Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2016, n. 31224 - Infortunio mortale con un cancello non sicuro e da sostituire. Assoluzione di un coordinatore per l'esecuzione: nel psc era scritto che il cancello non andava utilizzato
"Circostanza decisiva posta a base delle logiche motivazioni di entrambe le pronunce con cui l'imputato è stato mandato assolto è che nel piano di sicurezza redatto per l'esecuzione dei lavori di manutenzione era chiaramente scritto che quel cancello non poteva e non doveva essere utilizzato per il transito di persone o mezzi, non essendo sicuro e dovendo essere sostituito, ed essendo peraltro incaricata della sostituzione proprio la ditta il cui dipendente è rimasto infortunato.
Quindi era chiaro che la ditta B., come rileva anche il primo giudice, ben conosceva le condizioni di insicurezza di quel cancello, che per questo già prima non era in uso.
Va qui aggiunto che ininfluente appaiono le circostanze -peraltro ipotizzate e non affermate dalla Corte - secondo cui il cancello potrebbe essere stato urtato o anche l'esistenza stessa del fermo.
Circostanza dirimente, secondo entrambi i giudici di merito, perché non si possa affermare la responsabilità del F.S.C., nella qualità di CSE è che nel PSC egli avesse indicato che altra era l'uscita da utilizzare per gli automezzi. E la pronuncia in tal senso è assolutamente in linea con la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", che non possono concretizzarsi nella vigilanza quotidiana che ciò che sia indicato nel PSC venga rispettato (cfr. ex multis sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167)."
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 16/06/2016
Fatto
1. La Corte di Appello di Bari, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente F.S.C., con sentenza del 4.6.2015 confermava la sentenza emessa in data 7.10.2013 dal GUP del Tribunale di Trani, appellata dalle parti civili, che lo aveva assolto per non aver commesso il fatto dalla seguente imputazione:
• in concorso con V.S., del reato p. e p. dagli artt. 81, 589 comma 2 c.p., artt. 63, 90, 92 D.lvo 81/08 perché, nelle rispettive qualità il V.S. di amministratore unico dal calzaturificio JK Italia srl e committente dei lavori ed il F.S.C. di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e nella violazione di regole sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 63 D.lvo 81/08 "... le porti scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere"; art. 90 co. 1 D.lvo 81/08 "il Committente ... nell'organizzazione delle operazioni di cantiere si attiene ai principi e misure generali di tutela di cui all'art. 15" ovvero valutando tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori; art. 92 co. 2 D.lvo 81/08 perché il F.S.C. pur redigendo il piano di sicurezza e coordinamento ometteva la valutazione e segnalazione dei rischi connessi alla presenza di un cancello carrabile non a norma e non ne vietava espressamente l'utilizzo) cagionavano la morte di G.G.; in particolare, il G.G. - dipendente della D.M. impianti appaltante lavori idrico-fognanti presso il cantiere di via Foggia n. 141 - apriva a spinta il cancello carrabile a scorrimento per permettere l'uscita dal cantiere della macchina operatrice Tema tg. BAAF411 ma l'assenza di battente di arresto e quindi di fine corsa sul binario di scorrimento permetteva al cancello di proseguire la propria corsa oltre il binario, di fuoriuscire dalla coppia di ruote superiore di guida, di ruotare verticalmente su se stesso andando così a travolgere il G.G. cagionandone il decesso. In Barletta il 29 maggio 2009.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, con unico atto, le parti civili Omissis deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
Con un primo motivo si deduce vizio motivazionale ed inosservanza dell'articolo 125 comma tre cod. proc. pen. e 546 comma primo cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto si sarebbe trattato di una mera trascrizione integrale della sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Trani.
In particolar modo si sostiene che, da pag. 4, primo capoverso a pag. 13 secondo capoverso della sentenza impugnata le motivazioni altro non sarebbero che la trascrizione della motivazione della sentenza di primo grado. Soltanto dal secondo capoverso di pagina 13 della sentenza oggi impugnata la Corte d'appello tenterebbe di integrare comprovi motivazioni di ragioni già espresse dal giudice di primo grado, ma ad avviso del ricorrente con un pessimo risultato per vari motivi.
