Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2017, n. 3288 - Caduta mortale da un tetto in lastre di eternit. Ruolo di un CSE, di un datore di lavoro e di un preposto
 

 


 

 

 

 

 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 27/09/2016

 

 

 

 

 

 

 

Fatto

 

 

 


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Monza nei confronti di B.M., V.G. e M.C., giudicati responsabili di aver cagionato per colpa la morte di G.M., e pertanto condannati il primo alla pena di un anno di reclusione, il secondo alla pena di otto mesi di reclusione ed il terzo alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, nonché tutti al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
2. La vicenda oggetto del presente procedimento concerne il decesso del lavoratore G.M., dipendente della ditta E., della quale era titolare il V.G., avvenuto il 30 ottobre 2004 per precipitazione da un tetto in lastre di eternit sul quale il G.M. era salito per provvedere alla loro rimozione.
All'esito dei gradi di merito è risultato accertato che l'operazione di rimozione delle lastre, per disposizione del V.G. e del M.C., capocantiere della E., era stata eseguita come previsto dal Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) redatto dal B.M., coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori nominato dalla committente Pilot Italia, proprietaria del manufatto; questo, infatti, prevedeva che le operazioni venissero svolte inviando il lavoratore al di sopra della copertura, previa installazione di parapetti e dotazione di cinture di sicurezza. Il lavoratore era precipitato per la rottura di una lastra, non essendo in alcun modo assicurato a dispositivo di trattenuta.
Per quel che rileva in questa sede, rammentato che la posizione del V.G. risulta definita, è sufficiente dare conto del fatto che al M.C. è stato ascritto di aver dato ordine al G.M. di salire sul tetto pur in assenza di qualsivoglia misura di sicurezza. Al B.M. è stato mosso dal Tribunale un duplice, alternativo, rimprovero, in correlazione alla relativa incertezza persistita in merito alla previsione di un diverso modo di procedere nella lavorazione, ovvero mediante cestelli elevatori, operanti dall'interno del capannone. Da un canto, quindi, il primo giudice ha ritenuto che il B.M. avesse omesso di adottare le cautele necessarie ad impedire che la lavorazione sul tetto costituisse un pericolo per i lavoratori e di svolgere una concreta opera di vigilanza sulle situazioni di pericolo presenti in cantiere in funzione delle modalità operative concretamente attuate. Più specificamente all'imputato è stato ascritto di aver previsto la lavorazione dalla copertura senza considerare il rischio di caduta nel vuoto in seguito a rottura delle lastre e di non aver verificato l'idoneità del P.O.S. dell'impresa esecutrice in relazione a tale rischio. Dall'altro lato il Tribunale si è prospettata l'eventualità che il B.M. avesse avuto conoscenza della volontà di procedere con i cestelli, sostenendo che in tal caso egli avrebbe dovuto aggiornare il PSC e quindi adottare i provvedimenti imposti dalla mancanza di chiarezza e di univocità in ordine alle modalità esecutive della lavorazione emergente dal POS della E., valutato insieme al piano di lavoro inviato alla ASL.
La Corte di Appello, dal canto suo, ha osservato che, assumendo la tesi difensiva per la quale il B.M. sapeva che si sarebbe fatto ricorso ai cestelli, emergeva l'omesso adeguamento del PSC; omissione che aveva avuto rilevanza causale rispetto all'infortunio perché aveva lasciato persistere una situazione di illegalità, di incertezza, di confusione, di carenza di adeguati strumenti sui quali avrebbe dovuto impostare ed eseguire correttamente il lavoro, come dimostrato dalla convinzione ingenerata nel M.C. di operare con modalità coerenti con quanto stabilito nel PSC e nel POS. La Corte di Appello ha anche rimarcato che il B.M. non si era attivato per verificare la reale situazione di cantiere, anche in relazione alla attuabilità delle diverse modalità operative che si sarebbero dovute adottare; ove lo avesse fatto si sarebbe accorto che i lavori si eseguivano con i lavoratori sulla copertura del tetto nella assoluta carenza di misure di sicurezza.
