Cassazione Penale, Sez. 3, 24 agosto 2016, n. 35424  - Reati in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro. Ricorso inammissibile


 

Presidente: GRILLO RENATO Relatore: DI STASI ANTONELLA Data Udienza: 25/05/2016

Fatto

1. Con sentenza del 16.12.2014 Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze dichiarava M.F. colpevole dei reati in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro, di cui agli artt. 146 comma 1 e 159 comma 2 lett. c) del d.lgs n. 81/2008, di cui agli artt. 118 comma 1 e 159 comma 2 sub a) d.lgs 81/2000 e di cui agli artt. 122 comma 1 e 159 comma 2 sub a d.lgs 81/2000 e lo condannava pena complessiva di euro 5.200,00 di ammenda.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.F., per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 lett. e) cod. proc. pen., argomentando che il Giudice fondava la affermazione di responsabilità limitandosi a riportare il verbale di sopralluogo redatto dagli operatori del Dipartimento della Prevenzione della Azienda U.S.L. di Empoli in data 15.4.2010, senza spiegare le ragioni del suo convincimento e senza dimostrare di avere tenuto presente tutte le risultanze processuali.
Con il secondo motivo il ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 157,159 e 160 cod. pen., argomentando che il Giudice avrebbe dovuto emettere sentenza di non doversi procedere per estinzione delle contravvenzioni per prescrizione.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 132,133,62 bis e 81 cod. pen., argomentando che il Giudice avrebbe dovuto valutare tutti i criteri previsti dall'art. 133 cod. pen. riconoscere le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione ed applicare il minimo aumento per la continuazione.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 8 della legge n. 689/1981 per mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra le contravvenzioni contestate.
Argomenta che tale norma, che riconosce il vincolo della continuazione tra le contravvenzioni, ha la stessa natura giuridica e ratio della disposizione di cui all'art. 81 cpv cod. pen.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
 

Diritto


1. Il primo motivo è inammissibile; ne va rilevata la aspecificità ai sensi degli artt. 591 e 581 cod, proc. pen.
Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe valutato il compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua responsabilità, e senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.
Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio, senza l'indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla capacità dimostrativa delle prove raccolte.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest'ultima dectinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l'area di competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Trattandosi di contravvenzioni, ai sensi dell'art. 157 cod. pen, il termine prescrizionale ordinario è di quattro anni ed il termine massimo ai sensi degli artt. 160 e 161 cod. pen. è di cinque anni.
Ne deriva che, tenuto conto della data di accertamento dei reati- 15.4.2010- il termine massimo della prescrizione maturava il 15.4.2015 e, quindi, successivamente alla pronuncia della sentenza appellata.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La pena applicata è di natura pecuniaria e non supera la misura media edittale; il Tribunale ha fatto buon uso dei criteri di cui all'alt. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena, richiamando la modestia delle violazioni rilevate e la circostanza che le stesse siano state tempestivamente eliminate nonché la personalità dell'imputato desunta dalla carenza di gravi precedenti penali a suo carico.
Del resto costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base ( ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena.(Sez.2, n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 del 20/03/2013, Rv.256197).
Con riferimento alle circostanze attenuanti generiche, va rilevato che, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata e dal verbale di udienza del 16.12.2014, la difesa dell'imputato in sede di conclusioni non formulava specifica istanza in merito.
Va, quindi, richiamato il principio di diritto in base al quale il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (Sez.3,n.11539 del 08/01/2014, Rv.258696; Sez.l,n.6943 del 18/01/1990, Rv.184311; Sez.2,n.2344 del 13/07/1987,dep.23/02/1988, Rv.177678).
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Va rilevato che la continuazione esterna tra le singole condotte contravvenzioni non è stata contestata all'imputato e che, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata e dal verbale di udienza del 16.12.2014, la difesa dell'imputato in sede di conclusioni non formulava specifica richiesta in tal senso.
Alcun obbligo di motivazione, pertanto, sussisteva, pertanto, a carico del giudice di merito.
Peraltro, va ricordato che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l'elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali. (Sez.3 ,n. 10235 del 24/01/2013, Rv.254423).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. 
6. L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez.U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez.U ,n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25/05/2016