Cassazione Penale, Sez. 4, 27 settembre 2017, n. 44612 - Infortunio mortale di un lavoratore con una pala gommata durante i lavori per la realizzazione di una linea elettrica. Subappalto e delega di funzione
- Contratti d'appalto, d'opera e di somministrazione
- Delega di Funzione
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Piano operativo di sicurezza
Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 08/06/2017
Fatto
1. Con sentenza del 17.4.2015 (depositata il 23.8.2016) la Corte di appello di Trento, per quanto qui rileva, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Rovereto, quanto alla declaratoria di penale responsabilità degli odierni ricorrenti in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti nell'imputazione.
2. La vicenda attiene ad un infortunio avvenuto in Arco il 23.9.2009, nel quale perse la vita K.S., che era alla guida di una piccola pala meccanica a ruote gommate, denominata Bobcat 743, con l'incarico di coprire uno scavo presente sul cantiere stradale: a causa di una errata manovra, il lavoratore precipitò dal ciglio della strada, privo di qualsivoglia protezione o segnalazione, nella scarpata sottostante, riportando lesioni mortali.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il cantiere era stato aperto sulla via Lomego per la realizzazione di opere di costruzione, ricostruzione e manutenzione di linee elettriche in cavo interrato. La SET Distribuzione Energia S.p.a. (d'ora in poi SET) il 24.2.2009 aveva sottoscritto un contratto con cui conferiva appalto ad una A.T.I. - composta da C.E. (Costruzioni Elettriche s.n.c.), C.L.E. (Consorzio Lavoro Energia) e C.T.E. (Consorzio Trentino Energia) - per la realizzazione di detti interventi su impianti di distribuzione di energia elettrica fuori tensione. Nel contratto di appalto C.T.E. indicava come impresa esecutrice la CEIT Impianti s.r.l. (d'ora in poi CEIT), rappresentata da A.DM..
Il contratto di appalto era del tipo c.d. "aperto", nel senso che i lavori non erano specificati individualmente, ma solo per importo complessivo (un milione di euro), con obbligo di intervento a chiamata, per cui SET emetteva un ordine e l'esecutrice CEIT ne organizzava il concreto seguito operativo.
In via Lomego era in corso la posa di tubazioni per l'energia elettrica, per cui occorreva scavare la strada, distendere le condotte, collocare tombini e poi richiudere il tutto. La pala meccanica condotta dal lavoratore deceduto era precipitata a 30 metri di distanza dall'ultimo di tali tombini, il cui tracciato non era ancora stato richiuso con la terra accantonata.
Veniva accertato che la pala meccanica Bobcat precipitata nella scarpata era di proprietà di M.A., titolare della ditta individuale SICIL EDIL. Il lavoratore deceduto era invece un dipendente della CO.GE.T s.r.l., di cui F.D. era procuratore e institore.
In particolare, l'Ispettore del lavoro G.Z., intervenuto un'ora e mezza dopo l'incidente, aveva trovato nel cantiere solo il M.A. ed il F.D., soggetti apparentemente estranei all'esecuzione dei lavori appaltati da SET a CEIT. Se ne era tratta la conclusione, sulla base di ulteriori elementi evidenziati nella sentenza impugnata, che CEIT avesse, senza autorizzazione, subappaltato i lavori alle due ditte sopra menzionate, dissimulando tale contratto con il nolo delle attrezzature della ditta SICIL EDIL.
3. Gli odierni ricorrenti, con esclusione di A.DM., sono stati ritenuti responsabili, nelle rispettive qualità, del delitto di omicidio colposo del lavoratore precipitato con il Bobcat. Secondo la prospettazione della Corte di appello, sostanzialmente corrispondente a quella del giudice di primo grado, essi cooperarono tutti alla determinazione dell'incidente, verificatosi perché l'operaio addetto, assunto come autista (in possesso di patente C) da F.D. e non esperto nei movimenti di terra con pala meccanica azionata tramite leve, era stato lasciato ad operare in un cantiere stradale connotato da una scarpata laterale non protetta e con pendenza del 60%; tale specifico rischio non era stato contemplato da alcun POS, né il lavoratore aveva ricevuto una formazione adeguata.
