Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 settembre 2017, n. 22612 - Diritto alla costituzione della rendita ai superstiti. Rilievo causale nella sequenza degli eventi antecedenti al decesso


 

 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 27/09/2017

 

 

Ritenuto che
che con sentenza n. 856/2011 la Corte d'Appello di Genova rigettava l'appello proposto da N.R. avverso la sentenza che aveva respinto la domanda volta all'accertamento del diritto alla costituzione in suo favore della rendita ai superstiti e alla erogazione dell'assegno funerario in dipendenza del decesso del coniuge, F.E. già titolare di rendita Inail per broncopneumopatia da inalazione di anidride solforosa, con inabilità pari al 44%, avvenuto in Genova il 4 gennaio 2008 per emorragia cerebrale;
che a fondamento della sentenza la Corte sosteneva che in base alla CTU espletata in primo grado il deficit respiratorio di carattere professionale non aveva avuto rilievo causale nella sequenza degli eventi antecedenti al decesso, consistenti in problemi cardiaci;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione N.R. con due motivi nei quale denuncia: 1) violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 del d.p.r. 1124 del 1965, degli articoli 2697, 2727 e 2728 c.c. nonché degli articoli 421, 434, 437, 445 c.p.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. in quanto la Corte territoriale si era riportata in maniera acritica alla CTU senza motivare né contrastare quanto affermato dal ricorrente, anche sulla scorta delle consulenze di parte prodotte in atti; anche perchè il giudizio del CTU era viziato da un difetto di anamnesi in quanto pur riconoscendo la pregressa esistenza di patologie cardiache tuttavia aveva sostenuto che esse avevano avuto un'origine del tutto autonoma dalla grave bronco-pneumopatia da silicosi polmonare per la quale il de cuius godeva di rendita Inail al 44%; 2) violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 del d.p.r. 1124 del 1965 e 41 codice penale in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. in quanto il CTU e di conseguenza la Corte territoriale non aveva considerato che la patologia da cui era affetto il de cuius era di tipo misto ed aveva una incidenza non solo tossica sull'albero respiratorio ma anche su tutto l'albero vascolare, coronarie comprese e pertanto non aveva adeguatamente motivato sulla incidenza concausale che la pregressa patologia aveva avuto rispetto al decesso, come riconosciuto dalla letteratura medica;
che l'Inail resiste con controricorso;
 

 

Considerato che
che il ricorso è infondato in quanto la sentenza impugnata ha sostenuto anzitutto, sulla scorta della CTU, che il de cuius fosse affetto da coronaropatia seria, trattata con nitrati oltre che con i comuni antiaggreganti; che inoltre l'evento iniziale che aveva condotto al decesso era stato un episodio di fibrillazione ventricolare insorto il 25/12/2007 in modo improvviso ed inatteso, causando arresto cardiaco prolungato,ed alla anossia cerebrale era subentrata una emorragia, il coma e dopo alcuni giorni la morte cerebrale;
che secondo la Corte territoriale il deficit respiratorio non aveva avuto invece alcun rilievo causale diretto nella sequenza degli eventi immediatamente antecedenti il decesso; atteso che esso, dovuto non ad una silicosi polmonare bensì - come era "pacifico tra le parti" - ad una broncopneumopatia da inalazione di anidride solforosa, doveva essere ritenuto secondo la ctu "non grave ad onta del valore della rendita erogata"; posto che non risultava che "vi fosse mai stata dispnea a riposo né che l'assicurato avesse mai assunto o comunque necessitato di terapia per la malattia all'apparato respiratorio fino alla data del ricovero ospedaliero del 2006, e ciò nonostante fossero passati quasi 26 anni dalla data del riconoscimento della malattia professionale";
che in sostanza la CTU pur riconoscendo che una insufficienza respiratoria molto grave potrebbe sì avere un ruolo concausale rispetto all'ipossia cardiaca in una coronaropatia ischemica, ha escluso che nella fattispecie tale ruolo potesse essere affermato in quanto la stessa insufficienza era stata accertata in concreto come patologia non grave (il de cuius "non effettuava alcuna terapia respiratoria e certamente non ossigenoterapia");
che alla luce delle suddette premesse, scevre da vizi logici o giuridici, i motivi di ricorso si rivelano invece infondati, in quanto le censure sollevate si risolvono esclusivamente in un riesame di merito non ammesso in questa sede in ordine all'accertamento della causa della malattia che ha condotto al decesso il de cuius;
accertamento che i giudici di merito, aderendo alle motivate conclusioni del ctu, hanno ricondotto ad una diversa patologia di natura non professionale la quale ha svolto il ruolo di causa determinante ed esclusiva, del tutto indipendente rispetto ai disturbi professionali preesistenti, dai quali non è stata nemmeno influenzata; 
che pertanto, sotto le mentite spoglie del difetto logico o del vizio di legge, la parte ricorrente domanda in realtà a questa Corte un riesame del materiale istruttorio a cui ha già provveduto, nell'esercizio dei poteri riservatigli dall'ordinamento, il giudice del merito, e rispetto al quale il controllo potrebbe vertere sulla logicità e sulla completezza della motivazione ma mai sulla correttezza degli esiti del giudizio;
che le censure si condensano inoltre nell'espressione di un mero dissenso diagnostico volto a contestare nel merito la decisione impugnata, attraverso una generalizzata censura formulata in base ad una valutazione di parte;
che si tratta pertanto di motivi da ritenersi pure inammissibili siccome, per consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio può essere contestata in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell'emissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce appunto un mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice.
che le medesime censure si limitano a riproporre argomentazioni che risultano correttamente disattese dalla sentenza, mentre neppure confutano la ctu nel punto chiave della concreta non gravità della malattia professionale e della conseguente mancanza di incidenza, anche solo concausale, rispetto all'esito letale;
che le considerazioni svolte impongono dunque di rigettare il ricorso; mentre nulla deve essere disposto sulle spese in presenza dei presupposti di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Roma, così deciso nella adunanza camerale del 27.4.2017