Cassazione Penale, Sez. 4, 10 luglio 2015, n. 29773 - Infortunio mortale durante le operazioni di scarico di tubi in polietilene. Responsabilità datoriale
- Datore di Lavoro
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 10/04/2015
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa nei confronti di V.F. e di S.A. dal Tribunale di S.M.C. Vetere, che in relazione all'infortunio mortale occorso a D'A.A. l'11.10.2005, aveva mandato assolto il primo e condannato il secondo.
Secondo la non contestata ricostruzione dell'accaduto, alla guida di un furgoncino sul quale erano caricate due matasse di tubi in polietilene, ciascuna del peso di circa cento chilogrammi, il D'A.A. era giunto presso il cantiere della V.F. Costruzioni aperto in via dell'Aeroporto, in Capua, nell'orario nel quale il medesimo era ormai chiuso per la cessazione quotidiana delle lavorazioni. Era quindi venuto a contatto con DR.B., dipendente della ditta V.F., il quale gli aveva chiesto di attendere prima di scaricare le matasse e si era allontanato per verificare se vi fossero ancora lavoratori utilizzabili per l'operazione. Ma mentre si allontanava il DR.B. aveva sentito un forte rumore e tornato sul posto aveva scorto il D'A.A. a terra schiacciato dai tubi caduti dal portabagagli. Anche alla luce delle risultanze della consulenza autoptica i giudici di merito concludevano che il D'A.A. era caduto dal tetto del furgoncino, probabilmente a seguito della perdita di equilibrio, dove era salito per sciogliere la corda che legava le matasse, e nella caduta al suolo aveva subito lesioni al capo e subito dopo gli era stato schiacciato il torace dal materiale caduto dal furgone, subendo lesioni che ne avevano provocato l'immediato decesso.
Per quel che qui rileva, al S.A., legale rappresentante della CDM Plast 2004, alla quale il V.F. si era rivolto per la fornitura dei tubi, é stato ascritto di aver cagionato la morte del D'A.A., suo collaboratore, per colpa consistita nel non aver impartito al proprio dipendente disposizioni precise circa ciò che avrebbe dovuto fare e su come farlo ed inoltre nell'aver fornito allo stesso un mezzo inadeguato al trasporto e allo scarico dei materiali in condizioni di sicurezza.
2.1. Ricorre per cassazione il S. con atto sottoscritto dal difensore, avv. Omissis.
Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 40, 589 cod. pen. e 530 cod. proc. pen., nonché vizio motivazionale.
Rileva il ricorrente che la Corte di Appello ha posto a carico del S.A. un inesistente obbligo di coordinamento con l'impresa rifornita; evidenzia che i materiali era stati nella maggioranza dei casi ritirati direttamente dalla ditta V.F. presso la CDM Plast 2004; che la fornitura in questione non era inserita in un generale programma, essendo meramente occasionale; che al coordinamento era stato preposto dalla ditta V.F. apposito professionista.
In merito all'obbligo di vigilanza ritenuto gravante sul S.A., rileva l'esponente che la Corte di Appello non ha esaminato il tema della consapevolezza dell'imputato della fornitura in questione e delle modalità con le quali questa sarebbe stata eseguita; i DPI (scarpe antinfortunistiche e casco), ritenuti indebitamente non forniti al lavoratore, non erano nella specie necessari, perché il D'A.A. avrebbe dovuto limitarsi al trasporto dei tubi sino al cantiere. La Corte di Appello, poi, avrebbe dovuto motivare in ordine alla prevedibilità e prevenibilità dell'evento prima di poter affermare che il S.A. aveva omesso di vigilare, posto che l'esistenza del rapporto di fiducia tra il S.A. ed il D'A.A. - in forza del quale questi godeva di una certa autonomia decisionale - riduce l'ambito della culpa in vigilando, specie nel caso in cui l'attività svolta in concreto esorbiti dall'attività ordinaria. Lamenta, ancora, l'esponente che non sia stata data replica agli argomenti difensivi che rimarcavano la necessità di ricostruire i rapporti intercorrenti tra i diversi soggetti interessati alle opere presso il cantiere in questione.
2.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche facendo riferimento al divieto normativo di valorizzazione dello stato di incensuratezza, rilevando che il fatto risulta commesso prima della evocata novella legislativa; e ritenendo non sufficiente a giustificare il negativo giudizio il riferimento fatto alla pluralità di violazioni.