In primo luogo sarebbero errate, illogiche e contraddittorie le motivazioni integrative perché la sentenza impugnata affermerebbe l'esistenza di una circostanza esclusa dalla sentenza di primo grado, pur aderendo apparentemente totalmente alle conclusioni di quest'ultima. Ciò in quanto la Corte d'appello sosterrebbe che il cancello è rovinato sul malcapitato G. perché sarebbe stato urtato dal mezzo meccanico Terna di proprietà della ditta Eredi B..
Tale circostanza, in realtà, sarebbe stata esclusa categoricamente dalla sentenza di primo grado, anche perché la ricostruzione dell'evento così come effettuato dal consulente tecnico del PM è stata totalmente accolta dal giudice del tribunale. Si appunta l'attenzione su pag. 7, terzo capoverso, della sentenza di Corte di appello contenente la trascrizione della sentenza del tribunale di Trani.
La corte d'appello, secondo le parti civili ricorrenti, incorrerebbe in un'altra gravissima svista e travisamento della motivazione della sentenza di primo grado asserendo l'esistenza del fermo-battente l'arresto del cancello incriminato e posto al civico tre, circostanza però esclusa dal giudice del tribunale di Trani.
La sentenza impugnata sarebbe inoltre affetta da altro grave vizio motivazionale in merito all'assenza di qualsivoglia vaglio critico nei motivi di censura proposti dagli appellanti.
Ci si duole che le critiche proposta in sede di gravame del merito siano state totalmente ignorante sia per quanto riguarda la non esatta applicazione delle norme in materia di sicurezza (articoli 63, 90,92 del decreto legislativo 81 del 2008) e dalla cui violazione sarebbe scaturito la norma incriminatrice di cui all'articolo 589, co. 2, cod. pen. In particolare, si osserva che il F.S.C., in qualità di coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, aveva l'obbligo di individuare, analizzare e valutare i rischi dell'attività lavorativa delle varie imprese presenti in cantiere. Tale obbligo sarebbe stato totalmente disatteso poiché il F.S.C. non avrebbe evidenziato l'assenza del battente d'arresto, come accertato dal giudice di primo grado, né avrebbe impedito l'utilizzo del cancello incriminato, vietandone espressamente il suo utilizzo, ma semplicemente indicando altro cancello, quello del civico numero cinque, per le manovre di entrata e di uscita dei mezzi.
Sul punto la corte d'appello non si sarebbe espressa né avrebbe potuto farlo a causa delle errate conclusioni cui sarebbe giunta della disamina dei fatti, totalmente travisati rispetto a quelli accertati dal giudice di primo grado e non censurati per i motivi innanzi evidenziati. La sentenza impugnata dunque sarebbe viziata per carenza di motivazione e si porrebbe fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione per relationem.
Con un secondo motivo viene dedotta violazione di legge in relazione agli articoli 63, 90, 92 del d.lgs. 81/08 e all'articolo 589 comma secondo cod. pen.
Si lamenta che i giudici di merito aveva mandato assolto l'imputato, anche ai soli fini civili, perché hanno ritenuto corretta l'azione del coordinatore della sicurezza, sul presupposto -errato -che lo stesso nella redazione del proprio PSC avesse indicato come via d'accesso per mezzi meccanici il cancello posto alla Via dei Fabbri numero 5, escludendo il cancello posto al civico numero 3, dove invece è accaduto l'infortunio.
A tale tesi si era opposta nei motivi di appello la circostanza secondo cui il dovere del F.S.C. non poteva essere stato assolto soltanto con l'indicazione semplicistica dell'individuazione di un cancello piuttosto che di un altro, laddove egli aveva un dovere specifico di analizzare la pericolosità del cancello poi rovinato e pertanto di inibire chiaramente l'utilizzazione di quel cancello. Ciò non sarebbe stato fatto e quindi l'imputato non si sarebbe accorto dell'assenza del battente d'arresto come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado.
