Cassazione Penale, Sez. 4, 08 giugno 2015, n. 24458 - Crollo di una palazzina e morte di un operaio immigrato. Responsabilità


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: BIANCHI LUISA Data Udienza: 06/05/2015


Fatto


l. Il presente procedimento riguarda il crollo di una palazzina residenziale avvenuto il 20 settembre 2006 in L. mentre erano in corso lavori di ristrutturazione commissionati dai condomini dello stabile all' impresa edile A.DV. e dei quali era stato progettista, direttore dei lavori e addetto alla sicurezza l'ingegner V.M.R.; a seguito del crollo decedeva l'operaio M.S., dipendente dell' impresa A.DV., che si trovava nel seminterrato dell'edificio per eseguire, secondo l'ipotesi accusatoria, la scarificatura dei pilastri portanti; si apprendeva della presenza dell'operaio solo quando i suoi familiari, avendo appreso la notizia del crollo, si erano recati sul posto per cercarlo; A.DV. invece non aveva riferito ai soccorritori la presenza dell' uomo; solo 40 ore dopo il crollo l'operaio era stato ritrovato sotto le macerie e la sua estrazione era avvenuta con difficoltà dato che si era resa necessaria l'amputazione degli arti inferiori rimasti incastrati sotto una trave in cemento.
Secondo la Corte di Appello di Palermo dagli atti del processo era possibile affermare con sicurezza che l'edificio era crollato non solo per le sue pessime condizioni originarie ma anche perché dal precedente mese di giugno erano stati iniziati e al momento del collasso dell'edificio erano in corso lavori al piano cantinato che riguardavano la rastremazione o scarificazione che dir si voglia dei pilastri; tale operazione, avviata da prima dell'estate e ripresa nel mese di settembre, aveva indebolito i pilastri che sostenevano l'edificio ed aveva contribuito a cagionare il crollo dell'edificio determinando la responsabilità di entrambi gli imputati, ciascuno per il suo profilo di competenza, per la mancata previsione e realizzazione del presidio indispensabile costituito dal puntellamene dei pilastri del piano cantinato.
Entrambi gli imputati sono stati ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 449 - 434 co.2, cod.pen. e cioè del crollo della palazzina; A.DV. è stato altresì condannato per i reati di omicidio colposo, di favoreggiamento dell' immigrazione clandestina di cui all'articolo 12 decreto legislativo 286/98 e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, art. 483 e 61 n.2 cod.pen.; ritenuto il concorso formale tra il reato di crollo e quello di omicidio colposo la Corte di appello determinava la pena inflitta a A.DV. per tali reati nella misura di due anni e tre mesi di reclusione e quella inflitta per i rimanenti reati di immigrazione clandestina e falso, fra di loro unificati dalla continuazione, in mesi 9 di reclusione ed euro 8000 di multa, così complessivamente determinandola in anni 3 di reclusione e euro 8000 di multa. Con la sentenza di appello V.M.R. è stato considerato responsabile, ai soli effetti civili, anche di omicidio colposo in danno del lavoratore deceduto, reato per il quale il giudice di primo grado aveva ravvisato la sola responsabilità di A.DV. ed è stata estesa anche nei suoi confronti la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione entrambi gli imputati per il tramite dei rispettivi difensori.
2.1 V.M.R.. Con il primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione per non avere la Corte d'Appello disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta per sentire il consulente tecnico, professor ingegner F.DM:, a seguito alla modifica dell'imputazione ex articolo 516 cpp avvenuta nel corso dell'udienza del 26 maggio 2011. Al riguardo si evidenzia che in tale udienza la contestazione nei confronti di V.M.R. era stata ampliata, dal momento che mentre in origine si contestava soltanto di non avere vigilato sull'esecuzione dei lavori e non avere adottato tutte le precauzioni idonee ad assicurare la stabilità del palazzo, si aggiungevano due ulteriori segmenti di condotta, per i quali poi interveniva condanna, e cioè non avere previsto la situazione di potenziale collasso in cui si trovava l'immobile e non avere previsto il puntellamento dei pilastri in cemento armato su cui si interveniva, prima che si operasse la dismissione delle zone di calcestruzzo ammalorato; la richiesta di ammissione come teste del consulente tecnico era stata rigettata dal tribunale che, su richiesta della difesa di ammissione di 12 testi nonché del consulente tecnico, ammetteva solo 4 testi, ritenendo le circostanze indicate con riferimento a quelli residui non direttamente connesse alla modifica dell'imputazione e comunque che sovrabbondanti; il ricorrente contesta tale decisione rilevando che l'elaborato tecnico del professor, ingegner F.DM: costituiva una controprova ai sensi dell'articolo 495 comma 2 c.p.p in quanto redatta a confutazione delle osservazioni dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero; lamenta che anche in appello è stata rigettata la richiesta di rinnovazione del dibattimento avanzata in prova decisiva, con evidente compressione del diritto di difesa del ricorrente, ingiustificatamente privato del diritto alla ammissione di una prova a discarico successivamente alla intervenuta modifica dell'imputazione.
