Cassazione Penale, Sez. 4, 20 gennaio 2014, n. 2343 - Kartodromo come luogo di lavoro. Ragazza muore soffocata dalla sua stessa sciarpa. Responsabilità per mancata VDR e per mancato controllo su un indumento ad alto rischio
Ragazza muore soffocata nella pista dei “go-karts” a causa della sciarpa finita negli ingranaggi.
Imputati il legale rappresentante della società gerente il Kartodromo “Internazionale di Napoli” per non aver effettuato la valutazione dei rischi ex art. 4 del D.Lvo. 626/94 e il responsabile della pista per aver consentito alla ragazza di accedere al kart nonostante indossasse una sciarpa che le cingeva il collo, indumento ad alto rischio per quel tipo di attività, nonché un casco non omologato, visibilmente privo del gancio di chiusura.
Nessuno dei due imputati provvide a controllare e vigilare adeguatamente sull’idoneità dell’abbigliamento della ragazza, eventualmente impedendone l’accesso in pista, qualora, come nella specie, qualche capo indossato non rispondesse a canoni di assoluta sicurezza: la rigorosa osservanza di tali regole avrebbe certamente scongiurato l’evento letale poi verificatosi e largamente prevedibile ex ante.
La Corte afferma che: il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del “neminem laedere”, sia nella sua qualità di “custode” delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 cod.civ., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocati dalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., rispetto alle quali egli è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso (Cass. pen. Sez. IV, n. 11361 del 10.11.2005 Rv. 233663).
Ma nel caso in esame è stato anche sostanzialmente individuato il kartodromo come luogo di lavoro, tale dovendosi intendere quello in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività che implichi prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità (sportive, artistiche, ludiche, di addestramento o altro) della struttura in cui essa si svolga e della sua frequentazione occasionale o sistematica da parte di soggetti estranei all’attività lavorativa.
Ne consegue che in sede di predisposizione del documento di valutazione dei rischi aziendali (art. 4 D.lvo n. 626 del 1994), con l’individuazione dei relativi pericoli e misure di salvaguardia, non avrebbe potuto essere pretermesso il divieto di indossare indumenti quali sciarpe ed altri, suscettibili di impigliarsi negl’ingranaggi dei motori (notoriamente a vista e posteriori).
Orbene, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 cod. pen. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, stesso codice, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare (nel caso di specie, il S. e il C., nelle rispettive qualità), poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione.
Fatto
Ricorre per cassazione il comune difensore di fiducia di S.G. e C.S. avverso la sentenza emessa in data 18.6.2012 dalla Corte di Appello di Salerno che, in totale riforma di quella assolutoria del Giudice monocratico del Tribunale di Nocera Inferiore in data 11.5.2010, dichiarava la penale responsabilità dei predetti S. e C., in ordine al delitto di omicidio colposo in danno di R.M. (fatto del 23.1.2006), condannandoli, con attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, alla pena, interamente condonata, di mesi otto di reclusione ciascuno.
In particolare, era contestato al C., quale legale rappresentante della società JO.RO.SA. gerente il Kartodromo “Internazionale di Napoli”, e al S., in qualità di responsabile della pista, di avere cagionato la morte della R., consentendole di accedere al kart nonostante indossasse una sciarpa che le cingeva il collo, indumento ad alto rischio per quel tipo di attività, nonché un casco non omologato, visibilmente privo del gancio di chiusura, per colpa consistita, per il C., nell’aver noleggiato il kart alla vittima e a D.A., ancorché privi della licenza di guida e di qualsivoglia esperienza, per aver omesso di predisporre l’obbligatoria valutazione dei rischi connessi all’attività dell’azienda come imposto dall’art. 4 del D.Lvo. 626/94, per non aver informato gli utilizzatori della pista dei rischi e delle cautele da osservare prendendo posto sul kart, per aver omesso di dotare il circuito di caschi omologati e dotato di gancio di chiusura, per il S., nell’avere omesso di vigilare sulle cautele indicate. Sicchè R.M., prendendo posto sul kart biposto e circolando sul predetto circuito, in assenza d’informazione sui rischi e sull’abbigliamento idoneo, impigliandosi la sciarpa che portava al collo nei meccanismi del circuito, soffocava e decedeva.
La Corte territoriale non condivideva l’assunto del giudice di primo grado secondo cui la normativa antinfortunistica era inconferente dato che il sinistro si era verificato al di fuori di un rapporto di lavoro subordinato, richiamando al riguardo un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, secondo il quale anche i terzi, quando si trovano esposti ai rischi di un’attività lavorativa, come era quella di gestione dei gokart, da altri svolta, devono ritenersi destinatari delle norme di prevenzione; inoltre, la predisposizione del documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 4 D.lvo 626/1994 avrebbe certamente evitato l’infortunio, “in quanto la società avrebbe imposto ai noleggiatori un abbigliamento adeguato fino ad impedire l’accesso in pista per i trasgressori”.
