Cassazione Penale, Sez. 7, 01 marzo 2017, n. 10083 - Cause di forza maggiore che impediscono un tempestivo pagamento per l'estinzione del reato
Presidente: GRILLO RENATO Relatore: DI NICOLA VITO Data Udienza: 25/11/2016
Fatto
1. T.R. ricorre per cassazione, impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Vallo della Lucania lo ha condannato, concesse le attenuanti generiche e ritenuto l'aumento per la continuazione, alla pena di € 1500 di ammenda per i reati previsti dagli articoli 109-159, lettere a) e c), del decreto legislativo 81 del 2008.
2. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:
1) l'inosservanza della legge penale in relazione all'articolo 45 del codice penale e il difetto di motivazione su punti decisivi per il giudizio (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), lamentandosi del fatto che il tribunale ha ritenuto configurato il reato contestato sul rilievo che dalla documentazione medica prodotta dalla difesa non si deducevano cause di forza maggiore tali da ostacolare un tempestivo pagamento.
Obietta il ricorrente che dal testo della sentenza impugnata non si comprende però quali elementi il giudice abbia preso in considerazione per pervenire alla conclusione di ritenere irrilevante, ai fini dell'integrazione della causa estintiva del reato, la patologia di cui soffriva il ricorrente al quale invece era stata diagnosticata una periartrite scapolo omerale destra con deficit della introrotazione, malattia integrante la causa di forza maggiore reclamata;
2) l'erronea interpretazione della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 62 n. 6) del codice penale, sul rilievo che la sentenza impugnata non avrebbe dato atto che il ricorrente era stato ammesso al pagamento in misura ridotta ed aveva ottemperato alle prescrizioni imposte eliminando le violazioni denunciate dall'ispettorato del lavoro prima ancora della trasmissione degli atti alla procura della Repubblica competente, con la conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, sussistevano tutte le condizioni per applicare la attenuante del risarcimento del danno essendosi l'imputato, prima dell'inizio del dibattimento, adoperato efficacemente per evitare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Diritto
3. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
3.1. Quanto al primo motivo, l'inammissibilità di esso appare evidente sulla base della considerazione che, in materia di attività lato sensu "negoziale" dell'interessato (quale può essere il pagamento da eseguire ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 758 del 1994 configurante la causa estintiva dei reati contestati), integra un'ipotesi di causa di forza maggiore, che pertanto scrimina ai sensi dell'articolo 45 del codice penale, esclusivamente uno stato di malattia che sia di tale gravità da impedire all'interessato per tutta la sua durata qualsiasi attività, nella specie incidendo sulla capacità di intendere e volere limitandolo in senso assoluto ed in maniera da non poter neppure impartire disposizioni per l'espletamento dell'atto che si assume non compiuto (non per propria volontà) per forza maggiore.
Non è pertanto sufficiente, nel caso in esame, che il ricorrente deduca di essere stato affetto da una malattia nel tempo occorrente per l'espletamento dell'atto ma è necessaria, quanto meno, la tempestiva allegazione della influenza assoluta della patologia sulla sua capacità di intendere e di volere, circostanze in alcun caso oggetto di allegazione e prova, ed anzi l'adempimento delle prescrizioni imposte, come risulta dal testo della sentenza impugnata e dal ricorso, dimostra come, nonostante la patologia, il ricorrente avesse la piena capacità anche per assolvere al pagamento che, eseguito nei termini, gli avrebbe consentito di usufruire della speciale causa estintiva del reato.
3.2. Quanto al secondo motivo, deve ritenersi pacifico che il contegno attuoso post factum dell'imputato, il quale si sia conformato alle prescrizioni impartite dall'ispettorato del lavoro per evitare infortuni che possano colpire i lavoratori nell'espletamento delle loro mansioni, è certamente apprezzabile e producente al fine di beneficiare delle attenuanti generiche (che sono state infatti ritenute dal giudice di merito), ma non è rapportabile al paradigma apprestato dalla norma di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. (attivo ravvedimento), la quale implica che l'eliminazione delle conseguenze di un reato sia spontanea, richiedendosi infatti che, per effetto di spontaneo ravvedimento, l'autore rimuova gli effetti negativi della sua condotta antigiuridica, cosicché l'attenuante non può operare allorquando la condotta sia posta in essere per adempiere alle prescrizioni impartite dall'organo pubblico che ha verificato l'inadempimento degli obblighi posti a carico del datore di lavoro ed a tutela dell'integrità fisica o psichica dei lavoratori per la semplice ragione che, in tal caso, l'eliminazione delle conseguenze del reato non può definirsi spontanea perché l'agente, adempiendo le prescrizioni, si è sia adoperato ad elidere o ad attenuare le conseguenze del reato in presenza di un obbligo giuridico legittimamente impostogli e non spontaneamente.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25/11/2016