Tribunale Camerino, Sez. Pen, Ud. 09.04.2013 - Carichi di grandi dimensioni movimentati con i transpallet: infortunio e responsabilità amministrativa dell'ente
- Datore di Lavoro
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Movimentazione Manuale dei Carichi
- MOG e Responsabilità amministrativa dell'impresa
- Valutazione dei Rischi
TRIBUNALE DI CAMERINO
composizione monocratica, 9 aprile 2013, ente X, giudice D. Potetti.
Diritto
A mezzo di apposito decreto si provvedeva a costituire il rapporto processuale.
Avendo gli imputati persone fisiche "patteggiato" la pena, vale l'art. 38 del d. lg. n. 231 del 2001, nella parte in cui prevede, fra l'altro, che si procede separatamente per l'illecito amministrativo dell'ente quando il procedimento e' stato definito con l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
Nel corso del processo venivano acquisiti gli elementi probatori di seguito esposti in sintesi.
All'esito le parti concludevano come in atti.°°°
1) La dinamica dell'infortunio.
Il Perito ha potuto ricostruire come segue la dinamica dell'infortunio.
... stava svolgendo il suo incarico con la mansione di "operaio generico" all'interno dell'area... unitamente al suo collega ... ed al capo-reparto ....
In quel momento gli operai erano intenti a disporre le lastre di vetro dal cavalletto al tavolo di alimentazione in prossimità del quale erano state posizionate mediante l'uso del cavalletto a "V" rovesciata a cui erano legate in modo solidale.
Gli operai provvedevano a posizionare le lastre di vetro sul tavolo di carico manualmente fino a rendere libero un lato del cavalletto.
Il cavalletto aveva un lato ingombro di nove (9) lastre, del peso totale di 1065 Kg, e l'opposto libero.
Il capo reparto, controllato il corretto posizionamento sul piano di lavoro a rulli delle prime lastre si allontanava dall'area..., intento ad altre mansioni.
Il ... e il ..., a questo punto decidevano di spostare il cavalletto con sopra le lastre rimanenti non legate.
Il ... manovrava il transpallet introducendo le forche dal lato del cavalletto scarico.
Il ... si posizionava sul cavalletto dalla parte opposta, quella in cui erano presenti le lastre non vincolate dalle reggie, e cercava, facendo forza con le mani e con il peso del suo corpo, di contrastare lo sbilanciamento del carico durante la manovra di spostamento.
Il ... sollevava le forche del transpallet, con sopra il cavalletto, le lastre e il ..., dei pochi centimetri atti a permettere lo spostamento, ed iniziava la manovra indietreggiando e spostandosi verso la propria destra.
Per effetto del sollevamento e della successiva manovra di spostamento il carico sul transpallet si sbilanciava, compromettendo l'equilibrio del carico, su di esso posizionato.
Il ..., perso l'equilibrio, frettolosamente scendeva dal cavalletto e cercava di allontanarsi, ma veniva investito in pieno dalle lastre di vetro che stavano cadendo dal cavalletto.
Il ... rimaneva intrappolato con tutto il corpo sotto le lastre.
Il ..., subito intervenuto nel soccorso, rendendosi conto di non poter liberare da solo il collega dal peso delle lastre, chiamava il ... e con l'aiuto di altri colleghi, immediatamente accorsi ai richiami, sollevava le nove lastre soccorrendo, quindi, il ... in attesa dell'arrivo del 118, precedentemente allertato.°°°
2) Indagine sui fattori causali dell'infortunio.
Anche a questo compito si è dedicato il perito, con i risultati di seguito esposti.
Ad avviso del perito, è evidente che i due operai agivano da un lato nella consapevolezza che si sarebbe venuto a creare un disequilibrio del cavalletto e delle sovrastanti lastre, che non essendo assicurate solidamente al cavalletto stesso, durante il trasporto si sarebbero potute spostare; dall'altro nella convinzione che la spinta alle lastre, opposta dal ..., fosse di per se sufficiente a contrastare il movimento delle lastre medesime.
Peraltro il ... ha dichiarato che per tali operazioni (di movimentazione e/o rotazione dei cavalletti, così come accaduto in occasione dell'infortunio) era di uso comune l'utilizzo dei transpallet manuali e/o elettrici.
