Cassazione Penale, Sez. 7, 22 settembre 2016, n. 39416  - Mancata designazione del RSPP e omessa protezione delle buche nel pavimento


 

Presidente: GRILLO RENATO Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA Data Udienza: 06/06/2016

Fatto


1. - Il Tribunale ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda, per i reati di cui agli artt. 17, comma 1, lettera b), 64, comma 1, lettera a), con riferimento all'allegato IV, punti 1.4.9. e 1.4.10., del decreto legislativo n. 81 del 2008, perché, quale legale rappresentante di una società, ometteva di designare il responsabile del servizio di protezione e prevenzione dei rischi e ometteva di proteggere le buche delle canalizzazioni al pavimento, in modo da rendere sicuro il movimento dei lavoratori, tenendo cavi di alimentazione e tubazioni in maniera disordinata sul pavimento.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, impugnazione qualificata come appello, deducendo vizi della motivazione della sentenza, per la mancata considerazione dell'insufficienza delle prove in relazione alla responsabilità penale. La difesa afferma che l'imputato non era presente al momento degli accertamenti e che aveva disconosciuto la firma del soggetto che aveva ricevuto la raccomandata contenente l'indicazione delle violazioni. Si sarebbe trascurato di considerare, inoltre, le dichiarazioni rese dall'imputato, che si ponevano in contrasto con quanto accertato dai funzionari della Asl sul luogo. In via subordinata, si chiede l'assoluzione dell'imputato per insufficienza di prove o, in ogni caso, la concessione le circostanze attenuanti generiche.
 

Diritto


3. - Preliminarmente l'impugnazione - trasmessa a questa Corte dalla Corte d'appello di Lecce con ordinanza del 30 settembre 2014 - deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna alla sola pena dell'ammenda.
Il ricorso è inammissibile, perché meramente diretto a contestare la motivazione della sentenza impugnata, senza l'individuazione - neanche in via di mera prospettazione - di vizi riconducibili alle categorie di cui all'art. 606 cod. proc. pen.
Quanto alla prova della responsabilità penale, è sufficiente qui rilevare che la stessa è rappresentata da quanto direttamente accertato dal funzionario della Asl che ha proceduto alla verifica dello stato dei luoghi, riscontrando violazioni della normativa in materia di sicurezza sul lavoro ed emettendo il relativo verbale di prescrizioni. Il Tribunale si fa correttamente carico di analizzare anche le dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del suo esame, evidenziandone l'inattendibilità sugli elementi decisivi; così come parzialmente inattendibili risultano le deposizioni dei testimoni sentiti a discarico. E tali argomentazioni non sono certamente intaccate sul piano logico-giuridico dalle semplici asserzioni difensive di segno contrario contenute nel ricorso. Non possono essere prese in considerazione le richieste di assoluzione per insufficienza di prove e di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo tali richieste riconducibili, neanche in via interpretativa, a vizi della motivazione o violazioni di legge rilevabili in sede di legittimità.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2016.