Cassazione Penale, Sez. 4, 21 maggio 2015, n. 21304 - Lavoro somministrato e infortunio mortale: a chi spettano gli obblighi di sicurezza. Rinvio al Tribunale per nuovo esame
Presidente: FOTI GIACOMO Relatore: DELL'UTRI MARCO Data Udienza: 26/03/2015
Fatto
1. Con atto in data 22/7/2014, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Oristano ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 17/6/2014 con la quale il giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Oristano ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di U.Q., per non aver commesso il fatto, in relazione a un'imputazione di omicidio colposo commesso, ai danni del lavoratrice MG.A., in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in data 25/11/2011.
In particolare, al U.Q. - in qualità di amministratore della società Q. A.P.L. s.p.a., datore di lavoro di MG.A. e somministratore delle relative prestazioni lavorative -, erano state contestate le condotte consistite: 1) nella mancata formazione e informazione della lavoratrice sui rischi inerenti l'utilizzo degli strumenti di lavoro (in particolare dei trans pallet utilizzati per il trasporto merci) in uso presso la società utilizzatrice dell'opera della MG.A.; 2) nell'adozione di inadeguate procedure di movimentazione delle merci (con la conseguenza che, nel caso di specie, la lavoratrice era stata adibita al trasporto di un liquido che, per peso e caratteristiche dei contenitori, non permetteva un corretto bilanciamento e non garantiva la stabilità del carico); 3) nell'utilizzo del trans pallet su una pavimentazione irregolare con dislivelli e pendenza media del 4%; 4) nella mancata valutazione dei rischi connessi alle descritte operazioni lavorative: condizione che non avrebbe neppure consentito la somministrazione di manodopera, ai sensi dell'art. 20, co. 5, lett. e), d.lgs. n. 276/2003, nella specie stipulata dalla società Q. s.p.a. senza verificare l'esistenza di alcun documento di valutazione dei rischi per l'unità produttiva cui l'MG.A. era stata addetta.
Per effetto di tali condotte - realizzate in violazione delle norme cautelari analiticamente indicate nel capo d'imputazione - la lavoratrice MG.A., nel trasportare a mezzo di un trans pallet una cisterna contenente sapone liquido del peso di 750 kg., veniva travolta e schiacciata dal contenitore trasportato caduto dal trans pallet, che ne cagionava il decesso.
Con la sentenza impugnata, il giudice a quo ha escluso l'addebitabilità del fatto alla responsabilità del U.Q., atteso che, in ragione delle dimensioni e dell'organizzazione della Q. s.p.a. il presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante non aveva avuto alcun ruolo nella stipulazione del contratto di somministrazione delle prestazioni della lavoratrice, la cui gestione era stata integralmente affidata ai responsabili commerciali di filiale.
Sotto altro profilo, nessun rimprovero per l'omessa formazione della dipendente o per l'adozione di inadeguate procedure di lavoro poteva essere sollevato nei confronti dell'imputato, tenuto conto che la società somministratrice non aveva alcun obbligo formativo e informativo nei confronti della lavoratrice somministrata avendone contrattualmente trasferito i corrispondenti oneri (ai sensi dell'art. 23 d.lgs. n. 276/2003) alla società destinataria delle prestazioni.
Quanto alla mancata verifica dell'esistenza del documento di valutazione dei rischi per l'unità produttiva cui la lavoratrice era stata adibita, il giudice a quo -dopo aver evidenziato l'avvenuta espressa dichiarazione contrattuale della società destinataria delle prestazioni di avere effettuato, in data 31/1/2008, la valutazione dei rischi, ai sensi degli artt. 17, 18, 28 e 36 del d.lgs. n. 81/2008 - ha rilevato come l'eventuale mancanza del documento o la mancata valutazione dello stesso non potessero in ogni caso costituire la causa del decesso della MG.A., nella specie cagionata in via esclusiva da un'inadeguata formazione e informazione della lavoratrice e dal conseguente utilizzo di una scorretta procedura di lavoro.
