Cassazione Penale, Sez. 4, 30 giugno 2015, n. 27169 - Caduta in una buca all'interno di un cantiere: responsabilità del proprietario, progettista e direttore dei lavori
Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: DELL'UTRI MARCO Data Udienza: 07/05/2015
Fatto
1. Con sentenza resa in data 25/3/2013, il tribunale di Ancona ha integralmente confermato la sentenza in data 16/3/2011 con la quale il giudice di pace di Fabriano, tra le restanti statuizioni, ha condannato M.A. alla pena di 800,00 euro di multa, in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, ai danni di D.S., in data 4/9/2005.
Nella specie, il tribunale marchigiano, sulla scia del conforme accertamento del primo giudice, ha ritenuto pienamente comprovato il fatto ascritto all'imputato, indicato quale responsabile del fatto dannoso verificatosi ai danni della persona offesa, nella specie caduta in una buca all'interno di un cantiere in relazione al quale l'imputato era stato tratto a giudizio in qualità di proprietario, progettista e direttore dei lavori.
2. Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato sulla base di cinque motivi d'impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il tribunale di Ancona nel confermare la responsabilità dell'imputato sulla base delle contraddittorie e infondate dichiarazioni rese dalla persona offesa, a loro volta palesemente confutate dai restanti elementi di prova acquisiti e dalle dichiarazioni rese dai testimoni indicati dalla difesa, incomprensibilmente trascurati dai giudici del merito; dichiarazioni dalle quali era emersa l'assoluta insussistenza di alcuna responsabilità del M.A. nella causazione delle lesioni sofferte dalla persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole dell'omessa giustificazione, da parte del tribunale, della reiezione delle istanze avanzate dall'imputato nel corso del primo giudizio con riguardo all'ammissione di taluni testi e alla sostituzione del proprio consulente di parte, impossibilitato a proseguire lo svolgimento del proprio compito.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto corretta la quantificazione dei danni determinata dal giudice di pace, sulla base di elementi di prova del tutto inidonei a tal fine.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole dell'omessa attestazione, da parte del tribunale, della corresponsabilità della persona offesa nella causazione delle lesioni dalla stessa sofferte, con il conseguente ridimensionamento dell'entità del risarcimento dei danni dovuto dall'imputato.
2.5. Da ultimo, con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto inoperante la garanzia assicurativa dedotta in giudizio dell'imputato, sulla base di considerazioni del tutto prive di adeguato riscontro, a loro volta contrastanti con i presupposti in fatto richiamati in ricorso, di per sé idonei a giustificare il riconoscimento della persistente copertura assicurativa dell'imputato in relazione al fatto dannoso dedotto in giudizio.
2.6. Con nota pervenuta in data 6/5/2015, il difensore del ricorrente, avv.to Omissis, ha comunicato di non aver mai ricevuto alcuna notificazione della sentenza impugnata, segnalando l'impossibilità di procedere alla discussione del ricorso non avendo potuto proporre impugnazione, per tale motivo, nell'interesse dell'imputato.
3. All'odierna udienza, la parte civile ha concluso come da nota scritta contestualmente depositata.
Diritto
4. Dev'essere preliminarmente disatteso l'avviso formulato dal difensore del ricorrente, avv.to Omissis, con la nota pervenuta in data 6/5/2015, circa l'impossibilità di procedere alla discussione dell'odierno ricorso non avendo, detto difensore, potuto proporre alcuna impugnazione nell'interesse dell'imputato, in ragione della mancata notificazione della sentenza d'appello nei relativi confronti.
Al riguardo, varrà rilevare come, secondo quanto risulta dagli atti del procedimento, la Cancelleria di questa Corte di cassazione ha provveduto a comunicare l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione del ricorso per cassazione all'avv.to Omissis in data 25/2/2015.
Ciò posto, pur volendo interpretare la nota pervenuta in data 6/5/2015 alla stregua di una (sia pure implicita) richiesta di restituzione nel termine per l'impugnazione della sentenza d'appello, la stessa deve ritenersi irrimediabilmente tardiva, siccome proposta oltre i termini fissati, a pena di inammissibilità, dall'art. 175 c.p.p..
5. Nel merito, tutti i motivi di ricorso proposti dal M.A. devono ritenersi integralmente privi di pregio.
Osserva il collegio come le motivazioni dettate dal tribunale in relazione alle occorrenze del fatto ascritto all'imputato debbano ritenersi pienamente corrette, sul piano della coerenza logica, e integralmente lineari in termini argomentativi, sì da destituire di alcuna plausibilità le mere censure in fatto sollevate dal ricorrente con il primo e il quarto motivo di ricorso.
Al riguardo, vale evidenziare come il giudice di secondo grado, nel richiamare le motivazioni sul punto dettate dal primo giudice (che, obbedendo a criteri interpretativi sostanzialmente omogenei, valgono a saldarsi, con la sentenza d'appello, in un unitario corpo argomentativo; cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi), abbia confermato la sicura attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in relazione all'infortunio dedotto in giudizio, siccome adeguatamente confermate dalle deposizioni rese dagli altri testimoni indotti dalla pubblica accusa e dalla medesima parte civile (Omissis), oltre che dalla documentazione fotografica e dalla certificazione medica in atti.