Tale manovra, con l'uso del trans pallet, è avvenuta (osserva il perito) in contrasto con tutte le regole di sicurezza che:
1) vietano il trasporto delle lastre prive delle apposite fasce di trasporto che rendono solidale ed equilibrato il carico con il cavalletto;
2) vietano di contrastare il movimento delle lastre stesse, anche legate da reggie, con il peso del proprio corpo in posizione frontale al piano delle lastre di vetro;
3) vietano di salire sul transpallet e sui cavalletti durante la movimentazione dei carichi.
Da una attenta analisi dei rischi, insita in tale lavorazione, il perito non ritiene idoneo l'utilizzo dei transpallet manuali per la movimentazione di carichi di quelle dimensioni e peso.
Infatti (e il perito è in ciò ampiamente convincente) il lato lungo della base del cavalletto risultava essere dalle foto...ampiamente maggiore del piano di appoggio formato dalle forche del trans pallet.
Inoltre, la base del cavalletto, anche nel suo lato corto, risultava essere posizionata parzialmente fuori del piano dato dalle forche del transpallet a causa della sua eccessiva larghezza, rispetto alle forche di appoggio del mezzo.
Il carico, cioè, sporgeva sia lateralmente che frontalmente dal transpallet.
Il transpallet era idoneo e omologato per il trasporto di carichi fino a 2200 kg, come specificato nella targa identificativa delle caratteristiche del mezzo.
Le regole di buona pratica, che individuano il corretto utilizzo del transpallet, se pur evidenti nella cartellonistica presente all'interno di tutto lo stabilimento (documentazione fotografica All. 4), non emergono come indicazioni di sicurezza in alcuna parte del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), della ... .
Il carico di quelle dimensioni e peso, non sarebbe dovuto comunque essere nemmeno posizionato sopra il transpallet.
Il transpallet, infatti non avrebbe garantito un equilibrio stabile del carico (di molto superiore in dimensioni), anche con le reggie correttamente applicate, reggie che erano comunque state omesse.
All'atto dell'incidente, il carico, dato dalle lastre e dal carrello su cui poggiavano, superava di molto il piano d'appoggio del transpallet.
Il carrello durante la sua movimentazione poteva subire sobbalzi verticali che, per l'elevata lunghezza del carrello stesso, ben maggiore della larghezza delle forche di appoggio del transpallet, e il non evitabile spostamento del baricentro del peso del carico rispetto al punto centrale del piano di appoggio del transpallet, potevano comportare la trasformazione dei piccoli sobbalzi in grosse oscillazioni, con evidenti pericoli di instabilità per il carico stesso.
Un'adeguata analisi dei rischi avrebbe evidenziato queste problematiche vietando l'utilizzo dei transpallet per movimentare o solo per posizionare i cavalletti con sopra lastre di dimensioni quali quelle dell'incidente.
E', invece, pratica comune nella ...movimentare carichi di grosse dimensioni con i transpallet, anche se per piccoli tragitti.
Non vi è traccia nella documentazione di prevenzione alla sicurezza aziendale che riporti l'analisi di questo tipo di lavorazione con idonee procedure e relative prescrizioni e divieti da dover rispettare.
Dalle dichiarazioni del ...emerge che il traspallet veniva utilizzato comunemente per carichi quali quelli movimentati all'atto dell'incidente.
Segnala il perito che questa carenza è fonte di responsabilità per il Datore di lavoro (D.L.), che aveva l'obbligo di effettuare una accurata analisi di tutti i rischi lavorativi, ai sensi del contravvenuto art. 28 comma 2 lettere a), b),c), d) ed f) del d. lgs 81/08.
Nella documentazione sulla sicurezza presente in azienda (DVR, Sistema di Gestione Sicurezza del Lavoro: S.G.S.L.), non vi è traccia di procedure idonee da seguire nella movimentazione delle lastre di vetro, attraverso trans pallet; tantomeno vi sono indicazioni di quando possono essere utilizzati tali mezzi per movimentare i carrelli con le lastre e quando non devono essere utilizzati, anche per l'area di lavoro "vetri stratificati".
Si ravvisa pertanto a carico del D.L. la violazione dell'art. 71, comma, 4 lett. a) del d. lgs 81/08.
