Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 maggio 2017, n. 13024 - Amianto e ricorso della vedova per il riconoscimento del carattere professionale del mesotelioma pleurico del marito: accolto


Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 24/05/2017

 

Fatto

 


T.E., quale vedova di B.G., ha chiesto il riconoscimento del carattere professionale (esposizione all'amianto) del mesotelioma pleurico a causa del quale era deceduto il marito e la rendita per i supersiti;
che effettuata consulenza tecnica la domanda è stata rigettata escludendosi l'esposizione all'amianto dell'assicurato; appellata la sentenza dalla soccombente, la Corte d'Appello di Venezia (sentenza 10.05.11) ha ritenuto che l'attrice non abbia dato prova dell'origine professionale, essendo risultato dalle indagini del ctu che l'assicurato aveva svolto mansioni di muratore in alcuni cantieri in cui erano presenti manufatti in amianto e che, tuttavia, non era stato provato che lo stesso lavoratore fosse stato addetto a lavorazioni che comportavano l'esposizione ad amianto; che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.E. con unico motivo, sostenendo da una parte che, trattandosi di malattia tabellata, sarebbe stato onere dell'INAIL dare prova che la stessa avesse origine extralavorativa; e dall'altra che la Corte d'Appello aveva errato a non ritenere provata l'esposizione al fattore professionale (falsa applicazione art.3 DPR 1124/65, 115 e 116 c.p.c. Vizio di motivazione);
che l'INAIL ha resistito con controricorso;
 

 

Diritto

 