Quanto al M.C., la Corte di Appello ha ascritto al medesimo di aver consentito che il G.M. salisse sulla copertura pur in assenza di qualsivoglia misura di sicurezza; anche a ritenere che il lavoratore fosse stato dotato di cintura di sicurezza (circostanza dubbia per l'inquinamento delle prove operato dal M.C. subito dopo il sinistro), esse risultavano in concreto inidonee alla loro funzione perché non era possibile agganciarle ad alcunché.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza il B.M., a mezzo del difensore di fiducia, avv. Matteo Pellacani, elevando i seguenti motivi.
3.1. Vizio motivazionale (insufficiente ed incoerente motivazione del dato fattuale; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione).
Dopo una lunga esposizione degli estremi fattuali della vicenda, l'esponente asserisce che la motivazione impugnata è gravemente contraddittoria nella parte in cui sostiene che la situazione di illegalità e di incertezza derivata dall'omesso adeguamento del PSC aveva ingenerato nel M.C. la convinzione di operare conformemente ai documenti. L'affermazione è contraddittoria rispetto al comportamento tenuto dal M.C. dopo la precipitazione del G.M.; egli, infatti, modificò lo stato dei luoghi prima dell'intervento degli inquirenti, a dimostrazione che era ben consapevole di operare in modo non corretto.
Quindi l'esponente rimarca la imprudenza della vittima, che a differenza di altri due operai non aveva rifiutato di eseguire l'ordine impartito dal M.C., per affermarne il carattere abnorme, pertanto idoneo ad escludere la relazione causale tra la condotta del B.M. e l'evento tipico.
Si riporta poi un passo del PSC per sostenere l'affermazione per la quale - diversamente da quanto asserito dai giudici - il B.M. aveva previsto e disposto per il pericolo di caduta degli addetti che si fossero venuti a trovare su materiali in condizione di possibile crollo.
Quanto al mancato aggiornamento del PSC, sostiene l'esponente che nel verbale di cantiere nel quale si dà conto della riunione che venne effettuata il 28.10.2009 si fa espresso riferimento al 'piano di smaltimento eternit; si tratta per l'esponente di locuzione che concerne proprio l'approvazione del Piano di lavoro riguardante lo smontaggio e lo smaltimento della copertura.
A riguardo della pretesa incertezza determinata dal mancato adeguamento del PSC, l'esponente afferma che la posizione di garanzia dell'imputato nei confronti dei lavoratori va considerata assolta con l'indicazione nel PSC del rischio di caduta e la previsione della realizzazione di barriere anticaduta e di linee salvavita. Rimarca che nella riunione sopra citata era stato concordato l'uso di cestelli per evitare il camminamento sul tetto e che l'omissione dell'adeguamento del PSC è oggetto di specifico reato (158 TU), non contestato all'imputato.
3.2. Con un secondo motivo si denuncia la 'contraddittoria applicazione di norme generiche a scapito di norme specifiche' nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Dopo lunga escursione nei testi normativi e ripetizione di brani del primo motivo di ricorso, e premesso che il B.M. all'interno del PSC aveva previsto il rischio di caduta dall'alto e disposto di conseguenza, che "l'obbligo di verifica dell'applicazione del P.O.S., del P.S.C. e del Piano di lavoro si può intendere assolto in quanto al B.M. era noto, a partire dal 28 ottobre 2009, che lo smantellamento del tetto sarebbe avvenuto impiegando le piattaforme aeree", che le modalità disposte dal M.C. erano prive di giustificazione, l'esponente asserisce che non è possibile ascrivere al B.M. di non aver svolto i compiti di alta vigilanza che sono propri del coordinatore per la sicurezza perché vorrebbe dire pretendere la sua costante presenza in cantiere. Sicché la sentenza impugnata è anche gravemente contraddittoria laddove si afferma che il B.M. non effettuò la vigilanza in fase operative delicate e poi si dà atto che egli fu in cantiere il 23, il 26 ed il 28 ottobre; tanto più che sino al 26 le attività di smontaggio delle lastre non era iniziata, che dopo tale data le attività furono sospese e che il 30 ottobre si verificò la precipitazione del G.M..
