Cassazione Penale, Sez. 4, 15 dicembre 2016, n. 53287 - Lavori in quota senza idonei dispositivi di protezione collettiva. Nessun comportamento abnorme se il lavoratore si sgancia un attimo dal sistema di ritenuta


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 04/02/2016

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma di quella del Tribunale di Lucca, che aveva condannato F.C. per avere, per colpa generica e specifica, con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni, cagionato lesioni gravi ad A.A., fatto contestato come commesso il 23 dicembre 2009, concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, ha rideterminato la pena in melius, confermando il beneficio della pena sospesa già concesso in primo grado.
2. A F.C. si contesta di avere, in qualità di responsabile legale della ditta Pool Ecologia s.r.l. nonché di delegato alla sicurezza per il cantiere, di avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e con violazione delle norme in materia di prevenzione infortuni (art. III, comma 1, lett. a, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), in particolare per avere consentito di eseguire lavori in quota, consistenti nella rimozione e nella sostituzione di una porzione di copertura di un fabbricato, senza adottare idonei dispositivi di protezione collettiva, segnatamente una rete di protezione provvisoria contro la caduta, cagionato lesioni al lavoratore A.A., che, operando sopra la copertura a sei metri da terra, sganciatosi momentaneamente dal dispositivo di ancoraggio, dispositivo che, di fatto, lo ostacolava nei necessari movimenti di torsione del busto dall'imbracatura in relazione all'attività che stava svolgendo, perdeva l'equilibrio e cadeva nel vuoto per sei metri; le lesioni comportavano malattia ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni.
3. Le sentenza di merito, conformi nel riconoscere l'an della responsabilità penale, ricostruiscono la vicenda fattuale nei termini che di seguito si specificano.
La ditta Pool Ecologia s.r.l., essendo stata incaricata dalla s.r.l. Ip Service di riparare gli elementi di fibrocemento presenti sulla copertura di un proprio capannone industriale, in quanto la rottura di alcuni elementi aveva causato, in ragione dell'abbondante nevicata che aveva colpito la zona tra il 18 e il 19 dicembre 2009, danni alla controsoffittatura, sicché i macchinari presenti all'interno dell'immobile erano esposti a possibile deterioramento, aveva, tramite, appunto, F.C. (responsabile legale della ditta Pool Ecologia s.r.l. nonché delegato alla sicurezza per il cantiere), predisposto un piano operativo di sicurezza - acronimo, p.o.s. - che prevedeva di far svolgere il lavoro agendo dall'interno del capannone senza previsione di una rete di protezione ma con il montaggio di due ponti sviluppabili in altezza, capaci di consentire l'accesso in quota in condizioni di sicurezza e la contestuale presenza di tre lavoratori qualificati dotati di dispositivi di protezione individuale.
Destinata, quindi, all'intervento in questione una squadra di lavoratori dipendenti della Pool Ecologia s.r.l., di cui A.A. quale capocantiere ed altri tre qualificati ed addestrati, i quattro si erano recati il 23 dicembre 2009 sul luogo per svolgere il lavoro. Una volta giunti, A.A., che era il capo cantiere, si accorse che la situazione dei luoghi si era nel frattempo modificata in senso involutivo, in quanto gli elementi di copertura che erano precipitati per effetto della neve si erano andati ad incastrare nel controsoffitto, che si era lesionato, ed anche perché il materiale collocato nell'intercapedine tra la copertura e il controsoffitto risultava appesantito in quanto completamente bagnato dalla neve sciolta. In conseguenza, A.A., anche dopo avere verificato da vicino la situazione, salendo sul ponte / piattaforma, stimato sussistente il pericolo di caduta dall'alto di elementi di copertura e di pezzi di controsoffitto intrisi d'acqua, suggeriva, presente in quel momento anche G.C.    , impiegato della Pool Ecologia, addetto al settore commerciale, che aveva tenuto in contatti con la Ip Service e che aveva formulato la relativa offerta economica, di agire con modalità diverse da quelle indicate nel p.o.s., cioè agendo dall'esterno dell'immobile e dall'alto.
