Cassazione Penale, Sez. 4, 02 aprile 2015, n. 14012 - Cantieri: responsabilità di un committente e di un responsabile dei lavori
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"La relazione causale tra la violazione delle prescrizioni dirette a garantire la sicurezza degli ambienti di lavoro e gli infortuni che concretizzano i fattori di rischio avuti di mira dalle prescrizioni violate sussiste indipendentemente dall'attualità della prestazione lavorativa, e quindi anche nei momenti di pausa, riposo o sospensione dell'attività."
"L'art. 93, T.U. 81/2008, esonera il committente "limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori" e quindi l'insufficienza della mera nomina del responsabile dei lavori senza specificazione delle competenze affidategli. Invero, il Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6, comma 2, come sostituito dal Decreto Legislativo n. 528 del 1999, articolo 6, prevede che "La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1, e articolo 5, comma 1, lettera a)". Il legislatore, dunque, nella delicata materia della sicurezza dei cantieri e della tutela della salute dei lavoratori, ha ritenuto, oltre che di delineare specificamente gli obblighi del committente -che è il soggetto nel cui interesse sono eseguiti i lavori- e del responsabile dei lavori, anche di ampliarne il contenuto, prevedendo a carico degli stessi un obbligo di verifica dell'adempimento, da parte dei coordinatori, degli obblighi su loro incombenti, come quello consistente, non solo nell'assicurare ma anche nel verificare il rispetto, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Al committente, dunque, non è attribuito dalla legge il compito di verifiche solo "formali", bensì di eseguire controlli sostanziali ed incisivi su tutto quanto riguarda i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute del lavoratore e di accertarsi, inoltre, che i coordinatori adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in tale materia (Cass. pen. Sez. IV n. 14407 del 15.4.2012, Rv. 253294)."
Presidente Sirena – Relatore Massafra
Fatto
1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Z.M. avverso la sentenza emessa in data 4.12.2014 dalla Corte di Appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza in data 24.4.2013 del Tribunale di Brescia, riduceva la pena, condizionalmente sospesa, inflitta al predetto per il delitto di lesioni colpose gravi e aggravate dalla violazione delle norme a tutela degli infortuni sul lavoro in danno del lavoratore D.F. , a duecento Euro di multa (fatto del 10.8.2010) e l'importo della provvisionale assegnata alla parte civile D.F. a 25.000,00 Euro.
2. Allo Z. era contestato di aver, in concorso con altri (cioè R.P. , quale titolare della ditta Edil MP 2008 esecutrice di lavori, C.D. quale autore del PSC e C.M. , come responsabile dei lavori), quale amministratore unico della società M. (o N.) International s.r.l. di Pontevico (BS), impresa committente dei lavori di rifacimento della copertura dei capannoni dell'impresa, per colpa cagionato a D.F. , lavoratore irregolare, lesioni personali gravi consistite nel trauma cranico, trauma toracico addominale, fratture costali multiple, lacerazioni epatiche multiple, frattura del bacino, frattura dell'omero destro, giudicate guaribili in un tempo superiore ai 40 giorni e con postumi permanenti valutati dall'INAIL nella misura del 24% in quanto, mentre il suddetto lavoratore si trovava sulla copertura dei capannoni della società M. (o N.) International intento ai lavori di rifacimento della medesima, stante l'assenza di ogni presidio sia collettivo (impalcati, tavole sopra le orditure ecc.) che individuale (cinture di sicurezza idoneamente assicurate a parti stabili dell'edificio o delle opere provvisionali) atto a prevenire la possibile caduta nel vuoto dei lavoratori attraverso la copertura per cedimento della stessa. D.F. , proprio a seguito di tale cedimento, precipitava sino a terra attraverso il lucernaio presente sul tetto (per un altezza di circa 8 mt.) riportando nell'impatto le sopra descritte conseguenze lesive. Gli estremi della colpa: negligenza, imprudenza, imperizia nonché nell'inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed in particolare nella violazione:
- dell'art. 93 comma 2 T.U. 81/2008 in quanto non verificava l'adempimento da parte del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dell'opera di rifacimento della copertura dei capannoni, degli obblighi di cui agli arti. 91 comma 1 lett. a) T U. 81/2008 (contenuto del PSC) ed art. 92 comma 1 lett. b T.U. 81/2008 (verifica idoneità del POS) consentendo così l'esecuzione di tali attività nella totale assenza di ogni misura di prevenzione e protezione, sia collettiva che individuale, contro la cauta nel vuoto degli addetti per cedimento della copertura e/o dei lucernai;
- dell'art. 90 comma 9 lett. a) T.U. 81/2008 in quanto non verificava l'idoneità tecnico professionale sia dell'impresa individuale affidataria ed esecutrice EDIL MP 2008 di R.P. che dei lavoratori autonomi da questa impiegati, in relazione alla capacità di eseguire in sicurezza i lavori di rifacimento della copertura dei capannoni predetti.