2.3. Con un terzo motivo si lamenta la non rispondenza della pena inflitta alle 'complessive circostanze del caso'.
Diritto
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Giova premettere che al S. erano state mosse dall'accusa plurime contestazioni. Nei capi da F) a M) si elencavano e descrivevano: l'omessa redazione e trasmissione del POS prima dell'inizio dei lavori al coordinatore per l'esecuzione; l'omesso coordinamento con la ditta GRB Costruzioni; l'omessa visita medica preventiva del D'A.A.; l'omessa dotazione di DPI al D'A.A.; l'omessa formazione ed informazione del D'A.A. circa i rischi connessi all'ambiente di lavoro ove prestava l'opera; l'omessa fornitura al D'A.A. dei necessari ed appropriati mezzi per il sollevamento di carichi pesanti.
Il primo giudice ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del S. per tutte le cennate contravvenzioni per essere le medesime estinte per prescrizione, mentre lo ha condannato per il solo delitto.
La pronuncia nei confronti del S. é stata appellata dal solo imputato, con motivi che non hanno investito la declaratoria di non doversi procedere.
3.2. Tanto rilevato mette conto esplicitare che la censura mossa dal ricorrente in merito all'addebito della violazione dell'obbligo di coordinamento previsto per i casi di sussistenza di rischio interferenziale si confronta con una motivazione nella quale si rinviene effettivamente menzionato un "dovere del S.A. non solo di coordinarsi con il destinatario della fornitura per organizzare le operazioni di consegna e scarico della merce ...". Tuttavia é necessario considerare che la sentenza di primo grado in realtà fonda il giudizio di responsabilità del S.A. sulla mancata assicurazione dell'adeguatezza del mezzo di trasporto anche rispetto alla fase dello scarico della merce, sulla mancata fornitura al lavoratore di mezzi di protezione individuali atti ad evitare la caduta dall'alto (cfr. pg. 21) ed inoltre sulla mancata formazione ed informazione del lavoratore circa i rischi connessi all'attività da svolgere.
Pertanto risulta evidente che anche a ritenere fondata la lagnanza difensiva (ed in effetti alla luce dei rapporti tra la ditta rifornita e quella del S.A., così come descritti nelle sentenze di merito, non sembra possa trovare spazio la disciplina concernente il rischio interferenziale), la pronuncia di condanna trova adeguato fondamento nelle violazioni prevenzionali sopra rammentate. Ed infatti la Corte di Appello, subito dopo essersi espressa come sopra riproposto, ha proseguito "... ma prima ancora era obbligo del S.A. impartire al proprio dipendente disposizioni precise circa ciò che avrebbe dovuto fare e su come farlo ...", esplicando nel prosieguo della motivazione i concreti contenuti di tale dovere.
3.3. In sostanza, ciò che i giudici di merito hanno ascritto al S.A. é di aver lasciato che il D'A.A. utilizzasse un mezzo di trasporto non adeguato allo scarico dei materiali in condizioni di sicurezza e di non essersi attivato perché l'operazione avvenisse in tutta sicurezza. E' in tale quadro che si colloca sia il richiamo alla mancata fornitura di un mezzo adeguato al trasporto: anche se il sinistro é avvenuto nella fase di scarico dei materiali, la Corte di Appello ha ben rimarcato che il D'A.A. aveva perso l'equilibrio perché rimasto impigliato con il piede destro nella seconda matassa, così evidenziando che l'accaduto trova un antecedente causale anche nella inidoneità del mezzo a contenere adeguatamente le due matasse; sia la sottolineatura dell'inadeguatezza del mezzo alle operazioni di scarico in condizioni di sicurezza: in effetti il veicolo era privo di gruetta o di un qualche strumento di sollevamento meccanico, indispensabile in considerazione del peso delle matasse.