Nel ricorso si deduce l’erronea applicazione dell’art. 589 c.p., il vizio motivazionale ed il travisamento della prova.
Si contesta il ritenuto obbligo degl’imputati di dotare l’azienda di un documento di valutazione dei rischi e quanto sostenuto dal teste F.A., attesa l’assenza, nel modulo di esonero da responsabilità predisposto dalla sua azienda, di un monito circa l’uso di sciarpe o altri indumenti penzolanti; si confuta ancora la ravvisata responsabilità dei due ricorrenti, laddove la Corte territoriale non aveva neppure specificato in che cosa consistessero le regole di minime di prudenza da adottare, e che la sciarpa indossata dalla vittima inerisse ad un’attività lavorativa e non già fosse conseguente ad un’autonoma determinazione della medesima.
Si rileva, al riguardo, che il C. aveva pure imposto alla ragazza la misura precauzionale della chiusura dell’indumento all’interno del giubbotto.
Diritto
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
La sentenza impugnata è munita di corretto ed esauriente supporto motivatorio.
Il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del “neminem laedere”, sia nella sua qualità di “custode” delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 cod.civ., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocati dalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., rispetto alle quali egli è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso (Cass. pen. Sez. IV, n. 11361 del 10.11.2005 Rv. 233663).
Ma nel caso in esame è stato anche sostanzialmente individuato il kartodromo come luogo di lavoro, tale dovendosi intendere quello in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività che implichi prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità (sportive, artistiche, ludiche, di addestramento o altro) della struttura in cui essa si svolga e della sua frequentazione occasionale o sistematica da parte di soggetti estranei all’attività lavorativa.
Ne consegue che in sede di predisposizione del documento di valutazione dei rischi aziendali, con l’individuazione dei relativi pericoli e misure di salvaguardia, non avrebbe potuto essere pretermesso il divieto di indossare indumenti quali sciarpe ed altri, suscettibili di impigliarsi negl’ingranaggi dei motori (notoriamente a vista e posteriori).
Invero, correttamente è stata richiamata la violazione della predisposizione del documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 4 D.lvo n. 626 del 1994, e giustamente è stato rilevato, sulla scorta della deposizione del teste F., come anche in base a linee guida dettate dal comune buon senso che prevedono la sottoscrizione di un modulo contenente le prescrizioni cautelari da seguire in caso di noleggio con esonero di responsabilità da parte del gestore e il controllo successivo di un responsabile circa il rispetto delle suddette prescrizioni da parte dei noleggiatori, ed in particolare il divieto dell’uso di sciarpe ed altri indumenti pericolosi in quanto suscettibili di impigliarsi negli ingranaggi.
Orbene, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 cod. pen. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, stesso codice, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare (nel caso di specie, il S. e il C., nelle rispettive qualità), poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione.
Infatti, “anche i terzi, quando si trovino esposti ai pericoli derivanti da un’attività lavorativa da altri svolta nell’ambiente di lavoro, devono ritenersi destinatari delle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto rischio aziendale connesso all’ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro” (Cass. pen. Sez. IV, n. 6686 del 4.5.1993 Rv. 195483).
Nello specifico, se è stata ritenuta “contraria alle regole di comune prudenza la condotta del gestore di una pista per “go-karts” di noleggio di uno di tali veicoli senza la contemporanea fornitura del casco integrale e senza previa eliminazione dalla pista di tutto quanto potesse costituire pericolo o intralcio alla circolazione, compreso il pietrisco del fondo…” (Cass. pen. Sez. IV, n. 1170 del 17.12.1999, Rv. 215663), a fortiori deve ritenersi improntata all’assenza di un minimo di buon senso ed in palese violazione del disposto dell’art. 4 D.lvo n. 626 del 1994, la gestione dell’impianto laddove non fu impedito radicalmente l’uso della sciarpa a bordo dei kart.
Infatti, nessuno dei due imputati provvide a controllare e vigilare adeguatamente sull’idoneità dell’abbigliamento della ragazza, eventualmente impedendone l’accesso in pista, qualora, come nella specie, qualche capo indossato non rispondesse a canoni di assoluta sicurezza: la rigorosa osservanza di tali regole avrebbe certamente scongiurato l’evento letale poi verificatosi e largamente prevedibile ex ante.
Quanto alle residue argomentazioni difensive, si rammenta che se, per un verso, non è dato in questa sede di procedere a qualsivoglia ulteriore accertamento di merito, per altro verso, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinare conclusioni a preferenza di altre (così Cass., Sez. Un., 29.1.1996, n. 930): a tale compito deve riconoscersi abbia ampiamente assolto la sentenza impugnata.
Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Infine, essendo la persona offesa minorenne, si deve disporre che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali.
Oscuramento dati secondo legge.