Responsabilità di M.G. in qualità di dipendente di una sas e di M.S., in qualità di RSPP, per la morte di un soggetto presente sul posto, amico del proprietario del terreno sul quale si svolgevano i lavori di scavo per la realizzazione di un pozzo.
Viene loro addebitata la mancanza di una adeguata valutazione dei rischi e l'omissione delle necessarie misure di sicurezza nonchè delle necessarie istruzioni al lavoratore M.G..
Ad M.G. viene contestato di aver proceduto ai lavori senza applicare le armature necessarie ad evitare il franamento del terreno e di aver impropriamente utilizzato un macchinario inadeguato.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi "per le ragioni di seguito indicate:
Il M. ( S.) ha incentrato la propria tesi difensiva sulla qualificazione giuridica del contratto intercorso con il G., sostenendo che si tratterebbe di un rapporto da inquadrare nello schema del contratto di "nolo a caldo"; di tal che, ad avviso del ricorrente, la sua posizione di garanzia avrebbe comportato il solo obbligo di assicurare le condizioni di sicurezza in relazione alle caratteristiche tecniche della macchina escavatrice.
Trattasi di assunto infondato. Ed invero, a prescindere dalla natura del contratto stipulato tra il M. ed il G. - "nolo a caldo", come sostenuto dalla difesa, o appalto d'opera - i giudici del merito hanno ritenuto, con accertamento in punto di fatto insindacabile in questa sede perchè rigorosamente ancorato a specifiche risultanze probatorie (esplicitamente richiamate, come in precedenza ricordato nella parte relativa allo "svolgimento del processo"), che il M. doveva ben sapere a quale uso era destinato il macchinario richiestogli.
Avendo il G. precisato l'oggetto della prestazione richiesta, l'onere di assicurare il correlativo adempimento in situazione di sicurezza ed in regime di garanzia anche in relazione all'eventuale interferenza di terzi estranei, spettava al M. ( S.), quale noleggiatore, ed al M.G. quale operatore..."
"il M., tra l'altro, era il responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione della Bitumstrade, e l'effettuazione di scavi rientrava in una tipologia espressamente contemplata nel Piano di sicurezza della società.
Parimenti fuori discussione è la colpevolezza del M.G., per aver questi violato il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13, procedendo ad uno scavo senza predisporre le previste armature atte a prevenire il pericolo di frana e senza approntare sistemi di protezione dello scavo idonei ad evitare che persone presenti sul posto vi si potessero calare".
"Nè può condividersi l'assunto difensivo del M.G. secondo cui questi - in quanto "semplice lavoratore subordinato operatore di macchine per la movimentazione terra" (come precisato nel ricorso) - sarebbe esente da responsabilità non potendo rispondere delle eventuali omissioni e violazioni normative riconducibili al M. (pag. 5 del ricorso). La colpevolezza del M.G. appare, infatti, inequivocabilmente ancorata alla violazione di specifiche disposizioni di legge."
Va a tal proposito ricordato il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 6, oggi art. 20, D.Lgs. 81/08.
"Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 cod. pen., e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589 c.p., comma 2 e art. 590 c.p., comma 3, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purchè sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione".
SEZIONE QUARTA PENALE
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. MARINI Lionello - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenz - rel. Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
1) M.S., N. IL (OMISSIS);
2) M.G., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 07/05/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROMIS VINCENZO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Angelo Di Popolo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Fabiani Vieri Enrico che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. Tadolenci Sassolini Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
In data (OMISSIS), M.G., dipendente della s.a.s. Bitumstrade, di cui M.M. era socio accomandatario ed il figlio S. responsabile del Servizio Protezione e Prevenzione, era al lavoro su un terreno di proprietà di G.A. per eseguire, su richiesta di quest'ultimo e con un macchinario della ditta, uno scavo per la realizzazione di un pozzo.
Promossa azione penale, si procedeva per il delitto di omicidio colposo a carico del M.G., del G. (successivamente deceduto, con conseguente declaratoria di estinzione del reato nei suoi confronti) e dei due M..
All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Firenze affermava la colpevolezza dei due M. e del M.G. per il delitto di omicidio colposo - M.M. anche per le contravvenzioni contestategli - condannandoli alle rispettive pene ritenute di giustizia, previo riconoscimento delle attenuanti generiche con valutazione di equivalenza rispetto all'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separato giudizio.