3.1. La Corte territoriale ha confermato anche le condanne in relazione ai reati connessi di subappalto senza autorizzazione della stazione appaltante; di omessa formazione, informazione e addestramento dei dipendenti; di omessa predisposizione del POS; di omessa predisposizione di protezioni sul ciglio della strada; di omessa informazione e formazione degli operai dipendenti; di omesso versamento di ritenute d'acconto.
3.2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi gli imputati A.DM., F.D'O., A.G., T.S., F.D. e M.A..
4. A.DM. articola tre motivi di ricorso.
4.1. Con il primo lamenta violazione di legge in relazione alla omessa declaratoria di intervenuta prescrizione con riguardo alla contravvenzione ascritta al prevenuto.
Deduce che il reato ex art. 21 L. 646/1982, relativamente al subappalto non autorizzato di CEIT verso SICIL EDIL e COGET, è stato commesso al più tardi in data 24/2/2009, quando alla CEIT furono affidati i lavori di appalto, come ditta esecutrice delle opere. Conseguentemente il reato sarebbe prescritto, tenuto conto delle sospensioni, al più tardi in data 21/3/2015, antecedente alla sentenza di appello.
4.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per omesso esame dello specifico motivo di appello riguardante la liceità della condotta contestata, ai sensi dell'art. 18, comma 12, della legge n. 55/1990, trattandosi di subappalto la cui incidenza non era superiore al 2% dell'importo dei lavori affidati, e comunque trattandosi di committente privo della qualifica di ente pubblico.
4.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla commisurazione della pena, con particolare riguardo alla pena pecuniaria, superiore al limite di legge, pari al terzo del valore dell'opera affidata.
5. F.D'O., A.G. e T.S., con atti distinti, articolano due motivi di ricorso.
5.1. Con il primo lamentano vizio di motivazione e mancata assunzione di prove decisive a discarico.
Espongono che, secondo la sentenza impugnata l'incidente in cui perse la vita il K.S. avvenne in una strada "aperta al traffico", con conseguente problematica legata all'esistenza di due tesi di fondo contrapposte: quella del puro e semplice incidente stradale e quella del grave infortunio sul lavoro, connesso ai lavori in corso per la creazione di una linea elettrica su cavo interrato.
Lamentano che la sentenza aderisce acriticamente all'impostazione del primo giudice in ordine alla configurabilità nel caso di un infortunio sul lavoro, non spendendo nemmeno una parola sulle richieste di integrazione istruttoria formulate dagli appellanti per l'espletamento di una perizia, ai fini della valutazione dello stato della strada al momento del sinistro e della verifica dello stato dello scavo, nonché sull'audizione dei testi invocati ex art. 507 cod. proc. pen.,sui lavori operati dal M.A. asseritamente su commissione della ditta AGS.
Lamentano che, a fronte di un atto di gravame molto dettagliato e puntuale, la Corte di appello non ha fornito risposte esaurienti e convincenti alle problematiche evidenziate, pur avendo riconosciuto: che in quel momento la via Lomego era a viabilità aperta; che i lavori elettrici commissionati a CEIT erano terminati la sera prima dell'incidente, il 22 settembre; che i lavori in esecuzione quel mattino interessavano esclusivamente gli impianti di AGS, cioè acqua e gas, per i quali lavoravano i dipendenti AGS M. e B.; che lo scavo su via Lomego a salire era ormai ricoperto e che le uniche opere in corso quel mattino erano gli allacci all'interno del pozzetto posto sul ciglio della strada; che l'incidente era avvenuto ad una distanza di 30 metri a valle rispetto al pozzetto sul quale lavoravano i dipendenti AGS; che le opere aggiuntive erano state promosse dal S. (titolare dell'agriturismo) con il coinvolgimento della AGS; che il S. ed il P., tecnico del primo, hanno ammesso di aver commissionato il lavoro direttamente al M.A. e di non aver avuto mai nulla a che fare con CEIT.