Con il secondo motivo deduce violazione degli articoli 449 e 434 comma 2 codice penale e difetto di motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che i lavori oggetto di imputazione attenessero anche alla scarificatura dei pilastri del seminterrato e non alla sola attività di manutenzione del prospetto esternar dell'edificio. Nel pervenire a tale conclusione, sulla base di quanto affermato dai consulenti della pubblica accusa, delle dichiarazioni dei testi, e del contratto d'appalto e relativo computo metrico e nota di consegna, la sentenza - lamenta il ricorrente - non ha tenuto conto dei rilievi che erano stati formulati con l'appello specie in relazione alla consulenza tecnica; si erano evidenziati i punti in cui gli stessi consulenti avevano affermato che i lavori riguardavano la facciata dell'edificio e non coinvolgevano la camiciatura dei pilastri; quanto alle dichiarazioni dei testi, si rappresenta che le affermazioni del DG. secondo cui egli avrebbe visto più pilastri scarificati appaiono inattendibili in quanto da un lato la stessa sentenza dà atto che egli non era un tecnico e poi però si usano le sue dichiarazioni per provare dei lavori di scarificazione di natura evidentemente tecnica ; anche gli altri testi hanno parlato di lavori di manutenzione ordinaria relativi alla facciata dell'edificio. Da ultimo con riferimento al contratto d'appalto vi sarebbe un vero e proprio travisamento della prova: il contratto medesimo sotto la voce oggetto dei lavori non contiene alcun riferimento ai pilastri ma unicamente ad interventi manutentivi; il computo metrico allegato al contratto coinvolge pilastri collocati ai diversi piani dell'edificio ma si tratta di lavori che nulla hanno a che fare con il consolidamento e la scarificatura; il verbale di consegna dei lavori non contiene nessun riferimento a lavori di scarificatura delle colonne portanti ma menzione soltanto il ripristino del copriferro dei pilastri e delle travi in calcestruzzo armato. Dunque sarebbe evidente il travisamento della prova effettuata dal momento che l'incarico progettuale non prevedeva alcun consolidamento e adeguamento strutturale degli immobili attraverso invasivi interventi di scarificazione delle colonne portanti. Col terzo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione per aver ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta dell'imputato ed il crollo. La sentenza prende atto che il crollo dell'edificio può essere stato determinato tanto dalla scarifica dei pilastri quanto da un espulsione naturale del calcestruzzo e nonostante che in tale modo abbia dato atto di un ipotesi eziologica alternativa rappresentata dall' espulsione spontanea di calcestruzzo dai pilastri, omette di svolgere qualsiasi tipo di indagine in ordine all' incidenza di tale interferenza sul determinismo causale; unico elemento preso in considerazione è quanto dichiarato dal consulente tecnico della Procura secondo cui la quota di resistenza sottratta con la scarificazione è notevole; tale unica emergenza probatoria deve ritenersi secondo il ricorrente insufficiente ad escludere l'efficacia causale della espulsione spontanea del calcestruzzo a determinare in maniera esclusiva il crollo dell'edificio, nonché parimenti insufficiente a dimostrare che il medesimo crollo sia da imputare causalmente, in termini di elevata credibilità razionale, ai lavori di scarificatura; la ricostruzione del nesso causale è pertanto caratterizzata da insufficienza, contraddittorietà ed incertezza e si presta ad ingenerare quel ragionevole dubbio in ordine alla reale efficacia condizionante rispetto ad altri fattori interagenti che dovrebbe portare alla neutralizzazione dell' ipotesi accusatoria e all'esito assolutorio del giudizio. Sotto diverso profilo il nesso causale risulta insufficientemente accertato per quanto riguarda la condotta tenuta dal A.DV.; aver utilizzato per i lavori di ristrutturazione un operaio privo di permesso di soggiorno e soprattutto sprovvisto della necessaria formazione professionale e quindi della conseguente esperienza rispetto alla complessità della problematica in questione si pone, secondo il ricorrente, come causa autonoma sufficiente a determinare l'evento tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta del V.M.R. e il crollo dell'edificio; sarebbe la stessa sentenza impugnata che afferma che laddove la ditta appaltatrice dei lavori avesse adibito ad esecuzione degli stessi un operaio esperto e professionalmente formato, quest'ultimo sarebbe stato in grado di avvertire l'aggravarsi del rischio, sospendendo la propria attività ovvero adottando le precauzioni necessarie; si tratta di una causa sopravvenuta assolutamente eccezionale interruttiva ai sensi dell'articolo 41 comma 2 codice penale. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato. Quanto al primo segmento di condotta colposa da parte dell'imputato e cioè quella di non aver adeguatamente previsto la situazione di potenziale collasso in cui si trovava l' immobile, si richiama la circostanza dell'avvenuto rilascio del certificato di idoneità statica sin dal 12 settembre del 1994, e il legittimo affidamento che sullo stesso era stato effettuato da parte dell'ing. V.M.R.. L' esistenza di tale certificato esclude la riconoscibilità della situazione tipica ritenuta rilevante ai fini della colpa, tenuto conto delle conoscenze che aveva il V.M.R. che indicavano l'impossibilità di riconoscere la situazione di pericolo e dimostra, comunque, la buona fede, giuridicamente rilevante, del medesimo Alla violazione di legge si accompagna il difetto di motivazione della sentenza che pur avendo preso atto che il rilascio dell' idoneità statica aveva ingenerato un senso di tranquillità nei riguardi di un eventuale collasso, poi considera in colpa l'ingegner V.M.R. nel fare affidamento su tale formale attestazione. La sentenza non spiega perché il fatto che il certificato in questione fosse risalente nel tempo doveva comportare inidoneità dello stesso a garantire la stabilità e si limita ad effettuare una valutazione ex post di quanto avvenuto; la sentenza non tiene conto che l'ordinanza emessa dal Comune di L. che aveva imposto i lavori eseguiti sullo stabile ravvisava una situazione di pericolo unicamente nella possibilità di caduta di calcinacci sul suolo pubblico; i pareri espressi dai tecnici che avevano curato le singole domande di sanatoria delle diverse unità abitative del condominio non avevano mai evidenziato pericoli o circostanze che potessero fa a prevedere la necessità di opere di consolidamento strutturale dello stabile. Si trascura di considerare che l'accertamento sulla stabilità C. dell'edificio richiedeva indagini tecniche complesse, invasive ed anche costose che V.M.R. avrebbe potuto effettuare solo se ne avesse avuto l'incarico dai committenti; secondo la sentenza in tal caso V.M.R. doveva provvedere già in fase di progettazione al puntellamento; ma, osserva il ricorrente, il ragionamento è illogico e contradditorio pervenendo ad una sentenza di condanna per non aver adeguatamente previsto la situazione di potenziale collasso in cui si trovava l'immobile dopo aver affermato che tale operazione poteva anche non essere eseguita in quanto, troppo complicata, defaticante ed anti economica ancora si contesta l'impugnata sentenza laddove ha ritenuto che l'ingegnere ben conoscesse le precarie condizioni, astrattamente pericolose dell'edificio, in relazione agli elaborati redatti in precedenza e al fatto che la sua famiglia era proprietaria di due immobili all'interno dell'edificio crollato e si sostiene che vi è stato un vero e proprio travisamento della prova dal momento che dalla lettura e visione degli elaborati grafici del progettista è possibile ricavare come l'ingegner V.M.R. non fosse a conoscenza dello stato di precarietà dell'edificio punte, e che dalle certificazioni rilasciate dall' Agenzia del Territorio emerge ictu oculi che nessuno dei familiari del ricorrente era proprietario di unità abitative nello stabile. Sul secondo segmento di condotta contestata all'imputato e cioè di non aver previsto quale misura di sicurezza il puntellamento dei pilastri in cemento armato su cui si interveniva, il ricorrente rileva che la sentenza stessa, nell'affermare la responsabilità del coimputato A.DV. osserva che la situazione di precarietà della palazzina sarebbe apparsa evidente alla prima opera di rimozione del calcestruzzo ammalorato e dunque il A.DV. avrebbe dovuto, a prescindere da qualsiasi previsione del progettista sul puntellamento dei pilastri, sincerarsi delle condizioni di stabilità e procedere al puntellamento; tale assunto esime da censure la condotta dell' ingegner V.M.R.. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione laddove la Corte d'Appello ha ritenuto sussistente anche il profilo di colpa per omessa vigilanza sulla esecuzione dei lavori, ritenendo conseguentemente l'imputato responsabile, sia pure ai soli effetti civili, anche per il reato di omicidio colposo. Richiamate le considerazioni già svolte sui profili di colpa comuni alla contestazione di crollo, quanto a tale ulteriore profilo di non avere vigilato sull'osservanza dei lavori si osserva che l'affermazione secondo cui V.M.R. era a conoscenza dei lavori a prescindere dal fatto che il A.DV. non gli avesse trasmesso il DURC e il POS, basata sulla testimonianza del teste S., è erronea in quanto tale testimonianza è stata solo parzialmente valutata non essendosi tenuto conto di quanto il predetto teste ha precisato nel corso dell' udienza del 29 novembre 2011 là dove ha affermato di essere stato portato a conoscenza della sola consegna dei lavori e non già del loro effettivo inizio. In ogni caso la sentenza di appello è pervenuta ad una diversa valutazione della deposizione del teste, ritenuta sufficiente a provare la conoscenza da parte del ingegner V.M.R. dell'inizio dei lavori con conseguente obbligo di vigilare, senza disporre la rinnovazione del dibattimento ai sensi dell'articolo 603 cod.proc.pen., con conseguente violazione dell'articolo 6 CEDU che impone che prima di discostarsi dall'epilogo assolutorie della sentenza di primo grado, sia rinnovata l'escussione del teste, tanto più che il teste in questione, avvocato Sprintano, era stato amministratore del condominio committente dei lavori ed aveva assunto originariamente la difesa di taluni condomini portatori di interessi patrimoniali contrastanti con quelli dell'imputato in quanto costituiti parte civile. Anche l'affermazione della sentenza secondo cui l'ingegner V.M.R. era a conoscenza del fatto che A.DV. aveva avviato i lavori appaltati a prescindere dalla formale richiesta del DURC e dei piani di sicurezza, era meramente apodittica essendo tali documenti necessari prima dell'inizio dei lavori . Si rileva ancora la mancata considerazione di una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento consistita nel fatto che il A.DV., una volta crollato lo stabile e sopraggiunti i soccorritori, ometteva di informare questi ultimi che M.S. si trovava sotto l'edificio: la tempestiva informazione ai soccorritori della presenza del lavoratore avrebbe consentito ai soccorritori di operare fin da subito, di concentrare le ricerche in un punto preciso e di rinvenire l'operaio in tempi rapidi; inoltre avrebbe garantito l'operaio stesso buone possibilità di salvezza come riscontrato dalla consulenza medico legale del professor M. . Si tratta di una causa sopravvenuta, autonoma ed eccezionale da sola sufficiente a determinare l'evento. Formula istanza ex articolo 612 cpp di sospensione della condanna al pagamento della provvisionale. Nell'interesse del ricorrente sono state presentate note di udienza con cui si censura ulteriormente il ritenuto nesso causale e il coefficiente soggettivo della colpa.