La sentenza era appellata dagli imputati, i quali, per la parte che in questa sede rileva, sollecitavano pronuncia assolutoria, muovendo innanzi tutto dal presupposto che M.S., quale responsabile e direttore tecnico della Bitumstrade, aveva noleggiato al G. una macchina per movimentazione terra con operatore, senza che gli fosse stata indicata la natura dei lavori da effettuare, lavori che avrebbero dovuto essere eseguiti in economia e secondo le direttive e responsabilità del committente; tra le parti, secondo la tesi difensiva, sarebbe stato stipulato un contratto c.d. di "nolo a caldo": di tal che, tutte le esigenze operative per l'esecuzione del lavoro, diverse dalla macchina, sarebbero state soddisfatte dal committente che eseguiva in proprio l'opera, e, in caso di infortunio, il proprietario-noleggiatore sarebbe stato chiamato a risponderne solo se l'infortunio stesso avesse trovato causa nel funzionamento e nelle deficienze antinfortunistiche della macchina.
La Corte d'Appello di Firenze confermava l'affermazione di colpevolezza nei confronti di M.S. e di M. G., riducendo tuttavia la pena previa valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche; la Corte distrettuale pronunciava invece sentenza di assoluzione nei confronti di M.M., in ordine a tutti i reati allo stesso ascritti, con la formula "per non aver commesso il fatto", essendo risultata la sua estraneità alla vicenda per non essere stato in alcun modo informato del lavoro da svolgere sul terreno del G..
La Corte stessa disattendeva le argomentazioni difensive sulla base di rilievi che possono così riassumersi:
Ad avviso del giudice di secondo grado, macroscopica appariva poi la colpevolezza del M.G., per aver questi, in palese violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13 , effettuato lo scavo senza adottare alcuna misura di sicurezza, a nulla rilevando che egli non rivestisse la qualifica di preposto; nè poteva dirsi che egli non avesse alcuna autonomia decisionale, posto che il G., pensionato e privo di qualsiasi competenza in materia di movimento terra e scavi, non gli aveva dato alcuna indicazione circa le modalità di effettuazione dello scavo; comunque il M.G. aveva violato anche "gli ordinari precetti di diligenza e perizia essendo evidente l'assoluta pericolosità di uno scavo con quelle caratteristiche" (così testualmente a pag. 6 della sentenza d'appello).
Ricorrono per Cassazione M.S. e M.G., tramite il difensore e con unico atto, deducendo vizio motivazionale e violazione di legge con argomentazioni finalizzate a suffragare quelle doglianze e quelle tesi sottoposte al vaglio della Corte Territoriale, innanzi ricordate, e dalla Corte medesima respinte.
In particolare, il M. sostiene che la Corte distrettuale sarebbe incorsa in errore di impostazione, con conseguente vizio di motivazione anche in ordine alle valutazioni probatorie, posto che avrebbe considerato la fattispecie inquadrabile nello schema di un appalto d'opera e non in quello di un contratto di "nolo a caldo":
con riferimento ad un rapporto contrattuale corrispondente a tale ultima figura, il M. era chiamato a rispondere, per un verso, delle condizioni della macchina, e, per altro verso, della formazione del lavoratore al fine di garantire, nell'espletamento dell'attività lavorativa, la capacità del lavoratore stesso e, conseguentemente, la sua sicurezza.
Il M.G., dal canto suo, deduce che sarebbero stati ipotizzati a suo carico doveri ed obblighi propri del datore di lavoro, essendo stato chiamato a rispondere dell'uso di una macchina, ritenuta inadeguata, che a lui era stata affidata dal suo datore di lavoro.
Diritto
I ricorsi devono essere rigettati per le ragioni di seguito indicate.
Il M. ( S.) ha incentrato la propria tesi difensiva sulla qualificazione giuridica del contratto intercorso con il G., sostenendo che si tratterebbe di un rapporto da inquadrare nello schema del contratto di "nolo a caldo"; di tal che, ad avviso del ricorrente, la sua posizione di garanzia avrebbe comportato il solo obbligo di assicurare le condizioni di sicurezza in relazione alle caratteristiche tecniche della macchina escavatrice.
