Cassazione penale, Sez. 4, 23 gennaio 2015, n. 3278 - Mortale caduta dall'alto. Pur in presenza di un rapporto di lavoro a progetto, l'appaltatore è comunque responsabile
"La mancata predisposizione sul tetto di punti ai quali potessero venire agganciate le imbragature ed il mancato approntamento di sistemi di sicurezza collettivi al di sotto della zona di lavoro si poneva in rapporto di causalità con l'evento, dato che l'approntamento di tali mezzi di protezione e la loro previsione specifica nel POS avrebbero consentito di evitare l'infortunio anche nel caso in cui gli operai fossero saliti sul tetto in condizioni metereologiche avverse."
"Ed ha dato conto, altresì, la corte territoriale delle ragioni per le quali, pur riconoscendosi autonomia operativa agli operai per la sussistenza del rapporto di lavoro a progetto, permaneva in capo all'amministratore della società appaltatrice l'obbligo di predisporre i mezzi di protezione in considerazione della mancanza di organizzazione in capo agli operai."
Fatto
Con sentenza pronunciata il 4 novembre 2013 la corte d'appello di Venezia riduceva la pena inflitta a G.A. ad anni uno di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da ritenersi prevalente alla contestata aggravante. Il G. era stato condannato dal tribunale di Venezia alla pena di anni due di reclusione per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in alquanto, in qualità di amministratore della società Omissis S.r.l., cagionava la morte di S.D. il quale era addetto al lavoro di rimozione e sostituzione delle lastre di copertura di un grande capannone sito in (OMISSIS) o di proprietà della società Cai S.r.l.. A seguito del cedimento di una delle lastre poste all'altezza di circa 12 m da terra, lo S. era precipitato cadendo per circa 7 m su un soppalco di 5 m d'altezza. Il fatto era stato commesso il (OMISSIS). Rilevava la corte d'appello che doveva essere respinta l'eccezione di nullità dell'ordinanza con la quale il GUP aveva rigettato la richiesta di rinvio avanzata dal difensore dell'imputato nel corso dell'udienza preliminare in quanto sarebbe stato onere dell'appellante, che non lo aveva assolto nè avanti al giudice di primo grado nè nel giudizio di appello, documentare la propria eccezione producendo l'ordinanza del Gup che non era presente agli atti. In ogni caso la certificazione medica di un impedimento assoluto a comparire, per essere tale e suscettibile di positivo apprezzamento ai fini di un rinvio dell'udienza, doveva indicare quale sintomatologia impediva la presenza del soggetto, contenuto minimo certamente non rinvenibile nel laconico certificato datato (OMISSIS) allegato all'istanza di rinvio. In ordine ai motivi di impugnazione riteneva la corte d'appello che la responsabilità dell'imputato sussistesse in quanto sul tetto della capannone si trovavano S.D. e C. I. i quali avevano stipulato un contratto di collaborazione a progetto con la Omissis S.r.l. e i lavori di sostituzione delle lastre di copertura erano svolti presso il capannone dell'appaltante Cai S.r.l. per conto dell'appaltatrice Omissis S.r.l. Il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa era sotto la diretta responsabilità di Omissis s.r.l., di cui il G. era amministratore, e questa era soggetta agli obblighi informativi di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7. Ciò posto, il piano operativo predisposto dal G. appariva essere del tutto generico e privo, quindi, della necessaria concretezza sicchè era inidoneo a rendere edotti i prestatori d'opera del rischio al quale erano esposti lavorando sul tetto del capannone. Invero, con specifico riferimento al rischio di caduta, il POS non dava informazioni della mancanza sul tetto di punti ai quali potessero venire agganciate le imbragature nè della conseguente necessità di approntare sistemi di sicurezza collettivi al di sotto della zona di lavoro. Inoltre un ulteriore profilo di responsabilità era ravvisabile nella violazione dell'art. 1, lett. a, del cit. D.Lgs. che imponeva al datore di lavoro la verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera. Nel caso che occupa i lavoratori a progetto erano muniti dei soli strumenti di base della loro attività e del tutto privi della complessa organizzazione necessaria ad approntare i sistemi di sicurezza collettivi prescritti dalla normativa di sicurezza quali sottopalchi o reti di sicurezza sicchè il G. era incorso anche in culpa in eligendo.