Nell'allegato "Formazione sicurezza sul lavoro" non sono presenti date di riferimento di quando sia stato compilato.
Non vi è la data né sul frontespizio del fascicolo, né sui fogli dei verbali di formazione firmati dai dipendenti.
Nel fascicolo della formazione non è presente il nome del ....
La parte del fascicolo riguardante la formazione dei lavoratori alle attività specifiche non riporta alcuna scheda riguardo all'utilizzo del transpallet.
Agli atti depositati, quindi, risulta che la formazione per i lavoratori strutturati, pur con le carenze sopra indicate, è stata fatta.
Il ... e il ... asserivano di non avere avuto alcuna formazione specifica alla mansione che stavano svolgendo.
Il ... asseriva di essere stato spostato da poco dal reparto ... all'area ....
Il ..., unico spettatore dell'evento infortunistico, lavoratore atipico, ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna informazione circa le procedure da adottare per l'attività che stava svolgendo al momento dell'infortunio.
Il perito segnala quindi la violazione, da parte del D.L., dell'art. 37 comma 4 lettera "a".
Osserva il perito che la formazione è un obbligo in capo al Datore di Lavoro a norma degli artt. 36 e 37 del d.lgs. 81/08 che, come tale, deve assicurare non solo che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici ma, ove previsto, deve essere effettuato un addestramento specifico.
L'addestramento deve essere fatto in occasione dell'inizio dell'attività lavorativa, quando il lavoratore cambia mansione e quando vengono introdotti nuovi macchinari o variazioni del ciclo produttivo.
3) Altre considerazioni sulle condotte colpose.
Osserva ancora il perito che il DVR della ... manca di una adeguata analisi rispetto a tutti i rischi lavorativi specifici delle varie lavorazioni, e di conseguenza mancano anche le misure, le procedure e l'individuazione delle diverse mansioni lavorative che espongono i lavoratori ai rischi specifici.
Il perito addebita quindi al Datore di Lavoro (D.L.) di non aver provveduto a redigere un D.V.R. secondo le specifiche date dall'art. 28 del d.lgs. 81/08, in particolare contravvenendo agli obblighi previsti dal comma 2 del suddetto articolo, lettere "a", "c", "d".
Le violazioni da parte del datore di lavoro vengono quindi sintetizzate dal perito come segue:
- non aver effettuato una accurata analisi dei rischi lavorativi, ai sensi dell'art.28 del d. lg. n. 81 del 2008, comma 2 lettera a), e averlo fatto anche in maniera incompleta e in violazione dei punti a), b), c) d) ed f);
- aver lasciato utilizzare ai suoi dipendenti il transpallet in modo non conforme allo specifico uso (in violazione dell'art. 71 comma 4 lettera a) d.lgs. 81/08);
- non aver dato sufficiente ed adeguata informazione (art. 36 d.lgs.81/08, comma 2, lett. a) sui rischi specifici cui il lavoratore era esposto;
- non aver dato sufficiente ed adeguata formazione (art. 37 d.lgs.81/08) sui rischi specifici, in occasione della costituzione del rapporto di lavoro o dell'inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro.
Riguardo al modello organizzativo aziendale per un S.G.S.L., proposto dalla ..., all'interno del DVR, il perito ritiene che, derivando da una carente valutazione del rischio, esso non risponde alle caratteristiche richieste dall'art. 30 d.lgs. 81/08.
Il Manuale SGSL, adottato dalla ..., risulta non rispondere ai criteri dell'art. 30 di cui al d.lgs. 81/08 in quanto manca di tutte le parti richieste per essere idoneo.
Risulta essere solo la mera copia, incompleta, di linee di indirizzo su come il modello dovrebbe essere costituito.
Manca ogni riferimento a: standard tecnico - strutturali relativi alle attrezzature, agli impianti, ai luoghi di lavoro, alle misure di prevenzione e protezione derivanti dall'analisi dei rischi (analizzate tramite il D.V.R.), a standard adottati per la formazione dei dipendenti.
Non essendoci procedure idonee da implementare, assenti all'interno del D.V.R., non sono proposti criteri di valutazione e di verifica su come sono implementate le procedure stesse.