5.1.1. I ricorrenti F.D'O. e A.G., sotto altro profilo, censurano l'indistinta attribuzione di responsabilità soggettiva nei loro confronti in relazione all'omicidio colposo, il primo quale datore di lavoro e il secondo quale suo delegato per la sicurezza, unitamente al T.S. quale responsabile del cantiere di Arco, senza tenere conto del fatto che nella struttura a cascata rappresentativa di CEIT, il T.S. era il redattore del POS nella veste di capo cantiere e responsabile della sicurezza in cantiere; inoltre F.D'O. e A.G. non avevano nemmeno l'obbligo di presenziare e vigilare in cantiere, nel quale non si ingerivano.
5.1.2. F.D'O. deduce, inoltre, che CEIT è un'azienda che opera in tutto il territorio nazionale, con oltre 500/600 dipendenti, e con cantieri organizzati in linee operative con pieni poteri di autonomia, in questo caso per il nord-est, a capo del quale vi era il A.G., opportunamente delegato, con le stesse mansioni del F.D'O.; era stato evidenziato che il A.G. era soggetto che da CEIT era stato messo a capo del raggruppamento di imprese che ha eseguito l'appalto SET, e ciò a dimostrazione della piena autonomia del A.G.. Rileva che su tutto ciò la Corte di appello non ha fornito alcuna motivazione reale, se non apparente nonché contraddittoria laddove, nel motivare l'esclusione di responsabilità dell'A.D. A.DM. dal reato di omicidio, ha concordato con la maggioritaria giurisprudenza che esclude il "principio del cumulo di responsabilità" in capo ai rappresentanti della componente datoriale, nel caso di esistenza di deleghe in materia antiinfortunistica e di organizzazione aziendale complessa, come nel caso in disamina (v. sez. 4 2013/49402 e 37738).
5.2. Con il secondo motivo lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla commisurazione della pena.
Deducono che, nonostante la concessione delle attenuanti generiche, sia pure equivalenti alla contestata aggravante, la pena loro irrogata di anni uno e mesi tre di reclusione si discosta immotivatamente dai minimi edittali.
6. F.D. articola tre motivi di ricorso.
6.1. Con il primo, lamenta che la Corte territoriale affermato la responsabilità del ricorrente sulla base di una motivazione palesemente illogica, sostenuta da una prova manifestamente inutilizzabile.
Deduce che: nonostante l'assoluta carenza di prova circa l'esistenza di una società di fatto tra SICIL EDIL e CO.GE.T, cioè tra il F.D. e il M.A., non essendo stata dimostrata alcuna comunanza di gestione economica che implicasse divisione di rischi e di vantaggi, o una qualche affectio societatis, né provato che prima dell'incidente il F.D. si trovasse sul posto, la Corte territoriale desumeva il rapporto fra i due sulla base di una generica affermazione dei testi M. e B..
Rileva, inoltre, che la Corte di appello ha tratto il suo convincimento da una prova inutilizzabile, vale a dire le dichiarazioni rese dal F.D. alla P.G. nella qualità di persona informata sui fatti, secondo cui era stato lui a dare ordine al K.S. di utilizzare il Bobcat, su indicazione ricevuta dal M.A..
6.2. Con il secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancata correlazione fra accusa e decisione.
Deduce che, a fronte di una contestazione nella quale si assume che la pala caricatrice Bobcat 743, guidata dalla vittima fosse di proprietà del M.A., il giudice di primo grado afferma che il Bobcat appartenesse al F.D., fondando su questo la sua responsabilità, e ledendo in tal modo il diritto di difesa del prevenuto, spiazzato dal riconoscimento di un fatto non indicato nel capo di imputazione. Su tale rilievo la Corte territoriale si è limitata ad affermare che si è trattato di un mero errore espositivo della sentenza di primo grado, motivazione che non tiene conto del percorso argomentativo utilizzato dal primo giudice, in cui la predetta affermazione è coscientemente voluta per rafforzare la prova della colpevolezza del F.D..
