Cassazione Civile, Ord. Sez. 6, 22 marzo 2016, n. 5655 - Infortunio sul lavoro: nessun pregio per la prospettazione di una responsabilità oggettiva
Non ha pregio la prospettazione di una responsabilità oggettiva sol che si consideri che, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
Presidente: ARIENZO ROSA Relatore: MAROTTA CATERINA Data pubblicazione: 22/03/2016
FattoDiritto
1 - La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 cod. proc. civ., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis cod. proc. civ., che ha concluso per il rigetto del ricorso, condivisa dal Collegio.
2 - L.C. impugnava innanzi alla Corte di appello di Roma la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda dal medesimo proposta nei confronti dell’ATAC S.p.A. intesa ad ottenere il risarcimento danni biologico e morale in conseguenza dell’infortunio sul lavoro verificatosi in data 19/6/2003. La Corte territoriale confermava la decisione di primo grado ritenendo che il L.C. non avesse fornito la prova dello svolgimento dei fatti descritti in ricorso i quali non avevano trovato riscontro nelle deposizioni testimoniali.
Avverso tale sentenza L.C. propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
L’ATAC S.p.A. resiste con controricorso.
Non sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, cod. proc. civ..
3 - Con l’unico motivo il ricorrente denuncia: “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato come nella fattispecie in esame si fosse in presenza di uno di quei casi di responsabilità che la legge prevede senza indagare sul comportamento del soggetto. Richiama a tal fine il TU n. 1124 del 1965 ed il d.lgs. n. 38/2000 nonché gli artt. 32, 35 e 38 della Cost.. Rileva che l'incidente in questione si era verificato durante l’orario di lavoro e che dunque sussisteva un rapporto di occasionalità necessaria che giustificava la configurabilità di una responsabilità oggettiva.
4- Il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque manifestamente infondato.
Il rilievo, che dà per scontata la riconducibilità dell’infortunio occorso al L.C. all’attività lavorativa svolta quale dipendente della Trambus S.p.A. (ora ATAC S.p.A.), non è invero conferente rispetto al decisum della Corte territoriale incentrato sull’assunto che delle circostanze come descritte in ricorso non fosse stata fornita alcuna prova.
Tale assunto, basato su un accertamento di fatto, non sarebbe neppure sindacabile in questa sede sotto il profilo del vizio motivazionale.
Ed infatti, il nuovo art. 360, n. 5, cod. proc. civ., introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, norma che, ai sensi dell’art. 54, comma 3 D.L. cit., è applicabile ai ricorsi proposti avverso una sentenza pubblicata successivamente al trentesimo giorno dall’entrata in vigore (12/8/2012) della legge di conversione, ammette il ricorso solo per l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Detta riformulazione dell’art 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/14).
Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicché neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierno ricorrente.
Né ha pregio la prospettazione di una responsabilità oggettiva sol che si consideri che, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr. ex multis Cass. 17 febbraio 2009, n. 3785; Cass. 17 aprile 2012, n. 14192; Cass. 7 agosto 2012, n. 14192; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1312).
5 - Conseguentemente il ricorso va rigettato.
6 - La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
7- Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
La suddetta condizione sussiste nella fattispecie in esame.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2016