Osserva il perito che manca totalmente l'opportunità, data da un buon modello di sistema di gestione (S.G.S.L.), di analizzare le procedure atte a minimizzare i rischi verificandone l'efficacia nel tempo, vuoi perché non esistono procedure da analizzare, vuoi perché non sono individuate persone (così come richiesto dal comma 2 dell'art. 30 del d. lg. n. 81 del 2008), che possono assumere le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio.
Manca un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello e non viene previsto un sistema di registrazione dell'avvenuto svolgimento delle attività di cui al comma 1.
Pertanto risulta impossibile attuare il S.G.S.L. così come proposto dalla ..., all'interno del D.V.R. .
Prova della non adeguatezza del modello, è (secondo il perito) che, per la sua natura, esso dovrebbe essere in grado di verificare non solo l'applicazione delle procedure, ma la bontà di come le procedure sono applicate.
Il S.G.S.L. adottato della ... non è stato in grado di verificare la completa assenza di procedure codificate all'interno del D.V.R. aziendale e, in modo particolare, l'assenza della procedura per la lavorazione causa dell'incidente.
Non è stato rilevato dal S.G.S.L. :
1) che mancavano le figure, preparate e vigili nelle mansioni, che si accorgessero che all'interno della valutazione di rischi, alcuni rischi non erano stati valutati;
2) che mancavano palesemente procedure di buona prassi lavorative per reparti della ditta dove esistevano rischi lavorativi non trascurabili;
3) che, ad avviso del perito, mancava l'individuazione del capo reparto con mansioni di preposto, vista la complessa articolazione aziendale della ..., per le diverse linee, o aree di lavoro;
4) che non veniva specificata la formazione da fare, associata ai rischi specifici delle diverse lavorazioni.
4) Interesse / vantaggio dell'ente.
Sotto questo profilo il perito segnala che l'infortunato ... dichiarava che di solito i vetri sono legati, come insegnatogli dal suo capo reparto ..., ma che a volte, in seguito ad esigenze di produzione, vengono impartiti dei comandi dai superiori, di accelerare le operazioni.
Pertanto il perito ipotizza che l'operazione di non inserire le reggie per assicurare saldamente le lastre di vetro al cavalletto potesse costituire operazione sistematica mirata ad accorciare i tempi di lavorazione all'interno della linea..., per il vantaggio dato dalla maggiore produzione a parità di tempo.
Ipotizza ancora il perito che la mancata formazione delle maestranze rispetto al rischio specifico e la mancata formazione in occasione di cambi di mansione dei lavoratori siano componenti di un quadro lavorativo che privilegia la produttività, e quindi il profitto, a scapito della sicurezza dei lavoratori, i quali, non avendo una formazione adeguata, non sarebbero in grado di percepire il rischio insito nelle lavorazioni che stanno eseguendo.
Del resto, osserva ancora il perito, l'infortunio de quo , così come si è verificato, non può imputarsi a comportamenti abnormi, inusuali, contro le procedure impartite e le regole di buona tecnica, ma alla mancanza di formazione specifica ed alla contemporanea assenza di procedure riguardanti lo specifico utilizzo dei trans pallet.
Tuttavia il perito precisa, a proposito delle istruzioni impartite di velocizzare le lavorazioni, che non risulta che all'atto dell'infortunio questo ordine di velocizzare le operazioni sia stato dato; e che quanto raccontato dal ... (velocizzare l'attività di movimentazione delle lastre di vetro) è l'unico elemento emerso dagli atti e dagli incontri peritali che possa inquadrarsi come vantaggio per l'ente.
5) Soluzione del processo.
La soluzione del presente processo necessita di alcune premesse giuridiche generali, dopo le quali detta soluzione deriverà in modo piuttosto agevole.
Nell'estendere il novero dei reati - base (idonei a generare la responsabilità degli enti ex d. lg. n. 231 del 2001) ai delitti di omicidio colposo e lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, l'art. 25 septies del d. lg. cit. ha innovato fortemente (e positivamente) la materia dell'infortunistica del lavoro.
Ma l'innesto dei delitti lavoristici nel sistema della responsabilità degli enti (ad opera dell'art. 9, comma 1, della l. 3 agosto 2007, n. 123, poi emendato dall'art. 300 del d. lg. 9 aprile 2008, n. 81) ha comportato notevoli difficoltà di adattamento.