6.3. Con il terzo motivo, lamenta erronea applicazione dell'art. 81 cod. pen. e carenza di motivazione.
Deduce che con i motivi di gravame la difesa aveva chiesto che fossero riuniti sotto il vincolo della continuazione tutti i reati contestati al ricorrente, ed inoltre che la pena fosse contenuta nei minimi edittali. Lamenta che la sentenza impugnata hà'lótalmente omesso di motivare su tali profili sanzionatori.
7. M.A. articola due motivi di ricorso.
7.1. Con il primo lamenta violazione di legge con riferimento all'art. 2 d.lgs. 81/2008 in ordine all'inquadramento della figura datoriale.
Deduce che la Corte trentina ha riconosciuto il ruolo del M.A. di "referente" della CEIT per il cantiere in questione, ma non ha inquadrato il rapporto tra i due soggetti, nonostante tale inquadramento fosse indispensabile a fini di individuazione della responsabilità del cantiere e dei mezzi ivi presenti, secondo il disposto di cui all'art. 2 lett. b) d.lgs. 81/2008.
Eccepisce la genericità delle argomentazioni con le quali il giudice di appello ha confermato il sodalizio tra il F.D. e il M.A., che non consentono di affermare con certezza l'esistenza di una società di fatto fra i due.
Rileva che ove manchi la società tra i due imputati viene meno anche la responsabilità del ricorrente, che non era datore di lavoro della vittima, non potendosi ciò desumere dalla proprietà della pala caricatrice, che nel caso avrebbe potuto essere utilizzata senza l'autorizzazione del proprietario.
7.2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine all'esistenza di una società di fatto tra il datore di lavoro e il ricorrente e il travisamento di prove testimoniali decisive.
Deduce che la circostanza della effettiva gestione dei lavori da parte del ricorrente (e del F.D.) è stata desunta sulla base di circostanze insufficienti a confutare la tesi alternativa del lavoro subordinato da parte del M.A., che di fatto avrebbe agito quale dipendente della CEIT (come lo era stato formalmente sino a pochi mesi prima dell'appalto). Osserva che la Corte territoriale non spende alcuna parola sulla tesi difensiva, articolata nell'atto di appello, secondo cui doveva ritenersi improbabile il subappalto, e rispondente al senso di comune esperienza l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto tra il ricorrente quale dipendente e CEIT quale datore di lavoro.
Censura il travisamento di prove testimoniali decisive, con riferimento alle testimonianze di B., M. e FA..
Diritto
1. Il ricorso proposto da A.DM. è fondato nella parte in cui lamenta l'omessa declaratoria di intervenuta prescrizione con riguardo alla contravvenzione a lui ascritta al capo B) di rubrica, in tal modo rimanendo assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza avanzati dal medesimo.
Dalla ricostruzione dei fatti risultante dalle sentenze di merito si evince, infatti, che i lavori furono affidati da SET alla CEIT con contratto risalente al 24.2.2009, unica data di cui si ha sicura contezza in ordine alla operatività della esecuzione del contratto di appalto in riferimento. Ne discende che, per il principio del favor rei, è da tale data che deve farsi decorrere il termine di prescrizione con riguardo alla contravvenzione di che trattasi; detto termine, pur tenuto conto delle sospensioni intervenute nel corso del procedimento, è decorso il 21.3.2015, quindi in data antecedente alla sentenza di appello.
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi constatare con evidenza dagli atti l'insussistenza del fatto-reato.
2. Sono parimenti estinti per prescrizione i reati ascritti a F.D. Franco ai capi C), D), M), N), O), P), Q), R) e quelli ascritti a M.A. ai capi C), D), F), G), H), I), J), K), trattandosi di fattispecie contravvenzionali risalenti al più tardi al settembre del 2009, per le quali è certamente decorso, pur tenuto conto delle sospensioni, il termine massimo quinquennale di prescrizione previsto per legge.
