Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2015, n. 11129 - Figura del "responsabile della sicurezza". L'emersione di una nomenclatura più ampia di quella utilizzata dal legislatore non è in grado di innovare il catalogo normativo dei debitori di sicurezza
L'esponente assume a presupposto una tesi destituita di fondamento, ovvero che un soggetto titolare della qualifica di "responsabile della sicurezza" sia per ciò stesso centro di imputazione esclusiva ed originaria degli obblighi prevenzionistici che la legislazione pone in capo al datore di lavoro, peraltro con effetti di deresponsabilizzazione di quest'ultimo.
Invero, la prima puntualizzazione che si impone, a fronte della estrema valorizzazione che si pretende di fare della qualità di "responsabile della sicurezza" (peraltro talvolta con opaca sovrapposizione con quella di 'responsabile del servizio di prevenzione e protezione), è che l'emersione dal mondo del lavoro di qualifiche, denominazioni e in generale di una nomenclatura ben più ampia di quella utilizzata dal legislatore prevenzionistico non è in grado di innovare il catalogo normativo dei debitori di sicurezza.
Quelle qualifiche e le relative posizioni devono in ogni caso essere ricondotte ad una delle figure tipizzate: datore di lavoro, dirigente, preposto e così seguitando. Ne deriva che solo la coincidenza della situazione fattuale a quella positivizzata - e quindi il compendio dei poteri attribuiti ad un soggetto - è in grado di svelare l'esatta collocazione della posizione analizzata rispetto agli obblighi prevenzionistici.
Solo ove si tratti del "soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, (del), soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa" potrà essere ritenuta la posizione datoriale, come definita dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. b), in continuità normativa con la previgente legislazione (in questa sede non interessa la peculiare disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni). Allo stesso modo, solo ove venga accertato trattarsi di "persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa", si potrà concludere per la qualità di dirigente D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. d); e, quando si sia in presenza di persona che "In ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa" si profilerà la figura del preposto (e si omette qui di considerare le ulteriori figure contemplate dalla legislazione prevenzionistica, stante la non pertinenza al caso in esame).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3630/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 26/06/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOVERE SALVATORE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI M. G., che ha concluso per l'annullamento della sentenza a foro penale per essere estinto il reato per prescrizione e rigetto del ricorso il foro civile
Udito il difensore Avv. Omissis, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Z.A., giudicata responsabile del reato di lesioni colpose in danno di M.V., commesso con violazione di norme prevenzionistiche.
Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, la Z. era la legale rappresentante della 3M Group s.r.l., impresa avente sede in Napoli, alle cui dipendenze lavorava il M. presso il cantiere sito in (OMISSIS), ove il medesimo era caduto in una buca - non segnalata e non interclusa da parapetti o dispositivi similari - mentre si stavano posizionando dei pali della illuminazione della AEM (Azienda Elettrica Milanese). Alla Z. è stato ascritto di non aver predisposto, in qualità di datore di lavoro del M., alcuna opera provvisionale atta ad evitare la caduta del lavoratore e di non aver vigilato sul rispetto del PSC e del POS, sicchè non aveva ovviato, con una puntuale azione di controllo alla mancanza di protezioni della buca nella quale era caduto il lavoratore.
Risultando incontroversa la dinamica dell'infortunio, occorso il (OMISSIS), per quel che qui rileva va rammentato che la Corte di Appello ha disatteso l'assunto difensivo secondo il quale la presenza per conto della 3M Group di un direttore dei lavori, responsabile tecnico e capocantiere nella persona di L.A. e di un "responsabile della sicurezza e delle misure di prevenzione e protezione" nella persona di P.R. valesse ad escludere la responsabilità della Z. siccome quelli titolari iure proprio di obblighi in materia di sicurezza del lavoro, permanendo in capo al datore di lavoro solo un dovere di alta vigilanza. Infatti, il Collegio distrettuale ha escluso che fosse stata data dimostrazione dell'esistenza di una valida delega alla sicurezza rilasciata dalla Z. ad altro soggetto, ed in particolare al P., in merito al quale non sarebbe stata dimostrata neppure l'assunzione di fatto di una posizione di garanzia.