Il punto è che i due delitti di cui sopra hanno natura colposa, e quindi questione di capitale importanza è quella della (controversa) compatibilità fra il loro elemento soggettivo colposo e i criteri di imputazione voluti dall'art. 5 del d. lg. n. 231 del 2001, che rappresenta il fulcro dell'intera disciplina sulla responsabilità degli enti.
Inizieremo la nostra analisi sul piano generale, proprio partendo dall'art. 5 cit.
6) Interesse e vantaggio in generale.
Nei suoi fondamentali passaggi l'art. 5 prevede (comma 1) che l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (dai soggetti apicali e subordinati ivi previsti), e che (comma 2) l'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
Molto si dibatte sui due criteri suddetti (interesse e vantaggio).
In estrema sintesi, si contrappongono due tesi.
Secondo la prima, i due criteri sarebbero in realtà uno solo, nel senso che interesse e vantaggio esprimerebbero un concetto unitario (si tratterebbe di una dizione tautologica del legislatore).
In effetti la tesi poggia su un forte argomento letterale.
Infatti, da un lato il primo comma dell'art. 5 cit. propone in modo alternativo i due criteri ("...nel suo interesse o a suo vantaggio..."), e quindi parrebbe intendere che anche il vantaggio dell'ente, pur da solo, sia sufficiente a generare la responsabilità dell'ente medesimo.
Tuttavia, il comma secondo dello stesso art. 5 prevede che l'ente non risponde se il reo ha agito "...nell'interesse esclusivo proprio o di terzi".
Ne consegue che, mancando l'interesse, anche solo concorrente, dell'ente, è del tutto inutile (ai fini della responsabilità dell'ente medesimo) l'eventuale esistenza del solo vantaggio.
In altre parole, l'interesse è elemento sufficiente (comma primo) e necessario (comma secondo) per affermare la responsabilità dell'ente, mentre il vantaggio non solo non è necessario (comma primo), ma non è nemmeno sufficiente (comma secondo).
Peraltro, la stessa Relazione ministeriale pare orientata in tale direzione, laddove specifica che il secondo comma dell'art. 5 del d. lg. prevede il caso di rottura del rapporto di immedesimazione organica quando il reato non sia stato commesso neppure in parte nell'interesse dell'ente.
In tal caso, aggiunge soprattutto la Relazione, il giudice non dovrà neanche verificare se l'ente abbia per caso tratto un vantaggio dalla condotta del reo; quindi, secondo la Relazione, la previsione opera in deroga al primo comma dello stesso art. 5 (meglio sarebbe dire: precisa e chiarisce il contenuto normativo del primo comma).
Insomma, occorre ritenere che l'elemento del vantaggio non ha alcuna autonoma capacità di imputazione della responsabilità all'ente.
Secondo l'opposta tesi (strettamente conforme alla lettera della prima parte dell'art. 5 cit.), invece, ciascuno dei criteri (interesse e vantaggio) indicati nell'art. 5, comma 1, del d. lg. n. 231 del 2001 svolgerebbe una funzione autonoma di imputazione dell'illecito all'ente, e quindi essi sarebbero indipendenti ed alternativi.
Anche questa tesi trova qualche fondamento nella Relazione di accompagnamento al d. lg. n. 231 del 2001, almeno laddove la relazione distingue effettivamente l'interesse (soggetto a verifica ex ante) dal vantaggio (soggetto a verifica ex post).
Inoltre, la prima parte dell'art. 5 cit. pare effettivamente prescrivere, sul piano puramente letterale, l'autonomia e sufficienza dei due criteri ("...nel suo interesse o a suo vantaggio...").
Sembra però a questo giudice che l'argomento sopra esposto in proposito imponga decisamente di ritenere che il criterio dell'interesse è l'unico che consenta di ascrivere all'ente la responsabilità da reato.
Vero è che la tesi dell'autonomia dei criteri dell'interesse e del vantaggio è stata condivisa dalla Cassazione (Sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615, ... in C.E.D. Cass., sub archivio SNPEN), la quale, richiamando la Relazione ministeriale (per cui l'interesse, quanto meno concorrente, va valutato ex ante, mentre il vantaggio richiede una verifica ex post), dissente espressamente dalla definizione di endiadi attribuita da parte della dottrina alla locuzione, che diluirebbe, così, in più parole un concetto unitario.
