Corte Costituzionale, 10 dicembre 1987, n. 476 - Assicurazione dei familiari partecipanti all'impresa familiare
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Dott. Francesco SAJA , Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, n. 6, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 novembre 1983 dal Pretore di Piacenza nel procedimento civile vertente tra I.N.A.I.L. e Bracchi Paola, iscritta al n. 168 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 dell'anno 1984;
2) ordinanza emessa il 12 agosto 1986 dal Pretore di Alessandria nel procedimento civile vertente tra Guaschetti Mario e I.N.A.I.L., iscritta al n. 736 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59, 1ª serie speciale, dell'anno 1986;
3) ordinanza emessa il 12 giugno 1986 della Corte di cassazione sul ricorso proposto da Ionico Silvio contro I.N.A.I.L., iscritta al n. 262 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 1987;
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L.;
Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1987 il giudice relatore Aldo Corasaniti;
Udito l'avvocato Pasquale Napolitano per l'I.N.A.I.L.;
Fatto
1. - Il Pretore di Piacenza, con ordinanza emessa il 15 novembre 1983 (R.O. n. 168/1984), nel procedimento civile tra l'I.N.A.I.L. e Paola Bracchi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost., dell'art. 4, primo comma, n. 6, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), nella parte in cui non prevede che il coniuge, che presta opera manuale non in rapporto di dipendenza con l'altro coniuge, sia soggetto all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Nella specie, l'I.N.A.I.L. aveva accertato che il marito della Bracchi svolgeva attività di collaboratore in via continuativa nel negozio del quale la moglie era titolare e riteneva conseguentemente sussistente l'obbligo assicurativo ai sensi dell'art. 4, n. 6 o n. 7, del d.P.R. suindicato.
Resisteva la Bracchi, negando la sussistenza di un vincolo di subordinazione tale da configurare l'ipotesi di cui al n. 6, ovvero di un vincolo societario, anche di fatto, tale da consentire l'applicazione del successivo n. 7 del citato art. 4.
Osserva il pretore che nella fattispecie è ravvisabile una impresa familiare (art. 230- bis cod. civ.).
Tale istituto (introdotto con la legge n. 151 del 1975, sul nuovo diritto di famiglia e pertanto non previsto, né prevedibile dal T.U. n. 1124 del 1965) è caratterizzato dal fatto che i rapporti esistenti tra imprenditore e i suoi collaboratori familiari costituiscono un quid nuovo e diverso sia dal rapporto di lavoro subordinato sia dal rapporto societario.
Ed infatti, da una parte la stessa qualificazione di collaborazione esclude che possa trattarsi di lavoro dipendente, e dall'altra la stessa forma retributiva (che è quella di partecipazione agli utili dell'impresa, secondo la quantità e qualità del lavoro prestato) tende ad assimilare il compenso a quello societario o comunque ad un diritto al mantenimento, che è qualcosa di concettualmente diverso dalla retribuzione in senso stretto.
Sennonché, nell'ambito dell'impresa familiare, neanche il rapporto societario risulta esattamente configurabile, in quanto i collaboratori non assumono la veste di soci, poiché non grava su di essi il rischio di impresa, la cui titolarità rimane di esclusiva pertinenza dell'imprenditore.
L'impresa familiare costituisce quindi un istituto promiscuo, in cui alcuni elementi del lavoro subordinato e altri del rapporto societario si combinano insieme tanto da costituire un quid novi.
Ciò premesso, il pretore ritiene non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale del citato art. 4, n. 6, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui ammette come compresi nell'assicurazione i soggetti ivi enunciati, in quanto dipendenti del coniuge, dei genitori e altri parenti, affini, affilianti, e affidatari, escludendo gli stessi soggetti che pure prestano la loro attività non in regime di subordinazione.
2. - Il Pretore di Alessandria, con ordinanza emessa il 12 agosto 1986 (R.O. n. 736/1986), nel procedimento civile tra Mario Guaschetti e l'I.N.A.I.L., ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, laddove non prevede che i familiari che partecipano all'impresa familiare, prestando opera manuale, siano soggetti all'obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro.