2. Ricorre per cassazione nell'interesse della Z. il difensore di fiducia avv.Omissis , deducendo la contraddittorietà e comunque la scarsa intelligibilità della motivazione, che da un verso non critica gli assunti difensivi secondo i quali la figura del responsabile della sicurezza non richiede una previa, formale ed espressa delega, distinguendosi dal delegato alla sicurezza per essere titolare di obblighi giuridici a titolo originario e dall'altro ribadisce la responsabilità del datore di lavoro per non aver delegato alcuno alla sicurezza.
Per un diverso profilo censura la violazione dell'art. 192 c.p.p., che risulterebbe dall'aver la Corte di Appello immotivatamente privilegiato l'unica testimonianza ritenuta insufficiente a fornire certezze (quella del C.) rispetto alle testimonianze del L. e del G..
Lamenta, infine, che sia stata ritenuta la responsabilità dell'imputata nonostante ella non fosse consapevole dell'inadeguatezza dei presidi antinfortunistici apprestati nel cantiere in parola.
Diritto
3.1. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati;
tuttavia, va rilevato che il reato ascritto all'imputata risulta estinto per essere decorso l'intero termine massimo di prescrizione del reato. Il fatto illecito risulta consumato il (OMISSIS) e la prescrizione, trattandosi di delitto, è quindi maturata con il decorso del (OMISSIS).
Tanto importa che l'esame del ricorso deve essere condotto secondo la particolare prospettiva tracciata dall'art. 129 c.p.p.; dovendosi quindi verificare - non risultando l'inammissibilità dell'impugnazione (cfr. Sez. 2^, n. 28848 del 08/05/2013 - dep. 08/07/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266) - se emerga l'evidenza dell'innocenza dell'imputata, ove l'evidenza va intesa come ricorrenza di circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputata e la sua rilevanza penale emergente dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione giudiziale si risolva in una "constatazione" piuttosto che in un "apprezzamento", non richiedendosi alcun accertamento o approfondimento (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità della condannata, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, deve pronunciarsi l'annullamento della sentenza, senza rinvio.
3.2. Orbene, le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dalla Z., che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l'art. 578 c.p.p., prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, (Cass. Sez. 6^, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
Anche sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dalla Z. non sono fondate.
3.3. L'esponente assume a presupposto una tesi destituita di fondamento, ovvero che un soggetto titolare della qualifica di "responsabile della sicurezza" sia per ciò stesso centro di imputazione esclusiva ed originaria degli obblighi prevenzionistici che la legislazione pone in capo al datore di lavoro, peraltro con effetti di deresponsabilizzazione di quest'ultimo. Tesi che anche la Corte di Appello sembra talvolta avallare, pur optando conclusivamente per una diversa ricostruzione.
Invero, la prima puntualizzazione che si impone, a fronte della estrema valorizzazione che si pretende di fare della qualità di "responsabile della sicurezza" (peraltro talvolta con opaca sovrapposizione con quella di 'responsabile del servizio di prevenzione e protezione), è che l'emersione dal mondo del lavoro di qualifiche, denominazioni e in generale di una nomenclatura ben più ampia di quella utilizzata dal legislatore prevenzionistico non è in grado di innovare il catalogo normativo dei debitori di sicurezza.
Quelle qualifiche e le relative posizioni devono in ogni caso essere ricondotte ad una delle figure tipizzate: datore di lavoro, dirigente, preposto e così seguitando. Ne deriva che solo la coincidenza della situazione fattuale a quella positivizzata - e quindi il compendio dei poteri attribuiti ad un soggetto - è in grado di svelare l'esatta collocazione della posizione analizzata rispetto agli obblighi prevenzionistici.
Solo ove si tratti del "soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, (del), soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa" potrà essere ritenuta la posizione datoriale, come definita dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. b), in continuità normativa con la previgente legislazione (in questa sede non interessa la peculiare disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni). Allo stesso modo, solo ove venga accertato trattarsi di "persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa", si potrà concludere per la qualità di dirigente D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. d); e, quando si sia in presenza di persona che "In ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa" si profilerà la figura del preposto (e si omette qui di considerare le ulteriori figure contemplate dalla legislazione prevenzionistica, stante la non pertinenza al caso in esame).