2.2 A.DV. con un primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Richiama la giurisprudenza di questa Corte che ravvisa I' ingiusto profitto richiesto dalla norma solo in caso di impiego del lavoratore in attività illecite o quando gli siano state imposte condizioni di lavoro gravose o discriminatorie; contesta che tale sia la situazione del caso di specie. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al reato di falso, contestato per il fatto che nella denuncia di infortunio indirizzata all'INAIL si attestava falsamente che M.S. esercitava l'attività di giardiniere e stava svolgendo lavori di tale tipo. Il ricorrente sostiene che si è trattato di un reato impossibile in quanto l'eventuale atto di assunzione dello M.S. sarebbe stato in ogni caso nullo, trattandosi di soggetto non in regola con il permesso di soggiorno. Sostiene inoltre che la denuncia all'INAIL è mera scrittura privata e pertanto il fatto non potrebbe essere inquadrato nell'alveo dell'art. 438 codice penale che presuppone l'atto pubblico, ma andrebbe eventualmente inquadrato nell'art. 485 codice penale, per la quale non è stata presentata querela. Con riferimento ai reati di crollo e omicidio colposo vengono formulate, con il terzo motivo, censure diffuse e articolate. Ci si duole in primo luogo della mancata rinnovazione del dibattimento per accertare la negligenza dei sanitari che si erano occupati della persona offesa, rilevante quale fatto successivo interruttivo del nesso causale. Si contesta la ritenuta attività di scarificazione basata sulle testimonianze dei familiari dello M.S. e dei proprietari dello stabile, tutti portatori di interessi civili ed i secondi anche imputati di reato connesso; anche il teste Bertolino sarebbe inattendibile; si rileva che di tale avvenuta attività non vi è alcuna prova scientifica e che l'entità della scarificazione ha potuto essere solo meramente ipotizzata ed anzi sul punto la Corte è incorsa in un rilevante errore motivazionale laddove ha ravvisato una situazione di indebolimento generale dei pilastri con ciò travisando le risultanze della consulenza tecnica di ufficio secondo cui l'edificio è crollato in seguito al cedimento di un solo pilastro, quello numero 16; si contesta la stessa utilizzabilità della consulenza tecnica di ufficio in quanto la prova della causa prossima del crollo del palazzo, la ritenuta scarificazione, sarebbe viziata da valutazioni extraprocessuale consistenti nelle deposizioni dei testi. Si lamenta,deducendo al riguardo la violazione dell'art. 533 cod.proc.pen, che non è stata data risposta ai rilievi formulati con l'appello sulla possibile causa alternativa del crollo del palazzo, individuata nel cedimento spontaneo, dovuto a carenze strutturali; anche i tecnici dell'accusa avevano riconosciuto la scarsa qualità del calcestruzzo utilizzato in origine e la mediocre qualità costruttiva che avevano favorito l'insorgenza di fenomeni di carbonatazione; dunque già prima dei lavori di manutenzione in contestazione l'edificio versava in condizioni di gravi carenze dal punto di vista statico, nonostante nessuno avesse avvertito il rischio di un eventuale collasso; inoltre sempre i consulenti del pm avevano affermato la possibilità del distacco naturale del calcestruzzo, distacco che peraltro nel palazzo si era in concreto verificato come dimostrato dall' ordinanza comunale emessa appunto sul presupposto del distacco di intonaci e cornicioni; sussistendo possibili cause alternative, non era consentito dirimere l'alternativa ricorrendo all'ipotesi prevalente, ma, non essendo possibile un giudizio sulla base della regola dell'oltre ragionevole dubbio, si imponeva l'assoluzione. Si contesta la ritenuta prevedibilità dell'evento; la situazione di precarietà e pericolosità dell' immobile è venuta in evidenza solo all'esito degli accertamenti tecnici seguiti al crollo, mentre al momento dell'effettuazione dei lavori le apparenti condizioni dell'edificio non erano critiche ed allarmanti; vi erano molti fattori che inducevano alla tranquillità sulle condizioni dello stabile quali l'esistenza di una perizia statica favorevole, il contenuto dell' ordinanza comunale limitata al rifacimento della facciata, il fatto che il palazzo era tranquillamente abitato, i lavori che erano stati commissionati erano di semplice manutenzione dei pilastri attività che non comprende il consolidamento statico, per di più neppure evidenziato dal progettista; il A.DV. non era al corrente della storia dell'immobile e né il progettista né i proprietari avevano segnalato situazioni allarmanti; in tale situazione egli non era tenuto alla verifica della resistenza dei pilastri e al puntellamento; la sua posizione di garanzia nei confronti del lavoratore non comprendeva la protezione da tutti i rischi possibili ma solo da quelli prevedibili.