Anche per tali reati non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi constatare con evidenza dagli atti l'insussistenza dei fatti-reato.
3. Passando alle doglianze che attengono ai riconosciuti profili di responsabilità dei ricorrenti - con la sola eccezione del A.DM. - in ordine al reato di omicidio colposo di cui al capo A), in relazione all'infortunio sul lavoro da cui è derivata la morte dell'operaio K.S., va preliminarmente osservato che gran parte dei motivi di ricorso dedotti dai ricorrenti si pongono ai limiti della inammissibilità, svolgendo essenzialmente censure in fatto: la pretesa è che la Corte di cassazione rivaluti nel merito le distinte posizioni di responsabilità dei prevenuti, contestando la ricostruzione operata dai giudici di merito sotto il profilo motivazionale ma sostanzialmente offrendo una valutazione alternativa dei fatti, asseritamente idonea ad escludere il coinvolgimento colposo dei prevenuti nell'evento mortale in disamina.
In proposito, giova qui ribadire che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181). Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955).
4. Nel caso in disamina la Corte territoriale - con la sola eccezione della posizione del F.D'O. (su cui v. infra al par. 6) - ha congruamente e logicamente motivato la conferma dell'affermazione di responsabilità dei ricorrenti, analizzando partitamente le singole posizioni e traendo dal compendio probatorio una plausibile ricostruzione dei fatti, desumendo la responsabilità dei prevenuti sulla scorta di una corretta applicazione dei principi giuridici che informano la materia concernente la individuazione delle distinte posizioni di garanzia, nell'ambito della disciplina antinfortunistica.
5. I ricorsi di F.D'O., A.G. e T.S. propongono motivi di doglianza prevalentemente in fatto e comunque infondati, salvo per quanto si dirà appresso in ordine alla specifica posizione del F.D'O..
5.1. La ricostruzione operata nella sentenza impugnata, secondo cui l'incidente in cui perse la vita il K.S. avvenne in una strada "aperta al traffico", ma comunque all'interno di un cantiere in cui erano in corso lavori per la realizzazione di una linea elettrica su cavo interrato, è certamente plausibile alla luce degli elementi emersi, con particolare riguardo alla circostanza che fino al momento dell'infortunio gli scavi realizzati per la posa in opera delle condotte da interrarsi non erano stati ancora chiusi, sicché il cantiere era ancora aperto e operativo, come confermato dall'ulteriore elemento costituito dalla richiesta della CEIT (presentata al Comune) di autorizzazione alla prosecuzione dei lavori, inizialmente fino al 24 settembre e poi fino al 16 ottobre 2009; autorizzazione che riguardava principalmente l'allacciamento della linea elettrica, sui cui lavori si inserì poi l'AGS per la collocazione delle condutture di gas e acqua.
Peraltro, anche ammesso che la CEIT avesse terminato l'esecuzione delle opere a lei affidate, va qui ribadito che l'appaltatore di lavori, in base al principio del neminem laedere, deve osservare tutte le cautele necessarie per evitare danni alle persone, non soltanto nel periodo di esecuzione delle opere appaltate, ma anche nella fase successiva, permanendo l'obbligo di non lasciare senza custodia le situazioni di grave pericolo che gli siano note (Sez. 4, n. 24692 del 29/03/2016, Nobilioni, Rv. 26723001), come avvenuto nel caso di specie, in cui il cantiere stradale continuava a non essere adeguatamente protetto in corrispondenza del ciglio sovrastante la scarpata dove è precipitato il lavoratore.
5.2. Per il resto i ricorrenti si lamentano del fatto che la Corte di appello non avrebbe fornito risposte esaurienti e convincenti alle problematiche evidenziate nell'atto di appello, in tal modo, però, articolando una dettagliata censura di merito preclusa nella presente sede di legittimità, a fronte della correttezza del ragionamento logico-giuridico adottato nella sentenza impugnata.
