Tribunale di Milano, 28 ottobre 2015 - Caduta dal trabattello e rischi interferenziali. Responsabilità amministrativa della società
TRIBUNALE PENALE DI MILANO
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Giudice dr.ssa Elisabetta CANE VINI, della sezione IX penale, all’udienza del 15/10/2015, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA
, nata il a (MI) e res.te in
dom. dich., difesa di fiducia Aw. Elena Petriccioli
IMPUTATA
Vedi Allegato
IMPUTATI
Del reato previsto dagli artt. 113, articolo 590. commi 1.2. 3 e 5 c.p. per aver cagionato mediante la loro condotta, in qualità di figure responsabili. (Amministratore Unico della impresa A . con sede legale in (datore di lavoro della ditta .con sede legale in via in cooperazione tra loro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e comunque per colpa specifica meglio di seguito descritta, cagionavano lesioni personali gravi a consistiti in frattura allo sterno, trauma distorsivo cervico - dorsale, TLC retro aurico lare destra che avvenivano per effetto della caduta al suolo da un' altezza di circa 6 metri mentre l'infortunato si trovava sul trabattello, ribaltatosi a causa dal movimento dal carroponte che lo colpiva.
Evento prevedibile, prevenibile ed evitabile avvenuto per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline nel seguito meglio specificate per ciascuno degli imputati ovvero:
perché, in qualità di titolare della ditta . durante la realizzazione dei lavori non osservava le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro in quanto, nell’affidamento dei lavori di manutenzione delle pompe di calore poste all'interno della propria azienda alla ditta di non provvedeva a promuovere il coordinamento degli interventi al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle due imprese omettendo di elaborare un unico documento di valutazione dei rischi indicante le misure adottate per eliminare ovvero ridurre al minimo i rischi di interferenza. Art. 26 comma 2 e 3 del d.lgs. 81/08.
perché, in qualità datore di lavoro della ditta di per negligenza, imperizia e imprudenza non si atteneva ai principi e alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e metteva a disposizione del un ponte su ruote non ancorato alla costruzione almeno ogni due piani, in considerazione del fatto che lo stesso ponte non era costruito in conformità all'allegato XXIII del D.lvo 81/08. Inoltre, le ruote del ponte erano sprovviste di cunei o altro dispositivo di bloccaggio e perché, in qualità di datore di lavoro, non cooperava con (rappresentante legale dell'azienda committente) ai fini dell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa ciò comportando la mancata attuazione dì misure di prevenzione dai rischi di interferenza derivanti dall'uso contemporaneo del ponte su ruote di proprietà della ed il carroponte di proprietà dell'azienda. Artt. 140 comma 2 e 4; 26 comma 2 lettera a), del d.lgs. 81/08
Fatto accaduto in (Milano) in data 9 ottobre 2012.
In esito all’odierno dibattimento, celebratosi in presenza dell'imputata, sentite le parti che hanno adottato le seguenti
CONCLUSIONI
il Pubblico Ministero nella persona di dr.ssa Marchini v.p.o.:
chiede per dichiararsi la penale responsabilità e concesse le att. gen. ammenda di euro 30.000/00 la Difesa, nella persona dell’Avv. Elena Petriccioli:
Assoluzione perché il fatto non sussiste, in subordine minimo della pena con applicazione delle att. di cui all’art 12 lett. a
FattoDiritto
Con decreto di citazione diretta a giudizio in data 04.08.2014, veniva tratta a giudizio per rispondere dell'illecito amministrativo di cui agli arti. 25 septies 59 D.L.vo 231/01 per avere - in assenza di modello organizzativo - realizzato un vantaggio per l'ente in dipendenza del mancato rispetto di norme previste in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, non ottemperando agli obblighi del datore di lavoro come impresa affidataria dei lavori - in occasione del reato consumato di lesioni colpose ai danni del dipendente fino al 09.10.2012 (imputazione meglio descritta in intestazione ed originariamente mossa anche alla ' società che definiva la propria posizione con sentenza di applicazione pena).
Parallelamente, col medesimo decreto veniva mossa contestazione del reato di cui all'art. 590 cp nei confronti dei legali rappresentanti delle suddette società e All'udienza dell'08.04.2015 la difesa della suddetta persona giuridica chiedeva procedersi con rito abbreviato. Il giudice disponeva in conformità.
