Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 marzo 2017, n. 6773 - Termini di decadenza sostanziale per i lavoratori che non si sono attivati per far valere l'esposizione al rischio amianto
Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: GHINOY PAOLA Data pubblicazione: 15/03/2017
Fatto
1. La Corte d'appello di Firenze con la sentenza n. 1555 del 2010, in accoglimento dell'appello proposto dall'Inps avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto che aveva accertato il diritto di F.B. alla rivalutazione contributiva di cui all'articolo 13 comma 8 della L. n. 257 del 1992 per il periodo di esposizione all’amianto dal 1980 al 1992, dichiarava improponibile la domanda proposta in primo grado dal F.B. e compensava tra le parti le spese processuali del doppio grado.
2. La Corte territoriale argomentava che la rivalutazione contributiva era stata chiesta con domanda amministrativa del 29 dicembre 1995 e la domanda giudiziale era stata presentata solo in data 3 febbraio 2009, quand'era trascorso il termine triennale di decadenza di cui all'art. 47 del d.p.r. n. 639 del 1970, come sostituito dall'art. 4 del d.l. n. 384 del 1992, conv. con modificazioni nella legge n. 438 del 1992. Né poteva valere in senso contrario la presentazione di nuove domande nel 2005 e nel 2008, considerato che l'articolo 47 del d.l. n. 269 del 2003 e l'art. 3 della legge n. 350 del 2003 non avevano introdotto una sorta di remissione in termini, introducendo al contrario specifici termini di decadenza sostanziale per i lavoratori che non si erano attivati per far valere l'esposizione al rischio amianto e così ribadendo le superiori esigenze di interesse pubblico alla definizione di situazioni risalenti nel tempo e di difficile accertamento sul piano fattuale.
3. Per la cassazione della sentenza F.B. ha proposto ricorso, affidato ad un unico articolato motivo, cui hanno resistito con controricorso l'Inps e l'Inail.
Diritto
1. Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 47 del d.p.r. 639 del 1970 e dell'alt. 47 del d.l. n. 269 del 2003, conv. in legge n. 326 del 2003. Sostiene che la decadenza non troverebbe applicazione nella specie, perché la prestazione in oggetto è destinata ad ottenere il calcolo del trattamento ovvero un adeguamento della pensione, sicché a termini della sentenza n. 12270 del 2009 delle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione la decadenza non potrebbe operare, potendosi applicare soltanto l'ordinario termine di prescrizione decennale.
1.2. In via subordinata, per l'ipotesi in cui si dovesse ritenere applicabile tale disposizione, rileva che comunque la decadenza non potrebbe comportare la perdita definitiva del diritto alla rivalutazione, potendo al più incidere sui ratei di pensione pregressi.
1.3. Aggiunge che perché di decadenza in senso sostanziale possa parlarsi, è necessario che l'interessato abbia maturato il diritto al prestazione della cui estinzione si tratta, mentre nel caso è pacifico che il ricorrente non fosse all'epoca della presentazione del ricorso giudiziario ancora in pensione, con la conseguenza che nessun rateo di pensione poteva dirsi estinto per effetto della decadenza asseritamente maturata.
1.4. In via ulteriormente subordinata, censura la sentenza laddove ha ritenuto irrilevanti le nuove domande amministrative proposte dal F.B. il 25 maggio 2005 e il 11 marzo 2008, in relazione alle quali il ricorso giudiziario era tempestivo, quantomeno ai fini dell'ottenimento della rivalutazione contributiva secondo la nuova disciplina.
2. Il ricorso non è fondato, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la decadenza dall'azione giudiziaria prevista dall'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, nel testo (applicabile rattorte temporis) sostituito dal d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. in legge 14 novembre 1992, n. 438, trova applicazione anche alle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione, in ragione dell'ampio riferimento contenuto nella norma alle «controversie in materia di trattamenti pensionistici» (Cass. ord., n. 7934 del 2014, e, da ultimo, Cass. n. 21310 e 21198 del 2016).
2.1. Secondo le richiamate decisioni, infatti, l'art. 47 citato, per l'ampio riferimento fatto alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, comprende tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l'acquisizione dei diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso, nella previsione di legge, anche l’accertamento relativo alla consistenza dell'anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale, all'evidenza, incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dalla legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.
2.2. In pratica, con la domanda per cui è causa non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell'ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge ai fini pensionistici e, dunque, intimamente collegato alla pensione, in quanto strumentale ad agevolarne l'accesso (ovvero, nel caso dei già pensionati, ad ottenerne un arricchimento, ove la contribuzione posseduta sia inferiore al tetto massimo dei quarantanni), è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinari - il diritto al trattamento pensionistico.
2.3. Si è poi rilevato che la proposizione, in epoca posteriore alla maturazione della decadenza, di una nuova domanda diretta ad ottenere il medesimo beneficio previdenziale, sebbene sulla base della disciplina che ne ha dettato la normativa sopravvenuta, è irrilevante ai fini del riconoscimento della prestazione, posto che l'istituto mira a tutelare la certezza delle determinazioni concernenti l'erogazione di spese gravanti sui bilanci, che verrebbe vanificata ove la mera riproposizione della domanda determinasse il venire meno degli effetti decadenziali già verificatisi (in senso conf. v. Cass. ord. 12/1/2016 n. 311).
3. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Non vi è luogo a condanna alle spese della parte soccombente, in quanto la Corte d'appello ha riferito in motivazione la sussistenza dei presupposti per l'esonero previsti dall'alt. 152 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.12.2016.