Cassazione Civile, Sez. 6, 03 agosto 2016, n. 16106 - Uso di attrezzatura di lavoro semovente. Questioni procedurali
Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: PAGETTA ANTONELLA Data pubblicazione: 03/08/2016
FattoDiritto
Il Tribunale di Como, in accoglimento della domanda dell'INAIL, ha condannato S.M. al pagamento della somma di € 106.127,35 a titolo di rimborso delle somme erogate dall’istituto assicuratore a titolo di prestazioni inerenti all’infortunio occorso in data 10 febbraio 2005 al lavoratore S.O., all’interno del cantiere della ditta di cui il S.M. era titolare.
La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Bologna.
Il giudice di appello, pur dando atto della scarsità degli argomenti addotti dal Tribunale, il quale aveva equiparato la richiesta di patteggiamento della pena ad un esplicito riconoscimento di colpa da parte dell'imputato S.M., ha ritenuto che le emergenze in atti confermassero, in ogni caso, la responsabilità di questi nella verificazione dell’evento-infortunio. A tal fine ha valorizzato quale elemento di prova la sentenza penale di applicazione della pena nonché la circostanza, emergente dagli atti dell’indagine penale, che la ASL aveva elevato contravvenzione per inosservanza di norme in materia di sicurezza e altri elementi risultanti dal decreto di citazione a giudizio della Procura. Sulla scorta di tali emergenze ha ritenuto che il datore di lavoro, in violazione delle disposizioni di cui al d. lgs n. 626 del 1994, nell’uso di attrezzatura di lavoro semovente non aveva adottato tutte le misure appropriate e necessarie, atte ad evitare che i lavoratori a piedi, anche quelli la cui presenza era necessaria per la buona esecuzione dei lavori, potessero subire danni dall’attrezzatura utilizzata. In particolare ha evidenziato che il lavoratore infortunato si trovava all’interno di una buca sotto il mezzo comandato dal S.M., mezzo che inclinandosi a causa del peso della benna e della pendenza del terreno, aveva investito l’S.O. cagionandogli danno. In tale contesto ha ritenuto che la richiesta da parte del S.M. di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pcn. costituiva argomento probatorio convergente nel senso della responsabilità datoriale nella produzione dell’infortunio.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.M. sulla base di due motivi di censura, entrambi privi di rubrica.
L’INAIL ha depositato tempestivo controricorso.
Con la prima censura parte ricorrente, richiamato il principio affermato da Cass. n. 22333 del 2013 secondo il quale la sentenza di patteggiamento può essere apprezzata in sede civile solo come indizio ma non come prova della responsabilità datoriale, dovendosi escludere che la mera richiesta di patteggiamento si identifichi con la manifesta colpevolezza del richiedente, si c doluto della mancata ammissione delle istanze istruttorie articolate. Tale mancata ammissione - ha sostenuto - aveva comportato l’omessa insufficiente motivazione della decisione impugnata, “restando ancorato il convincimento del Giudice al fatto che il cd. patteggiamento costituisca ammissione di colpevolezza, con la conseguente deduzione che la relativa condanna originatane equivale a dichiarati affermazione e riconoscimento di responsabilità rispetto all’accusa”.
Con la seconda censura si è doluta della mancata ammissione della prova orale intesa ad accertare se l’evento danno fosse ascrivibile in via esclusiva alla condotta datoriale oppure se ed in quale misura alla produzione di tale evento avesse concorso la condotta del lavoratore. Ha, quindi, sostenuto la decisività delle circostanze articolate le quali, ove provate, avrebbero condotto la Corte ad un pronunciamento diverso da quello adottato.
Nella relazione depositata ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. il Consigliere relatore ha formulato proposta di rigetto del ricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria .
Il Collegio condivide la proposta del Consigliere relatore. Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specifica rubrica. L’eccezione è da respingere. Questa Corte ha chiarito che il precetto contenuto nell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., nel richiedere che il ricorso contenga i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, non comporta l'adozione di formule particolari, essendo sufficiente che l'individuazione dei testi legislativi e dei principi di diritto possa cogliersi, anche implicitamente, dall'esposizione delle censure; ne consegue che è irrilevante che delle norme indicate non venga fatta separata menzione in un'apposita rubrica ( cfr., tra le altre, Cass. n. 13957 del 2007, n. 3314 del 2001 ). L’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile, occorrendo comunque tener presente che si tratta di elemento richiesto allo scopo di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell'impugnazione. Ne consegue che la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l'inammissibilità della singola doglianza, qualora gli argomenti addotti non consentano di individuare le norme e i principi di diritto di cui si denunci la violazione (Cass. 4233 del 2012).
Tale situazione non è configurabile nel caso di specie in quanto la illustrazione delle censure è articolata in termini idonei alla configurazione del vizio ascritto, riconducibile in entrambi i casi ad uno dei motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. Invero la prima censura si sostanzia nella denunzia di violazione di legge per avere il giudice di appello attribuito alla sentenza di patteggiamento efficacia di prova in ordine alla sussistenza della responsabilità dell’imputato. La seconda censura si sostanza nella denunzia del vizio di motivazione della decisione impugnata per non avere il giudice di appello ammesso le istanze istruttorie articolate dal ricorrente.
La prima censura è da respingere in quanto ancorata ad un inesistente presupposto di fatto. La sentenza di appello, infatti, non ha riconosciuto alla sentenza di patteggiamento in sede penale il valore di prova della responsabilità datoriale, come sostenuto in ricorso, ma la ha valutata unitamente ad altri elementi attinti dalle emergenze istruttorie pervenendo, sulla base dì un complessivo apprezzamento degli stessi, all'affermazione della responsabilità datoriale nella produzione dell’evento infortunio.
La decisione risulta quindi conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli arti. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. "patteggiamento") non ha, nel giudizio civile, l'efficacia di una sentenza di condanna. Pertanto, il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, pur non essendogli precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. ( Cass. ord. n. 8421 del 2011, Cass. n. 23906 del 2007, n. 6047 del 2003 n.2724 del 2001 )
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Si premette che, come chiarito da questa Corte, allorché nel ricorso per cassazione sia denunciata la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è necessario che il ricorrente non si limitò ad una censura generica, ma invece specifichi gli elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione, evidenziando il contenuto e le finalità della richiesta istruttoria. Più in particolare, ove trattisi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a qual titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza. ( v. tra le altre, Cass. n. 5479 del 2006, Cass. ord. n. 17915 del 2010, Cass. n. 13677 del 2012) . Parte ricorrente non si è attenuta a tali prescrizioni atteso che si è limitata a riprodurre il contenuto dei capitoli di prova non ammessi, senza in alcun modo illustrarne la specifica rilevanza ai fini di causa ; in particolare non ha chiarito in quale modo ed in che misura la ricostruzione delle modalità dell’infortunio occorso al lavoratore sulla base delle circostanze capitolate era idonea ad incidere sull’accertamento della responsabilità datoriale quale ricostruita dalla sentenza impugnata.
In conclusione, in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio sono regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all'INAIL delle spese del giudizio che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma, 20 aprile 2016