Cassazione Civile, Sez. 6, 08 giugno 2015, n. 11837 - Patologia di origine professionale e rendita ai superstiti


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: PAGETTA ANTONELLA Data pubblicazione: 08/06/2015


FattoDiritto


Il Consigliere relatore ha depositato la seguente relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. e 375 cod. proc. civ. : "M.V. ha adito il giudice del lavoro e, premesso che le patologie di origine professionale delle quali era portatore il genitore, G.V., già titolare di rendita INAIL, ne avevano causato il decesso avvenuto in data 25.2.200, ha chiesto la liquidazione in proprio favore della rendita ai superstiti.
Il Tribunale ha accolto la domanda. La decisione è stata riformata dalla Corte d'appello di Palermo che pronunziando sul gravame dell'INAIL ha respinto la originaria domanda.
Il giudice di appello, ritenuta la infondatezza della eccezione di prescrizione ex art 112 n. 1124/1965 d.P.R avanzata dall'istituto assicuratore, ha motivato la statuizione di rigetto sull'adesione alle conclusioni della consulenza di ufficio, disposta in secondo grado, la quale aveva accertato che la M.V., all'epoca del decesso del genitore, non era "inabile ovvero invalida con totale inabilità lavorativa", ragion per cui non possedeva i requisiti per la erogazione della rendita prevista dall'art. 85 d.P.R. cit..
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso  M.V. sulla base di due motivi.
Con il primo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 8 1. n. 222 /1984 in relazione all'art. 85 d. P.R. N. 1124 /1965 nonché vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo, ha censurato la decisione per non avere valutato il requisito della inabilità verificando la compatibilità dell'utilizzo delle residue capacità lavorative in relazione alle gravi patologie dalle quali era risultata affetta essa periziata; in particolare il consulente d'ufficio non aveva svolto alcun accertamento sulla possibilità di proficuo utilizzo, in concreto delle stesse.
Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto violazione dei principi che governano il controllo del giudice sull'operato del c.t.u. nonché vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo, denunziando, in sintesi, l'errore del giudice di appello per non avere motivato la incondizionata adesione agli esiti della consulenza di ufficio di secondo grado e per non avere preso posizione " sugli elementi controversi e sulle censure avanzate" ed in particolare sulla circostanza, "estremamente controversa" relativa alla valutazione delle patologie cardiache di essa M.V... Con riferimento a tale specifico profilo ha contestato la ascrivibilità di tale patologia alla II classe NHYA, attribuita dall'ausiliare di secondo grado evidenziando che tale valutazione non corrispondeva a quella espressa dalla competete Commissione invalidi civili di Agrigento e dall'U.O. di Cardiologia U.T.I.C. che avevavo inquadrato la patologi in oggetto in una classe superiore.
L'INAIL ha resistito con tempestivo controricorso con il quale ha preliminarmente eccepito la tardività del ricorso per cassazione, notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla data della notifica della sentenza di appello ( in data 27.2.2013), la sua inammissibilità per difetto di autosufficienza e, quindi, la sua infondatezza nel merito. E' da respingere la eccezione di tardività del ricorso per cassazione . L'assunto dell'INAIL in ordine alla notifica - in data 27.febbraio 2013- della sentenza di appello al procuratore della M.V. è privo di riscontri. Come si evince dall'esame del fascicolo dell'istituto la copia notificata della sentenza di appello non risulta, né è indicata, fra i documenti prodotti con il controricorso.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Si premette che in ragione della data di pubblicazione della decisione impugnata — il 14 febbraio 2013 - il vizio di motivazione deve essere dedotto in conformità della previsione di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall'art. 54, comma 1 lett. b) di n. 83 del 2012 conv. in legge n. 134 del 2012. Con riferimento alla nuova configurazione di tale motivo di ricorso, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che "la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione". ( Cass. ss.uu. n.8053 del 2014) . In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extra testuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli artt. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. - A fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
Parte ricorrente non ha sviluppato il motivo di ricorso in termini coerenti con tali prescrizioni. In particolare non ha indicato lo specifico fatto storico, avente carattere di decisività, del quale il giudice di appello ha omesso l'esame. Tale fatto non è in alcun modo ravvisabile nella circostanza, afferente alla corretta valutazione della patologia cardiaca, che alla luce delle medesime allegazioni della ricorrente, risulta invece, essere stata espressamente presa in considerazione dall'ausiliare di secondo grado le cui conclusioni sono state condivise dal giudice di appello.
In merito alla denunziata carenza di motivazione, per avere il giudice di appello prestato acritica adesione alla relazione peritale di secondo grado, la stessa non concreta ne un'ipotesi di "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", né di "motivazione apparente", né di "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e di "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", censurabili con l'attuale art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ.. In ogni caso, anche nel vigore della precedente formulazione dell'art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. non incorreva nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che aveva recepito "per relationem" le conclusioni dell'ausiliare d'ufficio; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, tale motivazione era necessaria la allegazione delle critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio già dinanzi al giudice "a quo", della loro rilevanza ai fini della decisione e dell'omesso esame delle stesse in sede di decisione, (fra le altre, Cass. n. 10222 del 2006) . Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l'Adunanza in camera di consiglio."
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia. Consegue, sussistendo il presupposto di cui all'art. 375, comma primo n. 5 cod. proc. civ. , il rigetto del ricorso . e la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in € 2500,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13.