Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2015, n. 3272 - Contatto tra il braccio dell'autopompa e i conduttori elettrici. Responsabilità per la morte di un lavoratore autonomo
- Coordinatore per la Progettazione
- Coordinatore per l'Esecuzione
- Datore di Lavoro
- Lavoratore Autonomo
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
... "Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro (v. Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 4 e ss.; Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626; articolo 2087, cod. civ.). E' di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell'articolo 2087, cod. civ., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40, cod. pen., comma 2. Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955, articolo 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 20 febbraio 2012, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, in data 9 ottobre 2009, dispose non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati contravvenzionali contestati, eliminando le corrispondenti pene, e ridusse ad un anno e sei mesi di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS) e ad otto mesi quella inflitta a (OMISSIS), dichiarati colpevoli del delitto di cui agli articoli 113 e 589, comma 2, cod. pen., ai danni di (OMISSIS). In particolare si rimproverava all'(OMISSIS), quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., datore di lavoro e capocantiere e al (OMISSIS), quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione (nominato dalla committente (OMISSIS) s.r.l.), di non avere impedito al lavoratore autonomo (OMISSIS) (condannato non ricorrente) di manovrare l'autopompa per il getto del calcestruzzo in vicinanza di una linea elettrica ad alto voltaggio in funzionamento, così procurando la morte per folgorazione del (OMISSIS), operaio intento all'opera di sversamento del calcestruzzo.
2. Contro la sentenza della Corte romana i due (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione, con due separati atti.
3. I motivi comuni possono così sintetizzarsi.
3.1. Violando la legge ed incorrendo in grave vizio motivazionale la Corte territoriale non aveva affrontato il motivo d'appello con il quale era stata negata la sussistenza di compiuta consapevole cooperazione colposa (articolo 113, cod. pen.); né si era formato dibattito a riguardo della indipendente condotta colposa di ognuno dei due ricorrenti.
3.2. Violando la legge la Corte territoriale aveva imputato il reato in forma oggettiva. Non si era, infatti valorizzata la circostanza che il P.O.S., mostrando piena consapevolezza della presenza della linea elettrica, aveva previsto gli accorgimenti del caso; mentre l'evento era da addebitare, in via esclusiva, quale causa sopravvenuta che elide il nesso di causalità, al lavoratore autonomo (OMISSIS), la cui inadeguata condotta non era prevedibile, dopo che era stato predisposto il P.O.S.
3.3. La sentenza d'appello era incorsa in motivazione manifestamente illogica laddove pur affermando che il (OMISSIS) era un lavoratore autonomo evocava la teoria giurisprudenziale elaborata a riguardo della condotta del lavoratore dipendente, che esclude il nesso di causalità nel solo caso di comportamento abnorme di quest'ultimo.
4. (OMISSIS), con apposito motivo, rivendica il riconoscimento delle attenuanti generiche e l'applicazione della sospensione condizionale della pena.
5. (OMISSIS), a sua volta, si duole per essergli stato negato il beneficio della sospensione condizionale della pena sul presupposto della sussistenza di precedenti penali specifici ostativi, laddove dal certificato penale rilasciatogli in data 23 maggio 2012 nulla risultava. Con l'ulteriore conseguenza che, in violazione del contraddittorio, si era tenuto conto di una circostanza ignota all'imputato.
In ogni caso, la pena andava determinata nel minimo, con il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Diritto
6. I ricorsi sono entrambi infondati.
6.1. Al contrario di quanto sostenuto con il motivo ripreso sub 3.1. anche a voler accedere alla proposta opinione è da escludere che per integrare la colposa cooperazione occorra "la volontà … di concorrere all'altrui condotta colposa", essendo bastevole, tenuto conto della natura dell'addebito che il soggetto abbia la consapevolezza dell'interazione della propria con l'altrui condotta.
In ogni caso (a prescindere, quindi, dall'evocazione della cooperazione colposa) agli imputati risulta essere stato addebitato in forma chiara e completa il rimprovero che si muoveva a ciascuno di loro: a (OMISSIS), nella qualità di titolare della (OMISSIS) s.r.l., datore di lavoro e capocantiere; a (OMISSIS), nella qualità di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, di non avere imposto la corretta applicazione "della procedura prevista nel piano di sicurezza e di coordinamento, così come integrato dal piano operativo della sicurezza, in relazione alle operazioni di getto di calcestruzzo nella parete di contenimento posta al di sotto della linea elettrica area alimentata a 8.400 volt, al fine di mantenere la distanza minima di sicurezza di metri cinque tra il braccio dell'autopompa e i conduttori elettrici") ad entrambi colpa generica per negligenza, imprudenza ed imperizia. Senza fondamento, quindi, deve reputarsi l'asserto con il quale si sostiene non aver formato materia di dibattito l'addebito soggettivamente mosso agli imputati ricorrenti. Ancor più ove si consideri, siccome si trae dalla sentenza gravata, che quella stessa mattina il primo getto era stato effettuato (nella piena ed evidente consapevolezza del rischio) sotto la direzione di (OMISSIS), il quale aveva impartito le disposizioni ritenute necessarie al (OMISSIS). Senza contare che entrambi i ricorrenti avevano avuto modo di concretamente sperimentare la pericolosità del sito, in quanto appena qualche giorno prima altro operaio ( (OMISSIS)) era stato coinvolto in un analogo incidente, dal quale era uscito miracolosamente incolume e che la gravità della situazione aveva imposto riunioni tra i (OMISSIS) ed esponenti della società (OMISSIS), nell'interesse della quale operava il (OMISSIS), senza che si fosse acceduto alle misure preventive risolutive, costituite dalla richiesta di temporanea disattivazione della linea o dell'uso di congegni di autolimitazione del braccio dell'autobetoniera o di altri efficaci ed effettive cautele.