Si invoca il principio di affidamento sottolineandosi che si è del tutto ignorato il comportamento dei condomini e specialmente quello del progettista che pur essendo un esperto professionista del settore non aveva previsto la necessità del puntellamento; A.DV. del tutto giustificatamente ha fatto affidamento sulla situazione di piena tenuta dello stabile e il suo comportamento non può essere considerato colposo; si richiama l'articolo 45 codice penale.
Con ultimo motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla pena irrogata in concreto e alla negata concessione delle attenuanti generiche in relazione al ritenuto comportamento biasimevole posto in essere dopo il reato nonché alla sproporzione della provvisionale concessa ai proprietari dell'immobile, costituiti parte civile, nonostante la loro corresponsabilità nel crollo.

Diritto


1. Il primo e, parzialmente, l'ultimo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato V.M.R. sono, ad avviso del Collegio, fondati ed impongono l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Palermo, con assorbimento degli ulteriori motivi proposti.
1.1 Viene in rilievo in primo luogo la questione attinente alla mancata ammissione quale teste del consulente tecnico nominato dal predetto V.M.R. all'atto della disposta consulenza tecnica di ufficio. A seguito della modifica della imputazione ex art. 516 cod.proc.pen. avvenuta all'udienza del 26 maggio 2011, nel corso della quale sono stati contestati all'attuale ricorrente profili di colpa in precedenza non menzionati e tali da comportare una estensione della responsabilità a lui addebita, con ampliamento del "thema probandum", era infatti necessario garantire a tutte le parti il pieno esercizio del diritto alla prova rispetto ai nuovi fatti emersi nel processo; il diritto alla prova doveva essere assicurato nella medesima estensione stabilita per la fase degli atti preliminari al dibattimento e pertanto l'ammissione delle prove poteva essere negata solo se vietate dalle legge o manifestamente superflue o irrilevanti. La mancata ammissione della richiesta di ammettere come teste il consulente tecnico e di acquisirne la consulenza, ha precluso all'imputato la facoltà di avvalersi del contributo conoscitivo e valutativo espresso dal proprio consulente, nemmeno essendosi accolta la richiesta di rinnovazione del dibattimento avanzata in grado di appello, dove la questione era stata riproposta anche se non opportunamente illustrata. La motivazione espressa al riguardo nella sentenza impugnata - che, da un lato, ha ritenuto inammissibile l'istanza per la sua genericità e, dall'altro, non necessario e utile l'approfondimento richiesto - rivela chiaramente come non sia stata colta la valenza della richiesta formulata, nella prospettiva del diritto alla prova.
1.2 E' altresì fondato il quinto motivo di ricorso nella parte in cui si lamenta che la Corte d'Appello ha ritenuto sussistente la colpa dell'imputato per omessa vigilanza sulla esecuzione dei lavori da parte del A.DV., ritenendolo conseguentemente responsabile, sia pure ai soli effetti civili, anche per il reato di omicidio colposo fondando tale decisione sulla diversa valutazione del teste S.. In proposito va preliminarmente precisato che pur non essendo questo l'unico elemento di prova in base al quale la corte di appello ha espresso il detto convincimento, si tratta certamente di una prova che ha influito in maniera apprezzabile nel convincimento del giudice, come si ricava dalla stessa affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui le dichiarazioni del S. "gravano pesantemente" nei confronti del V.M.R..