Mentre il R. e C.D. patteggiavano la pena, C.M. veniva assolto già con la sentenza di primo grado.
3. Il ricorrente chiede, previa sospensione dell'esecuzione della condanna civile, l'annullamento della sentenza impugnata e deduce i motivi di seguito sinteticamente riportati:
3.1. la violazione di legge poiché il P.M. non aveva letto la memoria difensiva depositata ai sensi dell'art. 415 c.p.p., ma non rinvenuta in atti, onde doveva ritenersi l'omissione dell'avviso dell'art. 415 bis c.p.p. o comunque una nullità ex art. 178 lett. c) c.p.p.;
3.2. il vizio motivazionale in ordine alla natura dell'incidente occorso a D.F. che non poteva qualificarsi come infortunio sul lavoro perché avvenuto nella pausa pranzo mentre il predetto cercava il suo telefonino e per ulteriori "stranezze" (tra le quali il ritardo nella chiamata di soccorso al 118 a cui la stessa G. aveva dovuto provvedere) rilevate dalla sig.ra G. intervenuta dopo il sinistro né l'imputato aveva certezze di quanto successo;
3.3. la contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta natura di infortunio sul lavoro poiché, avendo la Corte ritenuto attendibili i due testi D.M.M. e M.T. per escludere l'ipotesi di tentativo di furto formulata dall'imputato, si era poi contraddetta allorché non aveva tenuto conto del fatto che i due testi avevano riferito che la persona offesa non stava lavorando al momento del fatto;
3.4. la violazione di legge in ordine all'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 590 comma 3 c.p.;
3.5. la violazione di legge e la mancanza di motivazione in relazione alla dedotta interruzione del nesso causale tra la condotta dell'imputato e il sinistro;
3.6. la violazione di legge in relazione agli artt. 16, 89 lett. e, 93 d.lvo 81/2008, avendo lo Z. delegato al geom. C.M. gl'incombenti relativi al cantiere, onde questi era responsabile dei lavori ai sensi delle norme antinfortunistiche e che non era necessario che tale incarico fosse conferito in forma scritta;
3.7. il vizio di motivazione in ordine alla natura dell'incarico conferito dalla ditta M. (o N.) International al Geom. C.M. : questi, essendo stato delegato dalla M. (o N.) a seguire i lavori e munito di poteri di spesa, non poteva essere che "il responsabile dei lavori" a tutti gli effetti, ivi compresi quelli antinfortunistici;
3.8. il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpa in capo a Z.M. : tale colpa doveva escludersi attesa l'incompetenza professionale dello Z. in materia di lavori edili a differenza di C.M. , per giunta presente sul cantiere (in assenza dello Z. la cui ditta era chiusa, proprio per far lavorare l'impresa edile incaricata dei lavori);
3.9. la mancanza di motivazione circa la colpa specifica in capo allo Z. e l'erronea applicazione degli artt. 90 comma 9 lett. a (peraltro caducato perché escluso dallo stesso Tribunale) e 93 comma 2 D.lvo 81/2008 la cui violazione sarebbe da ascrivere al responsabile di lavori e i cui obblighi non erano stati violati dal predetto committente (in quanto vi erano sia il PSC che il POS).