L'esponente richiama poi alla necessità che la responsabilità del coordinatore per la sicurezza venga delimitata alla gestione del 'rischio interferenziale', quale rischio aggiuntivo rispetto al 'rischio intraziendale'. Nel caso di specie la lavorazione nel corso della quale si verificò l'infortunio nulla aveva a che fare con l'esecuzione di altre e diverse operazioni affidate all'esecuzione di altre e diverse imprese: "la causa della caduta dall'alto - ... - integrava un rischio di natura interaziendale proprio dell'impresa impegnata sulla copertura".
3.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 59 e 62-bis cod. pen. e vizio motivazionale. L'esponente lamenta che la Corte di Appello abbia reso una motivazione contraddittoria o manifestamente illogica quanto alla insussistenza di elementi idonei ad una valutazione di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulla contestata aggravante di cui all'art. 589, co, 2 cod. pen.
3.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 63 e 191 cod. proc. pen. e vizio motivazionale L'esponente lamenta che la Corte di Appello abbia erroneamente ritenuto che il M.C. avesse reso ai verbalizzanti intervenuti sul luogo del sinistro dichiarazioni quando ancora non erano emersi elementi di reità a suo carico; e, conseguentemente, di aver ritenuto utilizzabili quelle dichiarazioni, introdotte nel processo dalla testimonianza di F. N., ufficiale di p.g. Con ampia ricognizione dei dati fattuali l'esponente argomenta in merito alla ritenuta assunzione da parte del M.C. della qualità di indagato sin dalle prime indagini. Conclude, quindi, per la inutilizzabilità delle dichiarazioni del M.C., come riportate dal N..
3.5. Violazione di legge in relazione all'art. 133 cod. pen. e vizio motivazionale in relazione alla determinazione della pena.
3.6. Violazione di legge in relazione all'art. 113 cod. pen. e vizio motivazionale, per non emergere dalla motivazione impugnata il percorso logico-giuridico sotteso alla valutazione delle condotte degli agenti nella realizzazione dell'evento e nell'apporto causale.
3.7. Con memoria pervenuta il 4.8.2016 il ricorrente rimarca che nel PSC era stata disposto che le attività di rimozione e di smaltimento dell'amianto dovevano avvenire in tempi ed ambiti differenti dalla successiva demolizione del manufatto; pertanto non sussisteva rischio interferenziale e il coordinatore non aveva la responsabilità di gestire i rischi specifici propri dell'attività di impresa.
Pertanto il B.M. non doveva verificare le modalità operative indicate nel POS né definire le procedure per la gestione dei rischi di impresa.
Richiamando la sentenza n. 8883/2016 di questa Corte, che si interpreta come adottiva del parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale, in luogo di quello dell'esorbitanza delle mansioni, si ribadisce che nel caso che occupa il comportamento del lavoratore fu esorbitante, abnorme e comunque imprevedibile.
4. Ricorre per la cassazione della sentenza anche il M.C., che denuncia la manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità. Contesta, il ricorrente, che al capocantiere, ruolo che egli rivestiva nel cantiere di cui trattasi, competa di decidere in autonomia di adottare i presidi di sicurezza, in modo difforme da quanto previsto nel PSC e nel POS, che nella fattispecie prevedevano di eseguire i lavori dalla copertura del tetto.
La motivazione è contraddittoria laddove imputa al M.C. dapprima una condotta omissiva e quindi una commissiva (l'aver dato l'ordine di salire sul tetto). Rileva che, diversamente da quanto affermato dal N., altro teste aveva affermato che il G.M. era salito sul tetto con il gancio dell'avvolgitore idoneo a prevenire cadute dall'alto.
 

