Cassazione Penale, Sez. 4, 08 aprile 2015, n. 14165 - Nessun comportamento abnorme del lavoratore se risulta che la prassi è consolidata e tollerata
"E' abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227 ; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011,, Millo e altri, Rv. 250710 )."
Nel caso che occupa la corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio esposto in quanto ha ritenuto, nella sostanza, che, seppure l'attività di scarico non rientrava tra quelle proprie della vittima, che era autista, tuttavia dal fatto che il figlio dell'imputato, I.G., fosse presente in azienda si doveva ritenere che l'esercizio di tali mansioni fosse noto ai preposti.
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA
Fatto
l. La corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza in data 6 maggio 2014, confermava la sentenza del tribunale di Caltanissetta del 17 ottobre 2013 con cui I.C. era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, per il reato di cui agli articoli 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen. in relazione all'articolo 8, comma 9, e all'art. 389, lett. e, del d.p.r. numero 547/1955, perché nella sua qualità di amministratore unico della società I. S.r.l., per colpa aveva cagionato a G.M. lesioni personali consistite in frattura della nona costa di sinistra con complicanze pneumopolmonari da cui era derivata una malattia della durata di 42 giorni. All'imputato era ascritto di aver omesso di adottare le misure necessarie a mantenere i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio in condizioni tali da rendere sicuro il movimento ed il transito delle persone. A causa di ciò G.M., mentre era intento a svolgere le proprie mansioni sul piazzale antistante la sede della società, nell'indietreggiare aveva appoggiato il piede sinistro in corrispondenza di un tombino sprovvisto della prescritta griglia di copertura e, non trovando alcuna base d'appoggio, era rovinato a terra andando ad impattare con la schiena contro il bordo del tombino. I fatti si erano svolti nel piazzale antistante il capannone dopo che il G. aveva parcheggiato il camion ed aveva provveduto personalmente a scaricarlo mentre la caduta era avvenuta a causa della buca aperta che era una fossa di scarico protetta normalmente da una grata. Il fatto era stato commesso in Villalba il 6 novembre 2006.
Osservava la corte d'appello che l'imputato in quanto titolare della posizione di garanzia, aveva il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore potesse prestare la propria opera in condizioni di sicurezza vigilando affinché tali condizioni fossero mantenute per tutto il tempo in cui era prestata l'opera, dato che la posizione di garanzia era estesa anche al controllo della correttezza dell'agire del lavoratore ed imponeva al garante di esigere dal lavoratore stesso il rispetto delle regole di cautela.
2. Avverso la sentenza della corte d'appello proponeva ricorso per cassazione I.C., a mezzo del suo difensore, svolgendo due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la corte territoriale aveva ritenuto la responsabilità dell'imputato nell'occorso benché G.M. avesse le mansioni di mero autista e avesse compiuto l'operazione di scarico previa apertura della botola ponendo in essere un'azione che non gli competeva e, dunque, imprevedibile ed inevitabile da parte dell'imputato. L'autista non era autorizzato ad effettuare le operazioni di scarico e la corte aveva travisato la prova nel ritenere che il figlio dell'imputato, I.G., fosse presente nel piazzale al momento dell'infortunio così da potersi sostenere che l'azione della vittima fosse stata autorizzata o, quantomeno, tollerata.
2.2. Con il secondo motivo deduceva violazione di legge per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche da ritenersi prevalenti sulla contestata aggravante e per l'eccessiva quantificazione della pena.
3. Con memoria contenente motivi aggiunti depositata il 17.2.2015 il ricorrente produceva atto di rimessione di querela del 10.2.2015 formulata dalla parte offesa G.M. e atto di transazione intervenuta il 5.2.2015 ove il G. dichiarava di non aver nulla a pretendere in relazione al sinistro avendo incassato dall'imputato la somma si euro 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno. In considerazione di ciò il ricorrente deduceva violazione di legge derivante dal mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen..
Diritto
4. Osserva preliminarmente la corte che il reato di lesioni colpose ascritto all'imputato è procedibile d'ufficio, giusta la norma di cui all'art. 590, ultimo comma, cod. pen., essendo derivata all'infortunato una malattia della durata di più di 40 giorni.
5. Ciò premesso, si osserva che il primo motivo di ricorso è infondato. Invero il ricorrente assume che il comportamento del G., il quale aveva effettuato le operazioni di scarico del camion benché ciò non rientrasse nei suoi compiti di mero autista, si configurava come abnorme ed imprevedibile sicché interrompeva il nesso causale tra la condotta omissiva dell'imputato e l'evento.
Sennonché è stato più volte affermato il principio secondo cui è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227 ; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011,, Millo e altri, Rv. 250710 ). Nel caso che occupa la corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio esposto in quanto ha ritenuto, nella sostanza, che, seppure l'attività di scarico non rientrava tra quelle proprie del G., che era autista, tuttavia dal fatto che il figlio dell'imputato, I.G., fosse presente in azienda si doveva ritenere che l'esercizio di tali mansioni fosse noto ai preposti. Invero il teste I.G. ha dichiarato che, al momento del fatto, si trovava all'esterno davanti ai locali adibiti ad ufficio e stava parlando con un falegname. Dunque egli era presente in azienda e, pur non potendo non essersi avveduto dell'attività cui era dedito il G., evidentemente protrattasi per un certo lasso di tempo, non ha opposto alcun divieto, per il che ragionevolmente la corte d'appello ha dedotto che si trattasse di prassi consolidata e tollerata. Ne deriva che la corte territoriale non è incorsa nei vizi denunciati poiché ha ravvisato la sussistenza del reato ascritto all'imputato nel fatto che questi non ha adottato le cautele per impedire che il dipendente ponesse in essere una attività per la quale non era stato specificamente formato, così cadendo nella buca la cui protezione era stata da lui stesso rimossa durante operazioni di scarico che non rientravano nelle sue normali mansioni.
6. Il secondo motivo di ricorso, attinente al giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche ed all'entità della pena irrogata è inammissibile in quanto il motivo non risulta essere stato formulato con l'atto di appello.
7. Il motivo aggiunto con cui il ricorrente ha chiesto il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. per aver risarcito il danno alla parte offesa non può essere accolto in quanto inerisce ad una circostanza, il risarcimento del danno, verificatasi dopo la proposizione del ricorso mentre i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (cfr. Sez. 6, n. 45075 del 02/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666).
Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 6.3.2015.