Considerato

che secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza n. 23653 del 21/11/2016) quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore basta provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva (anch'essa tabellata) perché il nesso eziologico tra i due termini sia presunto per legge (sempre che la malattia si sia manifestata entro il periodo anch'esso indicato in tabella);
che la presunzione in questione non è assoluta (Cass. 14023/2004), rimanendo la possibilità per l'INAIL di provare una diagnosi differenziale, ossia di fornire la prova contraria idonea a vincere la presunzione legale dimostrando l'intervento causale di fattori patogeni extralavorativi; ma occorre che tale prova attinga ad un fattore causale dotato di efficacia esclusiva, idonea a superare l'efficacia della prova presuntiva dell'accertata esposizione professionale e della tabella; non potendo essere sufficiente neppure la prova di un fattore extraprofessionale di carattere concorrente non idoneo, in quanto tale, a superare la rilevanza quantomeno concausale del fattore professionale tabellato);
che la questione disputata in questa causa investe peraltro soltanto la prova del fattore professionale, ritenuta dalla Corte territoriale non assolta ad opera dal coniuge superstite del lavoratore a carico della quale è posto il relativo onere;
che tale prova è stata ritenuta insussistente dalla Corte territoriale nonostante che in base alla ctu emerga come provato in atti (in base agli accertamenti effettuati dall'ausiliario del consulente tecnico presso lo SPISAL della ULSS n.12 di Venezia) che nel primo dei due cantieri in cui ha lavorato il de cuius è risultata la presenza di amianto posto a protezione delle travi e dei pilastri metallici costituenti la struttura dell'edificio; mentre nel secondo cantiere è stato riscontrato amianto presso gli impianti tecnologici, le centrali termiche, i cavi elettrici, e le coperture eternit, quale coibentante;
che a tale proposito va considerato che dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che, laddove un fatto non sia percepibile nella sua intrinseca natura se non con cognizioni o strumentazioni tecniche che il Giudice non possiede, o comunque risulti di più agevole, efficace e funzionale accertamento, ove l'indagine sia condotta da un ausiliario dotato di specifiche cognizioni tecnico-scientifiche, la CTU può costituire una vera e propria fonte oggettiva di prova (in questo senso cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 19 gennaio 2011, n. 1149; più in generale, cfr. Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990; e Cass. n. 18503/2005);
che la malattia in questione è pure ritenuta dalla scienza malattia monofattoriale, la cui stessa esistenza svela la pregressa esposizione ad amianto (malattia sentinella di una pregressa esposizione di cui la legge nella tabelle prescinde da soglie);
che anche in base alla prova testimoniale acquisita in giudizio risulta che il lavoratore deceduto abbia lavorato in uno dei due cantieri come manovale (pag. 6 sentenza); mentre a nulla conta che il testimone assunto in giudizio sul punto abbia escluso che i muri contenessero amianto (trattandosi di un dato tecnico-scientifico più logicamente evincibile in base al giudizio della ctu);
che la motivazione della sentenza impugnata risulta illogica e contraddittoria, frutto di una valutazione atomistica e parcellizzata degli elementi di prova, ed errata anche in diritto, anzitutto, perché non considera che nelle malattie asbesto correlate (ed a maggior ragione per il mesotelioma, definita malattia monofattoriale) il fattore di rischio è previsto in tabella (dal DPR 336/1994 e ss.; ed oggi alla voce n. 57 della tabella di cui al decreto 9 aprile 2008 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale) in termini ampi ( "Lavorazioni che espongono all'azione delle fibre di asbesto''); senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali; dovendosi perciò ritenere che l'ordinamento abbia compiuto il giudizio sulla correlazione causale tra i due termini come riferito anche all'apporto concausale; che pertanto sarebbe sufficiente ai fini del nesso di causa considerare come rilevante anche soltanto il primo dei due periodi di lavoro dedotti in giudizio (avendo sostenuto la Corte che rispetto al secondo non è stata provata la specifica mansione);
che la sentenza è altresì errata perché neppure considera che ai fini dell'operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza - anche costituzionale (Corte. Cost. 206/74) - sia sufficiente il rischio ambientale (cfr. Cass. SU 13025/2006; 15865/2003, 6602/2005, 3227/2011); ovvero che il lavoratore abbia contratto la malattia di cui si discute in virtù di una noxa comunque presente nell'ambiente di lavoro ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno, anche se egli non fosse stato specificatamente e direttamente addetto alle stesse mansioni nocive;
che pure errata è l'affermazione effettuata in sentenza secondo cui la prova dell'esposizione ad amianto richieda "una valutazione fondata su un giudizio di elevata probabilità"; atteso che, al contrario, un giudizio di elevata probabilità è semmai richiesto dalla legge in relazione all'esistenza del nesso di causa (recte ai fini della legge scientifica di copertura e neanche ai fini della sua prova, quanto meno sul terreno civilistico; cfr. Sez. Un. 581/2008): ma sempre e soltanto in materia di malattie non tabéllate; mentre non rileva certamente ai fini del nesso di causa in materia di malattie tabéllate in cui il legame eziologico è presunto dalla legge appunto sulla scorta della (comune) prova della esposizione (non conta perciò nel caso in esame il giudizio tecnico circa il livello di probabilità relativo al nesso eziologico, perchè assorbito dalla presunzione legale discendente dalla tabella);
che errato è anche il riferimento effettuato dalla sentenza (come si evince anche dal richiamo a Cass. 19456/2007) alla pretesa necessità di una valutazione di elevata probabilità in relazione alla diversa questione della prova dell'esposizione (qualificata) richiesta per l'accesso ai c.d. benefici contributivi di cui all'art.13 della L. 257/1992 e ss. mod. , questione che invece nel caso in esame non rileva ad alcun fine; 
che invece la prova dell'esposizione ad amianto, in quanto fatto costitutivo della pretore relativa alle prestazioni assicurative INAIL per malattia professionale tabellata, deve ritenersi assoggettata alle normali regole probatorie civilistiche secondo il criterio della normalità, sufficienza e ragionevole verosimiglianza (art. 2697 c.c.), raggiungibile, in mancanza di diverse prescrizioni normative, anche in base ad elementi presuntivi dotati dei caratteri di cui all'art. 2727 cod. civ.;
che in conclusione il ricorso deve essere accolto, e la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altro giudice per un nuovo giudizio, il quale ai fini della prova verosimile dell'esposizione professionale che ne occupa considererà la presenza di amianto nei cantieri come da ctu, il provato espletamento delle mansioni di manovale in almeno uno di essi, l'estrema volatilità e diffusività delle minuscole fibre in discorso, la rilevanza dell'esposizione ambientale secondo l'ordinamento e la mancanza di limiti di soglia ai fini della tutela assicurativa in discorso.
che il giudice di rinvio, designato nella Corte di appello di Venezia in diversa composizione, dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra formulati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.
Roma, così deciso nella adunanza camerale del 22.2.2017