Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 settembre 2016, n. 17587 - Tecnopatia ed esposizione ad amianto. Esclusione di cause diverse da quella lavorativa


Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 05/09/2016

 

Fatto


Con sentenza del 22/9 - 25/11/2010, la Corte d'appello di Perugia - sezione lavoro ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Inail avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Terni, che l'aveva condannato a corrispondere ad U.R. una rendita ragguagliata ad una percentuale di Inabilità del 25% previo riconoscimento della natura professionale della lamentata malattia, e per l'effetto ha confermato la sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha osservato che il consulente d'ufficio aveva analiticamente escluso l'esistenza di cause diverse da quella lavorativa nella produzione dell'evento denunziato e che era risultata essere una tecnopatia quella che affliggeva l'assicurato, il quale aveva contratto un adenocarcinoma del colon sinistro a causa dell'esposizione prolungata all'amianto dal 1982 al 1996.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l'Inail con due motivi.
Resiste con controricorso l'U.R..
Le parti depositano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
 

Diritto


1. Col primo motivo l'istituto ricorrente deduce la violazione dell'art. 3 del D.P.R. 30.6.1965, n. 1124, assumendo che la Corte d'appello di Perugia ha recepito passivamente la personale ed apodittica opinione espressa dal perito d'ufficio in merito alla ravvisata origine professionale, per esposizione all'amianto, della neoplasia riscontrata a carico dell'U.R., senza verificare la sussistenza degli elementi oggettivi (nella fattispecie i dati epidemiologici e di natura scientifica) considerati affidabili dalla scienza medica e, in quanto tali, idonei a tradurre in certezza giuridica le conclusioni espresse solo in termini probabilistici dal consulente tecnico d'ufficio.
2. Col secondo motivo, attraverso il quale è lamentata l'insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente assume che la relazione del consulente d'ufficio è inficiata da affermazioni illogiche e scientificamente errate che si sono tradotte in una contraddittorietà ed insufficienza dell'iter logico-argomentativo che ha condotto alle rassegnate conclusioni del perito sulla base delle quali si è formato l'erroneo convincimento dei giudici d'appello. Ciò in quanto il perito d'ufficio non si sarebbe basato su considerazioni di carattere scientifico o medico-legale, bensì su riflessioni di ordine socio-giuridico che esulavano dalla sua competenza tecnica, tanto che dopo ii deposito della relazione era stato evidenziato alla Corte di merito che la letteratura scientifica non era unanime circa la dipendenza del cancro del colon dall'esposizione all'amianto, ma ciò nonostante lo stesso collegio giudicante aveva ripercorso lo stesso errore del proprio ausiliare.
Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere esaminati congiuntamente.
Entrambi i motivi sono infondati.
Invero, va ricordato che la valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, nonché alla loro dipendenza dall'attività lavorativa svolta costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l'iter argomentativo posto a fondamento della decisione.
In effetti, allorquando il giudice di merito fondi, come nel caso in esame, la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, facendole proprie, perché i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che essi siano la conseguenza di errori dovuti alla documentata devianza dai canoni della scienza medica o di omissione degli accertamenti strumentali e diagnostiche dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Orbene, sotto questo specifico aspetto, non è sufficiente, per la sussistenza del vizio di motivazione, la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del CTU e quella della parte circa l'entità e l'incidenza del dato patologico, poiché in mancanza degli errori e delle omissioni sopra specificate le censure di difetto di motivazione costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico e si traducono in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice.
Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 9988 del 29/4/2009) che "in materia dì prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice."(conf. a Cass. Sez. lav. n. 15796 del 13/8/2004; v. altresì in senso analogo Cass. sez. lav. n. 8654 del 3/4/2008, Cass. sez, lav. n. 569 del 12/1/2011 e Sez. 6 - Lav., Ordinanza n. 1652 del 3/2/2012)
Orbene, nella fattispecie il ricorrente, pur non contestando il contenuto dell'elaborato peritale, si è limitato ad obiettare che il giudice aveva ritenuto sufficiente, per la sussistenza del diritto alla rendita, il fatto che il consulente non avesse potuto escludere con certezza che l'esposizione all'amianto avesse avuto potenzialità patogenetica per l'adenocarcinoma del colon-retto ed avesse poi utilizzato del tutto arbitrariamente la correlabilità tra esposizione ad amianto e la suddetta neoplasia, per affermare la relazione causale, con giudizio di probabilità qualificata, tra la predetta esposizione e la neoplasia del colon.
In realtà, come questa Corte ha già avuto modo di statuire [Cass. Sez. Lav. n. 7352 del 26.3.2010), "in tema di accertamento probatorio, qualora l'accertamento abbia natura medico-legale e sia diretto a verificare la dipendenza causale di una determinata malattia rispetto ad un'attività lavorativa, trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un'adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva; ove, invece, l'accertamento, basato su elementi indiziari, riguardi i fatti materiali, la valutazione probabilistica è ammissibile ma si inserisce nell'ambito dell'apprezzamento discrezionale rimesso al giudice di merito circa l'idoneità probatoria di un determinato quadro indiziario."
In effetti, la Corte d'appello ha condiviso le conclusioni del consulente d'ufficio in merito alla ravvisata sussistenza, con un elevato grado di probabilità, di un nesso causale tra la patologia dalla quale era affetto l'U.R. e l'esposizione lavorativa all'amianto, dopo aver appurato che l'ausiliare aveva constatato la ricorrenza dei seguenti elementi: l’elemento topografico (come da letteratura scientifica citata); l'elemento cronologico (più di 14 anni di esposizione all'amianto); l'elemento di efficienza lesiva (l'amianto era dotato di idonea efficacia causale rispetto alla malattia denunciata e la neoplasia era insorta dopo un periodo di latenza adeguato, rispetto ai dati riportati dalla letteratura); l'elemento di esclusione di altra causa (non erano stati individuati fattori ereditari, alimentari, ambientali o di patologie introduttive, quali la colite ulcerosa, che potevano costituire un fattore eziologico diverso da quello lavorativo).
D'altra parte, si è affermato (Cass. Sez. 3, n. 4743 del 4,3.2005), che "la prova per presunzioni costituisce prova "completa" alla quale il giudice dì merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, senza che possa, per converso, legittimamente predicarsi l'esistenza, nel complessivo sistema processualcivilistico, di una gerarchia delle fonti di prova, salvo il limite della motivazione del proprio convincimento da parte del giudicante e quello della ammissione dell'eventuale prova contraria al fatto ignoto che si pretende di provare tramite presunzioni, ove ciò sia richiesto da una delle parti - e la relativa prova non risulti inammissibile o ininfluente."
Egualmente infondata è la doglianza della mancata considerazione, da parte della Corte d'appello, delle obiezioni sollevate successivamente al deposito della relazione del perito d'ufficio, atteso che la Corte di merito ha puntualizzato che nel suo elaborato l'ausiliare aveva enumerato la letteratura scientifica prò e contro l'eziopatologia da esposizione all'amianto e, in ogni caso, dal fatto che i giudici di seconde cure hanno condiviso le conclusioni del consulente d'ufficio sulla insussistenza dì cause diverse da quella lavorativa, rilevando, altresì, che a tal riguardo alcuna obiezione aveva sollevato l'Inail, si deduce che le contrarie osservazioni sono da ritenere come implicitamente respinte.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza di ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3100,00, di cui € 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 21 aprile 2016