Entrambe le omissioni erano da porsi in rapporto causale con l'infortunio mortale occorso allo S. nè era fondato il motivo d'appello sull'imprevedibilità della condotta del lavoratore poichè i lavori erano iniziati da due giorni tante che il materiale necessario già era stato portato sul tetto. La semplice violazione da parte dei lavoratori di una generica norma precauzionale che sconsigliava di salire sul tetto in caso di condizioni atmosferiche poco favorevoli non faceva venir meno i profili di colpa giacchè il compiuto assolvimento da parte dell'imputato degli obblighi di prevenzione avrebbe evitato il verificarsi dell'incidente.
Avverso la sentenza della corte d'appello proponeva ricorso per cassazione G.A. a mezzo del proprio difensore deducendo due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione risultante dagli atti del processo in ordine all'eccepita nullità, ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c, e art. 179 c.p.p., comma 1, dell'ordinanza pronunciata dal GUP del tribunale di Venezia all'udienza del 10 marzo 2009 con cui era stata respinta l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore e dell'ordinanza pronunciata dal tribunale monocratico di Venezia, sezione distaccata di Dolo, all'udienza del 2 luglio 2009 con cui era stata respinta l'eccezione di nullità del decreto che aveva disposto il giudizio. Sosteneva il ricorrente che la corte d'appello, nel respingere l'eccezione di nullità, era incorsa in vizio di motivazione in quanto risultava dal verbale stenotipico dell'udienza del 2 luglio 2009 avanti il tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, che il tribunale stesso aveva respinto l'eccezione di nullità del decreto, pronunciato dal GIP, con cui era stato disposto il giudizio a seguito della reiezione dell'istanza di rinvio. Assumeva il ricorrente di essere stato tratto giudizio avanti al GUP del tribunale di Venezia all'udienza preliminare del 10 marzo 2010 ed in data 9 marzo 2009 il difensore era stato colpito da gastroenterite. In data 8 marzo aveva inviato istanza di rinvio allegando certificato medico in cui veniva attestato che il difensore era affetto da gastroenterite con una prognosi di giorni tre.
All'udienza del 10 marzo 2009 il GUP aveva ritenuto che l'impedimento non fosse documentato come assoluto e che, comunque, il difensore non aveva indicato l'impossibilità di farsi sostituire. Conseguentemente aveva pronunciato decreto che disponeva il giudizio davanti al tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, per l'udienza del 2 luglio 2009, nel corso della quale l'eccezione preliminare era stata respinta. Inoltre l'onere di fornire specifica ragione dell'impossibilità di nominare un sostituto, che ricadeva sul difensore qualora questi avesse dedotto impedimento per la concomitanza di altro impegno professionale, non sussisteva quando l'impedimento dedotto fosse costituito da serie ragioni di salute dello stesso difensore comunicato al giudice e debitamente documentato, a meno che si trattasse di impedimento, ancorchè non evitabile, prevedibile ed aveva errato la corte nel ritenere che dovesse essere indicata la sintomatologia poichè dal certificato medico si evinceva la precisa patologia, la gastroenterite, di cui era affetto il difensore.
Con il secondo motivo deduceva vizio di motivazione in ordine alla natura del rapporto intercorrente tra i due operai e la Omissis e, conseguentemente, in ordine alla responsabilità di quest'ultima con riferimento alla predisposizione di idonee misure di sicurezza.
Sosteneva il ricorrente che non erano condivisibili le argomentazioni poste a fondamento della sentenza di condanna poichè, posto che esistevano i contratti di collaborazione a progetto con i due dipendenti C. e S., la corte aveva ritenuto che i lavori fossero già iniziati mentre, in realtà, tale circostanza non era emersa pacificamente dall'istruttoria ed, anzi, era risultato che quel giorno non fosse previsto che i lavori dovessero iniziare.