 

 

 

Diritto

 

 

 


5. Va trattato in primo luogo il motivo sub. 3.4., dal carattere evidentemente pregiudiziale.
Il motivo è aspecifico, siccome non correlato alla argomentazione utilizzata dalla Corte distrettuale in replica alla analoga censura avanzata con il gravame ("L'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità": Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 - dep. 10/09/2007, Scicchitano, Rv. 236945).
Infatti alla affermata emergenza di indizi di reità a carico del M.C. già prima di essere sentito dal N. il collegio distrettuale, oltre a non condividere l'assunto, ha replicato che: a) si trattava di dichiarazioni sostanzialmente non decisive, perché "le modalità dell'infortunio sono sostanzialmente pacifiche sul punto della caduta di G.M. dalla copertura del tetto ..." e non dal cestello telescopico, come il M.C. avrebbe voluto far credere; b) che le vere modalità furono accertate direttamente dal N.; c) che erano comunque utilizzabili le dichiarazioni dibattimentali del M.C., nelle quali questi ammetteva la disposta 'messinscena'.
Sicché il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la decisività delle dichiarazioni rese dal M.C. nell'immediatezza dell'infortunio ai fini della ricostruzione dell'accaduto, superando quanto osservato dalla Corte distrettuale.
Né tale decisività si rinviene alla luce del richiamo alla tesi difensiva del M.C., per la quale egli sarebbe stato convinto di operare secondo quanto prescritto dal PSC e dal POS, perché si tratta appunto di una tesi difensiva e non delle dichiarazioni delle quali il ricorrente postula l'inutilizzabilità. 
6. Il primo motivo, che affastella rilievi eterogenei e senza un sempre auspicabile ordine logico-giuridico, è in parte non consentito, perché si concreta - laddove si sofferma sul significato del comportamento del M.C. - in una interpretazione dei dati probatori alternativa ed antagonista rispetto a quella operata dai giudici di merito e sostanzialmente pretende da questa Corte un avallo che condurrebbe ad un indebito sconfinamento nel territorio del giudizio di merito. Peraltro, è in definitiva incapace di cogliere un effettivo snodo essenziale della motivazione, per le ragioni che si sono sopra esposte e perché quel significato è stato valorizzato dalla Corte territoriale nella argomentazione tratteggiata in replica all'ipotesi difensiva; argomentazione di valore solo retorico, come si spiegherà a breve.
Analogamente si pone a diretto confronto con la prova il rilievo che muove dal ritenuto contenuto del PSC quanto al pericolo di caduta, anche nel passaggio che chiama in causa un preteso significato del riferimento in esso contenuto al 'piano di smaltimento eternit'. La Corte di Appello ha affermato che si tratta di un documento che non attiene alla lavorazione consistente nella rimozione delle lastre ma al loro smaltimento; l'asserzione è in effetti foriera di equivoci. Appare chiaro che la corte territoriale intendeva chiarire che si tratta di un documento comunque finalizzato alla protezione dei lavoratori dai rischi alla salute connessi alla lavorazione; ma non nel suo essere lavorazione in quota bensì per il fatto di comportare la manipolazione di lastre in cemento-amianto.
Per altra parte, si tratta di rilievi che, chiamando in causa l'assetto degli obblighi del coordinatore per l'esecuzione e il comportamento abnorme del lavoratore, devono essere trattati in uno a quanto appresso si osserverà.
7. Il secondo motivo è infondato, nei termini di seguito precisati.
Occorre muovere da quanto si è consolidato all'esito dell'accertamento giudiziario.
Il B.M. aveva previsto nel PSC del 4.10.2009 la lavorazione consistente nella rimozione delle lastre di eternit, disponendo che si operasse dalla parte superiore della copertura e aveva valutato il rischio di caduta dall'alto, prescrivendo quale misura prevenzionistica la predisposizione di parapetti e l'utilizzo di cinture di sicurezza. Il POS della E. del 5.10.2009 aveva previsto egualmente la lavorazione dalla parte superiore della copertura e aveva aggiunto ai ponteggi e parapetti e ai sistemi di ancoraggio individuali l'eventuale predisposizione di una rete di sicurezza al di sotto della copertura in eternit.
Una prima discrepanza è emersa tra questi documenti e quello denominato 'piano di lavoro', inviato dalla E. all'ASL il 23.9.2004; in esso si prevedeva l'utilizzo di due piattaforme con cestello telescopico al cui interno sarebbe rimasto l'operatore, peraltro collocato al di sotto della copertura (e quindi all'interno del capannone).
Come emerge indirettamente dalla sentenza di primo grado si tratta del documento previsto dall'art. 59-sexies del d.lgs. n. 626/1994, nell'ambito del Titolo Vl-bis "Protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto", introdotto dall'art. 2 d.lgs. n. 257/2006. Detto altrimenti, dello specifico piano previsto per le lavorazioni che espongono all'amianto.
Le modalità operative previste dal PSC e dal POS furono nelle intenzioni superate dal M.C. e dal Ba. (responsabile di cantiere della E.), perché questi decisero per l'uso delle piattaforme; però essi non realizzarono l'intento in quanto tali apparecchiature dimostrarono di avere i cestelli troppo grandi per entrare nelle campate.
Pertanto, così come previsto dal PSC, il G.M. fu fatto salire sulla copertura, dalla quale precipitò a causa della rottura di una lastra e dell'assenza di un idoneo dispositivo individuale anticaduta. Egli era stato munito di cintura di sicurezza (ma tale circostanza è esposta in termini dubitativi dalla Corte di Appello), ma non aveva avuto la possibilità di ancorarsi per l'assenza di punti di aggancio sulla copertura.