All’odierna udienza le parti concludevano come da verbale, ed il giudice decideva come da dispositivo, del quale si dava lettura.
Ritiene questo Giudice che, alla luce degli atti acquisiti, siano emersi elementi fondanti un giudizio di sussistenza della responsabilità amministrativa dell’ente in esame.
Dagli atti di indagine presenti nel fascicolo depositato dal PM risulta che il 9.10.2012 presso la ditta di si svolgevano lavori di ripristino dei tubi di scarico dei
fumi e di presa d’aria delle caldaie. Con regolare contratto di appalto la incaricava dello svolgimento dei suddetti lavori la che a tal fine inviava sul posto i propri dipendenti e i quali portavano con sé il materiale necessario all’espletamento dell’incarico, tra cui un trabattello montabile per raggiungere la quota di lavoro (m. 7 da terra). Una volta montato il trabattello, munito di imbragatura anticaduta ancorata alla struttura stessa, vi saliva mentre restava a terra per passargli il materiale.
Nell’occasione, i due chiedevano a capo officina della li presente, di spostare delle casse di materiale che ostacolavano i lavori, a tal fine riteneva di utilizzare il carroponte. Tuttavia, azionava erroneamente la pulsantiera dei comandi e ne determinava lo spostamento verso destra, mandandolo così a collidere con il trabattello sul quale si trovava il
L'urto ne causava il ribaltamento e la conseguente caduta dell’operaio che prima colpiva con lo sterno la struttura del trabattello in caduta e poi veniva sbalzato al suolo.
Ne riportava la frattura dello sterno, un trauma distorsivo cervico dorsale e una ferita lacerocontusa retro auricolare dx con prognosi iniziale di 14 gg, poi protrattasi per 53 giorni.
Dagli accertamenti svolti dalla ASL di Milano 2 intervenuta sul posto, emergeva che il trabattello non era stato fissato con appositi cunei ferma ruote né ancorato ad alcuna parere fissa (cfr. atti relativi alla “inchiesta Infortunio” redatti il 12,02.2013 dalla ÀSL Milano 2 e ulteriori atti ad essa allegati, atti relativi all’infortunio patito da . durato 53 giorni, rilievi fotografici, verbale di prescrizioni, dichiarazioni della parte offesa e dei testi,denuncia infortunio, visure camerali).
Tali elementi convincono della sussistenza del reato presupposto di cui all'art. 590 cp come qui contestato anche al legale rappresentante della atteso che la dinamica del sinistro così ricostruita consente di affermare che le lesioni patite da sono derivate in diretta concatenazione causale dalle omissioni del datore di lavoro quanto alle prescrizioni relative alle modalità di utilizzo e di messa in sicurezza del trabattello, nonché dal difetto di coordinamento tra il personale della e quello della , dal quale derivava l’interferenza nelle attività in esame (la manovra del carroponte che urtava il trabattello).
Dagli atti sopra richiamati, inoltre, emerge che la fosse priva di modello organizzativo ai sensi dell’art. 30 D.L.vo 81/80.
Considerata la posizione apicale di legale rappresentante della è inoltre prospettabile la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi dell’art. 25 septies D.L.vo 231/2001 e la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 5 D.L.vo 231/2001 atteso che le lesioni patite da si sono verificate a causa (come contestato) del difetto di
coordinamento tra le due società coinvolte in vista di un più rapido adempimento del lavoro da svolgere.
Coni’è noto, la figura di responsabilità delle persone giuridiche introdotta ormai non più di recente dal D.L.vo 231/2001 è stata oggetto di animato dibattito al fine di un suo corretto inquadramento sistematico, mosso dalla necessità di stabilire il genus di tale forma di responsabilità onde verificarne la compatibilità con il sistema costituzionale della responsabilità penale, e del noto principio societas delinquere non potest, secondo alcuni insito nel dettato dell’alt. 27 Cost.