Dunque il G. non aveva ancora predisposto le misure di prevenzione proprio perchè i lavori non erano ancora iniziati.
Inoltre nel POS era previsto, con riferimento al rischio di caduta dall'alto, che il personale avrebbe operato in sicurezza in quanto l'accesso in quota avveniva attraverso una cesta di sollevamento ed il lavoro di rimozione delle lastre sarebbe avvenuto previo aggancio degli operai con funi di trattenuta a lunghezza fissa di 12 m collegata all'imbracatura con cosciali e bretelle.
Diritto
Il primo motivo di impugnazione è infondato. Il provvedimento di rigetto dell'istanza di rinvio del dibattimento per impedimento a comparire dell'imputato o del suo difensore, ex art. 420 ter c.p.p., è sottratto al sindacato di legittimità, qualora il potere discrezionale, attribuito al giudice di merito, sia stato esercitato sulla base di una adeguata motivazione immune da vizi logici e giuridici. Nel caso che occupa la corte d'appello ha rigettato l'eccezione di nullità dell'ordinanza con la quale il GUP aveva disatteso la richiesta di rinvio avanzata dal difensore dell'imputato nel corso dell'udienza preliminare sulla base di due presupposti dei quali ciascuno era astrattamente idoneo a legittimare il rigetto dell'eccezione proposta. Ha rilevato, invero, la corte territoriale che dal certificato medico prodotto all'udienza del 9.3.2009 non era rinvenibile la sintomatologia che impediva la presenza del difensore.
Correttamente, a giudizio di questa corte di legittimità, i giudici di merito hanno disatteso la certificazione sanitaria sul corretto assunto che la stessa, parlando di una gastroenterite diagnosticata il giorno precedente a quello dell'udienza, non esprimeva in alcun modo una situazione di assoluto impedimento a comparire. Tale rilievo appare decisivo ed assorbe ogni altra deduzione difensiva, dovendosi solo precisare che il giudice di merito non ha alcun obbligo di disporre accertamenti fiscali per accertare l'impedimento a comparire al fine di completare l'insufficiente documentazione prodotta (cfr. Sez. 6, n. 20811 del 12/05/2010, S., Rv. 247348; Sez. 5, n. 5540 del 14/12/2007 - dep. 05/02/2008, Spanu, Rv. 239100; Sez. 5, n. 35170 del 20/09/2005, Ornaghi ed altro, Rv. 232568; Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi, Rv. 231810).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
E' necessario, invero, per la sussistenza del vizio motivazionale, che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza del vizio stesso siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula).
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). Esaminata in quest'ottica, la motivazione della sentenza impugnata appare immune da vizi logici, avendo la corte di merito rilevato che la mancata predisposizione sul tetto di punti ai quali potessero venire agganciate le imbragature ed il mancato approntamento di sistemi di sicurezza collettivi al di sotto della zona di lavoro si poneva in rapporto di causalità con l'evento, dato che l'approntamento di tali mezzi di protezione e la loro previsione specifica nel POS avrebbero consentito di evitare l'infortunio anche nel caso in cui gli operai fossero saliti sul tetto in condizioni metereologiche avverse. Quanto alla previsione del POS in base alla quale era previsto l'aggancio degli operai alla cesta di sollevamento, nella sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella di appello nel caso di cd " doppia conforme ", sono state spiegate le ragioni, dovute alla distanza in cui operavano, per le quali l'aggancio non era possibile. Ed ha dato conto, altresì, la corte territoriale delle ragioni per le quali, pur riconoscendosi autonomia operativa agli operai per la sussistenza del rapporto di lavoro a progetto, permaneva in capo all'amministratore della società appaltatrice l'obbligo di predisporre i mezzi di protezione in considerazione della mancanza di organizzazione in capo agli operai.
Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2015