Tale circostanza porrebbe un diretto nesso causale tra la negligenza del caso tardi e la morte del giovane G..
Vengono ricordati i precedenti di questa Corte di legittimità in ordine al ruolo del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e, in particolar modo, si sostiene che nel caso che ci occupa l'imputato avesse l'obbligo di adottare le misure interdittive all'utilizzo di quel cancello.
In tale prospettiva si chiede l'annullamento dell'impugnata sentenza con rinvio ad altro giudice d'appello per l'affermazione degli effetti civili della responsabilità causale del F.S.C. rispetto all'evento morte della persona offesa in relazione all'imputazione per cui si era proceduto.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, i ricorsi delle parti civili vanno rigettati.
2. La parti civili ricorrenti deducono in rubrica vizio motivazionale, ma in realtà, a ben vedere il contenuto del ricorso, richiedono a questa Corte di legittimità, di fronte ad una doppia conforme sentenza di assoluzione, una rivalutazione del compendio probatorio che in questa sede non è consentita. La circostanza si palesa, peraltro, a pag. 8 del ricorso, laddove si afferma esplicitamente di "censurare il merito della questione".
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 n. 12110 e n. 23528 del 6/6/2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della de-cisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Quanto alla doglianza secondo cui la Corte di Appello avrebbe recepito integralmente e acriticamente la motivazione dei giudici di prime cure -addirittura trascrivendone una parte- va ricordato che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. il 2012, Valerio, Rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. il 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
3. Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri Rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'ossatura dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. il 2003, Deivai, Rv. 223061).
E' stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n. 9242 dell'8.2.2013, Reggio, rv. 254988).
Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Bari non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha evidenziato come fosse ben noto ai dipendenti e titolari della ditta B. che il cancello che ha provocato il sinistro non doveva essere utilizzato, essendo in corso i lavori di manutenzione straordinaria, ed essendo in attesa di sostituzione proprio quel cancello, ed essendo stato vietato il suo utilizzo anche nel piano di sicurezza redatto dal geom. F.S.C..
Nel provvedimento impugnato si dà anche atto che, dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, è emerso invece che il personale della ditta incaricata di lavori di manutenzione, anche relativamente ai cancelli, la "Eredi B. Luigi di B. Francesco & C. s.a.s.", aveva deciso di aprire proprio il cancello scorrevole vietato, che poi si è abbattuto sul G., per fare uscire un mezzo meccanico che si trovava all'interno dell'area dell'azienda dell'imputato.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
4. Circostanza decisiva posta a base delle logiche motivazioni di entrambe le pronunce con cui l'imputato è stato mandato assolto è che nel piano di sicurezza redatto per l'esecuzione dei lavori di manutenzione era chiaramente scritto che quel cancello non poteva e non doveva essere utilizzato per il transito di persone o mezzi, non essendo sicuro e dovendo essere sostituito, ed essendo peraltro incaricata della sostituzione proprio la ditta il cui dipendente è rimasto infortunato.
Quindi era chiaro che la ditta B., come rileva anche il primo giudice, ben conosceva le condizioni di insicurezza di quel cancello, che per questo già prima non era in uso.
Va qui aggiunto che ininfluente appaiono le circostanze -peraltro ipotizzate e non affermate dalla Corte - secondo cui il cancello potrebbe essere stato urtato o anche l'esistenza stessa del fermo.
Circostanza dirimente, secondo entrambi i giudici di merito, perché non si possa affermare la responsabilità del F.S.C., nella qualità di CSE è che nel PSC e coordinamento egli avesse indicato che altra era l'uscita da utilizzare per gli automezzi. E la pronuncia in tal senso è assolutamente in linea con la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", che non possono concretizzarsi nella vigilanza quotidiana che ciò che sia indicato nel PSC venga rispettato (cfr. ex multis sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167).
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 16 giugno 2016