Il rilievo difensivo secondo il quale ciò presupporrebbe la dimostrazione che il S.A. fosse a conoscenza della consegna non tiene conto della circostanza - assunta dall'esponente medesimo a fondamento di talune censure - che la fornitura era stata fatta dal D'A.A. non come lavoratore autonomo ma come dipendente e comunque per conto della ditta del S.A.. Il quale, pertanto, non può invocare a propria discolpa di non aver saputo con quale mezzo il D'A.A. avrebbe fatto la consegna, con quali modalità avrebbe provveduto allo scarico dei materiali, incombendo sul medesimo l'obbligo di assicurarsi che le attività lavorative eseguite per conto dell'impresa della quale era legale rappresentante si svolgessero in condizioni di sicurezza. Il principio costantemente ribadito da questa Corte é che, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (Sez. 4, Sentenza n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253513).
L'insistita sottolineatura della necessità di accertare se il D'A.A. avesse eseguito la fornitura per averla direttamente concordato con il V.F. sollecita l'analisi di una circostanza invero inconferente, come correttamente ritenuto anche dai giudici di merito. Il Tribunale ha ritenuto accertato che il trasporto dei tubi in questione presso il cantiere del V.F. doveva essere inizialmente eseguito direttamente dalla ditta produttrice e che solo per un equivoco essi furono portati presso il S.A.; sicché quest'ultimo, diversamente dal solito, aveva dovuto curare la consegna in cantiere. Ha altresì affermato che il D'A.A. era stato portato a conoscenza dal S.A. dell'ordine eseguito dal V.F. e che il lavoratore aveva la libera disponibilità del furgone, "sicché anche il non aver impedito la consegna, certamente non imprevedibile da parte del lavoratore ed anzi rientrante nelle proprie attribuzioni, sarebbe di per sé equivalente al conferimento di uno specifico mandato da parte del datore di lavoro".
In queste parole, richiamate anche dalla Corte di Appello laddove rimarca la grandissima autonomia lasciata dall'imputato al D'A.A., trova replica l'assunto difensivo, che ipotizza un dato fattuale escluso dall'accertamento (che per la consegna fosse stato concordato l'uso di mezzi della ditta V.F.), non cogliendo la ratio essendi delle decisioni.
D'altronde, neppure l'esponente evoca l'ipotesi che il D'A.A. abbia eseguito l'operazione contro la volontà del S.A., sicché essa sarebbe stata imprevedibile per l'imputato; la tesi che si sia trattato di un comportamento abnorme é poi del tutto destituita di fondamento, atteso che la costante giurisprudenza di questa Corte ricorda che é sempre esclusa l'abnormità di una condotta pur negligente, imperita o imprudente di un lavoratore che svolga i compiti assegnatigli (da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227). Anche su questo punto la sentenza impugnata non merita le censure avanzate con il ricorso.
Né merita che le venga ascritto di non aver preso in esame la deduzione difensiva della rilevanza della ricostruzione dei rapporti tra le diverse ditte interessate alle opere in esecuzione nel cantiere di via Aeroporto. Invero si tratta di questione del tutto priva di rilievo ai fini del presente giudizio, che chiama in causa violazioni prevenzionistiche del datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente; sicché quei rapporti potrebbero al più far emergere ipotesi di correità. Ma si tratta di evenienza che - ferma restando la sua irrilevanza in questa sede - é rimasta del tutto astratta, posto che neppure l'esponente offre indicazioni al riguardo.
3.4. Anche il secondo è infondato. Pur se il richiamo operato dalla Corte di Appello al divieto normativo per un fatto commesso ril.10.2005 é errato -perché questo trova applicazione solo per i fatti commessi successivamente all'entrata in vigore, risalente al 26.7.2008, della L. n. 125 del 2008, che ha integrato l'art. 62bis c.p. mediante l'introduzione di un comma 3 che così recita: "In ogni caso l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al comma 1" (Sez. 1, Sentenza n. 23014 del 19/05/2009, P.G. in proc. Nwankwo, Rv. 244121) -, il diniego delle attenuanti generiche é stato comunque fondato sulla gravità del complessivo comportamento del S.A.. Si tratta di motivazione confermata dalla pluralità delle violazioni ascritte all'imputato (si ricordi che si é formato il giudicato 'interno' in merito alle molteplici contravvenzioni estinte per prescrizione), non manifestamente illogica e in linea con il principio per il quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
3.5. Quanto al motivo concernente l'entità della pena, esso é aspecifico, non concretandosi in puntuali censure a quanto esplicitato dalla Corte di Appello quale fondamento della commisurazione della pena.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10/4/2015.