Cassazione Penale, Sez. 4, 21 settembre 2017, n. 43457 - Infortunio mortale durante la manutenzione di un macchinario. Rischi interferenziali e carenza di motivazione
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: IZZO FAUSTO Data Udienza: 04/05/2017
Fatto
1. Con sentenza del 13\5\2016 la Corte di Appello di Genova, In riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, dichiarava G.B. colpevole del delitto di omicidio colposo (art. 589 cod. pen.) in danno del lavoratore G.G., condannandolo alla pena di mesi sei di reclusione e con la concessione dei doppi benefici.
All'imputato era stato contestato che, nella sua qualità di Dirigente aziendale della ITALIANA COKE s.r.l., con delega alla sicurezza e salute all'Interno dell'azienda, per colpa dovuta ad imprudenza, imperizia o negligenza e comunque con violazione delle norme che disciplinano la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare in violazione di plurime specifiche norme di sicurezza, aveva consentito che il lavoratore G.G. (dipendente di una ditta partecipante ad una A.T.I. con capofila la società SIMIC S.p.a.) eseguisse operazioni propedeutiche alla manutenzione della macchina coke n. 2, precisamente la misurazione di un pezzo da sostituire, salendo sulla predetta macchina in un momento di temporaneo stazionamento della stessa, senza incontrare alcun ostacolo o barriera da superare (atteso il libero accesso alle macchine coke dai c.d. piani freddi e dal piano officina), sicché a seguito dell'attivazione dell'attrezzatura da parte del dipendente S., che non poteva avvedersi della sua presenza atteso il campo visivo limitato dalla postazione di guida, rimaneva schiacciato a ridosso della galleria, riportando lesioni gravissime che lo conducevano alla morte (in Cairo Montenotte, il 24 gennaio 2008).
Osservava la Corte di merito, nel ricostruire l'incidente, che la "Macchina guida coke 2" è una specie di carro che si muove su rotaie ed ha la funzione di convogliare il carbone che fuoriesce incandescente dal forno di distillazione al carro ferroviario che lo trasporta nella postazione di spegnimento. Esso è composto da tre parti: la cabina guida, la parte centrale con attrezzature idrauliche ed una canale per fare uscire il coke; la parte finale costituita da un piano inferiore ed uno superiore aperto. Il giorno dei fatti la vittima era salita sulla macchina per misurare il frangicoke che, danneggiato, doveva essere sostituito. Per fare tale operazione era entrato sul retro della macchina e salito sul ballatoio superiore e si era seduto sulla ringhiera, con le gambe all'esterno e il tronco all'Interno. Mentre svolgeva tale attività, l'operatore, che era seduto nel posto guida senza alcuna visibilità sul retro, aveva messo in movimento la macchina che era ripartita; il G.G. non aveva fatto in tempo a spostarsi ed era rimasto schiacciato tra l'ingresso della galleria e il bordo della macchina.
Rilevava la Corte distrettuale, in punto di posizione di garanzia, che la vittima era dipendente della ditta F.lli CA. alla quale era stata appaltata l'attività di manutenzione. La committente (Italiana Coke) e per essa l'imputato, avevano la responsabilità della sicurezza dei luoghi di lavoro e dei macchinari, poiché all'Interno dello stabilimento veniva svolta l'attività esternalizzata.
Ciò posto rilevava la sussistenza della violazione delle seguenti misure di prevenzione:
- dell'art. 35 del d.lgs. 626 del 1994, in quanto il conduttore della macchina non aveva la visibilità del retro del mezzo, opposto alla cabina di guida, nonostante la pericolosità della zona perché liberamente accessibile in quanto non presenti strumenti di delimitazione od interdizione;
- dell'art. 8, comma 6 ed 8 lett. a), in relazione all'art. 11, comma 5, del d.P.R. 547 del 1955, in quanto non erano state adottate misure dirette ad impedire il libero accesso alla predetta zona pericolosa;
- dell'art. 182, comma 1, lett. c), del d.P.R. 547 del 1955, per non avere predisposto adeguati servizi di controllo della linea di esercizio del mezzo da parte del personale di sorveglianza;
- dell'art. 224 d.P.R. 547 del 1955, per avere omesso di predisporre nelle zone dei c.d. piani freddi che immettevano direttamente nei piani di transito delle macchine guida coke, barriere atte ad impedire investimenti o di predisporre segnalazioni adeguate, considerata la scarsa visibilità per i conduttori.
La violazione di tali norme, aveva concretizzato il rischio che miravano a prevenire, pertanto dette omissione erano in evidente legame causale con l'evento verificatosi. La condotta colposa del lavoratore costituiva una mera concausa dell'incidente ma non era idonea a recidere il legame causale tra la condotta omissiva del G.B. e l'evento, considerato peraltro che le modalità di manutenzione che avevano determinato l'incidente, erano una prassi aziendale per gli interventi c.d. "volanti", secondo quanto dichiarato dal teste DM..