Deve altresì rilevarsi che, anche a non voler ritenere direttamente applicabile nel caso di specie il principio ricavabile dalla sentenza Cedu Dan c/Moldavi, dal momento che la sentenza di riforma di quella emessa in primo grado è intervenuta solo agli effetti civili, non può tuttavia dubitarsi che una decisione che ribalta quella assunta nel precedente grado di giudizio, anche ai soli effetti civili certamente non privi di rilevanza, deve soddisfare a requisiti motivazionali di particolare pregnanza e completezza. Infatti nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, in mancanza di elementi sopravvenuti occorre che la motivazione, nella diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, esprima una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio, anche nei casi di impugnazione presentata dalle parti civili per le sole statuizioni civili (sez. 3 27.11.2014 n.6817 Rv.262524). L'impugnata sentenza non risponde a tale esigenza in quanto nell'esaminare le dichiarazioni del teste S. prende in considerazioni soltanto quanto il medesimo ha dichiarato nel corso dell'udienza del 2.7.2010 trascurando di considerare che il medesimo era stato sentito anche il 29.11.2011 proprio per chiarire il contenuto delle precedenti dichiarazioni.
3. Passando ad esaminare la posizione del A.DV., ritiene il Collegio di dovere dichiarare estinti per intervenuta prescrizione i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e di falso al medesimo ascritti, sussistendo i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva; per tali reati, commessi in data 25.9.2006, è infatti spirato il termine di prescrizione massimo pari ad anni sette e mezzo. Il ricorso in esame non presenta, quanto ai motivi che si riferiscono a tali reati, profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza o non deducibilità in sede di legittimità delle doglianze tali da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione. Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. le cause di non punibilità maturate, come nel caso di specie, successivamente alla sentenza impugnata. Né ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle valutazioni rese dai giudici del gravame, in ordine all'affermazione di penale responsabilità dell'imputato. Come noto, ai fini della eventuale applicazione della norma ora citata, occorre che la prova della insussistenza del fatto o della estraneità ad esso dell'imputato, risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata; e nella sentenza della Corte di Appello non sono riscontrabili elementi di giudizio indicativi della prova evidente dell'innocenza dell'imputata, ma sono contenute, anzi, valutazioni di segno opposto. Di conseguenza deve essere eliminata la pena stabilita per detti reati, pari a complessivi mesi 9 di reclusione ed euro 8000,00 di multa.
4. Quanto ai reati di crollo colposo e di omicidio colposo, il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato A.DV. è infondato risultando la ritenuta responsabilità sorretta da presupposti in fatto debitamente accertati e da corrette valutazioni giuridiche.
4.1 Deve innanzitutto rilevarsi la manifesta infondatezza della censura attinente alla mancata rinnovazione del dibattimento per accertare le cause del possibile ritardo nel ritrovamento dello M.S. e la eventuale negligenza dei sanitari che si erano occupati della persona offesa; è in proposito sufficiente, da un lato, richiamare quanto ha osservato il giudice di appello sulla assoluta mancanza di elementi che potessero far dubitare della adeguatezza degli interventi, di soccorso e sanitari, posti in essere e il carattere meramente esplorativo della richiesta formulata; e osservare, dall'altro, che, anche a voler ipotizzare del tutto astrattamente un comportamento colposo in tali fasi , la questione è irrilevante in considerazione dei pacifici principi espressi da questa Corte in tema di nesso di causalità secondo cui la causa sopravvenuta "da sola sufficiente a determinare l'evento" può configurarsi , stante il principio dell'equivalenza delle condizioni e quindi dell'efficienza causale di ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell'evento, solo in presenza di un fattore sufficiente a produrre da solo l'evento ossia in presenza di un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; tali non sono quelli di cui si discute, atteso che la necessità sia della ricerca del corpo dello M.S. sotto le macerie che di procedere ad amputazione sono state conseguenza dell'avvenuto crollo imputabile al A.DV..