La definizione dell'organigramma (la formale investitura) assume quindi valore solo se alla denominazione si accompagni l'attribuzione dei correlati poteri; in presenza di tali condizioni si determina una titolarità a titolo originario degli obblighi prevenzionistici connessi alla peculiare posizione (dovendosi tener conto, altresì, che in forza del principio di effettività, oggi espresso dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299, va considerato anche l'esercizio in concreto dei poteri caratteristici delle diverse figure).
Vi è poi la titolarità derivata di poteri/funzioni attinenti la materia della sicurezza e della salute dei lavoratori, fondata su un atto di delega, i cui connotati sono stati scolpiti prima dalla giurisprudenza e poi, con il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, dal legislatore (peraltro in termini sostanzialmente consonanti alla elaborazione giurisprudenziale). In tal caso, il dato essenziale è il perimetro di intervento definito dalla delega, che può avere un contenuto più o meno ampio, potendo tradursi nel conferimento di un singolo compito prevenzionistico gravante sul datore di lavoro (ad esempio, gestione delle attività di formazione ed informazione dei lavoratori) o addirittura di tutti i doveri prevenzionistici delegabili (e pertanto non l'elaborazione della valutazione dei rischi nè la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione: D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17).
Se di ciò si tiene debito conto, risulta di scarso significato che al P. fosse stata assegnata la qualifica di responsabile della sicurezza, dovendosi accertare quali poteri gli fossero stati conferiti prima di attribuirgli una determinata posizione di garanzia. E' tuttavia indubitabile che solo ove egli avesse assunto la qualità di datore di lavoro potrebbe ipotizzarsi l'esclusione di responsabilità della Z. per l'infortunio occorso al M., giacchè l'assunzione delle attribuzioni dirigenziali esiterebbe al più in una imputazione del fatto tanto al P. che alla odierna imputata. In questo senso è pertinente anche l'evocazione dell'istituto della delega di funzioni prevenzionistiche, poichè l'indagine doveva verificare le effettive attribuzioni del P., che potevano in astratto farne un garante iure proprio o un garante derivato. Ma ciò detto, e con tali osservazioni si giunge alla disamina del secondo motivo di ricorso, deve essere rilevato come la Corte di Appello abbia compiutamente svolto tale verifica, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto che la qualifica formalmente conferita al P. ("responsabile della sicurezza", oltre che "responsabile del servizio di prevenzione e protezione") non si fosse concretizzata nell'assunzione di una posizione che emarginasse la Z., perchè non accertata una posizione datoriale o di delegato. Può aggiungersi, alla disamina delle circostanze fattuali operata dalla Corte di Appello, che quand'anche fosse stata accertata una frequentazione del cantiere da parte del P., o un suo intervento nella emanazione di direttive agli operai o nella sollecitazione alla sede napoletana di acquisti di indumenti di lavoro, non per ciò solo risulterebbe accertata l'esistenza di una delega di funzioni prevenzionistiche, la quale - secondo il diritto vivente prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, qui evocato ratione temporis - richiede che venga dimostrato che il delegato abbia avuto effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro: e ciò anche indipendentemente dal contenuto formale della nomina (Sez. 4^, Sentenza n. 47136 dei 24/09/2007, dep. 20/12/2007, Macorig, Rv. 238350).
Sicchè risulta priva di decisività la censura che la ricorrente muove alla valutazione della prova svolta dalla Corte di Appello; non è infatti controverso che anche assegnando prevalenza a quanto riferito dal L. e dal G. risulterebbe che il P. era considerato dalle maestranze il "responsabile della sicurezza" e che si era occupato di talune incombenze: non certo che egli fosse divenuto titolare di obblighi facenti capo al datore di lavoro.
La cui concreta conoscenza della situazione di fatto venutasi a determinare nel cantiere in questione è priva di rilevanza, essendo gli obblighi prevenzionistici radicati su un dovere di previsione di ciò che è prevedibile.
4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere estinto il reato per prescrizione; il ricorso va rigettato ai fini civili, dovendosi quindi mantenere ferme le statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione; ferme restando le statuizioni civili.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2015