5.3. L'ulteriore doglianza in ordine alla mancata risposta della Corte di appello sulle richieste di integrazione istruttoria formulate in sede di gravame non è ammissibile in questa sede, in quanto i ricorrenti non spiegano i motivi per cui le prove integrative richieste risulterebbero decisive ai fini che qui rilevano.
5.4. Quanto alla doglianza in ordine alla commisurazione della pena, è appena il caso di rilevare che la pena irrogata è al di sotto della media edittale, di talché, per costante giurisprudenza di legittimità, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione sul punto, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301).
6. Coglie invece nel segno la doglianza di F.D'O. per quanto attiene alla censurata carenza motivazionale della sentenza impugnata, con riferimento allo specifico motivo di gravame con il quale il ricorrente, ritenendo la sua estraneità al fatto, aveva eccepito che la CEIT è un'azienda che opera in tutto il territorio nazionale, con oltre 500/600 dipendenti, e con cantieri organizzati in linee operative aventi pieni poteri di autonomia; che il settore del nord-est, competente per l'incidente in questione, era sotto la direzione del A.G., il quale era stato opportunamente delegato dal F.D'O. nella materia antinfortunistica; che il A.G., inoltre, era il soggetto che da CEIT era stato messo a capo del raggruppamento di imprese che aveva eseguito l'appalto SET, e ciò ad ulteriore dimostrazione della sua piena autonomia operativa.
6.1. Il ricorrente, sotto altro profilo, si duole della contraddittorietà del decisum laddove, da una parte, motiva l'esclusione di responsabilità dell'amministratore delegato A.DM. dal reato di omicidio, concordando con l'orientamento prevalente che esclude il "principio del cumulo di responsabilità" in capo ai rappresentanti della componente datoriale, nel caso di esistenza di deleghe in materia antiinfortunistica e di organizzazione aziendale complessa; dall'altra, attribuisce al F.D'O. la responsabilità dell'evento, senza considerare e valutare la specifica delega da questi conferita nei confronti del A.G..
6.2. Su tale questione, in effetti, la sentenza impugnata non fornisce una esauriente ed adeguata motivazione, sia pure succinta, in ordine alla natura e consistenza della delega conferita dal F.D'O. al A.G., nonostante la rilevanza della tematica ai fini della esatta individuazione della responsabilità datoriale attribuita al F.D'O., sulla scorta del pacifico insegnamento della Corte regolatrice secondo cui, nelle società di capitale, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 49402 del 13/11/2013, Bruni e altri, Rv. 25767301). Del resto, dalla stessa descrizione del fatto come rappresentato nel capo di imputazione, si evince che nel caso vengono in rilievo prevalentemente omissioni che attengono alla sicurezza specifica del cantiere in questione, che quindi interessano principalmente le figure operative del delegato alla sicurezza (A.G.) e del responsabile di cantiere (T.S.), e non omissioni di carattere strutturale- organizzativo, che in ipotesi avrebbero potuto chiamare in causa anche il vertice aziendale. Anche su questo punto, peraltro, la sentenza difetta della benché minima elaborazione, tanto più necessaria in presenza di una situazione come quella in esame, in cui più figure soggettive appaiono teoricamente titolari di una specifica posizione di garanzia, che va poi però concretamente individuata alla luce degli elementi emersi, ivi compresi quelli offerti a discarico dalla difesa.
6.3. Né dalla sentenza impugnata è dato comprendere se i profili di responsabilità colposa attribuiti al F.D'O. siano riconducibili, eventualmente, ad un difetto di vigilanza, quale datore di lavoro delegante per la sicurezza, atteso che in tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 T.U. sulla sicurezza - non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite; tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; conseguentemente l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Visconti, Rv. 26731901).