Non è accertato se il B.M. avesse saputo o meno della decisione, poi rientrata, di modificare le modalità operative.
8. In presenza di tale incertezza i giudici di merito hanno formulato un addebito alternativo. Postulando che il B.M. non fosse stato a conoscenza della modifica, essi hanno ritenuto che l'imputato aveva omesso di attivarsi per verificare la reale situazione di cantiere. Gli si è rimproverato, quindi, un omesso controllo sull'andamento delle lavorazioni, assumendo che se ci fosse stato sarebbe stato evitato l'infortunio perché avrebbe rilevato l'assenza dei punti di ancoraggio.
Postulando che il B.M. avesse saputo della diversa modalità di lavoro prevista nel piano di lavoro sopra menzionato, gli si è ascritto di non aver adeguato ad esso il PSC.
9. L'ampio raggio dell'ascrizione chiama in causa il complessivo ruolo del coordinatore per l'esecuzione; in particolare l'obbligo di predisposizione e di aggiornamento del PSC e quello di verificare l'attuazione delle misure in esso previste.
La giurisprudenza di questa Corte é venuta precisando il ruolo del coordinatore per l'esecuzione nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici nel senso che il medesimo ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così, ex multis, Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167).
Di indubbio rilievo è la puntualizzazione che il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni; essenziale é che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica della sua attuazione, della quale devono darsi cura le imprese esecutrici. Attività di verifica, tuttavia, non può significare presenza diuturna nel cantiere ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo.
L'alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza di questa Corte, quindi, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici. Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto é vero che un potere-dovere di intervento diretto è previsto per tale figura solo quando constati direttamente gravi pericoli [art. 92, co. 1 lett.f) dlgs. n. 81/2008]. Può dirsi che il coordinatore per l'esecuzione, identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse la attuazione dei piani 'attraverso la mediazione dei datori esecutori'. Non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie).
Parallelamente, l'accertamento giudiziale non dovrà ricercare ì segni di una presenza diuturna, ma le tracce delle azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale (così già sez. 4, sent. n. 37597 del 5/5/2015, dep. 16/9/2015, Giamberto). 
Su simili principi la giurisprudenza di merito appare stabilmente attestata, ancorché le concrete applicazioni mostrino sovente un cedimento, finendosi non di rado per il rimproverare al coordinatore in realtà proprio quel mancato controllo continuo che pure in premessa si afferma di non pretendere.
Siffatta ricorrente contraddizione sembra trovare origine non tanto in un ottuso rigorismo ma nella oggettiva difficoltà di segnare la linea di demarcazione tra il ruolo del coordinatore e quello del datore di lavoro esecutore. Una linea di demarcazione che non può che rinvenirsi nella diversità dell'area di rischio da ciascuno gestita; ma che oggettivamente risulta sovente di scarsa evidenza sia per la complessità del concreto operare, sia per fenomeni di sovrapposizione.
Posto che è ben più chiaro il corredo di obblighi che gravano sul datore di lavoro esecutore, occorre dare atto che la prassi, forse anche per talune affermazioni fatte in passato dalla giurisprudenza di legittimità, 'percepisce' il coordinatore per l'esecuzione come un tecnico della sicurezza del cantiere, di talché i PSC, quando non costituiscono una sterile sequenza di generici propositi - sortiti non si sa bene da quale concreta valutazione dei rischi concretamente proposti dalle lavorazioni nel caso specifico - tendono a intervenire su ogni rischio correlato ai lavori da eseguire.
Si tratta, a ben vedere, del retaggio della prima disciplina che si è occupata di tale figura. Allorquando essa venne prevista per la prima volta, con l'art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996, la giurisprudenza di legittimità lo riconobbe gravato dell'obbligo di assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione; titolare del compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, di vigilanza sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (Sez. 4, n. 24010 del 03/04/2003 - dep. 26/05/2004, Cunial, Rv. 228565). I compiti del coordinatore non si limitavano alla identificazione, valutazione e gestione del rischio interferenziale, ma si estendevano a tutti i rischi presenti sul cantiere. Infatti, il piano di coordinamento e di sicurezza da lui redatto doveva contenere in primo luogo "l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure esecutive, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori" ed inoltre "le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva delle varie imprese ovvero dei lavoratori autonomi" (così il testo previgente alle modifiche apportate dal d. lgs. 578/1999) (ndr. d.lgs. n. 528/1999). Posizione ulteriormente enfatizzata dalla disposizione del comma 1, lett. a) del decreto, per la quale il coordinatore per l'esecuzione, durante la realizzazione dell'opera, deve "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro".
