Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 giugno 2017, n. 15076 - Morte durante la realizzazione di una galleria. Diritto svizzero e surrogazione
Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 19/06/2017
Fatto
1. M.S. è la vedova di G.M.O.. A seguito della morte del coniuge, avvenuta il 5/10/1998 mentre questo stava lavorando alle dipendenze della Secol s.p.a. per la realizzazione di una galleria in provincia di Brescia, la M.S. ha ottenuto dalla Cassa Svizzera di Compensazione (d'ora in poi solo Cassa), organismo sociale dell'assicurazione obbligatoria di diritto svizzero, una rendita per complessivi Chf 46.424,00.
2. La Cassa si è rivolta al Tribunale di Roma e ha chiesto che, accertata la responsabilità della Secol s.p.a., quest'ultima fosse condannata alla restituzione di € 29.216,14, pari alla rendita erogata. Nel giudizio è stata autorizzata la chiamata in causa della Assicurazioni Generali s.p.a., quale compagnia assicuratrice della Secol s.p.a.
3. Il tribunale ha rigettato la domanda e la sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza pubblicata il 5/4/2011. La Corte territoriale ha condiviso il giudizio di rigetto del Tribunale, fondato su tre argomenti: a) la rinuncia della vedova ad ogni ulteriore pretesa nei confronti della Secol s.p.a., avendo già ottenuto dalla Generali assicurazione il risarcimento ed essendo decorsi oltre sei mesi tra la data della rinuncia e il momento della domanda di surrogazione; b) la mancanza di un danno differenziale, unico coperto dalla previsione dell'art. 21 bis della Convenzione italo svizzera in vigore dall'1/2/1982, recepita con legge n. 668/1981; c) l'assenza di ogni responsabilità della società datrice di lavoro, essendo stato accertato che questa aveva «fornito la prova di aver adottato tutte le misure di sicurezza generiche e specifiche atte al tipo di lavorazione» e che l'evento si era «verificato per rischio elettivo, avendo il lavoratore contravvenuto ad una specifica disposizione impartitagli».
4. Contro la sentenza, la Cassa Svizzera di Compensazione propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, cui resistono con controricorso la Secol s.p.a. e la Assicurazioni Generali s.p.a. Quest'ultima deposita memoria.
Diritto
1. Con il primo motivo, la Cassa denuncia la mancata applicazione dell'art. 93 del Regolamento Cee n. 1408/1971 del Consiglio del 14 giugno 1971 (relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità). Tale norma aveva sostituito l'articolo 21 bis dell'accordo Italo-Svizzera sulla previdenza sociale.
2. Con il secondo motivo la Cassa denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 2050 cod.civ.
3. Con il terzo motivo, la Cassa denuncia l'omessa motivazione su un fatto decisivo del giudizio, costituito dalla lettera del 6/4/2000, con cui la Cassa avrebbe manifestato l'intenzione di surrogarsi, che la Corte non avrebbe ritenuta idonea a tal fine, in mancanza di prove della sua spedizione e ricezione da parte della Assicurazioni Generali s.p.a.
4. Con il quarto motivo, la parte lamenta l'omessa pronuncia sulla doglianza riguardante la ritenuta estinzione del suo diritto di surrogazione per effetto della rinuncia contenuta nell'atto di transazione intercorso tra la G.M.O. e la Assicurazioni Generali s.p.a.
1.1. Il primo motivo è inammissibile. Come si legge nella sentenza impugnata, la Cassa Svizzera ha dedotto a fondamento della sua domanda le previsioni di cui all'art. 21 bis della convenzione Italo-Svizzera in vigore dal 1/2/1982, recepita con legge n. 668 del 1981.
1.2. In forza di tale disposizione, nella parte che qui interessa, «Qualora una persona abbia diritto a prestazioni secondo la legislazione di uno degli Stati contraenti per un danno sopravvenuto sul territorio dell'altro Stato contraente e qualora essa abbia diritto di richiedere ad un terzo la riparazione di tale danno in virtù della legislazione di quest'ultimo Stato, tale Stato riconosce all'istituto del primo Stato che ha concesso le prestazioni il diritto di essere surrogato nel diritto alla riparazione secondo la legislazione che gli è applicabile.»
1.3. La Cassa invoca solo in questa sede l'art. 93 del regolamento Cee n. 1408/1971 sulla libera circolazione delle persone, applicabile nei rapporti con la Svizzera per effetto dell'accordo tra la Comunità europea e gli Stati membri, da un lato, e la Confederazione Svizzera dall'altro. Tale accordo è stato concluso il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale l'8 ottobre 1999 e ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000. Esso è entrato in vigore il 1° giugno 2002.
1.4. È pacifico che il sinistro è avvenuto il 5/10/1998 e la domanda di rivalsa è stata proposta dalla odierna ricorrente alla Secol s.p.a., il 2/6/2001, secondo quanto ritenuto dal giudice del merito, o ancor prima, secondo l'assunto della Cassa (aprile e agosto 2000).
1.5. Pertanto, tanto al momento dell'illecito quanto a quello della proposizione della domanda di surrogazione, la norma di cui oggi la Cassa invoca l'applicazione non era ancora vigente. Del tutto irrilevante è il momento di instaurazione del giudizio, poiché la disposizione in esame, nel rinviare alla legislazione dello Stato in cui si è verificato il sinistro detta, attraverso il rinvio, i criteri di individuazione delle norme sostanziali da applicarsi per il riconoscimento del diritto alla surrogazione, le quali non possono che essere quelle vigenti al momento in cui è sorto il diritto, stante nel nostro ordinamento il principio di irretroattività previsto dall'art. 11 delle preleggi.