Secondo la Cassazione, a prescindere dalla sottigliezza grammaticale per cui l'endiadi richiederebbe la congiunzione "e" tra le parole interesse e vantaggio, e non la particella disgiuntiva "o" presente invece nella disposizione, i due vocaboli esprimono concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse a monte della società ad una locupletazione (prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata) in conseguenza dell'illecito, rispetto ad un vantaggio obbiettivamente conseguito all'esito del reato, perfino se non espressamente divisato ex ante dall'agente.
Ma la Corte non convince, perché la questione non è tanto se le parole "interesse" e "vantaggio" possano esprimere concetti diversi, quanto piuttosto se il criterio del vantaggio ex post sia poi (una volta accolto) da solo sufficiente per attribuire la responsabilità all'ente, nonostante la barriera rappresentata dal comma secondo dell'art. 5 cit. .
7) Concezione oggettiva e soggettiva dell'interesse.
In questo quadro già contrastato si inserisce, poi, la disputa sulla concezione dell'interesse, e cioè tra concezione oggettiva da una parte, e concezione soggettiva - psicologica dall'altra.
Vi sono due possibili e diversi modi di intendere il requisito dell'interesse.
Secondo la concezione soggettiva, l'interesse è un elemento interno (mentale) del soggetto che agisce per conto dell'ente.
Esso, cioè, consisterebbe nella finalità della condotta (movente psicologico della condotta criminosa, secondo la nozione penalistica).
Ben diversamente, secondo la concezione oggettiva dell'interesse, il fine soggettivo (psicologico) del reo non ha rilievo dirimente per individuare l'interesse medesimo e quindi per fondare la responsabilità dell'ente.
Al contrario, anche l'interesse (come il vantaggio) avrebbe natura oggettiva, nel senso che l'interesse consisterebbe nella funzione oggettiva della condotta del reo, la quale oggettivamente realizza un interesse dell'ente.
In altre parole, il giudice sarebbe chiamato ad accertare se la condotta del reo aveva oggettivamente (al di la dei motivi soggettivi dell'agente) la funzione di realizzare un interesse dell'ente.
L'art. 8 del d. lg. favorisce la tesi dell'interesse in senso oggettivo (in tal senso v. Trib. Trani, Sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2010, ... in Il Corriere del merito, 2010, n. 6, p. 651.): prevedere infatti la responsabilità dell'ente anche quando l'autore del reato non è stato identificato significa fare a meno dell'indagine sul movente psicologico dell'agente (indagine che, ovviamente, presuppone una persona determinata).
Non è quindi condivisibile sul punto la relazione ministeriale al d. lg. , secondo la quale il richiamo all'interesse dell'ente (soggetto a verifica ex ante) "caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica".***
8) Compatibilità della natura colposa dei delitti ex art. 589 e 590 c.p. con i criteri di cui all'art. 5 del d. lg. n. 231 del 2001.
Venendo ora ai delitti lavoristici, che più direttamente ci riguardano, le relative difficoltà di adattamento al sistema disegnato dal d. lg. n. 231 del 2001 sono dovute essenzialmente all'assenza, nella versione originaria della c.d. parte speciale del d. lg., di fattispecie di natura colposa.
Ora però (dopo la novità introdotta dall'art. 25 septies del d. lg.) è evidente che sia il concetto di interesse, sia quello di vantaggio, come sopra delineati, poco si adattano a fattispecie colpose di evento (come quelle di cui agli artt. 589 e 590 c.p.), per loro natura caratterizzate dalla mancata volizione dell'evento medesimo.
E' arduo, inoltre, ipotizzare che l'omicidio colposo o la lesione colposa aggravata del lavoratore siano stati realizzati dal soggetto in posizione apicale (o dal sottoposto) nell'interesse ex ante dell'ente e con il suo vantaggio economico ex post.
E' evidente infatti che la morte o le lesioni del lavoratore, sia viste ex ante (con il criterio dell'interesse) sia viste ex post (con il criterio del vantaggio) costituiscono un elemento fortemente negativo per l'ente e per le persone fisiche che agiscono per lo stesso, sia sotto l'aspetto economico (risarcimento, disfunzioni organizzative conseguenti all'intervento in azienda degli organi investigativi, oneri difensivi, ecc.) che extrapatrimoniale (danno all'immagine).