Ben si comprende, quindi, su quali basi il coordinatore per l'esecuzione (più marginale il ruolo del coordinatore per la progettazione) fosse considerato ruolo al quale ricondurre tutti gli adempimenti in materia di sicurezza del cantiere: appunto il soggetto che, essendo dotato delle necessarie competenze tecniche (espressamente richieste ed individuate dall'art. 10 d.lgs. n. 494/1996) si interpone tra la committenza e le imprese esecutrici, gestendo in luogo del committente il rischio lavorativo non specifico delle seconde: il garante della sicurezza del cantiere (così testualmente - con l'affermazione dell'invarianza della disciplina a seguito delle modifiche recate dal d.lgs. n. 578/1999, sez. 3 n. 39869 del 14/7/2004, dep. 12710/2004, Mirci, n.m., citata adesivamente da Sez. 4, n. 38002 del 09/07/208 - dep. 03/10/2008, Abbate, Rv. 241217).
Non si può dubitare che in tal modo l'area di responsabilità del coordinatore è stata espansa sino all'estremo delle sue potenzialità, mettendo in crisi la pur avvertita necessità di non omologare tale ruolo a quello del datore di lavoro. Di qui la successiva elaborazione di questa Corte, che già rileggendo la normativa previgente al d.lgs. n. 81/2008 ha individuato nel criterio dell'alta vigilanza lo strumento interpretativo in grado di condurre alla corretta soluzione i quesiti giuridici posti dal coordinatore per l'esecuzione.
Di particolare rilievo, in questa elaborazione, appare il contributo recato da Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010 - dep. 13/05/2010, Cellie e altro, Rv. 247536, la quale specifica che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). All'esito di una approfondita ricognizione del quadro normativo la decisione rimarca da un canto che il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, ha un peculiare ruolo in tema di alta vigilanza sulla sicurezza del cantiere, che può essere delegato ai coordinatori per la sicurezza, chiamato a collaborare con il committente, con talune limitazioni; dall'altro che la specifica sfera di gestione del rischio demandata al coordinatore discende per un verso dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda al committente; e per l'altro dalla disciplina legale, la quale conferma che la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative.
Alla 'generale configurazione dei lavori' si contrappone il caso che l'evento rappresenti "un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto".
Coerentemente la giurisprudenza più recente ribadisce che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori non è tenuto ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92, lett. f), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016 - dep. 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735; similmente Sez. 4, sent. n. 37597 del 5/5/2015, dep. 16/9/2015, Giambertone, n.m.).
Ad ulteriore chiarimento di questi principi, che ancora conoscono incertezze applicative, si può aggiungere che il d.lgs. n. 81/2008 ha ancor più nettamente connesso l'opera del coordinatore per l'esecuzione alla sicura organizzazione complessiva del cantiere, con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni - tenuto conto anche, ma non esclusivamente, del rischio da interferenze - alle necessità della sicurezza dei lavoratori. Le singole lavorazioni, per contro, devono essere organizzate in modo sicuro dai datori di lavori chiamati alla loro esecuzione.
L'art. 100 dispone che il PSC contiene, oltre ad una relazione tecnica, "le prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare e alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi i rischi particolari di cui all'allegato XI". Si pone quindi un legame tra le caratteristiche dell'opera, il processo di costruzione e gli adempimenti prevenzionistici. Legame confermato dall'allegato XV che definisce i contenuti minimi del PSC, innanzitutto indicandoli come frutto delle scelte progettuali ed organizzative, che devono essere conformi alle prescrizioni dell'art. 15; quindi dandone un elenco che mette in risalto l'inerenza di ciascun punto alla progettazione dell'opera e all'organizzazione del cantiere, alla tipologia delle lavorazioni e alle loro interferenze; si veda, ad esempio, il punto 2.1.2. c), che vuole sia inclusa nel PSC "una relazione concernente l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all'area e alla organizzazione dei cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze".
In breve, senza ripercorre una estesa normazione: dalla fitta trama delle previsioni di legge emerge che l'area di rischio governata dal coordinatore è quella che attiene alla conformazione generale delle lavorazioni (che tiene conto dell'area e dell'organizzazione del cantiere, delle lavorazioni e delle loro interferenze).
Questione essenziale, quindi, (anche) quando si tratta della posizione del coordinatore per l'esecuzione, è l'identificazione del tipo di rischio del quale può essere ritenuto gestore; e, conseguentemente, la verifica dell'essere l'evento lesivo concreto concretizzazione di quel rischio.
10. Orbene, stabilire se una procedura attenga alla generale organizzazione del cantiere o ad una lavorazione affidata alle specifiche cure del datore di lavoro è esattamente la questione più complessa. Ad avviso del Collegio una plausibile risposta può essere ricercata nella elencazione dei contenuti minimi del PSC fatta dal legislatore. Come si è già ripetuto, l'articolazione delle aree di interesse del Piano è quadripartita: a) rischi connessi all'area di cantiere (punto 2.2.1.); rischi connessi all'organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); rischi connessi alle lavorazioni (punto 2.2.3.), nei quali sono compresi i rischi da interferenze.