Trattasi di assunto infondato.
Ed invero, a prescindere dalla natura del contratto stipulato tra il M. ed il G. - "nolo a caldo", come sostenuto dalla difesa, o appalto d'opera - i giudici del merito hanno ritenuto, con accertamento in punto di fatto insindacabile in questa sede perchè rigorosamente ancorato a specifiche risultanze probatorie (esplicitamente richiamate, come in precedenza ricordato nella parte relativa allo "svolgimento del processo"), che il M. doveva ben sapere a quale uso era destinato il macchinario richiestogli.
D'altra parte quanto affermato dalla Corte territoriale risponde pienamente anche a criteri di logica: non è infatti concepibile che il G. avesse chiesto al M. di mandargli una macchina "sic et simpliciter" senza alcuna indicazione circa il lavoro da svolgere.
La colpa del M. trova quindi fondamento nella palese violazione delle disposizioni di legge indicate nella contestazione dell'addebito: il M., tra l'altro, era il responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione della Bitumstrade, e l'effettuazione di scavi rientrava in una tipologia espressamente contemplata nel Piano di sicurezza della società.
Parimenti fuori discussione è la colpevolezza del M.G., per aver questi violato il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13, procedendo ad uno scavo senza predisporre le previste armature atte a prevenire il pericolo di frana e senza approntare sistemi di protezione dello scavo idonei ad evitare che persone presenti sul posto vi si potessero calare; nè il M.G. potrebbe addurre a propria discolpa l'inesperienza in lavori del genere, e la mancanza di informazioni, avendo egli stesso precisato di aver comunque effettuato in precedenza qualche buca, sia pure di ridotte dimensioni, e non potendo egli non percepire, durante l'esecuzione del lavoro, il concreto pericolo derivante dalle seguenti circostanze di fatto:
Nè può condividersi l'assunto difensivo del M.G. secondo cui questi - in quanto "semplice lavoratore subordinato operatore di macchine per la movimentazione terra" (come precisato nel ricorso) - sarebbe esente da responsabilità non potendo rispondere delle eventuali omissioni e violazioni normative riconducibili al M. (pag. 5 del ricorso).
La colpevolezza del M.G. appare, infatti, inequivocabilmente ancorata alla violazione di specifiche disposizioni di legge.
Specifica fonte normativa della responsabilità (anche) del lavoratore è ravvisabile nel D.P.R. n. 164 del 1956, art. 3 , secondo cui all'osservanza delle norme del decreto stesso "sono tenuti coloro che esercitano le attività indicate nell'art. 1 , e, per quanto loro spetti e competa, i dirigenti, i preposti ed i lavoratori in conformità al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4 , 5 e 6 ".
Infondata è la doglianza, comune ad entrambi i ricorrenti, circa l'asserita imprevedibilità ed abnormità della condotta della vittima.
Sarebbe già sufficiente evidenziare che lo stesso M.G., già prima del D.I., aveva avuto necessità di calarsi nella prima buca per proseguire il lavoro più in profondità.
Ma vi è di più.
Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, dello stesso D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 3, comma 2 , non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende all'attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dal citato D.P.R. n. 547 del 1955 e citato D.P.R. n. 164 del 1956 ; obbligo che prescinde completamente dalla individuazione di coloro nei cui confronti si rivolge la tutela approntata dal legislatore.
In senso conforme si è espressa ancora la Sez. 4, con la Sentenza n. 11360 del 10/11/2005 - dep. 31/03/2006 - Rv. 233662, P.M. in proc. Sartori ed altri, secondo cui "in tema di lesioni e di omicidio colposi, perchè possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale non può ritenersi escluso solo perchè il soggetto colpito da tale evento non sia un lavoratore dipendente (o soggetto equiparato) dell'impresa obbligata al rispetto di dette norme, ma ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 cod. pen..
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
I ricorrenti devono essere altresì condannati, in solido, al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili - C.C., O.C. e D.I.D. - in questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.226,87, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali e di quelle in favore delle parti civili C.C. in proprio e nella qualità, O. C., D.I.R., e liquida le stesse in Euro 4.226,87 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2009