Posto, però, che l'art. 25 septies del d. lg. n. 231 del 2001 è ormai norma dell'ordinamento, l'interprete non può sottrarsi al compito di trovare una soluzione che lo renda compatibile con i criteri di cui all'art. 5 cit.
L'interprete, in quanto tale, non può nemmeno adottare soluzioni che sostanzialmente abrogano il criterio dell'interesse, come fa chi, con riferimento ai reati presupposto di cui all'art. 25 septies, sostiene che il criterio di collegamento offerto dall'art. 5 cit. postuli semplicemente che il fatto colposo sia stato commesso dal soggetto qualificato nell'espletamento delle attività istituzionali proprie dell'ente di appartenenza, o chi ritiene sufficiente per la responsabilità dell'ente l'accertamento di un legame di pertinenza tra l'attività dell'ente e i comportamenti della persona fisica.
Ad avviso di questo giudice, la soluzione più ragionevole (e più aderente alla realtà dell'impresa) è quella che per primo prende atto che il delitto " è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente" (art. 43 c.p.), e quindi il soggetto che agisce per l'ente esclude la stessa possibilità della morte o della lesione del lavoratore.
Egli quindi, soggettivamente, non annette alla morte o lesione del lavoratore nessun interesse dell'ente, proprio perché, a monte (lo si ripete) nemmeno accetta la possibilità della morte o della lesione.
Inoltre, oggettivamente, l'ente non ha nessun interesse né trae alcun vantaggio dalla morte o dalla lesione del lavoratore.
Ciò posto, escluso l'evento, non resta che prendere atto (di conseguenza) che il legislatore si è riferito solo alla condotta del reo (vedasi in tal senso Trib. Trani, Sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2010, ...in Il Corriere del merito, 2010, n. 6, p. 651).
Infatti, la condotta colposa dell'agente si sposa perfettamente con i criteri dell'interesse ex ante e del vantaggio ex post.
L'esempio è ovvio: si pensi al soggetto che agisce per l'impresa il quale, per risparmiare sui costi o per velocizzare il lavoro (e quindi aumentare i profitti; criterio dell'interesse ex ante), riduca od elimini talune cautele infortunistiche, ottenendone un'effettiva diminuzione dei costi o un aumento dei profitti (criterio del vantaggio ex post).
Acutamente un giudice di merito (Trib. Cagliari, 4 luglio 2011, ..., in Il Corriere del Merito, 2012, n. 2, p. 170) ha evidenziato che però la volontarietà della condotta non deve derivare da una semplice sottovalutazione dei rischi o da una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma deve oggettivamente rivelare una tensione finalistica verso un obiettivo di risparmio di costi aziendali, che può o meno essere effettivamente conseguito.
In altre parole, per corrispondere al criterio dell'interesse (che esprime una tensione della condotta verso un obiettivo) non si deve trattare della condotta di un imprenditore disattento o sprovveduto (che nemmeno si renda conto della situazione di pericolo e delle misure di prevenzione che si dovrebbero adottare nel caso di specie), ma di un imprenditore che, pur consapevole della propria condotta colpevole e pericolosa, ciò nonostante la ponga in essere per perseguire un interesse dell'ente, che generalmente consisterà in un risparmio di spesa (ad esempio sulla messa a norma di macchine pericolose) o in un maggior profitto (ad esempio mediante più veloci procedure di lavoro).
Vero è che il tenore strettamente letterale dell'art. 5 cit. ("L'ente è responsabile per i reati...") farebbe intendere che i criteri dell'interesse e del vantaggio debbano essere riferiti, appunto, al reato, e non ad una loro parte (la condotta).
Tuttavia, solo quando l'interpretazione letterale di una disposizione sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete deve fermarsi al criterio puramente letterale (v. art. 12, comma 1, Preleggi).
Invece, quando la lettera della disposizione risulti ambigua, non solo l'interprete può e deve ricorrere al criterio dell'intenzione del legislatore quale criterio ermeneutico sussidiario, ma l'elemento letterale e l'intento del legislatore acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, così che il secondo (intenzione del legislatore) funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare (Sez. L civ., 26 gennaio 2012, n. 1111, in C.E.D. Cass., n. 620714).
