Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 maggio 2017, n. 12110 - Caduta durante la raccolta delle mele. Criterio della massima sicurezza tecnologicamente possibile
"...L'obbligo contrattuale sancito dall'art. 2087 cod. civ. ha natura autonoma e non accessoria. L'imprenditore, anche indipendentemente da specifiche disposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti e le misure necessarie a evitare il verificarsi di lesioni di beni primari come la salute e l'integrità fisica, secondo un criterio di massima sicurezza tecnologicamente possibile."
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DE FELICE ALFONSINA Data pubblicazione: 16/05/2017
Fatto
La Corte d'Appello di Trento, in data 16/8/2011, a seguito di rinvio da parte della Corte di Cassazione (sentenza n.9689/2009), confermava la decisione del Tribunale di Trento n.105/2004, che aveva rigettato il ricorso di N.B., dipendente a tempo determinato dell'azienda agricola di M.S..
Il lavoratore chiedeva di ottenere l'accertamento della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del M.S. per la causazione dell'infortunio occorsogli in data 4/10/2000, dovuto a inosservanza della normativa antinfortunistica di settore, e comunque alla mancata adozione di tutte le cautele necessarie ex art. 2087 cod. civ., con conseguente condanna del medesimo al risarcimento dei danni subiti, quantificati in Euro 11.358 con rivalutazione monetaria e interessi per il mancato godimento della somma rivalutata al tasso del 5%. Deduceva il ricorrente, addetto alla raccolta delle mele presso l'azienda agricola del M.S., di aver perduto l'equilibrio e di essere caduto dalla scala a pioli - affondata nel terreno e con la parte superiore appoggiata ai rami dell'albero - da un'altezza di 8-12 metri riportando trauma lombare con frattura guaribile in trenta giorni. Sosteneva, inoltre, che l'infortunio si era verificato per aver il datore omesso di adottare le misure specifiche necessarie a tutelare la sua integrità fisica in base al d.P.R. n.547/1955, art. 18, il quale prevede le caratteristiche delle scale da lavoro, e art. 386 sull'obbligo della cintura di sicurezza in caso di lavori in cui vi sia il rischio di cadere dall'alto e all'art.3 del d.lgs.626/1994, il quale dispone che il datore ha l'obbligo di eliminare i rischi in base alle conoscenze tecniche acquisite e al progresso tecnico raggiunto o comunque di ridurli al minimo, oltre all'obbligo di informare il lavoratore circa le modalità con cui operare. Sia in primo sia in secondo grado il ricorso del lavoratore era stato rigettato nel merito sull'assunto che l'infortunio fosse da imputarsi a una sua imprudenza; che, trattandosi di attività manuali semplici, nessun'altra adozione di cautele era necessaria; infine che neanche poteva riscontrarsi una culpa in vigilando del M.S., essendo il lavoratore già informato per aver partecipato l'anno precedente all'attività di raccolta.
La Corte di Cassazione adita da N.B. aveva rinviato alla Corte d'Appello di Trento in diversa composizione, ritenendo non corretta la decisione gravata per aver ricondotto la fattispecie alla normativa del settore delle costruzioni (art. 10 d.P.R. n. 164/1956), e non ad altra (d.P.R. n.547/1955, art. 386), riferita anche al settore agricolo (artt. 1 e 2).
Codesta Corte, richiamandosi ai principi costantemente affermati in tema di responsabilità del datore per mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori, e al connesso onere della prova, precisava inoltre che detta responsabilità potesse ritenersi esclusa soltanto in caso di dolo o rischio elettivo del lavoratore, inteso, quest'ultimo, come un fatto causativo di un evento riconducibile allo svolgimento di attività estranea alla prestazione, o esorbitante dai limiti della stessa in modo abnorme e irrazionale. Avverso la sentenza della Corte d'Appello in sede di rinvio ricorre N.B., affidando le sue ragioni a quattro motivi.
Resiste con controricorso M.S., che propone altresì ricorso incidentale sul punto della sentenza del rinvio che ha disposto l'integrale compensazione delle spese dell'intero giudizio "per giusti motivi".