Il richiamo ad una forma di responsabilità tramite la previsione normativa di sanzioni conseguenti a condotte riconducibili ad organi sociali deriva direttamente dalla sentita necessità di sollecitare condotte virtuose e prassi preventive collegando direttamente la ricaduta sanzionatoria sulla persona giuridica anziché sulle singole persone fisiche che la rappresentano. Con il doppio risultato di attribuire il peso economico della “buona prassi” al soggetto giuridico che meglio lo può sostenere e di evitare le conseguenze dell'avvicendamento nelle cariche sociali.
Si è così parlato di colpa per la politica di impresa, o di colpa di organizzazione individuando la fonte della responsabilità della persona giuridica nel mancato rispetto di regole specialpreventive di organizzazione, appositamente predisposte per evitare la commissione di reati da parte di soggetti esponenziali dell’ente.
Un solido argomento a sostegno della compatibilità costituzionale del sistema di responsabilità introdotto dal D.L.vo in esame, è poi stato offerto dalla giurisprudenza di legittimità, atteso che la Suprema Corte ha espressamente escluso la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 d.lgs. 231/2001 con riferimento all’alt. 27 Cost. Si richiama, in particolare, quanto stabilito da Cass. sez, VI del 18.02.2010 n. 27735: “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art 5 dlgs 8 giugno 2001 n. 231, sollevata con riferimento all'art. 27 Cost, poiché l'ente non è chiamato a rispondere di un fatto altrui, bensì proprio, atteso che il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti inseriti nella compagine della persona giuridica deve considerarsi in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega i primi alla seconda. ”.
Peraltro, la violazione del precetto va ricondotta alla carenza organizzativa in presenza della quale si creano condizioni tali da consentire la realizzazione del reato, o meglio da non prevenirne la realizzazione stessa. Con evidente richiamo, a parere di chi scrive, alla costruzione colposa della responsabilità sia in termini di ricostruzione della materialità del fatto sia con riferimento ai profili di esigibilità della condotta nell’alveo del quadro normativo di riferimento come ventaglio delle norme di prevenzione/organizzazione che la società deve adottare al fine di escludere la confìgurabilità della responsabilità ex D.L.vo 231/2001.
In tal senso deve essere letto il complesso sistema dei modelli organizzativi che con il riferimento a protocolli, al potere dì controllo conferito ad organi esterni, a verifiche periodiche della tenuta del sistema e simili offrono un forte richiamo al modello di diligenza tipico della costruzione colposa della responsabilità.
A fronte di tale costruzione, poi, il fatto di reato commesso dai soggetto legato funzionalmente alla società si pone come evento presupposto affinchè possa operare la forma di responsabilità in esame. In tal senso si è pronunciata nuovamente la Suprema Corte affermando che si tratta di “una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale ” (Cass. 09.07.2009 n. 36083) con la quale può affermarsi oggi che con il D.L.vo 231/2001 è stato delineato un sistema di responsabilità per fatto proprio della società e - appunto - una forma di colpa di organizzazione sotto forma di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale. Pare dunque sterile il persistente tentativo di inquadrare sistematicamente tale tipo di responsabilità tra i concetti di responsabilità amministrativa, di responsabilità penale o di tertium genus.
Ciò posto, i criteri di imputazione della responsabilità dell’ente poggiano su una triplice serie di requisiti (art 5 D.L.vo 231/2001): la commissione di uno dei reati presupposto; la qualifica dell’agente quale soggetto funzionalmente legato all’ente, anche in via di fatto; la realizzazione della condotta nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.
Quanto al primo dei suddetti requisiti, la ricostruzione del contenuto degli atti qui acquisiti sopra esposta, come si è detto, convince della sussistenza del reato presupposto.
Si è altresì verificato che porta la duplica veste di datore di lavoro di e di legale rappresentante della società che non risulta aver avuto un modello di organizzazione o di gestione in opera al momento del fatto. Non vi è dunque spazio per la valutazione della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 6 D.L.vo 231/2001. Ancora, le osservazioni che si sono svolte in precedenza consentono di affermare che i fatti si sono realizzati tramite le condotte di soggetti apicali delle rispettive società.
Ciò posto, occorre ricordare che l’applicabilità del corpo normativo del D.L.vo 231/2001 ai reati colposi di evento (quali quelli indicati dall’art. 25 septies, tra cui l’art. 590 cp qui contestato), ha posto non poche perplessità applicative.