Infine, il criterio dell'intenzione del legislatore può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo (v. Sez. I civ., 6 aprile 2001, n. 5128, in C.E.D. Cass., n. 545665; Sez. L civ., 26 agosto 1983, n. 5493, ivi, n. 430429; Sez. L civ., 18 aprile 1983, n. 2663, ivi, n. 427548; Sez. L civ., 28 marzo 1983, n. 2183, ivi, n. 427036).
Proprio quest'ultimo è il caso che ci occupa, stante la suddetta incompatibilità fra la nuova disposizione (art. 25 septies) e l'art. 5 del d. lg. cit.
9) Conclusioni.
Una volta poste in connessione le circostanze in punto di fatto sopra esposte con i principi giuridici che si sono sopra sintetizzati, la decisione del presente processo ne deriva in modo agevole, senza necessità di dilungarsi oltre.
In estrema sintesi, ciò che è emerso dagli accertamenti fattuali è stata innanzitutto l'errata utilizzazione dei trans pallet, che l'impresa ha tollerato.
A ciò si aggiunga una del tutto inadeguata analisi dei rischi relativi a quella fase della lavorazione e una inadeguata formazione della documentazione relativa alla sicurezza nell'azienda.
Vi è stato inoltre un difetto di informazione ai lavoratori.
Ciò posto, tuttavia, si deve rilevare l'inesistenza dell'interesse previsto dall'art. 5 del decreto legislativo n. 231 del 2001, necessario per addebitare la responsabilità derivante da reato all'ente.
Si è visto sopra che tale interesse deve essere inteso in senso oggettivo, quale funzione della condotta illecita.
Deriva quindi che per potersi addebitare all'ente l'illecito allo stesso contestato occorre dimostrare che la condotta complessivamente colposa appena sopra sintetizzata corrispondeva oggettivamente (e quindi fu posta in essere per) a un interesse dell'ente.
Al contrario i fatti sopra esposti non evidenziano un interesse dell'ente, e soprattutto non evidenziano un interesse di tipo economico (l'unico astrattamente ipotizzabile).
Infatti, non sembra che l'uso pericoloso dei trans pallet fosse tale da recare particolare profitto all'impresa.
Così come l'inadeguatezza nell'analisi dei rischi e nella formazione della documentazione relativa alla sicurezza, così come il difetto di informazione dei lavoratori relativamente ai rischi connessi alle mansioni esercitate, sembrano piuttosto corrispondere a quella mancanza di consapevolezza e a quella trascuratezza le quali, per quanto sopra si è detto in punto di diritto, sono incompatibili con una condotta appositamente, volontariamente e consapevolmente posta in essere al fine di corrispondere ad un interesse dell'ente.
In altre parole, pur volendo riferire il criterio dell'interesse alle sole condotte colpevoli (per i motivi esposti in diritto sopra) non si vede alcun interesse dell'ente (soprattutto sotto il profilo economico) a porre in essere le condotte in questione.
Al contrario, se si pongono su due piani, da un lato le condotte colpose delle quali si tratta, e dall'altro le conseguenze economiche e di immagine che l'impresa può subire in conseguenza di infortuni quali quello per cui è processo, pare di poter dire che le condotte colpose non solo non sono caratterizzate da un interesse oggettivo dell'impresa, ma addirittura la danneggiano
Per quanto poi riguarda l'accenno a presunte disposizioni date dall'impresa per rendere più veloce le procedure di lavoro, esse sarebbero semmai disposizioni generiche, e quindi non finalizzate specificamente alla procedura lavorativa della quale si tratta (uso dei trans pallet).
Inoltre, anche a voler evidenziare e valorizzare la volontà dell'impresa di rendere veloci le procedure di lavoro (volontà di per se stessa abbastanza comprensibile, e non illecita) non si vede in che modo tale esigenza sarebbe stata vanificata dall'adozione di strumenti di movimentazione della merce più adeguati, da una corretta analisi dei rischi, da una adeguata documentazione in materia di sicurezza del lavoro, da una informazione dei lavoratori preposti a quel tipo di lavorazione.
Nell'impossibilità quindi di individuare condotte poste in essere nell'interesse dell'ente, nei sensi sopra indicati, si deve provvedere come in dispositivo.