Compito del coordinatore è quindi quello di prendere in considerazione le fonti di pericolo rappresentate dall'ambiente di lavoro, dal modo in cui sono organizzate le attività in esso, dalle procedure lavorative, e dalla convergenza in esso di più imprese. Per così dire l'infrastruttura entro la quale si colloca la singola lavorazione affidata all'impresa esecutrice. Si legge nell'Allegato XV che "in riferimento alle lavorazioni, il coordinatore per la progettazione suddivide le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell'opera lo richiede, in sottofasi di lavoro, ed effettua l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'impresa, facendo in particolare attenzione . Il rischio specifico è quindi il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per l'esecuzione.
La nozione di rischio specifico è stata ricostruita da questa Corte, che l'ha individuata indagando le condizioni dell'esenzione del datore di lavoro committente dall'obbligo di cooperazione e di coordinamento con l'appaltatore per l'attuazione delle misure di prevenzione dei rischi di infortunio sul lavoro (cfr. art. 7, comma 3 d.lgs. n. 626/94). Si è affermato che "rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi", rimandano "alle precauzioni dettate da regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale - generalmente mancante in chi opera in settori diversi - nella conoscenza delle procedure da adottarsi nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine". E così non è stato ritenuto 'rischio specifico', quello che debba essere fronteggiato con l'impedire lo stazionamento di persone nel raggio di azione di una macchina potenzialmente pericolosa (nella specie, escavatore munito di benna) essendo tale pericolo riconoscibile da chiunque, indipendentemente dalla sue specifiche competenze (Sez. 4, n. 31296 del 17/05/2005 - dep. 19/08/2005, Mogliani, Rv. 231658; similmente Sez. 4, n. 14440 del 05/03/2009 - dep. 02/04/2009, P.C., Ferrara e altri, Rv. 243882).
Con peculiare riguardo al rischio di caduta dall'alto va in primo luogo rilevato che esso è espressamente menzionato alla lett. c) del punto 2.2.3 dell'allegato XV. La giurisprudenza di questa Corte è incline a ritenere che il rischio di caduta dall'alto è un rischio non specifico dell'attività della singola impresa, sicché il coordinatore deve occuparsene. Così, ad esempio, Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015 - dep. 24/03/2015, Cicuto, Rv. 262757, che ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, definito non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio.
11. Ad avviso di questo Collegio l'interpretazione che riconduce ontologicamente il rischio di caduta dall'alto al novero dei rischi non specifici, secondo la nozione valevole ai fini dell'applicazione delle norme del Titolo IV del d.lgs. n. 81/2008, non è condivisibile.
Come si è scritto, il coordinatore per l'esecuzione governa la generale conformazione del cantiere; il datore di lavoro esecutore pone a disposizione di quello le informazioni necessarie ad un'adeguata valutazione del rischio 'infrastrutturale' e conforma la propria organizzazione in modo da garantire l'attuazione delle misure individuate come necessarie a fronteggiare quel rischio. A valle di tali adempimenti, egli rimane esclusivo dominus del rischio inerente alle attività che è chiamato ad eseguire dall'appalto. Sicché la specificità del rischio non è data dalla maggiore o minore difficoltà di esecuzione della lavorazione ma dalla riconduzione di esso all'attività per la quale si è fatto ricorso alla ditta esecutrice o invece dalla sua inerenza alla conformazione generale del cantiere.
L'analisi dei rischi individualmente nominati dal punto 2.2.3. dell'allegato XV (come gli altri indicati in tale allegato) mostra che si tratta di rischi che il coordinatore prende in esame per la loro derivazione dalle 'lavorazioni' considerate nella loro interazione con il cantiere; ma quando uno di quei rischi attiene strettamente alla singola lavorazione, va considerato rischio specifico. 
12. Si è già rilevato che la prassi propone sovente una interpretazione 'espansiva' del ruolo del coordinatore per l'esecuzione, che non di rado prende in carico anche la gestione di rischi specifici dell'impresa esecutrice. In tali casi occorre tener presente che ai sensi dell'art. 299 d.lgs. n. 81/2008, che sul punto ha positivizzato una regola già riconosciuta dal diritto vivente, "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".
Le applicazioni sono numerose, in specie con riguardo alla figura del committente (tra le altre, Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015 - dep. 02/11/2015, Heqimi ed altri, Rv. 254974). Ma anche con riferimento al datore di lavoro si è affermato che "in tema di infortuni sul lavoro, risponde della violazione delle norme antinfortunistiche non solo colui il quale non le osservi o non le faccia osservare essendovi istituzionalmente tenuto, ma anche chi, pur non avendo nell'impresa una veste istituzionale formalmente riconosciuta, si comporti di fatto come se l'avesse e impartisca ordini nell'esecuzione dei quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto della normativa a presidio della sua sicurezza (Sez. 4, n. 43343 del 18/12/2002 - dep. 12/11/2003, Marigioli e altri, Rv. 226339); del dirigente e del preposto ("In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la qualifica di preposto dev'essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa. Ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma dell'art. 4 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori: Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007 - dep. 28/09/2007, Lanzellotti, Rv. 237468).