4.2 Per affrontare gli ulteriori temi sollevati dal ricorrente, occorre preliminarmente richiamare brevemente i fatti dai quali i giudici di primo e secondo grado hanno conformemente tratto il convincimento della responsabilità dell'imputato quale titolare dell'impresa edile appaltatrice di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria dello stabile. Si tratta di circostanze dettagliatamente descritte dal giudice di primo grado ed espressamente richiamate e ribadite dalla sentenza di appello che, per aver esaminato le censure proposte dagli appellanti con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice, con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione, si salda con la prima sì da formare un unico complesso motivazionale. La costruzione della palazzina, destinata a civile abitazione, era iniziata, in assenza di concessione edilizia, nel 1967; ed era stata ultimata nel 1980 con la realizzazione di un quarto piano inizialmente non previsto; vi erano state numerose pratiche di condono anche ai sensi delle leggi regionali. I lavori di cui trattasi avevano tratto occasione da un'ordinanza comunale dell'ottobre 2005 che intimava di intervenire sul prospetto esterno dell'edificio in quanto costituiva pericolo per la pubblica incolumità, per il rischio di distacco di calcinacci da pensiline e balconi. Risulta (pag. 11 della sentenza di primo grado) che a seguito della notifica di tale ordinanza i condomini colsero l'occasione per affrontare un ulteriore problema relativo alle parti strutturali, decidendo di far effettuare lavori di consolidamento dei pilastri del piano seminterrato per fronteggiare l'usura dei ferri; venne così dato incarico all' impresa del A.DV. di effettuare, per un importo di complessivi 65000,00 euro, i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile previsti dagli elaborati tecnici redatti dall'ing. V.M.R. che assumeva la qualifica di progettista, direttore dei lavori e responsabile della sicurezza durante la esecuzione; al punto 21.3.1.2 del computo metrico allegato al contratto di appalto era prevista la voce "risanamento di struttura in cemento armato per la ricostruzione della malta copri ferro con conservazione della sezione originaria mediante: asportazione della parte degradata del calcestruzzo .... e ricostituzione del copri ferro" con espresso riferimento ai 18 pilastri del piano interrato. La ditta appaltatrice iniziava l'intervento all'inizio del giugno 2006, sospendendolo nei mesi di luglio e agosto per la presenza dei proprietari in occasione delle vacanze estive; nel mese di settembre i lavori erano stati ripresi e il giorno del crollo lo M.S. (sentenza di primo grado pagg. 17 e sgg. ) si trovava nella palazzina "per lavorare ai pilastri" "munito di una martellina"; i lavori avevano interessato proprio lo scrostamento, raschiatura o scarificazione dei pilastri, tanto da rendere visibili i ferri dell'armatura e da comportare forti rumori e l'accumulo dei detriti, secondo quanto riferito da numerosi testi (pag. 115 sentenza di primo grado e 25 sentenza di appello), peraltro in conformità della previsione contrattuale.
4.3 Su tali basi è stata correttamente ritenuta provata la attività di scarificazione dei pilastri e la consistenza della stessa, essendosi in particolare rilevato, con valutazione del tutto congrua, che la attendibilità dei testi era confermata dalla assoluta convergenza delle varie testimonianze (dei familiari dello M.S., dei condomini , del teste estraneo B.) sia tra di loro che con i dati oggettivi consistenti nel contenuto del contratto, nella nota di inizio lavori dalla quale risultava la successione degli stessi, nonché dal ritrovamento dello M.S. sotto le macerie, in modo da fugare i dubbi circa la genuinità delle stesse in quanto inquinate da possibili interessi delle parti. E' stata anche fatta chiarezza sulla consulenza tecnica, rilevandosi che la stessa aveva correttamente riconosciuto che, stante la avvenuta disgregazione dell'immobile, non era stato possibile individuare elementi oggettivi dai quali desumere che l' operazione di scarifica era stata avviata e che le valutazioni effettuate sull'incidenza di una tale attività in relazione alle condizioni costruttive di base erano state di carattere generale, riportandosi altresì il giudizio del consulente secondo cui la quota di resistenza sottratta con la scarificazione è notevole.
4.4 L'apprezzamento conforme delle due sentenze di merito si è esteso alla valutazione del nesso di causalità e dell' elemento soggettivo colposo. Seguendo le indicazioni risultanti dalle testimonianze e dalla consulenza tecnica di ufficio, è stato ritenuto, con giudizio ampiamente motivato ed esente da censure, che il crollo dell'edificio ha avuto una causa remota, consistente nella precarietà strutturale dello stabile risalente alle modalità di costruzione dell'edifico per la scadente qualità del calcestruzzo utilizzato e la realizzazione di un numero di piani superiore a quello che tali pilastri erano idonei a sostenere senza provvedere ad alcun rinforzo; e una causa prossima, individuata nell'operazione di scarifica dei pilastri, cioè nella rimozione del calcestruzzo da parte dello M.S., debitamente provata per quanto detto sopra, la cui azione di martellamento ha contribuito ad innescare il fenomeno di crollo, anche tenuto conto della sua qualità di soggetto privo delle cognizioni tecniche che il tipo di lavoro richiedeva; tali cause sono state entrambi rilevanti e concorrenti nel determinare l'evento. Il punto è oggetto di contestazione da parte del ricorrente che, riproponendo la tesi del proprio consulente tecnico ing. O. secondo cui è verosimile ritenere che il crollo si sia verificato spontaneamente, ovvero senza l'intervento di azioni esterne o di manomissioni delle strutture, ma per carenze strutturali originali ampiamente documentate, lamenta che sia stato violato il principio di cui all'art. 533 cod.proc.pen. in quanto il nesso causale non è stato accertato con la dovuta certezza. La tesi, pur suggestiva, non è però fondata in quanto prescinde dalle circostanze di fatto poste a fondamento del giudizio di responsabilità e in tal modo considera equivalenti e quindi alternative le due spiegazioni. Così non è, come già la sentenza di primo grado aveva evidenziato rilevando che la tesi secondo cui il palazzo sarebbe crollato per cause ricollegabili unicamente alla instabilità originaria era "sconfessata dalla univocità delle prove testimoniali e documentali (che hanno comprovata la messa in opera dell'intervento edile nel piano cantinato all'inizio del periodo estivo e la ripresa dei lavori da parte dello M.S. nei giorni antecedenti il crollo) e dalle valutazione tecniche dei consulenti del pubblico ministero".