3.10. la violazione di legge in relazione all'art. 522 c.p.p., poiché il Tribunale, per individuare in capo allo Z. i profili di colpa, aveva richiamato gli artt. 90 comma 1, 100 e 26 del T.U. non citati nel capo d'imputazione e la Corte aveva sostenuto che non vi era stata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e che comunque non vi era stata eccezione in tal senso da parte dell'appellante (circostanza, questa, contestata dal ricorrente).
È stata depositata una memoria con conclusioni e nota spese per la parte civile INAIL.
Diritto
4. Il ricorso è infondato e va respinto.
5. Deve, anzitutto, osservarsi che questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. Il vizio è altresì presente nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta: nella specie la motivazione offerta dalla sentenza impugnata non presenta in alcun punto le carenze predette ed espone con meticolosità e profondità tutte le argomentazioni necessarie a sostenere la soluzione finale e a controdedurre efficacemente alle censure rappresentate con l'atto di gravame.
Orbene, i motivi di ricorso sono sostanzialmente carenti di specificità, limitandosi, in buona sostanza, a riproporre in questa sede le medesime doglianze rappresentate in sede di appello e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, nemmeno adeguatamente contestata dal ricorrente che ha ribadito, senza adeguate argomentazioni dimostrative, le proprie tesi (cfr. Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Si devono, pertanto, richiamare le corrette argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine a tutte le censure sopra riportate.
Sub 3.1. È palese la totale inconsistenza giuridica dell'eccezione processuale relativa alla memoria depositata e non trovata in relazione alla validità dell'avviso ex art. 415 bis c.p.: come rilevato di Giudice a quo, atteso il principio di tassatività delle nullità, quella che si pretende di individuare per la mancata presenza della memoria nel fascicolo del P.M. s'appalesa del tutto arbitraria non potendosi assolutamente equiparare alle omissioni di cui all'art. 416 comma 1 c.p.p..
Sub 3.2, 3.3., 3.4, 3.5. Correttamente è stata ritenuta la carenza totale di prova in ordine alla prospettata tesi del tentativo di furto ad opera di uno sconosciuto e della persona offesa.
E a nulla vale, ai fini dell'esclusione della qualificabilità di infortunio sul lavoro in quello occorso alla persona offesa o comunque a scriminare la condotta colposa ascritta all'imputato, l'eventuale circostanza che il lavoratore non stesse lavorando perché in pausa e alla ricerca del suo telefonino.
Infatti, "La relazione causale tra la violazione delle prescrizioni dirette a garantire la sicurezza degli ambienti di lavoro e gli infortuni che concretizzano i fattori di rischio avuti di mira dalle prescrizioni violate sussiste indipendentemente dall'attualità della prestazione lavorativa, e quindi anche nei momenti di pausa, riposo o sospensione dell'attività. (Nella fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore determinata dallo smottamento delle pareti di una trincea scavata per la posa in opera di tubi fognari, la Corte ha ritenuto la rilevanza causale del mancato allestimento delle armature prescritte dal piano di sicurezza e dalle norme di legge, nonostante lo smottamento si fosse verificato quando la vittima era scesa nello scavo per soddisfare un bisogno fisiologico)" (Cass. pen. Sez. IV, n. 42501 del 25.6.2013, Rv. 258239).
Sub 3.6., 3.7., 3.8., 3.9. Premesso che la M. (o N.) non risulta esser impresa di notevoli dimensioni, non ravvisandosi, in fatto, al suo interno alcuna suddivisione in ordine agli oneri di controllo e di vigilanza, correttamente è stata ritenuta nel caso di specie la necessità di un atto scritto per la formale delega dell'incarico di responsabile dei lavori sul quale gravano tutte le funzioni proprie del datore di lavoro in materia di sicurezza, essendo egli chiamato a svolgere un ruolo di super-controllo consistente, tra l'altro, nella verifica che i coordinatori dei lavori adempiano agli obblighi su loro incombenti (Cass. sez. IV, n. 44977 del 12.6.2013, Rv. 257166): a tal riguardo non può farsi a meno di constatare che C.M. , nei cui confronti non risultava alcun atto formale di nomina e nessuna delega a responsabile dei lavori ma che aveva solo svolto in fatto funzioni compatibili anche con quelle proprie di un normale professionista tecnico incaricato, è stato assolto.
