Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 marzo 2015, n. 4353 - Ricorso per revocazione: questione della natura della malattia




 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 19117-2009 proposto da:
D.F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO N. 10, presso lo studio dell'avvocato DANTE ENRICO, rappresentata e difesa dall'avvocato RANALLI Abramo, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, EMILIA FAVATA, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1306/2008 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 27/08/2008 R.G.N. 353/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito l'Avvocato OTTOLINI TERESA per delega FAVATA EMILIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

FattoDiritto

1. Con sentenza del 27 agosto 2008, la Corte d'appello dell'Aquila rigettò il ricorso per revocazione proposto da D.F.G. contro la sentenza resa dalla medesima Corte territoriale nella controversia tra la ricorrente e l'INAIL, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto della suddetta alla rendita ai superstiti per la morte di M.F., coniuge della ricorrente e titolare di rendita INAIL. La Corte ritenne che nello stesso ricorso per revocazione la D. F. aveva prospettato una qualificazione della malattia professionale (silicosi) diversa da quella ritenuta esistente dal giudice di appello (silicatosi) e che, in ogni caso, non vi erano elementi per ritenere che tale diversa qualificazione avrebbe condotto ad un giudizio favorevole alla ricorrente in ordine all'efficacia causale della malattia sul decesso del lavoratore.

2. Contro la sentenza, la D.F. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi cui resiste l'INAIL con controricorso.

3. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per "violazione e falsa applicazione dell'art. 395 c.p.c., n. 4 ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5" e deduce un errore di fatto risultante dagli atti di causa, costituito dall'aver la Corte ritenuto che il lavoratore fosse affetto da silicatosi anzichè da silicosi. Chiede che, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. questa Corte "si pronunzi in ordine alla sussistenza o meno, (di) una sostanziale analogia tra la silicosi e la silicatosi ai fini della valutazione medico -legale in particolare se associata a malattia cardio-circolatoria".

4. Con il secondo motivo lamenta la "violazione e falsa applicazione dell'art. 395 c.p.c., n. 4 in riferimento al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 3 e 85 e 145 nonchè della L. 27 dicembre (1975), n. 780, art. 1 e segg. e dei principi generali in tema di nesso di causalità (art. 40 c.p., artt. 1123, 2043 e 2056 c.c., motivazione insufficiente e contraddittoria".

Asserisce che la corte d'appello non avrebbe valutato la gravità della silicosi e della sua incidenza causale sul decesso, sia pure in termini di accelerazione del suo verificarsi, condividendo le conclusioni del c.t.u. di secondo grado che non si sarebbe soffermato a considerare i possibili esiti della detta malattia. Aggiunge che in caso di silicosi la tutela assicurativa ha il suo fondamento nell'art. 145 cpv. lett. b) D.P.R. citato, come modificato dalla L. n. 780 del 1975, art. 4 e chiede che questa Corte accerti e dichiari il ruolo di mera concausa assunto dalla silicosi nel determinismo della morte dell'assicurato.

5. Entrambi i motivi sono inammissibili.

Premesso che al ricorso in esame trova applicazione, in ragione del tempo, l'art. 366 bis c.p.c., inserito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 e abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d) a partire dal 4 luglio 2009 ex art. 58, comma 5, L. cit., deve rilevarsi l'inammissibilità del primo quesito proposto. Ed invero, la funzione propria del quesito di diritto previsto dalla norma citata è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla sola lettura del quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 7 aprile 2009, n. 8463). Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass., 25 marzo 2009, n. 7197), quanto se sia destinato a risolversi nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma (Cass., 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass., Sez. Un. 23 settembre 2013, n. 21672).

5.1. Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una, alternativa, di segno opposto e deve essere formulato in modo tale che risulti chiaramente delineata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata, che deve essere enunciato, non essendo sufficiente che il ricorrente si limiti, con riferimento al ricorso per violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519).