Nella specie, l'I.N.A.I.L. richiedeva il pagamento dei contributi dovuti dal Guaschetti per la moglie, che prestava attività lavorativa nella macelleria della quale il marito è titolare.
A tale richiesta si opponeva il Guaschetti, negando la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente con caratteristiche di continuità.
Osserva il pretore che la fattispecie è riconducibile nella categoria dell'impresa familiare (art. 230- bis cod. civ.).
Tale categoria non può essere inquadrata in alcuno dei punti elencati all'art. 4 del d.P.R. n. 1124 del 1965, e in particolare non nel punto 6, in quanto non si riscontrano in essa le caratteristiche di un rapporto di dipendenza, mancando un'effettiva subordinazione, l'obbligo del rispetto di un orario ed il diritto a una retribuzione; né nel punto 7, in quanto non sussiste un vincolo societario tra i partecipanti all'impresa, restando responsabile dell'attività d'impresa solo il titolare.
Tuttavia - ad avviso del pretore - non pare giustificato che coloro che lavorano nell'ambito dell'impresa familiare e svolgono una delle attività lavorative assicurate non godano della tutela assicurativa obbligatoria prevista dal citato d.P.R. n. 1124 del 1965, sicché il suindicato art. 4 sembra contrastare con il principio di uguaglianza sancito all'art. 3 Cost., che vuole che a parità di esposizione al rischio siano garantite pari forme di tutela assicurativa.
3. - La Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 12 giugno 1986 (R.O. n. 262/1987), nel giudizio promosso da Ionico Silvio contro l'I.N.A.I.L., ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dell'art. 4, primo comma, n. 6, del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede l'assoggettamento all'assicurazione obbligatoria delle persone in detto articolo elencate, anche quando prestano la loro opera manuale nell'ambito di un rapporto di impresa familiare.
Richiamate le posizioni del ricorrente - nel senso dell'insussistenza dell'obbligo assicurativo antinfortunistico, alla stregua della vigente legislazione, nei confronti dei partecipanti all'impresa familiare, per carenza del requisito della subordinazione - e dell'Istituto resistente - nel senso della sussistenza dell'obbligo assicurativo, vuoi ex art. 4, primo comma, n. 6, del d.P.R. n. 1124 del 1965, in ragione del rapporto di dipendenza che è pur sempre configurabile tra il titolare dell'impresa familiare, qualificata come impresa individuale, ed il familiare collaboratore, vuoi ex art. 4, primo comma, n. 7, del citato d.P.R. (che assoggetta all'assicurazione "i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita ed esercitata"), considerando l'impresa familiare come una società ed i compartecipi come soci - ha osservato la Corte che, alla stregua dell'attuale contesto legislativo, deve essere negata la possibilità di riconoscere l'assoggettamento dei familiari partecipanti all'impresa familiare all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.
Invero, a norma dell'art. 230- bis cod. civ., l'istituto dell'impresa familiare riveste una funzione residuale e suppletiva, essendo diretto ad apprestare una tutela minima e inderogabile a quei rapporti di lavoro comune che si svolgono negli aggregati familiari e che in passato vedevano alcuni membri della comunità familiare esplicare una preziosa attività lavorativa, in forme molteplici, senza alcuna garanzia economica e giuridica. Da qui la sua ritenuta incompatibilità con forme di lavoro tipico, subordinato, autonomo o associato e l'esclusione della subordinazione.
Per l'art. 4 del d.P.R. n. 1124 del 1965, per l'assoggettamento all'assicurazione dei familiari indicati al n. 6, requisito essenziale è, invece, proprio quello della subordinazione, come si ricava dalla chiara espressione "alle di lui (del datore di lavoro) dipendenze" e dall'espresso richiamo al "precedente n. 2" che richiama a sua volta le condizioni di cui al n. 1 il quale prescrive che deve trattarsi di opera manuale prestata "alle dipendenze e sotto la direzione altrui".
