Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio di un lavoratore inviato a lavorare in un ambiente lavorativo esulante dal proprio dominio diretto. Il datore di lavoro ricorre in Cassazione contro la condanna del giudice di appello.
La questione di diritto è quali siano gli obblighi di sicurezza gravanti ex art. 2087 c.c., sul datore di lavoro che invii un proprio dipendente a lavorare in un ambiente lavorativo esulante dal proprio dominio diretto, nel quale sono presenti i rischi propri di quel contesto lavorativo, derivanti dall'azione di lavoratori dipendenti da altre imprese, o di lavoratori autonomi, interagenti con l'opera del lavoratore dipendente.
La Corte respinge il ricorso affermando "il seguente principio di diritto: D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5 sicchè ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., ad informarsi dei rischi derivanti dall'opera o dal risultato dell'opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti>.
Tale principio costituisce pura applicazione alle odierne modalità organizzative e produttive complesse plurisoggettive della regola enunciata già nel 1955 dalle citate norme del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, riprodotta e specificata da tutte le leggi successive, in particolare dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, vigente al tempo dell'infortunio."
Vd. oggi D.Lgs. n.81/2008, art. 26.
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERCURIO Ettore - Presidente -
Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere -
Dott. STILE Paolo - Consigliere -
Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
EREDITA' CON BENEFICIO DI INVENTARIO B.G., in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell'avvocato PERNAZZA FEDERICO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio dell'avvocato NAPPI PASQUALE, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2008 dal Consigliere Dott. DE MATTEIS ALDO;
udito l'Avvocato PERNAZZA FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
La questione di diritto posta dalla presente causa è quali siano gli obblighi di sicurezza gravanti ex art. 2087 c.c., sul datore di lavoro che invii un proprio dipendente a lavorare in un ambiente lavorativo esulante dal proprio dominio diretto, nel quale sono presenti i rischi propri di quel contesto lavorativo, derivanti dall'azione di lavoratori dipendenti da altre imprese, o di lavoratori autonomi, interagenti con l'opera del lavoratore dipendente.
La fattispecie di causa è la seguente:
Il signor S.P., già autista dipendente della ditta autotrasporti B.G., ha subito infortunio sul lavoro il 1^ dicembre 1998 (per il quale l'Inail gli ha liquidato una rendita pari ad un grado di inabilità del 93%) avvenuto con le seguenti modalità: l'autocisterna condotta dal S. stava effettuando operazione di riempimento di olio combustibile, per svuotamento di un oleodotto della società (OMISSIS); le operazioni di trasferimento dell'olio erano effettuate da personale dipendente della (OMISSIS), secondo modalità tecniche disposte dalla (OMISSIS); il S. era salito sulla cisterna dell'autobotte per controllare il livello di riempimento dell'olio, quando la manichetta che collegava l'oleodotto all'autobotte si è staccata violentemente colpendolo in pieno viso, provocandogli danno oculare permanente.
La sua domanda di condannare l'ex datore di lavoro a pagargli la somma di L. 993.841.500 a titolo di danno differenziale (biologico e morale), respinta dal Tribunale di Tortona, è stata accolta dalla Corte d'appello di Torino con sentenza 17 marzo/4 aprile 2008 n. 519.
Il giudice di appello ha ritenuto accertate le seguenti circostanze di fatto:
- le modalità tecniche di svuotamento dell'oleodotto (che collega la raffineria (OMISSIS) di (OMISSIS) con la centrale elettrica Enel di (OMISSIS)) mediante iniezioni di azoto erano state stabilite dalla (OMISSIS);
- la ditta (OMISSIS) aveva il compito di assistere l'operazione avendo un contratto di manutenzione con la (OMISSIS);
- il tubo era stato sistemato, come sempre, dai dipendenti della (OMISSIS), ed era della ditta appaltatrice;
- il S. si trovava sulla cisterna dell'autobotte, munito di elmetto regolamentare di sicurezza, secondo le disposizioni del proprio datore di lavoro, per controllare il livello di riempimento dell'olio in corso di caricamento;
- il distacco violento della manichetta si è verificato per la pericolosa tecnica di iniezioni di azoto adottata dalla (OMISSIS).
Sulla base di tali circostanze di fatto, il giudice di appello ha individuato la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., nel non avere accertato preventivamente se le modalità di svuotamento dell'oleodotto decise ed attuate da terzi (la (OMISSIS) e la (OMISSIS)) potessero essere pericolose per il S., in relazione ai compiti assegnati al lavoratore ed alla posizione in cui si trovava al momento dell'infortunio.
La situazione di pericolo del S. derivava non solo dalla possibilità di caduta dall'alto, ma anche dalla vicinanza del tubo a pressione con il quale veniva caricato nella cisterna l'olio combustibile.