6.4. Da questo punto di vista la sentenza della Corte territoriale, oltre ad essere carente sul piano motivazionale, erra giuridicamente laddove equipara la posizione datoriale del F.D'O. con quella degli altri soggetti operativamente responsabili per la sicurezza del cantiere (il delegato A.G. ed il capocantiere T.S.), senza specificare su quali basi sia attribuibile anche al F.D'O. la titolarità della gestione del "rischio specifico" da cui è derivato l'incidente mortale, nonostante l'esistenza di una apposita delega per la sicurezza nei confronti del A.G., posto a capo del ramo d'azienda creato dalla CEIT proprio per occuparsi della organizzazione del lavoro nello specifico settore del nord-est.
6.5. Si tratta di vizi giuridici e motivazionali che impongono, limitatamente alla posizione del F.D'O., l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello - che si atterrà ai principi indicati - per nuovo esame della relativa posizione.
7. Il ricorso di F.D. articola motivi di censura prevalentemente in fatto e comunque infondati.
7.1. Quanto al primo motivo, si osserva che la Corte di appello, con motivazione congrua e logica, nonché giuridicamente corretta, ha plausibilmente ricavato la posizione datoriale del F.D. nei confronti del lavoratore deceduto da plurimi elementi, specificamente indicati, rispetto ai quali le (inutilizzabili) dichiarazioni da questi rese alla polizia giudiziaria costituiscono un mero tassello, neanche particolarmente significativo. In questo caso, applicando il c.d. "criterio di resistenza", si può affermare che gli ulteriori dati probatori rappresentati nella sentenza impugnata consentono di tenere ferma la validità logico-argomentativa della stessa nei confronti del F.D. (e del M.A.).
Infatti le motivazioni di merito della Corte territoriale (e del Giudice di primo grado) danno atto, in maniera razionale e convincente, del connubio esistente fra il F.D. ed il M.A., i quali nel periodo di interesse, nella zona di Arco, avevano frequenti contatti telefonici ed erano costantemente presenti in cantiere nei due mesi antecedenti l'infortunio, impartendo ordini agli operai ed al K.S. stesso; quest'ultimo era un dipendente (di fatto) della società (CO.GE.T.) di cui il F.D. era procuratore ed institore; dopo l'infortunio il F.D. provvide immediatamente a chiamare telefonicamente il proprio consulente del lavoro al fine di regolarizzare la posizione del K.S., ad ulteriore dimostrazione del suo pieno coinvolgimento nella vicenda.
Le evidenze processuali hanno consentito di affermare che la CEIT, di fatto, aveva subappaltato i lavori alla Sicil Edil del M.A., sulla scorta delle ragioni ben rappresentate dal teste FA. (ispettore del lavoro) e dettagliatamente descritte in sentenza. Nel cantiere operava poi anche il F.D., la cui ditta (CO.GE.T.) aveva formalmente noleggiato attrezzatura alla Sicil Edil del M.A., anche se di fatto i due soggetti operavano di comune accordo nel cantiere, come già visto in precedenza e come palesemente dimostrato dalla circostanza che il K.S., dipendente del F.D., il giorno dell'incidente stava guidando nel cantiere un mezzo (il bobcat) di proprietà della ditta del M.A..
7.2. Con il secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancata correlazione fra accusa e decisione, reiterando una doglianza che era già stata motivatamente respinta dalla Corte territoriale, in relazione all'errore espositivo contenuto nella sentenza di primo grado in ordine alla proprietà del mezzo meccanico (bobcat) sul quale è avvenuto l'incidente.
Il motivo è manifestamente infondato, posto che agli atti è incontestato che il bobcat fosse di proprietà del M.A., per cui risulta evidente al riguardo il lapsus calami in cui è incorso il primo giudice, il quale peraltro a pag. 16 della sentenza, come riportato dalla Corte di appello, afferma chiaramente che il mezzo è di proprietà del M.A.. Si tratta, dunque, di un errore che non ha avuto alcuna incidenza nel processo decisionale del giudicante.