2. Con l'impugnazione avanzata in questa sede, il procuratore ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione.
In particolare, il ricorrente si duole dell'erroneità in cui sarebbe incorso il giudice a quo nel ritenere adeguatamente trasferite a terzi le prerogative relative alla posizione di garanzia sullo stesso incombente in relazione alla costruzione del sistema di sicurezza della lavoratrice, in assenza di alcuna delega formalmente corretta e di alcuna prova circa l'effettivo avvenuto assolvimento, da parte dell'imputato, dei propri obblighi di vigilanza e di controllo circa l'eventuale corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice a quo nell'affermare l'irrilevanza causale dell'eventuale mancanza del documento di valutazione dei rischi, tenuto conto che - al di là di semplicistiche argomentazioni di fatto di tipo condizionalistico - ai sensi dell'art. 20, co. 5, d.lgs. n. 276/2003, il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro è precluso per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 626/94 (oggi riferito all'art. 28, d.lgs. n. 81/2008): situazione di fatto del tutto coincidente con quella di specie, attesa l'assoluta inidoneità, tanto del documento depositato agli atti del giudizio (privo financo dell'indicazione dell'unità produttiva alla quale farebbe riferimento), quanto della dichiarazione meramente formale, emessa in sede contrattuale dalla società destinataria dell'opera della lavoratrice, di aver effettuato la valutazione dei rischi.
3. Con memoria depositata in data 27/1/2015, il difensore dell'imputato, nel sottolineare analiticamente l'infondatezza di tutte le doglianze avanzate dal procuratore ricorrente, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Diritto
4. Il ricorso è fondato.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, anche all'esito delle modificazioni introdotte dalla legge n. 479/99, la sentenza di non luogo a procedere emessa ad esito dell'udienza preliminare deve ritenersi tale da aver conservato la propria originaria natura di provvedimento d'indole processuale (e non di merito).
Se è vero, infatti, che le modificazioni apportate dalla legge citata hanno conferito all'udienza preliminare aspetti più significativi con riguardo al merito dell'azione penale (in particolare per l'ampliamento dei poteri officiosi relativi all'acquisizione della prova: nel testo previgente della rubrica dell'art. 422 c.p.p. compare il riferimento a 'sommarie informazioni', là dove attualmente si parla di 'integrazione probatoria'), è altrettanto vero che identica è rimasta la finalità cui l'udienza preliminare è preordinata, consistente nell'evitare la celebrazione di dibattimenti inutili senza spingersi all'accertamento dell'eventuale colpevolezza o innocenza dell'imputato.
In tal senso, mentre, da un lato, deve ritenersi sicuramente non irrilevante la circostanza che, all'udienza preliminare, emergano elementi di prova che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all'assoluzione dell'imputato, dall'altro occorre tener presente che il proscioglimento può essere pronunciato, dal giudice dell'udienza preliminare, solo se ed in quanto l'innocenza sia ritenuta con certezza non superabile in dibattimento attraverso l'acquisizione di nuove prove o a seguito di una diversa e sempre possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti, anche alla luce di una sempre possibile differente interpretazione dei dati normativi ritenuti applicabili.
In sintesi, al fine di pervenire a una sentenza di non luogo a procedere, il quadro probatorio e valutativo complessivamente delineatosi ad esito dell'udienza preliminare dev'essere tale da apparire, secondo un criterio di ragionevolezza, di per sé immutabile.
Si può dunque affermare che il giudice dell'udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere in quei soli casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa pervenire a una diversa soluzione; ossia, in tutti i casi in cui il dibattimento deve indubitabilmente ritenersi superfluo.
Non contrasta, con questa interpretazione, il tenore dell'art. 425, co. 3, c.p.p., che prevede la pronunzia della sentenza di non luogo a procedere "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio". Tale norma, infatti - che riecheggia la regola di giudizio prevista dall'art. 530 c.p.p. -, conferma i rilievi indicati, poiché il parametro di giudizio rimane, non già quello relativo alla verifica dell'innocenza dell'imputato, bensì quello concernente il riscontro dell'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio. L'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili o suscettibili di chiarimenti o sviluppi nel corso del giudizio, in forza di un giudizio prognostico destinato a valere, tanto per l'ipotesi dell'insufficienza, quanto per quella della contraddittorietà degli elementi di prova acquisiti, legittimando, entrambe dette caratteristiche, la pronunzia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui le stesse non appaiano più superabili.