E che tali modalità fossero pericolose è dimostrato dallo stesso infortunio: la tecnica utilizzata (iniezioni di azoto) ha determinato delle fuoruscite di gas che hanno strappato la manichetta che collegava l'oleodotto alla cisterna.
Ha quindi determinato il danno in L. 979.198.500, pari ad Euro 505.713,82, con l'ausilio di una c.t.u. medico legale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la eredità con beneficio d'inventario B.G. in persona del curatore, con due motivi.
Il S. si è costituito con controricorso resistendo.
Entrambi hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Con il primo motivo la ricorrente condivide la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, ma ritiene erronea la interpretazione dell'art. 2087 c.c., e la sua applicazione ad essi.
Argomenta: il datore di lavoro ha adempiuto correttamente al proprio obbligo di prevenzione dei rischi e di controllo sulla osservanza delle misure predisposte in tre modi: - ha fornito al S. l'elmetto di protezione, che l'autista infatti indossava al momento dell'infortunio; - la sicurezza della salita sul tetto della cisterna è implicita nella omologazione del mezzo, provvisto di apposita scala;
- la tecnica di svuotamento adottata dalla (OMISSIS) mediante iniezioni di azoto è di per sè sicura, in linea generale, ed è diventata pericolosa solo in rapporto alle particolari condizioni dell'oleodotto, intasato.
Questa ultima circostanza costituisce un fatto eccezionale, come tale imprevedibile dal B., assimilabile al caso fortuito, che esclude la responsabilità ex art. 2087 c.c..
Con il secondo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia.
Parte dalle dichiarazioni testimoniali del geometra B., della impresa (OMISSIS), riportate nella sentenza impugnata, secondo cui la tecnica di svuotamento adottata non era corretta in considerazione della specifica situazione in cui versava l'oleodotto (intasamento) poichè suscettibile di creare pericolose fuoruscite di gas, come poi è accaduto.
Ne deduce che la pericolosità non derivava nè dalla tecnica adottata di iniezione di azoto, bensì dalla scorretta utilizzazione di tale tecnica in una situazione particolare (svuotamento di oleodotto intasato).
La Corte d'appello sarebbe in errore laddove ritiene che da tale pericolosità derivasse uno specifico obbligo di condotta dell'impresa (OMISSIS), mera trasportatrice del combustibile. Il ragionamento della sentenza impugnata sarebbe illogico perchè dalla pericolosità di una tecnica esterna ed ignota all'impresa deduce un obbligo di accertamento preventivo delle modalità di espletamento dell'operazione ed un correlato obbligo di cautela.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.
Per la decisione della causa sono rilevanti i seguenti principi di diritto, già enunciati da questa Corte:
1. La responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c., ha natura contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale (ex plurimis Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 13 agosto 2008 n. 21590, Cass. 14 aprile 2008 n. 9817, Cass. 23 aprile 2008 n. 10529).
2. tale responsabilità può discendere da fatti commissivi o da comportamenti omissivi (ex plurimis Cass. 18 maggio 2006 n. 11664);
3. i comportamenti omissivi possono consistere nella mancata osservanza di norme specifiche di legge, oppure dettate dalla prudenza e dalla esperienza, in relazione alla particolarità del lavoro ed allo sviluppo tecnologico sia nella organizzazione del lavoro, sia nelle tecniche di prevenzione, secondo il dettato dell'art. 2087 c.c., che costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dalle norme antinfortunistiche specifiche (ex plurimis Cass. 4 marzo 2005 n. 4 723; Cass. 8 febbraio 2005 n. 2444; Cass. 22 marzo 2002 n. 4129; Cass. 20 aprile 1998 n. 4012);
4. Tra le norme specifiche, fondamentali sono il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5; la prima norma impone ai datori di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti di rendere edotti i lavoratori dipendenti dei rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro; la seconda pone lo stesso obbligo a carico degli stessi soggetti nei confronti dei lavoratori autonomi che siano chiamati a prestare la loro opera, con esclusione dei rischi propri dell'attività professionale o del mestiere che il lavoratore autonomo è incaricato di prestare. Nel loro insieme, le due norme travalicano i limiti del binomio datore di lavoro-lavoratore dipendente e focalizzano l'attenzione sul responsabile, a vario titolo, del contesto lavorativo. Come già osservato da Cass. 22 marzo 2002 n. 4129, sussiste un rischio ambientale, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro.
