produttore (Sez. 4, n. 27959 del 5/06/2008, Stefanacci, Rv. 240519).

4. La Corte territoriale ha esaminato con attenzione anche l'ipotesi alternativa fornita dalla difesa, secondo la quale non era dimostrato che la macchina fosse in origine dotata della cellula fotoelettrica, affermando l'ininfluenza a favore dell'imputato del fatto che tale presidio antinfortunistico non fosse presente al momento dell'installazione. Nella sentenza si è spiegato che, in tale ipotesi, il datore di lavoro diligente avrebbe dovuto comunque valutare tutti i rischi tenendo conto del fattore umano e delle specificità concrete del singolo ambiente lavorativo; essendo la normativa antinfortunistica tesa a prevenire anche il comportamento imprudente del lavoratore, secondo la Corte il datore di lavoro avrebbe dovuto ritenere insufficiente la presenza nella parte anteriore del mandrino di avvolgimento della barra rossa di sicurezza, che bloccava la macchina con la pressione del piede dell'operaio, e del pulsante rosso posizionato accanto al rullo, perchè sì trattava di presidi che non impedivano al lavoratore di avvicinarsi agli organi lavoratori in movimento.

4.1. Giova qui ricordare che, a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, le misure generali che il datore di lavoro deve adottare per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono, tra le altre, la valutazione dei rischi, l'eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, la riduzione dei rischi alla fonte, la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso, l'uso di segnali di avvertimento o di sicurezza, la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno ritenuto di sussumere la fattispecie concreta nella norma incriminatrice, per non avere il datore di lavoro eliminato il rischio derivante dalla possibilità di accesso dell'operaio agli organi lavoratori della macchina in movimento.

4.2. E' qui utile ricordare la nozione che della prevedibilità dell'evento è stata elaborata dalla giurisprudenza di legittimità.

Valutando la prevedibilità di un evento, il giudice si pone, in sostanza, il problema delle conseguenze di una certa condotta commissiva od omissiva avendo presente il modello di agente, ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività che importa l'assunzione di certe responsabilità nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello facendo tutto ciò che da questi ci si aspetta (Sez. 4, n. 31462 del 26/05/2006, Capobianchi, Rv.235423).

4.3. Per il profilo che qui interessa, si è affermato che l'evento non possa ritenersi prevedibile qualora il datore di lavoro si sia trovato nell'impossibilità di rendersi tempestivamente conto dell'insufficienza dei presidi di sicurezza (Sez. 4, n. 47274 del 6/11/2012, Ronchi, n.m.), come avviene nelle ipotesi in cui il macchinario abbia vizi occulti non apprezzabili con l'ordinaria diligenza e non eliminabili con l'ordinaria attività manutentiva (Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948), ovvero il lavoratore sia adibito ad un processo lavorativo la cui pericolosità presenti connotazioni di insidiosità o non sia comunque percepibile dal cosiddetto agente modello (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259229; Sez. 3, n. 164 del 11/11/1983, dep. 1984, Anceschi, Rv. 162041). Correlativamente si è chiarito che, se la non corrispondenza di una macchina alle regole di prevenzione e di protezione è agevolmente verificabile, la colpa dell'utilizzatore non possa essere esclusa, posto che l'esigibilità del comportamento alternativo lecito deriva, in tal caso, dall'obbligo gravante sull'utilizzatore della macchina, ed in particolare sul datore di lavoro, di eliminare le fonti di pericolo (Sez. 4, n. 1216 del 26/10/2005, dep. 2006, Mollo, Rv.233175).

4.4. Il principio secondo il quale l'affidamento riposto nel venditore di una macchina non munita dei necessari congegni di sicurezza non esonera da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia esercitato i dovuti controlli e la necessaria vigilanza, già affermato nel 1971 (Sez. 4, n. 900 del 19/11/1971, dep. 1972, Crepaldi, Rv. 120128), è consolidato nella giurisprudenza della Corte (Sez. 4, n. 2382 del 10/11/2005, dep.2006, Minesso, Rv. 232878; Sez. 4, n. 4605 del 09/12/1998, dep. 1999, Meleri, Rv. 213547). Di tale principio la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione al caso concreto, indicando il rischio, agevolmente percepibile, insito nell'uso della macchina alla quale era adibito il lavoratore infortunato.

5. Le considerazioni che precedono evidenziano l'infondatezza del primo motivo di ricorso; risulta, conseguentemente, assorbito il secondo motivo di ricorso, posto che la condotta contestata all'imputato, qui ricorrente, si sostanzia in una condotta omissiva, la cui rilevanza penale è collegata alla cosiddetta posizione di garanzia. E, sulla base dell'accertata sussistenza di taluni obblighi di agire, specificamente indicati nel capo d'imputazione, si è collegato l'evento dannoso alla condotta passiva del titolare della posizione di garanzia. Nell'ipotesi in cui la condotta omissiva contestata si concretizzi nella violazione di più disposizioni concernenti l'obbligo di agire (e nelle fattispecie di reato cosiddette causalmente orientate la norma indica l'evento ma non il meccanismo di produzione del medesimo), l'accertamento del nesso di causalità tra le condotte contestate e l'evento verificatosi si atteggia come ricostruzione ipotetica dell'efficacia di ciascun comportamento omesso. Ciò comporta che, verificata l'efficacia anche di uno solo dei comportamenti la cui omissione sia stata ascritta all'imputato, e ritenuto dunque che l'osservanza di uno fra i vari obblighi che si assumono violati avrebbe potuto evitare il prodursi dell'evento, non risulta decisivo ai fini dell'accertamento del reato che il giudice di merito abbia escluso o non abbia correttamente valutato la violazione di altro obbligo. Risulta, quindi, non decisiva la censura mossa dal ricorrente con riferimento all'altra omissione contestata nell'imputazione.

6. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2014