Pertanto, il rapporto di collaborazione del familiare nell'impresa familiare, disciplinato dall'art. 230- bis cod. civ., che non configura un rapporto di tipo subordinato o di tipo societario, non può farsi rientrare in via d'interpretazione (sia pure evolutiva) tra quelli previsti al n. 6 dell'art. 4 anzidetto e neanche tra quelli di cui al successivo n. 7 dello stesso articolo, che presuppongono un rapporto societario.
Tuttavia - ad avviso della Cassazione - l'indiscutibile configurabilità di prestazione di attività lavorativa (manuale) da parte del familiare collaboratore, nell'ambito dell'impresa familiare, da un canto, e, dall'altro, l'ineludibile posizione del lavoratore rispetto al trattamento assicurativo (anche contro gli infortuni sul lavoro) che va qualificata come "diritto soggettivo insuscettibile di limitazioni obiettive e subiettive, giusta il disposto dell'art. 38, secondo comma, Cost. (Corte costituzionale n. 103/1981), inducono a sospettare di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., la norma di cui all'art. 4, n. 6, ripetutamente citata, nella parte in cui non prevede l'assoggettamento all'assicurazione delle persone da essa norma considerate, anche quando prestano la loro opera manuale nell'ambito di un rapporto di impresa familiare che, come s'è visto, non è inquadrabile né tra quelli di lavoro subordinato, né tra quelli di natura societaria.
Il giudice a quo ravvisa altresì contrasto con l'art. 3 Cost., per disparità di trattamento nei confronti del coniuge e dei figli, anche naturali e adottivi, del proprietario, del mezzadro e dell'affittuario di cui all'art. 205, lettera b), dello stesso d.P.R. n. 1124 del 1965, per i quali si prescinde dal tipo di rapporto, richiedendosi soltanto che prestino "opera manuale abituale nelle rispettive aziende", nonché nei confronti degli altri parenti diversi da quelli indicati alla lett. b) anzidetta, e degli altri soggetti indicati nell'ultimo comma dello stesso art. 205, anche per i quali non viene richiesto il requisito della subordinazione.
Questa disparità rispetto al settore agricolo viene in particolare rimarcata dalla S.C. anche perché la disposizione di cui all'art. 230- bis cod. civ., che è applicabile a ogni tipo di impresa, sia piccola che grande, qualunque attività essa svolga (agricola, civile o commerciale) va a collocarsi al posto dell'art. 2140 cod. civ., abrogato dall'art. 205 della stessa legge n. 151 del 1975, che ha introdotto l'art. 230-bis, il quale all'ultimo comma così recita: "Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme", denunciando in tal modo la origine "agricola" dell'intero articolo.
4. - Nei tre giudizi si è costituito l'I.N.A.I.L. deducendo che una retta interpretazione della normativa denunciata consente di ritenere non fondata la questione.
L'obbligo assicurativo per i familiari che collaborano nell'ambito di una impresa familiare deriva infatti o dall'art. 4, primo comma, n. 6, del d.P.R. n. 1124 del 1965, atteso che anche nell'impresa familiare è ben ravvisabile un rapporto di subordinazione tra collaboratori e titolare della gestione; ovvero dall'art. 4, primo comma, n. 7, atteso che i collaboratori familiari sono equiparabili ai soci di cooperative e di ogni altro tipo di società anche di fatto.
In alternativa ad una sentenza interpretativa di rigetto, l'I.N.A.I.L. chiede che venga dichiarata l'illegittimità della norma denunciata, in modo che tutti i lavoratori familiari siano tutelati contro gli infortuni sul lavoro.
L'I.N.A.I.L. ha presentato memoria difensiva.
Diritto
1. - I tre giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza in ragione della identità o connessione delle questioni sollevate con le ordinanze di rimessione. Queste infatti indubbiano tutte la legittimità della normativa di cui all'art. 4, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
2. - L'art. 4, comma primo, del d.P.R. n. 1124 del 1965 stabilisce che sono compresi nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: 1) coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione; 2) coloro che, trovandosi nelle condizioni di cui al precedente n. 1), anche senza partecipare materialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri.
