Cassazione Penale, Sez. 4, 21 dicembre 2015, n. 50070 - Le norme di sicurezza mirano a tutelare anche in ordine ad incidenti derivanti da negligenza, imprudenza e imperizia del lavoratore. Quando il comportamento del lavoratore diventa causa sopravvenuta
Secondo principio ripetutamente affermato, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (v. ex multis Sez. 4, n. 24616 del 27/05/2014, De Pasquale, non mass.; Sez. 4, n. 11522 del 29/01/2014, Moretti, non mass.; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991).
Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA Data Udienza: 06/05/2015
Fatto
1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata in data 6 aprile 2011, appellata da A.G., riduceva la pena allo stesso inflitta a mesi due di reclusione.
2. Questi era stato tratto a giudizio e condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato dì lesioni colpose, aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche in danno del dipendente S.M.
3. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore di fiducia l'A.G. lamentando travisamento della prova in ordine ai giudizio di responsabilità omissiva colposa dell'imputato e la violazione dell'art. 35 D.lgs.vo 626/1994 nonché il travisamento della prova quanto alla ritenuta totale irrilevanza della condotta tenuta dal lavoratore.
Diritto
4. Deve preliminarmente dichiararsi l'estinzione del reato per prescrizione, maturata anteriormente alla presente decisione. Trattandosi infatti di fatto anteriore all'entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251 (cd. Legge ex Cirielli) ma essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata in epoca successiva, in forza delle disposizioni transitorie contenute nell'art. 10, commi 2 e 3, L. cit., occorre aver riguardo, ai fini dell'individuazione del regime prescrizionale applicabile, alla disciplina in concreto più favorevole.
In ragione di tale criterio, nella specie anche ove dovesse trovare applicazione il termine prescrizionale previsto dall'art. 157 cod. pen. nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla citata legge, pari dunque ad anni cinque (trattandosi di lesioni colpose con applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti alla contestata aggravante, punito dunque con pena inferiore nel massimo a cinque anni), prolungato della metà per effetto degli atti interruttivi ai sensi dell'art. 160 c.p., comma 3 nella previgente formulazione, per un totale dunque di sette anni e mezzo. Peraltro analogo termine è da individuarsi anche in applicazione della normativa a riguardo successivamente intervenuta. Ne discende che, alla data della odierna decisione la prescrizione deve ritenersi già da tempo maturata, pur avendo riguardo ai periodi di sospensione del corso della prescrizione già individuati nella stessa impugnata sentenza in anni uno, mesi sei e giorni sette.
5. Non emerge, d'altro canto, alcuna delle ipotesi che, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., avrebbe importato declaratoria d'innocenza. Infatti, In tema di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso con cause estintive del reato, il concetto di evidenza dell'innocenza dell'imputato o dell'indagato presuppone la manifestazione di una verità processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di assoluzione con formula ampia (Cass. 19/7/2011, n. 36064). Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. solo quando le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012, n. 48642). Situazione che qui manifestamente non ricorre per quanto appresso rilevato in ragione del pervenirsi del rigetto del ricorso agli effetti civili, dovendosi tuttavia, infatti, provvedere ugualmente alla disamina del ricorso, ai sensi dell'alt. 578 cod. proc. pen., essendo stata pronunciata nei confronti dell'imputato anche condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. Occorre rilevare a questi fini che l'impugnazione è infondata. È in proposito sufficiente rilevare che l'affermazione di responsabilità operata dai giudici di merito si è basata principalmente sulla accertata omissione da parte dell'A.G. di misure tecniche ed organizzative di lavoro e di scegliere le attrezzature idonee date le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere, per cui non rilevano le dedotte incongruenze, anche ove in ipotesi si accedesse alle tesi del ricorrente atteso che -come precisato da questa Corte in tema di motivi di ricorso per cassazione cfr. Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 , Rv. 258774 , il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio.
Quanto poi alla condotta del lavoratore, quand'anche sia ravvisabile una sua manovra imperita, la stessa rimaneva comunque all'interno delle mansioni affidate e non può qualificarsi come talmente abnorme da assumere il rilievo di evento sopravvenuto inevitabile e imprevedibile idoneo a interrompere il nesso causale con la condotta dell'imputato. Al riguardo non può che ribadirsi che, proprio in ragione dell'esistenza in capo al datore di lavoro di una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l'incolumità del lavoratore appunto, deve escludersi che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali e dei protocolli operativi, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti idonei a garantire la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Ne deriva anche che, secondo principio ripetutamente affermato, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (v. ex multis Sez. 4, n. 24616 del 27/05/2014, De Pasquale, non mass.; Sez. 4, n. 11522 del 29/01/2014, Moretti, non mass.; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991).
6. In conclusione la impugnata sentenza va annullata agli effetti penali per essere il reato addebitato all'A.G. estinto per intervenuta prescrizione, mentre il ricorso va respinto con riferimento alle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perché estinto il reato per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2015