In conclusione, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio, per l'esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita là dove l'insufficienza o la contraddittorietà degli elementi acquisiti appaiano superabili in dibattimento.
Si può affermare, in aderenza anche a quanto affermato in dottrina, che "sfuggono all'epilogo risolutivo i casi nei quali, pur rilevando incertezze, la parziale consistenza del panorama d'accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento" (cfr. Cass., Sez. 2, n. 3180/2012, Rv. 254465).
Quello indicato è del resto l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte che, dopo la riforma del 1999, ha ribadito i principi indicati (si vedano in questo senso Cass., Sez. 6, n. 42275/2001, Rv. 221303; Cass., Sez. 6, n. 1662/2000, Rv. 220751; Cass., Sez. 4, n. 26410/2007, Rv. 236800; Cass. Sez. 4, n. 13163/2008, Rv. 239597) in precedenza fatti propri anche dalla Corte Costituzionale (v. Corte Cost., sent. n. 71/1996 che così si esprime su questo punto: "l'apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all'esito della udienza preliminare non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento: la sentenza di non luogo a procedere, dunque, era e resta, anche dopo le modifiche subite dall'art. 425 c.p.p., una sentenza di tipo "processuale", destinata null'altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal Pubblico Ministero").
L'esame della sentenza impugnata dimostra che il giudice di merito non si è attenuto ai principi indicati.
Il provvedimento impugnato risulta, infatti, nella sua sostanziale impostazione, incentrato sulla verifica dell'insussistenza del delitto contestato all'imputato, e di fatto governato da una logica di giudizio sovrapponibile a quella propria dell'esame dibattimentale, piuttosto che a quella coerente alle specifiche finalità dell'udienza preliminare, avendo la sentenza impugnata apoditticamente attestato la correttezza dell'avvenuto trasferimento delle prerogative relative alla posizione di garanzia imposta dalla legge a carico dell'imputato in tema di sicurezza dei lavoratori dipendenti, tanto attraverso la distribuzione interna delle competenze dispositive (sul terreno negoziale e sul piano dell'assolvimento dei doveri datoriali), quanto in relazione al valido perfezionamento del rapporto contrattuale definito con l'impresa destinataria delle prestazioni della lavoratrice deceduta.
Allo stesso modo, il giudice dell'udienza preliminare ha escluso in termini assoluti l'ascrivibilità di alcuna rilevanza causale alla mancanza del più volte richiamato documento di valutazione dei rischi, attribuendo un assorbente rilievo in tal senso alle modalità di verificazione dell'evento lesivo verificatosi ai danni della lavoratrice.
Ciò posto, osserva il collegio come le valutazioni così assertivamente compendiate dal giudice a quo appaiano tali da lasciare ancora interamente scoperta l'area delle possibili differenti valutazioni del materiale probatorio complessivamente acquisito e del quadro normativo nella specie applicabile; e ciò, non solo nella prospettiva della rilevabile diversità delle possibili letture degli elementi di prova acquisiti e delle norme applicate in relazione al trasferimento dei poteri inerenti alla posizione di garanzia dell'imputato (possibilità alternative espressamente argomentate dal procuratore della Repubblica di Oristano attraverso l'articolazione del discorso critico dipanato in ricorso), bensì anche sotto il profilo della ragionevole prevedibilità di un differente approccio al tema della valutazione dei rischi lavorativi interni all'impresa destinataria delle prestazioni della MG.A. e della relativa rilevanza eziologica nella determinazione del decesso della lavoratrice, sì da condurre a una differente interpretazione dei profili di colpevolezza dell'imputato rilevabili nelle condotte assunte nel corso del rapporto di lavoro intrattenuto con la lavoratrice deceduta.
5. La mancata analitica specificazione, da parte del giudice a quo, delle ragioni dell'assoluta e certa superfluità della celebrazione del dibattimento, a causa della sicura inesistenza di possibili sviluppi probatori e/o argomentativi degli elementi acquisiti o di possibili interpretazioni alternative di questi e delle norme applicabili, impone la pronuncia dell'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Oristano per nuovo esame.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Oristano.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26/3/2015.