A questo punto, mentre A.A. e gli altri tre operai rimanevano nel cantiere, G.C., che era stato presente insieme a F.C. al momento del sopralluogo, si incaricava di far modificare il p.o.s. nel senso indicato da A.A. e, risultando F.C. irrintracciabile, si recava presso gli uffici della Pool Ecologia dove tale B., un altro impiegato che generalmente compilava i piani di sicurezza su indicazione di F.C., modificava il piano a mano (poiché il computer era momentaneamente inservibile, a causa delle abbondanti nevicate) inserendo alla p. 8 la dicitura «... gli operai saliranno sulle travi, si legheranno con blocca stopper alla linea temporanea per la rimozione dei traslucidi...». Tornato G.C. rapidamente sul cantiere, la squadra di lavoro iniziava i lavori procedendo dall'esterno (anziché dell'interno) e dall'alto, operando attraverso la copertura del capannone. In particolare, si utilizzava il carro ponte sviluppabile ponendolo in aderenza al muro perimetrale dell'edificio, in cima al quale, in particolare sulla seconda travatura del tetto, si poneva una linea vita provvisoria, agganciata in più punti ad un cavo onde consentire ai lavoratori di agganciare i dispostivi anticaduta e di spostarsi in altezza lungo il cavo guida. Nel concreto si costruiva una sola linea vita, e non due, come sarebbe stato preferibile secondo quanto osservato sia dai tecnici A.S.L. che dal consulente della difesa, ma, in ogni caso, le modalità di lavoro concretamente risultanti non erano agevoli per l'operatore. In tale concreto contesto, A.A., che non riusciva a compiere le operazioni di torsione del busto per prendere e passare ad un compagno una lastra, si sganciava momentaneamente dal dispositivo di ancoraggio ma, perso l'equilibrio, precipitava nel vuoto procurandosi lesioni.
4. Le sentenze di merito valorizzano le seguenti circostanze:
il fatto che i tecnici A.S.L., che hanno effettuato un sopralluogo dopo l'infortunio, abbiano prescritto l'adozione di sistemi atti ad evitare o a ridurre i rischi di caduta di tipo collettivo, non eludibili dal singolo lavoratore (a differenza della cintura di sicurezza), come, ad esempio, gli impalcati sottostanti la zona di lavoro o eventualmente le reti di sicurezza, mentre la piattaforma utilizzata non era stata ritenuta idonea allo scopo poiché era necessario fuoriuscire dalla stessa per effettuare larga parte delle attività lavorative;
l'assenza di previsioni del genere anche nell'originario piano di lavoro redatto da F.C., piano che non affrontava, comunque, la questione di come svolgere determinate parti di attività senza fuoriuscire dalla piattaforma e che, in ogni caso, era da ritenere lacunoso sin dall'origine perché non teneva conto dei rischi di crollo del soffitto, perché non dava risposta alla domande sul come fissare determinate lastre di copertura in punti irraggiungibili agendo dall'interno e dal basso - condizione di rischio non contemplata dal p.o.s. originario - ed anche per non essere stato modificato in anticipo il p.o.s. previa verifica, poco prima dell'intervento, della concreta situazione, tenuto conto che il sopralluogo di F.C. e di G.C. era avvenuto dopo la nevicata ma comunque uno o due giorni prima dell'inizio dei lavori (cioè tra il 20 ed il 22 dicembre).
Si è, in definitiva, ritenuto che l'adozione di sistemi di protezione collettiva avrebbe comunque impedito, a seguito di una perdita di equilibrio, la precipitazione nel vuoto e, dunque, sussistente il nesso causale.
Si è inoltre da parte dei giudici di merito motivatamente esclusa l'abnormità del comportamento del dipendente infortunato.