6. Nel caso in esame, il quesito proposto si risolve nel richiedere alla Corte una generica affermazione di una "sostanziale analogia" tra la silicosi e la silicatosi ai fini di una valutazione medico legale, affermazione che, oltre a involgere un giudizio di fatto inammissibile in questa sede, non sarebbe comunque risolutiva della controversia: la Corte territoriale ha invero ritenuto - condividendo le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio nominato dal giudice di secondo grado, con un giudizio che in quanto congruo e sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in questa sede - che la malattia da cui era affetto il lavoratore era la silicatosi e che essa non aveva svolto alcun ruolo causale (o concausale) nel decesso.

Le affermazioni successive che pur si leggono in sentenza, e relative ad una sostanziale analogia tra le due malattie e ad un diverso, ma comunque insufficiente, grado di probabilità di ciascuna di esse nel determinare la morte del M., non scalfiscono la prima ratio decidendi, fondata come si è detto sul presupposto che la malattia da cui era affetto il lavoratore era la silicatosi.

7. Discende da ciò anche l'inammissibilità del secondo motivo di ricorso, siccome da per presupposto un fatto (la silicosi) escluso dal giudice del merito.

8. Solo per esigenza di completezza, deve rilevarsi che l'errore previsto come motivo di revocazione consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti e documenti medesimi risulti positivamente accertato (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. per tutte Cass., sez. un. 30 ottobre 12008, n. 26022). Tale errore deve altresì riguardare un fatto sul quale la sentenza revocanda non si è pronunciata, deve essere essenziale e decisivo (nel senso che tra l'erronea percezione del giudice e la pronuncia da lui emessa deve sussistere un rapporto causale tale che senza l'errore la pronuncia medesima sarebbe stata diversa) e deve risultare sulla sola base della sentenza, nel senso che in essa sussista una rappresentazione della realtà in contrasto con gli atti e i documenti processuali regolarmente depositati (v. Cass., 24 marzo 2014, n. 6881).

9. Posti questi principi, dalla stessa illustrazione dei motivi di ricorso per cassazione si evince che la questione del tipo di malattia da cui il lavoratore era affetto è stata oggetto di discussione tra le parti e di indagini dei c.t.u.: è la stessa ricorrente che riporta stralci della consulenza tecnica d'ufficio svolta in grado di appello, e posta a base della sentenza oggetto di revocazione, in cui si esclude espressamente che il M. fosse affetto da silicosi, ritenendosi invece - ed in espresso dissenso dal c.t.u. nominato in primo grado - che la patologia fosse appunto la silicatosi. Ed ancora, l'INAIL ha dedotto che, nel ricorso introduttivo del giudizio, la stessa ricorrente ha indicato la silicatosi come patologia da cui era affetto il lavoratore deceduto, a riprova del fatto che la questione della natura della malattia ha costituito oggetto di un vero e proprio apprezzamento di fatto del giudice del merito.

In altri termini, con l'odierna revocazione non si tende a ottenere la rescissione della sentenza per effetto di un vizio revocatorio bensì per la prospettazione di una diversa valutazione dei fatti, che in realtà sottintende un mero dissenso diagnostico rispetto a quanto accertato dal c.t.u. e posto a base della sentenza resa dal giudice di appello.

10. In forza di queste considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Poichè il giudizio originariamente introdotto risale ad epoca antecedente al 2 ottobre 2003 (7 marzo 2003), non deve adottarsi alcun provvedimento sulle spese, non apparendo la domanda manifestamente infondata e temeraria. L'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo precedente all'entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326, che in via di regola esonera dal pagamento delle spese processuali l'assicurato soccombente nei processi promossi per ottenere prestazioni previdenziali, è applicabile con riferimento all'attività processuale compiuta in ogni stato e grado di quei processi e, quindi, anche nel giudizio per revocazione (Cass., 8 giugno 2009, n. 13166).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2015