6.2. L'addebito penale non ha di certo natura oggettiva. I ricorrenti confondono la responsabilità pienamente soggettiva di colui il quale è tenuto da norme primarie o secondarie, regolamenti convenzionali, assunzioni di posizioni di fatto dalle quali scaturisce l'obbligo d'impedire eventi lesivi dell'altrui fisica incolumità (in definitiva, la responsabilità del garante) con l'imputazione oggettiva. I due ricorrenti sono stati condannati non già per il mero fatto di ricoprire le qualifiche che si son dette, ma perché, ciascuna di loro, per colpa, è venuto meno ai doveri di prevenzione antinfortunistica derivanti dal ruolo rispettivamente ricoperto.
6.3. Quanto all'ultimo motivo comune va osservato che pur vero che il (OMISSIS) era un lavoratore autonomo (in effetti un parasubordinato della (OMISSIS)), tuttavia, nell'affermare che solo in presenza di una condotta abnorme, inconsulta e, quindi imprevedibile, si sarebbe potuto escludere la penale responsabilità degli imputati, la Corte di Roma non cade nel denunziato vizio motivazionale.
Difatti, la ratio del discrimine è la stessa: poiché il garante deve assicurare il bene dell'integrità fisica e della vita del garantito, il quale da solo, per una pluralità di ragioni non sarebbe in grado di pienamente tutelarsi, il concorso (invero frequente) della colpa di quest'ultima o di altro soggetto, la cui attività o anche sola presenza risulta legittimamente inserita nel processo lavorativo, non elide affatto la penale responsabilità dei primi. Salvo l'emergere di condotte che per la loro anomalia, bizzarria o abnormità non erano tali da indurre il garante ad una precipua preventiva percezione del rischio. La razionale ricostruzione del fatto operata dal giudice dell'appello rende evidente la macroscopica infondatezza della pretesa dei ricorrenti. Correttamente scrive la Corte territoriale che la condotta del (OMISSIS) non ha assunto i caratteri dell'anomalia o dell'abnormità, tali da recidere il nesso di causalità. Al contrario, per quel che si è prima detto (precedente incidente analogo e riunioni) v'era la concreta, sperimentata consapevolezza della rischiosità della lavorazione.
Anche se può assumersi come possibile che all'evento possa aver concorso una manovra erronea del predetto lavoratore autonomo deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell'assunto trattasi, invece, di un tragico evento occorso nell'esercizio e a causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dai garanti.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28 aprile 2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. 4, 12 maggio 2011, n. 35204; Sez. 4, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. 4, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. 4, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. 4, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. 4, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. 4, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Quanto alla vittima, è del tutto da escludere, sulla base della dinamica siccome ricostruita dai giudici del merito, che la stessa abbia potuto, anche in misura minimale aver concorso all'incidente. Più in generale, è bene ribadire che la Cassazione ha già avuto condivisamente modo di affermare che "in materia di normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma (v. di recente, Sezione 4, 25 maggio 2007-3 ottobre 2007, Sfoggia). Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro (v. Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 4 e ss.; Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626; articolo 2087, cod. civ.). E' di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell'articolo 2087, cod. civ., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40, cod. pen., comma 2. Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955, articolo 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l'altro, dovendolo desumere dal Decreto legislativo n. 626/1994, articolo 4, comma 5, lettera n), che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro "prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno", dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa (cfr. Sezione 4, 20 aprile 2005, Stasi ed altro)" (Cass., Sez. 4, n. 13917 del 17 gennaio 2008, Rv. 239590).
7. La rivendicazione concernente il trattamento penale avanzata da (OMISSIS), en passant, in fine ricorso, è inammissibile per manifesta aspecificità. Trattasi, invero, di censura solo apparente, del tutto priva di costrutto argomentativo e motivazionale, che, pertanto, omette di confrontarsi con il costrutto della sentenza.
8. Anche la censura di (OMISSIS) in ordine al trattamento penale è inammissibile.
Quanto alla sospensione condizionale va chiarito che, a nulla rilevando che il certificato del casellario giudiziale a richiesta di privati risulti privo di annotazioni, in quello richiesto per ragioni di giustizia rimutano annotate condanne per oltraggio a pubblico ufficiale (Tribunale di Rieti, 29 maggio 1984), in seguito depenalizzato e per lesioni personali colpose (Pretura di Roma, Sezione distaccata di Frascati, 16 marzo 1990), con concessione della sospensione condizionale per quest'ultimo delitto. Trattandosi di certificazione in atti nel fascicolo del dibattimento (cd. rituale) è da escludersi che sul punto l'imputato non abbia avuto la possibilità di conoscere gli atti. Nel resto il motivo, per le stesse ragioni svolte sub. 7 è radicalmente aspecifico.
9. All'epilogo consegue condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.