In particolare, il tribunale (sulla scia delle motivazioni dettate dal giudice di primo grado) ha sottolineato come la deposizione resa dalla persona offesa (che ha raccontato l'accaduto senza esitazione e senza contraddizioni di sorta, indicando il punto esatto in cui si è verificata la caduta, all'epoca dei fatti privo di recinzione o di adeguata segnaletica, rappresentando di per sé un'indubbia insidia) fosse risultata precisa, coerente, sufficientemente circostanziata e dotata di piena coerenza logica. Tale deposizione, peraltro, non ha ricevuto alcuna smentita da parte di eventuali altre emergenze istruttorie e, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi indotti dalla difesa (Omissia) i quali hanno fatto riferimento a un punto del cantiere del tutto diverso da quello ove si sarebbe verificato l'infortunio, come reso evidente dal contenuto della documentazione fotografica acquisita agli atti del giudizio, riproducente in maniera completa lo stato dei luoghi.
E invero, osserva il collegio come attraverso le doglianze avanzate con l'odierna impugnazione, l'imputato abbia circoscritto il proprio discorso critico sulla sentenza impugnata a una discordante lettura delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio, in difformità rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito, limitandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione dell'intera vicenda sottoposta a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, entrambi i giudici del merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell'art. 606 lett. c) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l'introduzione, nella motivazione, di un'informazione che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" menzionati dal testo vigente dell'art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all'intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).
In termini analoghi, con riguardo alla valutazione e all'interpretazione delle risultanze testimoniali e degli altri elementi di prova valorizzati dai giudici del merito, osserva il collegio come, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1685/1998, Rv. 210560; Cass., Sez. 6, n. 11984/1997, Rv. 209490), sempre che non emergano elementi obiettivi idonei a giustificare il ricorso di un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell'imputato, nella specie adeguatamente e plausibilmente escluso.
Tale principio, in particolare, appare coerente con il circoscritto orizzonte riservato all'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Esula, infatti, dai poteri della corte di cassazione quello di una 'rilettura' degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, e altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente sulla base del proprio differente soggettivo punto di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv. 210019).
Deve pertanto concludersi che la motivazione compendiata nella sentenza d'appello (in una con quella, richiamata, del primo giudice), nel dar conto analiticamente delle occorrenze del fatto ascritto all'imputato, appare del tutto esaustiva, immune da vizi d'indole logica o giuridica, come tale pienamente idonea a sottrarsi alle censure in questa sede avanzate ricorrente.
6. Parimenti priva di fondamento deve ritenersi la doglianza avanzata dall'imputato con riguardo alla mancata ammissione di prove a discarico, pur ritualmente dedotte dalla difesa, avendo il ricorrente del tutto trascurato in questa sede di specificare la valenza decisiva delle prove non ammesse.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui deve riservarsi carattere di decisività, ai fini del giudizio, a quella sola prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2, n. 16354/2006, Rv. 234752; Cass., Sez. 6, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass., Sez. 3, n. 27581/2010, Rv. 248105).
Nel caso di specie, la mancata identificazione, da parte del ricorrente, dei contenuti della prova asseritamente trascurata dai giudici del merito impedisce a questa corte di legittimità la verifica dell'eventuale carattere di decisività del mezzo istruttorio, per tale via evidenziandosi la radicale infondatezza della corrispondente doglianze del ricorrente.
7. Da ultimo, devono essere integralmente disattesi i restanti motivi di ricorso avanzati dall'imputato, avendo i giudici del merito provveduto, sulla base di una motivazione dotata di piena coerenza logica e linearità argomentativa, alla quantificazione dei danni sofferti dalla persona offesa, nella specie determinati sulla base dei criteri indicati dal medico legale nell'elaborato tecnico all'uopo redatto, nel quale il perito, secondo quanto attestato dal giudice d'appello, ha dato conto dell'entità delle lesioni riscontrate a carico della vittima e dei relativi parametri di riferimento, nonché delle spese mediche sostenute, nella specie ritenute globalmente necessarie.
Sotto altro profilo, del tutto immune da vizi d'indole logica o giuridica deve ritenersi la motivazione dettata dal giudice d'appello in relazione all'accertata inoperatività della polizza assicurativa vantata dall'imputato al momento del fatto, sì come risultante dalla sospensione della copertura assicurativa ai termini di contratto, avendo l'M.A. inottemperato all'obbligo di tempestiva comunicazione ai sensi dell'art. 18, co. 4, delle condizioni generali di contratto, e comunque essendosi il sinistro verificato in epoca antecedente il giorno indicato (nella notifica preliminare ex art. 11 d.lgs. 494/1996 inviata all'autorità e agli enti interessati) quale data presunta di inizio dei lavori (14.9.2005).
8. L'accertata infondatezza di tutti i motivi d'impugnazione in questa sede avanzati dal ricorrente non esime peraltro il collegio dal rilievo dell'intervenuta prescrizione del reato per il quale l'odierno imputato è stato tratto a giudizio, trattandosi di un'ipotesi di lesioni personali colpose commesso alla data del 4/9/2005.
Al riguardo, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilita penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una 'constatazione', che a un atto di 'apprezzamento' e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di 'evidenza', richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui 'positivamente' deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi certamente non riscontrabile nel caso di specie, avendo questa Corte positivamente riscontrato l'infondatezza di tutte le doglianze avanzate dall'odierno ricorrente avverso la sentenza di condanna pronunciata nei propri confronti.
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato contestato estinto per prescrizione.
La rilevata infondatezza dei motivi di ricorso avanzati dall'imputato - di là dall'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla condanna penale pronunciata a carico dell'M.A. a causa dell'intervenuta prescrizione -impone peraltro la conferma delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, in conformità alle previsioni di cui all'art. 578 c.p.p., con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perché estinto il reato per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente a rimborsare alla parte civile D.S. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/5/2015.