Partendo dalla qualificazione dei concetti di interesse o vantaggio indicati dall’art. 5 D.L.vo 231/2001 quali formanti del criterio di imputazione soggettiva, si è infatti sostenuto che la responsabilità dell’ente non sarebbe compatibile con la realizzazione di reati colposi, atteso che l’evento (in questo caso le lesioni) non deve essere voluto proprio in forza della prospettazione colposa della fattispecie e comunque non costituisce un vantaggio per l’ente. Si tratterebbe, dunque, di tensione finalistica che caratterizza l’atteggiamento soggettivo dell’agente. Ma non può che rilevarsi come una tale impostazione porta a sovrapporsi ai requisiti soggettivi della fattispecie presupposto. In altre parole, così argomentando, si introdurrebbe una sorta di ulteriore requisito psicologico costituito dalla volontaria consapevolezza di agire al fine (eventualmente ulteriore rispetto a quello tipico del reato presupposto) di procurare interesse o vantaggio all’ente.
Più convincente si ritiene la diversa impostazione che esclude l’utilizzo dei concetti di interesse o vantaggio come parametri di valutazione soggettiva, limitandone la portata alla delineazione della obiettiva idoneità della condotta a produrre effetti vantaggiosi per l'ente, così anche limitando la connotazione soggettiva della responsabilità dell’ente alla colpa di organizzazione come criterio di rimproverabilità.
Tale lettura, in primo luogo, consente di fornire concreta operatività alla previsione dell'art. 25 septies D.L.vo 231/2001, che altrimenti ne resterebbe priva.
In secondo luogo, si deve ricordare che la piena compatibilità della responsabilità dell’ente in relazione alla realizzazione di reati colposi è stata nuovamente confermata dal legislatore con la previsione dell'art 25 undecies D.L.vo 231/2001, relativo ai reati ambientali (in larga misura puniti a titolo di colpa, peraltro introdotto in attuazione della Direttive CE 2008/99 sulla tutela penale dell’ambiente).
Seguendo tale impostazione, dunque, occorre verificare se la realizzazione del reato presupposto abbia in concreto comportato effetti qualificabili come interesse o vantaggio per l’ente o se siano stati realizzati nell’esclusivo interesse dell’agente o di terzi.
A ciò deve aggiungersi che laddove, come nella specie, il reato presupposto sia stato commesso da soggetto qualificato nell’ente, proprio aderendo all’impostazione obiettiva che sopra si è sintetizzata, pare difficile scindere la nozione di condotta da quella di interesse o vantaggio per l’ente.
Infatti, in tali casi, la posizione apicale del soggetto agente, porta a ritenere coincidente la attività dell’agente con l’interesse dell’azienda. Per quanto si sia sviluppata ampia riflessione sul punto, la costruzione sistematica della nozione evidenzia come dato significativo il confine esterno costituito dall’alt. 5 u.c. D.L.vo 231/2001 laddove esclude la prospettabilità di responsabilità amministrativa dell’ente ove l’agente abbia agito nel suo esclusivo interesse od in quello di terzi estranei all’azienda. Quasi a fornire un criterio di accertamento da sviluppare in negativo, parendo sufficiente la verifica della sua assenza per poter affermare la sussistenza dell’interesse o del vantaggio.
Quanto poi alla delimitazione dei concetti di interesse o vantaggio, ancora una volta l’attività ermeneutica deve muovere dalla dato letterale in uno con quello sistematico. Significativo spunto di lettura è offerto dalla ormai non recente pronuncia della Suprema Corte, con la quale si chiariva che: “in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa con cui se ne individua il presupposto nella commissione dì reati nel suo interesse o a suo vantaggio non contiene un'endiadi, perchè i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse a monte per effetto dì un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante, sicché l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale” (Cass. Sez. 2 n. 36215 del 20.12.2005).
Si tratta, dunque, di concetti che pongono in evidenza qualunque forma di effetto positivo per l'azienda obiettivamente collegato alla condotta presupposto, non a caso in termini distinti rispetto alla più tecnica nozione di profitto indicata dall'art. 19 D.L.vo 231/2001 ai fini della confisca. Particolare connotazione, poi, emerge nei casi in cui, come nella specie, il reato presupposto sia colposo.