5. i comportamenti omissivi possono consistere o nel mancato apprestamento di misure organizzative e fisiche di sicurezza, o in mancata informazione circa i rischi della lavorazione;
6. in entrambi i casi, il danno può derivare non solo da comportamenti del datore di lavoro o di suoi dipendenti (art. 2049 c.c.), e comunque da fattori rientranti nel suo dominio diretto, ma anche da comportamenti di terzi;
7. i comportamenti di terzi possono comprendere sia atti criminosi (come nelle rapine, per le quali questa Corte ha ripetutamente affermato la responsabilità del datore (sia per stressanti turni di lavoro: Cass. 23 maggio 2003 n. 8230, sia per mancato apprestamento di misure di protezione (Cass. 20 aprile 1998 n. 4012; Cass. 15 giugno 1999 n. 5969; vedi anche Cass. 22 marzo 2002 n. 4129, in fattispecie di rapimento di lavoratore italiano all'estero), sia atti lavorativi connessi con l'attività del lavoratore infortunato, in contesti lavorativi complessi, di cui la esternalizzazione costituisce un aspetto;
8. in ogni caso l'obbligo di sicurezza si estende a tutto l'ambiente lavorativo nel quale è chiamato ad operare il dipendente (ex plurimis Cass. 7 marzo 2006 n. 4840);
9. le conseguenze in tema di riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro che derivano dal suo riportati principi, ed in particolare dalla natura contrattuale della responsabilità, è che esso si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c., sull'inadempimento delle obbligazioni (Cass. 21590/2008 cit., Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 c.c., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).
In termini egualmente incisivi la giurisprudenza penale di questa Corte:
- il subappaltante che deve eseguire, all'interno del cantiere predisposto dall'appaltatore, un'opera parziale e specialistica, ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro (Cass. Pen. 20 aprile 2006, Clemente);
- l'esistenza di un contratto d'opera non vale a traslare il rischio connesso all'esecuzione dei lavori e l'obbligo di tutela della sicurezza (Cass. 19 agosto 1999, Gioia);
- il committente è tenuto a cooperare con l'appaltatore nell'apprestamento delle misure di prevenzione se si tratta di misure dirette a tutelare l'incolumità dei dipendenti del committente e di quelli dell'appaltatore (Cass. 1^ marzo 2006, Casaburo).
Per la corretta applicazione dei principi che precedono alla presente causa soccorrono vari precedenti di questa Corte, le cui fattispecie presentano notevoli profili di affinità a quella odierna:
- Cass. 4 marzo 2005 n. 4723, in una fattispecie di conducente di autocisterna infortunatosi mentre stava provvedendo al carico dell'olio minerale nell'autobotte presso una raffineria, secondo modalità operative correnti presso l'impresa terza, ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di danno differenziale nei confronti del datore di lavoro, affermando non ostativa la circostanza che l'infortunio si era verificato in ambiente esterno non sottoposto alla vigilanza e al controllo della società datrice di lavoro dell'infortunato;
- Cass. 22 marzo 2002 n. 4129 cit. ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato una società italiana operante all'estero a pagare il danno conseguente al rapimento di un suo dipendente in (OMISSIS) da parte di locali insurgents, ribadendo il principio che l'art. 2087 c.c., impone l'adozione e il mantenimento non solo di misure di tipo igienico-sanitario o infortunistico, ma anche di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di dette integrità nell'ambiente di lavoro in relazione ad attività anche non collegate direttamente allo stesso, come le aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi.
- Cass. 21590/2008 cit. ha affermato la responsabilità del datore di lavoro in fattispecie di un lavoratore mandato dal proprio superiore gerarchico ad effettuare la manutenzione su macchinario di proprietà di società terza (al cui funzionamento il datore di lavoro aveva interesse), secondo le istruzioni del libero professionista consulente di questa diversa società;
- Cass. 7 novembre 2007 n. 23151 ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la responsabilità della impresa subappaltatrice dei lavori di copertura di un fabbricato, per l'infortunio subito dal proprio dipendente, a seguito, della caduta dal ponteggio approntato da dipendenti della società appaltante, su richiesta dello stesso lavoratore;
- Cass. 5 dicembre 2003 n. 18603 ha affermato la responsabilità di un'impresa produttrice di ascensori per l'infortunio di cui era rimasto vittima un suo dipendente incaricato del montaggio di un ascensore in una costruzione edile, causato dal fatto che l'impresa edile competente non aveva predisposto il blocco in calcestruzzo di fermo corsa inferiore. La citata sentenza ha enunciato il seguente principio di diritto: "L'imprenditore, nei casi di esternalizzazione di alcune fasi del processo produttivo, ha l'obbligo di accertare i rischi per qualsiasi motivo conseguenti all'affidamento dei lavori commissionati a soggetti terzi, al fine di rendere edotti, alla stregua del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, lett. b), i propri dipendenti della sussistenza (o permanenza) di situazioni di pericolo e al fine altresì di munirli di dispositivi di sicurezza idonei a eliminare le situazioni di pericolo riscontrate, configurandosi, in caso contrario, una responsabilità dell'imprenditore per l'infortunio subito dal dipendente per la mancata conoscenza dei pericoli cui è stato esposto".