Negli ulteriori numeri (da 3 a 9) nei quali si suddivide il comma sono inoltre indicate specifiche categorie di soggetti assicurati, ed in particolare, nel n. 6), "il coniuge, i figli, anche naturali o adottivi, gli altri parenti, gli affini, gli affiliati e gli affidati" del datore di lavoro che prestano con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera manuale, ed anche non manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2); nel n. 7, i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita ed esercitata, che prestano opera manuale, oppure non manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2).
Ora, le ordinanze della Corte di cassazione (R.O. n. 262/1987), del Pretore di Piacenza (R.O. n. 168/1984) e del Pretore di Alessandria (R.O. n. 736/1987), rese tutte in procedimenti civili nei quali era in discussione l'assoggettabilità ad assicurazione obbligatoria di soggetti che prestavano la propria attività lavorativa manuale quali collaboratori nell'ambito di una "impresa familiare" (art. 230- bis cod. civ., introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151), sulla base della comune premessa della non riconducibilità di tale fattispecie all'ipotesi di cui all'art. 4, comma primo, n. 6, per difetto del requisito della subordinazione, né a quella di cui al n. 7, per l'assenza di un vincolo societario tra i partecipanti all'impresa familiare, hanno impugnato l'art. 4, comma primo, sopra citato (le ordinanze del Pretore di Piacenza e della Corte di Cassazione particolarmente il n. 6). Secondo i giudici a quibus, la normativa censurata, in quanto non prevede l'assoggettamento ad assicurazione per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei familiari che partecipano all'impresa familiare, appare lesiva:
a) dell'art. 3, comma primo, Cost., che vuole che a parità di esposizione al rischio siano garantite pari forme di tutela assicurativa (ordinanza del Pretore di Alessandria);
b) dell'art. 3, comma primo, Cost., sotto il diverso profilo della disparità di trattamento nei confronti dei familiari collaboratori nell'azienda agricola, per i quali, ai sensi dell'art. 205, comma primo, lett. b), e comma terzo, d.P.R. n. 1124 del 1965, non è richiesto, ai fini dell'obbligo assicurativo, il requisito della subordinazione (ordinanza della Corte di cassazione);
c) dell'art. 38, comma secondo, Cost., in quanto vengono sottratti all'ineludibile garanzia assicurativa lavoratori che prestano opera manuale obbiettivamente esposta al rischio di infortuni, quali sono i familiari collaboratori nell'impresa familiare (ordinanza della Corte di cassazione; ordinanza del Pretore di Piacenza, che si riferisce congiuntamente agli artt. 3 e 38 Cost.).
3. - I giudici a quibus (ed in particolare la Corte di cassazione) sottolineano concordemente la portata innovativa dell'art. 230- bis cod. civ. (introdotto dalla legge n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia) e la non riconducibilità di tale figura (la cui qualificazione è dibattuta in dottrina) alle ipotesi specificamente previste dai nn. 6 e 7 dell'art. 4, comma primo, del d.P.R. n. 1124 del 1965.
Al riguardo è richiamato l'indirizzo invalso nella giurisprudenza della Corte di cassazione (sentt. n. 3722 del 1984; n. 3948 del 1983), secondo il quale l'istituto dell'impresa familiare ha natura residuale e suppletiva ("salvo che non sia configurabile un diverso rapporto"), in quanto diretto al riconoscimento e alla protezione del lavoro prestato nell'ambito degli aggregati familiari, in precedenza non altrimenti tutelato, con la conseguente esclusione della detta figura quando il lavoro del familiare trovi riscontro, per i caratteri che presenta in concreto, nella ipotesi del rapporto di lavoro subordinato o in quella del rapporto societario: ipotesi le quali vanno pertanto ritenute incompatibili con l'istituto in discorso.