Si è già detto che l’evento oggetto dell’orientamento finalistico dell’ente, nei reati del tipo di quello che qui ci occupa, non deve esser individuato nelle lesioni patite dal lavoratore, ma nella condotta colposa che ne ha costituito il presupposto. Con ciò, tuttavia, si rischia di affermare la sussistenza di interesse o vantaggio per l’ente ogni qual volta l’evento lesivo si sia verificato nello svolgimento dell’attività produttiva dell’azienda, Come affermato da recente giurisprudenza di merito (Trib. Novara 01.10.2010) pare opportuno verificare in concreto se la condotta di violazione di norme cautelari sia anche idonea a costituire interesse (o più facilmente) un vantaggio per l’ente, vuoi sotto il profilo del risparmio di spese, vuoi di un generico contenimento dei costi di gestione, di accelerazione del ciclo produttivo, et similia.
Nel caso di specie può ritenersi provato un diretto interesse a svolgere i lavori in tempi ristretti, atteso che la aveva appositamente sospeso l'attività per consentire il lavoro degli operai della .
Inoltre, la ha dotato i propri dipendenti di attrezzatura non conforme all’attività che essi dovevano realizzare, dando luogo al corrispondente risparmio di spesa. Altrettanto significativo, infine, è ricordare come siano mancate forme di coordinamento tra le due aziende presenti sul posto, carenza che ha giocato in termini incisivi sulla realizzazione dell’evento e la cui predisposizione avrebbe invece comportato la protrazione dei tempi di realizzazione del lavoro e l’elevazione dei suoi costi.
L’interesse ad una rapida realizzazione dell’opera è direttamente collegabile con l’accantonamento dei presidi di sicurezza necessari ad una operatività idonea ad evitare eventi del tipo di quello qui in esame. Interesse che sicuramente può essere individuato in capo alla persona giuridica qui chiamata a rispondere.
Deve dunque essere dichiarata la responsabilità di per l’illecito amministrativo qui ascrittole.
Venendo alla determinazione delle sanzioni, va ricordato che la non risulta tuttora aver adottato alcun modello organizzativo.
Occorre, inoltre, segnalare che. è noto, per essere stato documentato dalla che è stato risarcito con la somma di € 4000,00, liquidata da una compagnia di Assicurazione.
Ai fini del presente giudizio deve dunque essere esclusa la sussistenza delle pur invocate attenuanti di cui all'art 12 co. 1 lett. b) e 12 co. 2 lett. a) D.L.vo 231/01. Va infatti ricordato che ha riportato lesioni dalle quali è derivato un infortunio della durata di 53 giorni, il ristoro ricevuto è dunque del tutto insufficiente rispetto alla effettiva entità del danno patito. Peraltro, non vi è traccia di chi avesse stipulato il contratto di assicurazione con la compagnia che ha provveduto alla liquidazione, non potendosi pertanto attribuire il pur insufficiente risarcimento ad una condotta della
Può, invece, ritenersi sussistente l’attenuante di cui all’art. 12 co. 1 lett. a) D.L.vo 231/2001 atteso che il pur prospettato vantaggio conseguito alla in relazione alla condotta qui in esame si è tradotto in un risparmio di spesa e di tempo di scarsa portata.
Venendo alla quantificazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 25 septies co 2 D.L.vo 231/2001 deve essere individuata quale pena base quella di 250 quote da €258 ciascuna, per un totale di € 64.500, ridotta della metà ai sensi dell'art 12 co. 1 lett a) D.L.vo 231/01 ad €32.250,00, ed ancora ridotta ad € 21.500,00 per il rito.
Ai sensi dell'art. 69 D.L.vo 231/2001 segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visti gli artt. 62 D.L.vo 231/01 e 442 ss cpp
DICHIARA
responsabile dell’illecito amministrativo a lei ascritto e, ritenuta l’attenuante di cui all’alt. 12 co. 1 lett. a) D.L.vo 231/01 e ridotta la pena per il rito, la
CONDANNA
Al pagamento della sanzione pecuniaria di€21.500,00
Visto l’alt. 69 D.L.vo 231/01
CONDANNA
la suddetta società al pagamento delle spese processuali
Milano 15.10.2015
Deposito 28.10.2015