Del resto, premesso che vi è continuità normativa tra il D.Lgs. n. 81 del 2008 e la previgente disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, poiché l'art. 2.1.5. dell'allegato 18 al D.Lgs. n. 81 del 2008 contiene prescrizioni analoghe (quanto all'altezza del parapetto rispetto al piano di calpestio e della tavola fermapiede, ed al divieto di luci verticali maggiori di cm. 60) a quelle di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996. (Cass. pen. Sez. IV, n. 5005 del 14.12.2010, Rv. 249624), si osserva che l'art. 93, T.U. 81/2008, esonera il committente "limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori" e quindi l'insufficienza della mera nomina del responsabile dei lavori senza specificazione delle competenze affidategli. Invero, il Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6, comma 2, come sostituito dal Decreto Legislativo n. 528 del 1999, articolo 6, prevede che "La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1, e articolo 5, comma 1, lettera a)". Il legislatore, dunque, nella delicata materia della sicurezza dei cantieri e della tutela della salute dei lavoratori, ha ritenuto, oltre che di delineare specificamente gli obblighi del committente -che è il soggetto nel cui interesse sono eseguiti i lavori- e del responsabile dei lavori, anche di ampliarne il contenuto, prevedendo a carico degli stessi un obbligo di verifica dell'adempimento, da parte dei coordinatori, degli obblighi su loro incombenti, come quello consistente, non solo nell'assicurare ma anche nel verificare il rispetto, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Al committente, dunque, non è attribuito dalla legge il compito di verifiche solo "formali", bensì di eseguire controlli sostanziali ed incisivi su tutto quanto riguarda i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute del lavoratore e di accertarsi, inoltre, che i coordinatori adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in tale materia (Cass. pen. Sez. IV n. 14407 del 15.4.2012, Rv. 253294).
In altri termini, il legislatore, con la norma richiamata, ha inteso rafforzare la tutela dei lavoratori rispetto ai rischi cui essi sono esposti nell'esecuzione dei lavori, prevedendo, in capo ai committenti ed ai responsabili dei lavori, una posizione di garanzia particolarmente ampia dovendo essi, sia pure con modalità diverse rispetto a datori di lavoro, dirigenti e preposti, prendersi cura della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori, garantendo, in caso di inadempienza dei predetti soggetti, l'osservanza delle condizioni di sicurezza previste dalla legge.
Ne consegue che, benché in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza (POS) gravi su tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici e pertanto, in caso di subappalto, anche su quello dell'impresa appaltante, e che in questo caso il Piano generale di sicurezza e coordinamento (PSC) c'era, comunque lo Z. , come ancora rilevato dalla Corte territoriale, non verificò l'adeguatezza sia del PSC (in cui non era stato minimamente preso in considerazione il rischio di cadute dal tetto nella fase di realizzazione dei lavori che interessavano i lucernari) che del POS (in cui era assente il documento dell'indicazione delle misura di prevenzione e protezione e la mancanza di correlazione del rischio alle varie fasi della lavorazione).
Sub 3.10. Il richiamo degli artt. 90 comma 1, 100 e 26 del T.U. fu operato ad abundantiam ai fini esplicativi, sicché deve convenirsi con il Giudice a quo circa l'insussistenza di alcuna violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza.
6. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione, in favore delle parti civili D.F. e INAIL, delle spese relative a questo giudizio liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili D.F. e INAIL, che liquida in Euro 2.500 per ciascuno, oltre accessori di legge.