4.5 Quanto alla prevedibilità dell'evento, la tesi del ricorrente si sostanzia nel negare che il pur riconosciuto grave stato di degrado dell'immobile -tale addirittura da determinare da solo il crollo, secondo i rilevi formulati in tema di nesso causale di cui si è detto sopra - fosse in alcun modo riconoscibile e pertanto prevedibile, o dovesse comunque essere riconosciuto dall'imputato. La tesi non ha fondamento in quanto prescinde dalle particolarità della situazione concreta e cioè dalla specifica posizione del A.DV., titolare dell'impresa edile che si era aggiudicata l'appalto e datore di lavoro dello M.S.. Nella prima qualità egli era tenuto a uniformare la propria attività alle regole della buona tecnica edilizia e pertanto, secondo quanto precisato dalla sentenza di appello sulla base di quanto dichiarato dai consulente tecnici di ufficio, a verificare se le condizioni di tenuta statica dell'immobile fossero tali da non rendere necessario il puntellamento dei pilastri; è vero infatti - hanno riferito i consulenti tecnici di ufficio - che il tipo di opera contrattualmente convenuta non obbligava a disporre automaticamente il puntellamento del palazzo in quanto se il palazzo è costruito rispettando le tensioni dei pilastri, la scarificazione degli stessi non può comportarne il crollo, ma è altrettanto vero è che ove non si proceda alla previa verifica della stabilità dei pilastri, è necessario procedere al puntellamento per garantire la sicurezza dell'edificio e di chi ci lavora. E' dunque evidente che il A.DV., avendo omesso di effettuare direttamente tale doveroso controllo preventivo o di accertarsi che altri lo avessero effettuato, non può invocare la imprevedibilità del crollo sulla base delle apparenti condizioni dell'edificio, in quanto la erronea prospettazione della stessa è il risultato di una condotta negligente ed imperita riconducibile allo stesso. A.DV. era altresì datore di lavoro di M.S. e dunque tenuto ai normali obblighi di protezione nei confronti del proprio dipendente tra cui in primo luogo quello di garantire la sicurezza del luogo di lavoro, oltre che di assicurarsi della competenza professionale dei propri dipendenti in relazione alle specifiche attività svolte.
5. Restano da esaminare i motivi di ricorso che riguardano la determinazione della pena, la mancata concessione delle attenuanti generiche e il riconoscimento della provvisionale.
La Corte di appello ha di fatto diminuito considerevolmente, a seguito del ritenuto concorso formale, la pena inflitta in primo grado per i reati di crollo e omicidio colposo, mantenendo ferma la pena base di un anno e sei mesi di reclusione fissati in primo grado, aumentata poi a 2 anni e mesi 3 oltre la multa. La decisione non è censurabile trovando la stessa adeguato e puntuale riscontro nel giudizio di gravità del fatto che tale giudice ha condiviso con quello di primo grado; sono stati richiamati il grado non modesto della colpa e il biasimevole comportamento tenuto dal A.DV. dopo il crollo allorché ha omesso di fornire indicazioni sulla presenza del proprio dipendente e ha cercato di nascondere la vera natura dell'attività da esso svolta.
Quanto alla provvisionale, parimenti corretta è la conferma della somma riconosciuta ai proprietari delle singole unità immobiliari costituitisi parti civile, motivata, nella pur riconosciuta loro corresponsabilità in quanto proprietari e committenti dei lavori, con riferimento al valore ben superiore degli appartamenti disintegratisi nel crollo.
5.In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di V.M.R. con rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, cui è rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio. Nei confronti di A.DV. la sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi A) (art. 12 d. lgv. 286/98) e E) (artt. 483, 61 n.2 cp) perché estinti per prescrizione e deve essere eliminata la relativa pena pari a complessivi mesi 9 di reclusione ed euro 8000,00 di multa. Il ricorso del A.DV. va nel resto rigettato con condanna del medesimo a rimborsare alle parti civili P.D., in proprio e nella qualità, e alle parti civili B.C. + 15, le spese sostenute dalle stesse per questo giudizio liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.


annulla la sentenza impugnata nei confronti di V.M.R. e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Palermo cui demanda il regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio. Annulla la sentenza stessa senza rinvio nei confronti di A.DV. limitatamente ai reati di cui ai capi A) (art. 12 d. Igv. 286/98) e E) (artt. 483, 61 n.2 cp) perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena pari a complessivi mesi 9 di reclusione ed euro 8000,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso del A.DV. e lo condanna a rimborsare alle parti civili P.D., in proprio e nella qualità, e alle parti civili B.C. + 15, le spese sostenute dalle stesse per questo giudizio che liquida rispettivamente in complessivi euro 3200,00 e euro 11000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 6.5.2015.