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, lamentando:
2.1. il difetto di motivazione laddove la corte di merito, nel riformare la sentenza di primo grado, non aveva superato le argomentazioni utilizzate dal tribunale per la pronuncia di assoluzione. In particolare non aveva tenuto conto che la presenza di telecamere avrebbe consentito di rilevare la presenza di persone sui binari, ma non di quelle, come nel caso in esame, già salite sulla macchina. Peraltro anche le telecamere installate successivamente all'incidente e reputate idonee ai fini di sicurezza dall'ispettore dell'ASL, non avrebbero consentito di rilevare la presenza di persone salite sul ballatoio posto sul retro del lato guida.
Quanto alla omessa predisposizione di strumenti di interdizione all'accesso, essi potevano essere utili ad inibire un accesso fortuito, ma non quello di un operaio specializzato che deve operare una manutenzione e che, quindi, scientemente e deliberatamente sale sul carro ove peraltro, quando veniva attivato il movimento a passo d'uomo, si attivavano sirene e lampeggianti.
Su tali punti, pertanto, la sentenza di appello aveva violato l'obbligo di una motivazione rafforzata nel momento In cui aveva riformato la pronuncia di assoluzione.
2.2. La erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione, laddove la corte aveva ricondotto la responsabilità dell'imputato alla mera presenza in suo capo di una posizione di garanzia. Non era stato svolto, invece alcun ragionamento controfattuale, necessario In presenza di una condotta omissiva, volto a dimostrare che il rispetto delle condotte omesse avrebbe evitato con certezza l'evento.
2.3. La violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta presenza della colpa in capo al G.B.. E' da premettere che la vittima non era dipendente della Società Italiana Coke, ma delle ditta "CA.", partecipante ad un'associazione temporanea di imprese, che era investita del compito di manutenzione dei macchinari, tra i quali quello ove era avvenuto l'infortunio. Dalle deposizioni raccolte era emerso che per lo svolgimento di tale attività era prevista una procedura codificata che in ogni caso imponeva il fermo del macchinario. Non vi era prova di prassi diverse. In ogni caso poiché tale attività rientrava nei compiti dell'appaltatore, era suo onere, non del committente, controllare il rispetto delle regole codificate di sicurezza.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Vanno fatte alcune premesse.
In ordine alla dinamica dell'incidente, ricostruito in modo conforme sia dalla sentenza di primo grado che da quella di appello, non vi è alcun contrasto.
Certamente nel verificarsi del sinistro vi è stata la concorrenza della condotta colposa della vittima, sebbene essa, come correttamente argomentato dalla Corte di merito, non abbia assunto i connotati di una causa autonoma ed esclusiva dell'incidente.
Infine, sebbene non esplicitamente, nella sentenza di condanna il giudice di appello ha evidenziato, nello svolgimento dell'attività lavorativa presso la "Italiana Coke", la presenza di rischi interferenziali, dovuti alla concomitante attività di più imprese impegnate nel processo produttivo.
Ciò determina la rilevanza del fatto che l'incidente, accaduto il 24\1\2008, si sia verificato sotto la vigenza del d.lgs. 626 del 1994 e non del d.lgs. 81 del 2008 (Testo Unico per la sicurezza sul lavoro).
3. Invero, sotto la vigenza del d.lgs. n. 626, in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione, l'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi - denominato come piano di sicurezza e coordinamento - era posto in capo a tutti i datori di lavoro; quindi sia al datore di lavoro committente che ai datori di lavoro delle Imprese appaltatrici. Con l'entrata in vigore dell'art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008, l'omessa valutazione del rischio interferenzlale è divenuto reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore (cfr. Cass. Sez.3, n. 2285 del 14/11/2012, dep.2013, Formentini, Rv. 254836).
Pertanto gli obblighi di cooperazione e coordinamento, gravanti a norma dell'art.7 d.lgs. 626 sui datori di lavoro, rappresentano la cifra della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro responsabilità. L'assolvimento di tali obblighi risponde, infatti, all'esigenza, avvertita come primaria dal legislatore, di gestire preventivamente tale categoria di rischio (cfr. Cass. Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016, Carfì, Rv. 267687)
4. Ciò detto, nella sentenza Impugnata, nel riconoscere la causalità della colposa condotta omissiva del G.B., la Corte non fa alcun cenno alle modalità di gestione del rischio Interferenziale e non vi alcuna analisi dei piani di sicurezza e del loro contenuto.
Tale omissione non consente di valutare compiutamente l'ampiezza della titolarità della posizione di garanzia del G.B. ed in particolare la delimitazione dei suoi poteri di gestione del rischio interferenziale.
La carenza di motivazione sul punto impone l'annullamento con rinvio della sentenza.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Genova.
Così deciso in Roma il 4 maggio 2017