Il Collegio, nel prendere atto di tale decisione, che costituisce precedente, deve osservare che essa applica l'obbligo di accertamento dei rischi altrui ivi enunciato a tutti i risvolti soggettivi, attivi e passivi, del fenomeno di esternalizzazione. La dottrina anglosassone che per prima ha studiato il fenomeno economico dell'outsourcing (come pure la dottrina italiana che ne ha tradotto la denominazione in esternalizzazione) lo intende come organizzazione dei fattori della produzione tra più soggetti giuridicamente distinti: l'imprenditore esternalizzante (outsourcee), anzichè produrre il bene finale tutto all'interno della propria azienda in un processo verticale, affida a più soggetti parti della produzione o i servizi alla produzione, con vari strumenti giuridici, di vecchia data ma con più ampio e diverso impiego, che vanno dall'appalto, al contratto d'opera, all'acquisto di beni intermedi, etc., in ragione della rispettiva specializzazione professionale e per ridurre i costi produttivi. Nel caso esaminato da Cass. 18603/2003 si trattava non di esternalizzazione in senso soggettivo (in ipotesi il produttore di ascensori), perchè è in genere il responsabile del contesto edilizio che commissiona l'installazione di un ascensore, e non viceversa; bensì, possiamo dire, di esternalizzazione in senso obiettivo, e cioè di un teatro lavorativo in cui sono presenti e interferiscono lavoratori dipendenti da più imprese, o con lavoratori autonomi, o comunque i cui rischi lavorativi interferiscono con l'opera o con il risultato dell'opera di altri soggetti. Rileva cioè il dato obiettivo della compresenza di più attori produttivi, che concorrono a configurare l'ambiente lavorativo nel quale il lavoratore dipendente viene inviato ad operare, e non il dato soggettivo dei rapporti giuridici tra i vari datori di lavoro.
Conclusivamente, dai principi di diritto enunciati da questa Corte, sopra riportati, e dalle fattispecie cui la Corte ha applicato i principi stessi, si può esplicitare, in relazione alla fattispecie odierna, il seguente principio di diritto: "Ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi lavorativi interferiscano con l'opera o con il risultato dell'opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l'ambiente di lavoro ai sensi degli D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 e 5 sicchè ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., ad informarsi dei rischi derivanti dall'opera o dal risultato dell'opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti".
Tale principio costituisce pura applicazione alle odierne modalità organizzative e produttive complesse plurisoggettive della regola enunciata già nel 1955 dalle citate norme del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, riprodotta e specificata da tutte le leggi successive, in particolare dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, vigente al tempo dell'infortunio.
Tale obbligo di informazione ai lavoratori dipendenti ne presuppone un altro: quello di informarsi dai terzi operatori dei rischi inerenti alle lavorazioni effettuate sul medesimo teatro che interferiscono con la presenza dei propri dipendenti.
Nè l'applicazione di tale principio subisce attenuazioni per la notorietà dell'impresa presso il quale viene inviato a lavorare il dipendente, per una presunta maggiore osservanza delle norme di prevenzione infortuni.
L'applicazione pratica alla fattispecie in esame, e cioè che fosse prevedibile il rischio derivante dalla tecnica delle iniezioni di azoto, costituisce un giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, il quale lo ha motivato in modo non censurabile. Non sussiste la illogicità denunciata con il secondo motivo (perchè dalla pericolosità di una tecnica esterna ed ignota all'impresa deduce un obbligo di accertamento preventivo delle modalità di espletamento dell'operazione con correlato obbligo di cautela) perchè la sentenza impugnata individua l'inadempimento del datore di lavoro proprio nel non aver assunto dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) complete informazioni sulla sicurezza delle operazioni di travaso. Costituisce fatto notorio la estrema pericolosità delle operazioni inerenti al riempimento e alla vuotatura di cisterne e di autocisterne, attestato dai frequenti gravissimi infortuni, spesso mortali, appartenenti alla informazione generale ed alla casistica giudiziaria anche interna a questa Corte (Cass. 4 marzo 2005 n. 4723 cit.), da questa rilevabile (Cass. 9 settembre 2008 n. 22880).
Poichè la sentenza impugnata si è attenuta ai principi sopra enunciati, ed ha accertato con motivazione esente da vizi che il B. non ha assolto il proprio obbligo di sicurezza, il ricorso va respinto.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2009