5. Avverso la decisione della Corte di appello ha presentato ricorso, tramite difensore, l'imputato, lamentando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e processuale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
4.1. In primo luogo, denunzia la decisione di appello nella parte in cui esclude l'abnormità della condotta del lavoratore consistita nello "sgancio" della cintura di sicurezza, così fraintendendo - e conseguentemente non fornendo risposta - l'argomento difensivo svolto in appello secondo il quale l'abnormità sarebbe consistita nel fare modificare, con condotta riconducibile anche, ma non solo, all'infortunato, il p.o.s. originario a totale insaputa dell'autore dello stesso, nel contempo datore di lavoro; ed a proposito della censura di tale dedotta interruzione del nesso di causalità, la Corte non avrebbe in alcun modo risposto, ciò che comporterebbe - si ritiene - una omessa pronunzia.
4.2. Si censura, poi, l'erroneo apprezzamento da parte del giudice di merito delle risultanze della consulenza tecnica della difesa e del contenuto di alcune deposizioni, secondo le quali, a detta del ricorrente, sarebbe emerso come idoneo il p.o.s. originariamente formulato dall'imputato.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1.Quanto al primo motivo di impugnazione, i giudici di merito hanno, non illogicamente, valorizzato la circostanza che i tecnici A.S.L., una volta esaminato il cantiere, abbiano prescritto l'adozione di sistemi di tipo collettivo atti ad evitare o a ridurre i rischi di caduta (ad esempio, impalcati sottostanti la zona di lavoro o reti di sicurezza), non eludibili dal singolo lavoratore, che era caduto dopo essersi sganciato la cintura per la necessità di effettuare, imbracato in quota, una determinata manovra di torsione.
Quanto alla piattaforma, presente sia nell'originario p.o.s. di F.C. che in quello "aggiornato" da B., essa non era stata ritenuta idonea dei tecnici A.S.L. poiché era, comunque, necessario fuoriuscire dalla stessa per effettuare larga parte delle attività lavorative: con la precisazione che il piano redatto dall'imputato non affrontava, comunque, la questione di come svolgere determinate parti di attività senza fuoriuscire dalla piattaforma.
E si è visto anche che Tribunale e Corte di appello hanno, altrettanto congruamente e con motivazione immune da vizi logici, valutato il piano di F.C. lacunoso, in ogni caso, sin dall'origine, per una pluralità di motivi: perché non teneva conto dei rischi di crollo del soffitto; perché non offriva risposta al quesito su come fissare determinate lastre di copertura in punti irraggiungibili agendo dall'Interno e dal basso (condizione di rischio che - si è sottolineato - non era contemplata dal p.o.s. originario); ed anche per non essere stato il piano aggiornato, in quel peculiare, pericoloso, contesto climatico, rispetto ai peggioramenti che si erano registrati nei due-tre giorni intercorrenti tra la progettazione e la data del concreto avvio dei lavori.
Discende l'irrilevanza delle modifiche apportate, pur all'insaputa dell'Imputato, da B.. 
Si è anche esclusa (alla p. 4 della sentenza impugnata ed alle pp. 7-8 di quella di primo grado) l'abnormità della condotta del lavoratore, che, mentre era intento a svolgere attività corrispondente alle proprie mansioni, si era temporaneamente sganciato dal sistema di ritenuta (imprudenza relativamente frequente: ergo prevedibile) per la constatata difficoltà di movimento di torsione del busto nel passare una lastra ad un collega.
In definitiva, non possono trovare accoglimento né le doglianze incentrate sulla pretesa erroneità dell'esclusione dell'abnormità nella condotta del lavoratore infortunato né quelle relative alla mancanza ovvero all'interruzione del nesso causale.
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è, all'evidenza, teso, ma inammissibilmente, all'auspicata rivalutazione, nella prospettiva difensiva, del concreto contenuto di parte dell'istruttoria, in difformità rispetto alle valutazioni svolte, con doppia decisione conforme, nei gradi di merito.
2. Al rigetto del ricorso consegue, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/02/2016.