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.
Il Collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente 14/09/2016.
Diritto
1) Nel primo motivo parte ricorrente deduce l'omessa e illogica motivazione, in ordine al mancato riconoscimento della responsabilità del datore per non aver fornito al lavoratore la cintura di sicurezza (art.3, co.l, n.3 cod. proc. civ.) e deduce altresì la violazione e falsa applicazione dell'art. 386 del d.P.R. n.547/1955 (art. 360, co.l, n.5 cod. proc. civ).
2) Nel secondo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione, sul fatto decisivo per il giudizio, consistente nell'aver ritenuto l'abnormità del comportamento del lavoratore, da cui far conseguire l'esonero da responsabilità del datore per violazione delle norme antinfortunistiche (art. 360, co.l, n.5 cod. proc. civ.).
3) Nel terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto statuiti dalla sentenza n. 9689/2009 della Corte di Cassazione (art. 384 cod.proc.civ.) - (art. 360, n.4)
4) Nel quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112, cod. proc. civ.) - art. 360, co. 1, n.4 cod. proc. civ.).
Il primo motivo è fondato.
Codesta Corte aveva rinviato alla Corte d'Appello di Trento chiedendo il riesame dell'individuazione delle norme che impongono l'utilizzo delle cinture di sicurezza, laddove necessarie, nel settore agricolo, sul presupposto che la sentenza cassata, avesse inquadrato la fattispecie in una normativa applicabile a un diverso settore (costruzioni).
A tale espressa censura il giudizio rescissorio non fornisce una risposta adeguata. La sentenza gravata dedica un generico riferimento al principio di cui all'art. 2087 cod. civ., così come opera un altrettanto generico passaggio alla circostanza secondo la quale, nel caso de quo l'obbligo di imposizione al lavoratore dell'uso della cintura di sicurezza sarebbe stato inesigibile, per l'assenza di un sistema di aggancio ad una scala a pioli - del tutto a norma - concepita per rispondere alle concrete modalità della raccolta.
Così argomentando, tuttavia, la sentenza di rinvio mostra di non tener adeguatamente conto dell'opinione largamente accreditata tra gli interpreti, secondo la quale l'obbligo contrattuale sancito dall'art. 2087 cod. civ. ha natura autonoma e non accessoria. L'imprenditore, anche indipendentemente da specifiche disposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti e le misure necessarie a evitare il verificarsi di lesioni di beni primari come la salute e l'integrità fisica, secondo un criterio di massima sicurezza tecnologicamente possibile. Cosicché, la violazione dell'obbligo si determina non solo quando si omette di adottare misure tassativamente previste dalla legge, come nel caso in questione, ma anche quando si omette di adottare ogni misura che sia esigibile dal lavoratore secondo le regole di correttezza e buona fede.
Va censurato l'iter logico argomentativo della decisione gravata laddove elude l'accertamento relativo all'individuazione al caso della disciplina applicabile, così come la sentenza di annullamento di codesta Corte aveva espressamente richiesto, pronunciando sulla presunta abnormità della condotta del lavoratore, idonea a spezzare il nesso tra lavoro, rischio e infortunio, valutazione che la stessa sentenza aveva escluso.
Secondo un principio pacificamente accolto la sentenza di annullamento costituisce per il giudice di rinvio un vincolo, che si estende alle premesse logico - giuridiche della decisione adottata alle quali va conferito valore di giudicato implicito interno (Cass. 23/7/2010, n. 17353). Al giudice del merito è, pertanto, precluso di rimettere in discussione questioni - di fatto e di diritto - che costituiscono il presupposto di quella decisione.
E ancora, la natura peculiare del rinvio quale giudizio chiuso, fa sì che il giudice di rinvio decida in base ai fatti già accertati. E' pertanto inibito alle parti prendere conclusioni diverse dalle precedenti (Cass. 12/1/2010, n.327). I motivi 2, 3 e 4 restano assorbiti. La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento del primo motivo con rinvio anche per le spese alla Corte di Appello di Venezia.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d'Appello di Venezia.
Così deciso in Roma il 15/02/2017