1.6. Deve comunque rilevarsi che anche secondo l'art. 93 del regolamento Cee il diritto di surrogazione va regolato secondo la legge del luogo in cui è accaduto l'evento dannoso, ossia nel caso in esame la legge italiana. Tale interpretazione è desumibile dal comma 2° dell'art. 93 a norma del quale « Se, in virtù della legislazione di uno Stato membro, una persona beneficia di prestazioni per un danno risultante da fatti verificatisi nel territorio di un altro Stato membro, le disposizioni della suddetta legislazione, che determinano i casi in cui è esclusa la responsabilità civile dei datori di lavoro o dei lavoratori subordinati che essi occupano, si applicano nei confronti della suddetta persona o dell'istituzione competente».
La Corte di giustizia dell'Unione europea in due diverse decisioni (sentenza 2 giugno 1994 C- 428/92 e sentenza 21 settembre 1999, proc. C-397/1996) ha precisato che l'art. 93 non ha inteso modificare le norme che si applicano per stabilire se ed entro quali limiti è configurabile la responsabilità extracontrattuale del terzo responsabile, «la quale resta soggetta alle norme sostanziali che vengono di solito applicate dal giudice nazionale adito dall'ente creditore o anche dalla vittima, cioè in linea di principio alla legge dello Stato membro nel cui territorio si è verificato il danno». Tale principio è stato ribadito in altre decisioni della Corte Giustizia (v. sentenza 21/9/1999, causa C-387/1996).
Ancora più chiaramente, la sentenza precisa: "L'articolo 93, n. 1, lett. a) del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408 deve essere interpretato nel senso che, nel caso di danno verificatosi nel territorio di uno Stato membro e che abbia comportato il versamento di prestazioni di previdenza sociale alla vittima o ai suoi aventi diritto da parte di un ente di previdenza sociale, ai sensi di detto regolamento, appartenente ad un altro Stato membro, i diritti che la vittima o i suoi aventi diritto hanno nei confronti dell'autore del danno e nei quali il detto ente si può essere surrogato, nonché i presupposti dell'azione di risarcimento dinanzi ai giudici dello Stato membro nel cui territorio danno si è verificato, sono determinati conformemente al diritto di tale Stato, ivi comprese le norme di diritto internazionale privato che sono applicabili".
Ne consegue che, a fronte della chiarezza del dato normativo che individua nella legislazione dello Stato in cui si è verificato il danno la legge regolatrice della fattispecie, è infondato dell'assunto della ricorrente secondo cui, relativamente alla surrogazione e al regresso, debba trovare applicazione la legislazione svizzera. Quest'ultima costituirà la legislazione di riferimento per stabilire l'esistenza del diritto di surroga, e gli eventuali limiti dal punto di vista delle prestazioni erogate, nel rapporto interno tra la vittima o i suoi aventi causa e l'ente di previdenza o assicurazione sociale, non anche nei confronti del terzo responsabile.
2.1. Secondo il nostro ordinamento, la surrogazione ex art. 1916 costituisce una peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell'infortunato, che si realizza nel momento in cui l'assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l'infortunato è stato ammesso ad usufruire dell'assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge, al contempo manifestando la volontà di avvalersi della surroga. Nella conseguente azione non ha pertanto rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o l'assicuratore che ne abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato (Cass. sez., Un. 29/4/2015, n. 8620).
2.2. Ne consegue che: a) l'assicuratore sociale può surrogarsi alla vittima solo se questa vanti un diritto di credito verso il responsabile; b) una volta esercitata la surrogazione, il danneggiato perde il relativo diritto di credito verso il responsabile e tale diritto si trasferisce all'assicuratore sociale; c) il credito risarcitorio vantato dalla vittima nei confronti del responsabile si riduce solo e nella misura in cui essa abbia ricevuto dall'assicuratore sociale indennizzi destinati a ristorare danni che dal punto di vista civilistico possano dirsi effettivamente patiti (in tal senso, da ultimo Cass., ord. 5/5/2016, n. 9086).
2.3. La Corte territoriale, condividendo il giudizio già espresso dal tribunale, ha escluso ogni responsabilità del datore di lavoro, rilevando che questo aveva messo in atto «tutte le misure di sicurezza generiche e specifiche atte al tipo di lavorazione che l'evento si è verificato per rischio elettivo».
Tale giudizio, che non è stato censurato ai sensi del n. 5 dell'art. 360, cod.proc.civ., sotto il profilo dei vizi motivazionali, esclude in radice il diritto della cassa di surrogarsi, in mancanza di una responsabilità del terzo. Né la Corte è incorsa nella violazione dell'art. 2050 cod.civ., la quale prevede una presunzione di responsabilità, ponendo a carico dell'esercente l'attività pericolosa l'onere di dimostrare l'adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno. La Corte ha ritenuto assolto tale onere e, a riprova dell'infondatezza del motivo, vi è altresì da rilevare che il ricorrente non ha specificato quali affermazioni di diritto contenute nella sentenza impugnata siano in contrasto con le norme citate e con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 6 aprile 2011,n. 7921).
3. Le considerazioni che precedono comportano l'assorbimento delle questioni poste con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, riguardanti la ritenuta insussistenza del diritto di surroga in ragione della rinuncia formulata dalla vedova G.M.O., giacché, come correttamente rilevato dal giudice dell'appello, anche in caso di loro fondatezza sarebbero inidonee a condurre alla riforma della sentenza, stante la natura dirimente del l'accertata insussistenza di ogni responsabilità del datore di lavoro.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate per ciascuno dei controricorrente, in € 4.500,00, di cui 4.300,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali e agli altri accessori di legge.
Roma, 30 marzo 2017