7.3. Anche il terzo motivo è privo di pregio, posto che dalla integrale lettura delle sentenze di primo e di secondo grado è possibile ricavare il percorso argomentativo che ha giustificato la determinazione del trattamento sanzionatorio, secondo una ponderata valutazione di merito che è insindacabile nella presente sede di legittimità.
8. Il ricorso di M.A. articola motivi di censura prevalentemente in fatto e comunque infondati.
8.1. Quanto al primo motivo, si osserva che la Corte territoriale ha offerto una motivazione logica e plausibile con riguardo al rapporto esistente fra la CEIT ed il M.A., e tra quest'ultimo ed il F.D. (secondo quanto già esposto al par. 7.1.), per cui è preclusa in questa sede qualsiasi rivalutazione alternativa dei fatti di causa, dovendosi ritenere che la posizione di garanzia del M.A. nei confronti del lavoratore deceduto abbia trovato piena conferma nel già rilevato connubio esistente fra il M.A. ed il F.D., a seguito del quale i due soggetti agivano nell'ambito di una società di fatto che aveva subappaltato i lavori della CEIT. Le considerazioni del ricorrente circa il venir meno della sua responsabilità in assenza di una società di fatto o per non avere assunto la qualità di datore di lavoro della vittima sono dunque oziose e prive di pregio, posto che il coinvolgimento del M.A. nella gestione del cantiere e del rischio conseguente all'incidente mortale è stata desunta da una serie di elementi univoci e convergenti che non è qui il caso di ripetere ma che sono stati ben elencati e descritti nelle sentenze di merito.
8.2. Le considerazioni espresse nel paragrafo che precede valgono anche per valutare la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso, sempre attinente alla dedotta inesistenza di una società di fatto e al prospettato vizio di travisamento di prove testimoniali asseritamente decisive.
La tesi prospettata del lavoro subordinato da parte del M.A., che di fatto avrebbe agito quale dipendente della CEIT, costituisce appunto una prospettazione alternativa dei fatti che non può essere presa in considerazione in questa sede, stante la già rilevata congruenza e logicità delle argomentazioni adottate dalla Corte di merito per affermare la sussistenza di un rapporto di subappalto. Peraltro la tesi del ricorrente, asseritamente rispondente ad un «senso di comune esperienza», è avanzata su base congetturale, in assenza di riscontri obiettivi; e comunque l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra la CEIT e il M.A. non necessariamente comporterebbe un esonero di responsabilità di quest'ultimo, che potrebbe in ipotesi rispondere dello stesso fatto quale preposto del datore di lavoro, essendo stata accertata la sua posizione di responsabile di fatto del cantiere.
8.3. La doglianza sul travisamento delle deposizioni dei testi B., M. e FA. è inammissibile, posto che in essa non è svolta alcuna considerazione circa l'incidenza causale di queste testimonianze sulla decisione finale; né risulta rappresentato nel ricorso, trattandosi di "doppia conforme", che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 2017, La Gumina e altro, Rv. 26921701).
9. In definitiva la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla posizione del F.D'O., con rinvio alla Corte di merito per nuovo giudizio; va annullata senza rinvio in relazione ai reati contravvenzionali specificati nel dispositivo. Per il resto vanno rigettati i ricorsi di F.D. Franco, M.A. , T.S. Tito e A.G. Adriano. Al rigetto integrale dei ricorsi di T.S. Tito e A.G. Adriano segue la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata: nei confronti di A.DM. relativamente al capo B), perché il reato è estinto per prescrizione; nei confronti di F.D., relativamente ai reati di cui ai capi C), D), M), N), 0), P), Q), R), perché estinti per prescrizione; nei confronti di M.A. , relativamente ai reati di cui ai capi C), D), F), G), FI), I), J), K), perché estinti per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.D'O. e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Bolzano.
Rigetta nel resto i ricorsi di F.D., M.A. , T.S. e A.G..
Condanna T.S. e A.G. al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 8 giugno 2017