Dal risultato interpretativo così raggiunto dai giudici a quibus, sulla base di consolidata giurisprudenza concernente l'istituto dell'impresa familiare, non è dato discostarsi. Occorre dunque affrontare il problema di legittimità costituzionale da essi sollevato.
4. - Nel capo III del d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in particolare nell'art. 4, che determina l'ambito soggettivo di applicazione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è agevole riscontrare la significativa concorrenza di previsioni volte a tutelare lavoratori subordinati (art. 4, comma primo, nn. 1, 2 e 6, concernente, quest'ultimo, la specifica ipotesi del lavoro subordinato prestato da familiari) e di previsioni volte a tutelare lavoratori che operano senza vincolo di subordinazione.
Ed infatti, il n. 3 dello stesso art. 4, comma primo, include tra i soggetti assicurati l'artigiano, purché presti abitualmente opera manuale nella propria impresa; il successivo n. 7 ha riguardo ai soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, che prestino opera manuale o di sovraintendenza; altre ipotesi ancora la cennata disposizione prevede (cfr. ad es. nn. 5 ed 8), tutte irriducibili a quella del lavoro subordinato.
Orbene, la concorrenza delle dette ipotesi e delle altre sopra considerate mostra l'esistenza, nella legislazione di settore, di un principio, implicito nel citato art. 4 (ma vedi anche l'art. 205 dello stesso d.P.R. n. 1124 del 1965, che sottopone ad assicurazione obbligatoria i familiari che prestano opera manuale nelle aziende agricole, prescindendo dal requisito della subordinazione), secondo il quale la protezione assicurativa in argomento è indifferente al titolo o al regime giuridico del lavoro protetto e prende in considerazione questo in quanto lavoro manuale - o di sovraintendenza immediata al lavoro manuale - prestato con obbiettiva esposizione al rischio derivante dalle lavorazioni indicate nel precedente art. 1.
Rispetto a tale principio è ingiustificata, ed integra pertanto violazione dell'art. 3, comma primo, Cost., ed insieme dell'art. 38, comma secondo, Cost. - in base al quale a parità di esposizione al rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa (sentenze nn. 246 del 1986; 221 del 1985; 55 del 1981; 262 del 1976; 114 del 1977) - la mancata ricomprensione nell'elenco delle persone assicurate, racchiuso nell'art. 4, comma primo, del d.P.R. n. 1124 del 1965, dei familiari che prestano attività avente i suddetti caratteri obbiettivi se non riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato o a un rapporto societario; come è appunto per il lavoro prestato nell'impresa familiare.
D'altra parte, una volta introdotto l'istituto dell'impresa familiare, in vista della meritoria finalità di dare tutela al lavoro comunque prestato negli aggregati familiari, non sarebbe coerente il diniego di una tutela assicurativa di particolare rilevanza come quella in argomento (diretta a ovviare a rischi attinenti alla vita o all'integrità fisica del lavoratore), in presenza dei requisiti oggettivi propri del lavoro con essa protetto.
5. - Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, n. 6, del d.P.R. n. 1124 del 1965, in quanto non ricomprende tra le persone assicurate contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - oltre ai familiari ivi indicati che prestano opera manuale (ed anche non manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2), con esposizione ai rischi propri delle lavorazioni elencate nell'art. 1 dello stesso decreto, a titolo di lavoro subordinato - i partecipanti all'impresa familiare indicati nell'art. 230- bis cod. civ. che prestano opera manuale (od opera a questa assimilata ai sensi del precedente n. 2) con esposizione ai medesimi rischi.
La pronuncia è riferita specificamente al n. 6 del primo comma dell'art. 4 in relazione all'evidente affinità di materia (lavoro di familiari).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, n. 6, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) nella parte in cui non ricomprende tra le persone assicurate i familiari partecipanti all'impresa familiare indicati nell'art. 230- bis cod. civ. che prestano opera manuale od opera a questa assimilata ai sensi del precedente n. 2.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1987.
Il Presidente: SAJA
Il Redattore: CORASANITI
Depositata in cancelleria il 10 dicembre 1987
Il direttore della cancelleria: MINELLI