Più di recente, proprio con riferimento al coordinatore per l'esecuzione, ne è stata affermata la responsabilità perché ingeritosi nella gestione di lavori diversi da quelli edili (Sez. 4, n. 3809 del 07/01/2015 - dep. 27/01/2015, Cominotti, Rv. 261960).
Pertanto può accadere che la tracimazione dell'operato del coordinatore per l'esecuzione in ambiti che non gli competono possa comunque condurlo a rispondere dell'evento lesivo causalmente raccordato alla sua condotta, nel rispetto del principio di correlazione stabilito dall'art. 521 cod. proc. pen.
13. Su queste premesse si può venire all'esame dei rilievi mossi dal ricorrente.
Non erra il ricorrente quando lamenta che non sia stato previamente accertato se il rischio di caduta dall'alto, nel caso specifico, atteneva o meno all'area di competenza del coordinatore; come d'altronde, non è stata resa motivazione in ordine all'inerenza di tal rischio alla conformazione generale del cantiere.
Entrambi i giudici di merito hanno dato per scontato che il governo di quel rischio competesse al B.M., nella qualità. Per contro una tale presunzione urta con i dati fattuali esposti nelle decisioni ed andava quindi specificamente argomentata, non mancandosi di valutare il comportamento del B.M. anche sotto il profilo della assunzione di fatto di un diverso ruolo nel quadro dei garanti prevenzionistici.
La decisione impugnata manca quindi di più di un passaggio essenziale per la giustificazione della conferma dell'affermazione di responsabilità.
14. Quanto al carattere abnorme del comportamento della vittima, come tale incidente sulla relazione causale tra la condotta del reo e l'evento lesivo, nel senso di imporre la cessazione di quella relazione, va rammentato che la nozione di comportamento abnorme del lavoratore che la giurisprudenza di legittimità ha consolidato attraverso una nutrita serie di pronunce pone l'accento sul fatto che non deve trattarsi del compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 - dep. 19/02/2014, Rovaldi, Rv. 259313). Diversamente da quanto ritenuto dall'esponente, la decisione citata dal ricorrente non si pone su un diverso percorso ricostruttivo (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016 - dep. 03/03/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Nel caso di specie non è necessario indulgere sulla giustificazione di tal ultima affermazione perché è pacifico che il G.M. precipitò a causa e mentre svolgeva le mansioni che gli erano state affidate; che egli non fece che eseguire gli ordini che gli vennero impartiti, secondo le sole modalità che gli erano consentite. Sicché, neppure può ipotizzarsi un comportamento 'abnorme', quale che sia la nozione da accogliere, perché esso richiede pur sempre una condotta che si discosti da quanto ordinato dal superiore gerarchico.
Il motivo è pertanto manifestamente infondato.
Aspecifico è il motivo che chiama in causa l'applicazione dell'art. 113 cod. pen.; si rammenta la necessità che il cooperante abbia contezza dell'altrui condotta ma non si traggono conclusioni che tengano conto delle affermazioni dei giudici di merito; si lamenta la mancata esposizione dell'apporto causale che avrebbe dato il B.M. al verificarsi del sinistro, in presenza di una motivazione che si dilunga su ciò che l'imputato avrebbe dovuto fare.
15. In conclusione, il ricorso va accolto, limitatamente al punto concernente la rilevanza causale delle violazioni alle prescrizioni prevenzionistiche accertate in capo al B.M., nei sensi sopra precisati, con rinvio alla Corte di appello di Milano per nuovo esame.
I due motivi che attengono al trattamento sanzionatone risultano assorbiti.
16. Il ricorso proposto dal M.C. è manifestamente infondato.
Detto che la censura che fa perno su una testimonianza asseritamente di segno avverso a quelle poste a base della ricostruzione operata dai giudici di merito non è consentita in questa sede, dal momento che essa pretende di porre questa Corte a diretto contatto con il materiale probatorio, va ritenuto che non sussista alcuna manifesta illogicità nella motivazione impugnata. Al M.C. non si è ascritto di non aver deciso per diversi presidi di sicurezza, ma di non aver vigilato affinchè le lavorazioni sulla copertura si svolgessero in condizioni di sicurezza. Compito precipuo del preposto è, infatti, quello di sovrintendere alla attività lavorativa e di garantire l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art. 2 lett. e) d.lgs. n. 81/2008, non innovativo rispetto alla disciplina previgente).
Il M.C., quindi, non avrebbe dovuto disporre perché i lavori venissero svolti in altro modo; ma avrebbe dovuto controllare che le lavorazioni dalla copertura si svolgessero nel rispetto della normativa antinfortunistica e, qualora ciò non fosse stato possibile per la mancata dotazione dei materiali necessari, sospendere la lavorazione e richiedere al datore di lavoro quanto necessario. Al contrario, non solo il M.C. non esercitò i suoi poteri di vigilanza ma addirittura diede disposizione al G.M. di salire sul tetto nonostante gli fosse stato rappresentato da altro lavoratore la situazione di pericolo tanto evidente da indurre questi a rifiutarsi di lavorare sulla copertura.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di duemila euro.
 

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di B.M. e rinvia sul punto alla Corte d'appello di Milano. 
Dichiara inammissibile il ricorso di M.C. che condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/9/2016.