Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 maggio 2017, n. 11418 - Due ricorsi a distanza di anni per ottenere una rendita per malattia professionale. Rigetto


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 10/05/2017

 

 

 

Fatto

 


Con la sentenza n. 86/2010, la Corte d'Appello di Perugia rigettava il gravame proposto da B.W. contro la pronuncia di primo grado che aveva rigettato per maturata prescrizione, ex art. 112 DPR 1124/65, il suo ricorso diretto ad ottenere dall'INAIL il riconoscimento del diritto alla percezione della rendita per malattia professionale.
A fondamento della decisione la Corte territoriale sosteneva che il ricorrente avesse già presentato una domanda all'INAIL nel febbraio 1998, corredata da documentazione dalla quale risultava che conoscesse la origine professionale della malattia e la sua gravità. Non poteva ritenersi poi che la successiva malattia denunciata nel 2003 (spondilartrosi del rachide lombare con degenerazioni discali multiple) fosse diversa da quella denunciata nel 1998 (ernia lombare L4-L5), in quanto si trattava solo di una più ampia e dettagliata descrizione della stessa malattia.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.W. con due motivi,m illustrati da memoria. L'INAIL resiste con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge - art.112 DPR 1124/1965, art. 2697 c.c., 2934, 2935 c.c., artt.112, 115, 116 c.p.c.- omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia ( art.360, nn. 3 e 5 c.p.c.) in quanto la Corte territoriale non aveva considerato che la domanda del 10.2.2003 era una domanda nuova avente ad oggetto una malattia nuova rispetto a quella del 23.2.1998, affermando il contrario senza alcun supporto medico legale. Inoltre perchè la Corte non aveva applicato il principio desumibile dalla sentenza della Corte Cost. 46/2010, in virtù del quale, quando il maggiore grado di inabilità dipende dalla protrazione dell'esposizione a rischio patogeno, si sarebbe in presenza di una "nuova malattia".
2. Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione di legge - artt.66, 74 e 112 DPR 1124/1965, art. 13 d.lgs. 23.2.2000 n. 38; artt. 2697 c.c., 2934, 2935 c.c., artt.112, 115, 116 c.p.c.- omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia ( art.360, nn. 3 e 5 c.p.c.) in quanto la pronuncia gravata si poneva in contraddizione con il contenuto dell'art. 112 cit. nell'interpretazione fornita dalla Corte Cost. e dalla giurisprudenza di legittimità dovendosi tener contro che il dies a quo della prescrizione decorreva dalla consapevolezza o conoscibilità dello stato morboso, della sua natura professionale e del raggiungimento della soglia minima di indennizzabilità.
3. I motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per la connessione che li contraddistingue, sono infondati.
4. In primo luogo sono inammissibili le censure le quali mirano in realtà a rivedere la valutazione di merito della decisione di secondo grado senza denunciare precisi vizi di legge o di motivazione tra quelli elencati nel catalogo dell'alt. 360 c.p.c. Deve ricordarsi che quello di Cassazione non è un terzo grado di giudizio il cui compito sia di verificare la fondatezza di ogni affermazione effettuata dal giudice di appello nella sentenza. Esso è invece (Cass. Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014) un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti; ma deve promuovere specifiche censure nei limiti dei motivi consentiti dalla legge.
5. Nel caso in esame, la Corte territoriale, come già il giudice di primo grado, ha ritenuto che la malattia denunciata dal ricorrente nel 2003 fosse la stessa malattia, solo diversamente descritta, di quella precedentemente denunciata all'INAIL nel 1988. Si tratta di una valutazione che il ricorso si limita a censurare, anzitutto, genericamente lamentando, per un verso, che detta valutazione sia stata formulata dal giudice senza il ricorso ad una ctu medico legale (quando com'è noto rientra, di per sé, nei poteri discrezionali del giudice disporre o meno un'accertamento tecnico medico legale, Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007); e peraltro verso, affermando apoditticamente che non è detto che " se pure due patologie afferiscano alla medesima natura (ad esempio per tipologia o localizzazione ) esse non siano diverse"; con una censura di contenuto ipotetico palesemente inidonea ad aggredire la ratio decidendi circa l'identità delle due malattie affermata nella sentenza impugnata.
6. In secondo luogo è destituita di fondamento la censura che invoca la estensione al caso di specie del principio posto dalla Corte Cost. alla base della sentenza 46/2010 che giudicava di una questione di illegittimità costituzionale relativa agli artt. 80 e 131 del d.P.R. n. 1124 del 1965 ovvero della denunciabilità dell'aggravamento di una malattia oltre il limite temporale della rilevanza delle variazioni delle condizioni fisiche dell’assicurato; questione di cui non si discorre minimamente nel presente giudizio. La Corte Cost. nella predetta sentenza ha comunque affermato che le due norme citate, riferendosi all'ipotesi di "nuova" malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale ("vecchia", quindi, in contrapposizione alla "nuova"), il protrarsi dell'esposizione al medesimo rischio patogeno determini una "nuova" inabilità che risulti superiore a quella già riconosciuta.
Pertanto tale interpretazione delle norme sopracitate, secondo la stessa Corte Cost., non fa ricadere l'ipotesi così delineata nell'ambito di applicabilità dell'art.137 del D.P.R. n. 1124 del 1965, il quale si riferisce esclusivamente all'aggravamento eventuale e consequenziale dell'inabilità derivante dalla naturale evoluzione della originaria malattia. Quando, invece, il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell'esposizione a rischio patogeno, e si è quindi in presenza di una "nuova" malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella dettata dall'art. 80, estesa alle malattie professionali dall'art. 131.
7. La pronuncia della Corte Cost. ed il principio in essa affermato non ha alcuna attinenza al caso di specie; in quanto esso postula che rispetto ad una malattia professionale già riconosciuta si verifichi un aggravamento conseguente al protrarsi dell'esposizione a rischio (e non per naturale evoluzione della malattia). Nel caso in esame invece si discute d'altro, perché la "prima malattia" non è stata mai riconosciuta come malattia professionale essendo stato esclusa in radice l'esistenza del nesso di causa (e nemmeno per il mancato raggiungimento della soglia di indennizzabilità).
8. D'altra parte la stessa difesa ricorrente sostiene pure, contraddittoriamente, che la malattia in discorso sia diversa dalla precedente malattia; onde è pure evidente che non può nemmeno configurarsi il presupposto essenziale per il richiamo alla sentenza della Corte Cost. la quale presuppone pure l'aggravamento della malattia professionale riconosciuta ("il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell'esposizione a rischio patogeno, e si è quindi in presenza di una «nuova» malattia, seppure della stessa natura della prima")
9. Infine inammissibili e prive di fondamento sono le doglianze con le quali si mira ad infirmare il giudizio formulato dalla Corte territoriale sulla conoscenza o conoscibilità della natura professionale della precedente malattia ai fini della decorrenza della prescrizione e dell'identificazione del dies a quo.
La relativa affermazione è stata fondata dalla Corte di merito sull'esame della domanda presentata all'INAIL nel febbraio 1998 e della documentazione ad essa allegata dalla quale risultava che il ricorrente conoscesse la origine professionale della malattia e la sua gravità.
10. Si tratta di una affermazione corretta sul piano logico e giuridico; che il motivo di ricorso dedotto pretenderebbe di censurare senza neppure indicare e trascrivere in ricorso la documentazione medica posta dalla Corte a sostegno del proprio assunto, formulando pertanto un motivo privo di specificità ed autosufficienza.
11. Per le ragioni espresse il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi € 2200, di cui € 2000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed oneri accessori.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 8.12.16.