Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 dicembre 2017, n. 29760 - Tute da lavoro dei giardinieri comunali: gli indumenti da lavoro rientrano tra i DPI soltanto se hanno una funzione di protezione da rischi per la salute e sicurezza


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: TRIA LUCIA Data pubblicazione: 12/12/2017

 


 

 

Rilevato

 

che con sentenza in data 21 aprile 2011 la Corte d'appello di Napoli respinge l'appello proposto, fra l'altro, da A.V. e G.S. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli depositata il 16 giugno 2006, di rigetto della domanda dei ricorrenti - addetti ai servizi di manutenzione e pulitura di parchi e giardini, come giardinieri per il Comune di Napoli - di riconoscimento del diritto all'indennità per il lavaggio delle tute adoperate per lo svolgimento del loro lavoro oppure al risarcimento del danno per la condotta del Comune, tenuto a fornire, lavare e disinfettare gli indumenti da lavoro;
che la Corte d'appello, richiamando propri precedenti per casi analoghi, perviene alla suddetta conclusione sul principale assunto dell'inapplicabilità della normativa introdotta dall'art. 40 del d.lgs. n. 626 del 1994, perché riferibile ai soli "DPI" (dispositivi di protezione individuale), mentre nella specie le tute fornite ai lavoratori erano capi comuni e assolvevano alla mera funzione di preservazione degli abiti dei lavoratori così come le tute "monouso" e quindi non si trattava di indumenti predisposti per tutelare la salute e sicurezza delle persone;
che avverso tale sentenza A.V. e G.S. propongono ricorso affidato a quindici motivi, al quale oppone difese il Comune di Napoli, con controricorso.
 

 

Considerato
che il ricorso è articolato in quindici motivi;
che con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2087 cod. civ., sostenendosi che esisterebbe un generale obbligo del datore di lavoro di lavare le tute, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e che, comunque, in caso di mancato lavaggio, come nel caso di specie, il lavoratore avrebbe diritto alla relativa indennità;
che con il secondo motivo si allega l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, precisandosi che la domanda giudiziale non si fondava sul solo fatto che le tute fornite ai lavoratori fossero assimilabili a DPI, sicché la motivazione della sentenza sarebbe incongrua, con violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., dell'art. 132 cod. proc. civ., oltre che dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2087 cod. civ.;
che con il terzo motivo si allega la violazione del d.lgs. n. 626 del 1994 e dell'ulteriore normativa in materia di sicurezza del lavoro, degli artt. 32 Cost. e 2087 cod. civ., sostenendosi che la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, perché le tute di cui si tratta sarebbero da qualificare come DPI e in base alla suddetta giurisprudenza esiste un obbligo generale del datore di lavoro di lavare le tute da lavoro dei dipendenti se e in quanto DPI e in caso di mancato lavaggio il lavoratore ha diritto alla relativa indennità;
che con il quarto motivo si denuncia l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, non essendo stata esaminata dalla Corte territoriale la perizia di parte prodotta in giudizio e non essendosi considerati i rischi in concreto sofferti dai lavoratori;
che con il quinto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 2967 cod. civ. e del d.lgs. n. 626 del 1994, in quanto nella sentenza impugnata, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, non è stato ritenuto che l'onere di dimostrare che le tute non erano DPI incombeva sul datore di lavoro;
che con il sesto motivo si denuncia l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, perché la Corte territoriale non ha rilevato che il Comune di Napoli doveva valutare i rischi sofferti dai lavoratori e quindi dimostrare che le tute in oggetto non potevano essere considerate DPI;
che con il settimo motivo e l'ottavo motivo si allegano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2087 cod. civ., perché sussisteva l'onere del datore di lavoro di dimostrare che non vi erano rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori e/o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione sul punto;
che con il nono motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost., degli artt. 1218 e 2043 cod. civ., in quanto la Corte d'appello, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, non ha riconosciuto che, in caso di omesso lavaggio delle tute da lavoro da parte del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale;
che con il decimo motivo si denuncia l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, con riferimento al punto di cui al motivo precedente;
che con l'undicesimo motivo si denuncia erronea e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2059 cod. civ., per il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale;
che con il dodicesimo motivo si allega l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, con riferimento al punto di cui al motivo precedente;
che con il tredicesimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2697 cod. civ., nonché dell'art. 414 cod. proc. civ., per non essere state ammesse né in primo grado, né in appello le prove richieste dai ricorrenti, certamente ammissibili e rilevanti e che comunque potevano e dovevano essere ammesse d'ufficio;
che, in via gradata, con quattordicesimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 2087 cod. civ. perché la Corte territoriale non ha esaminato la domanda, proposta in subordine, volta ad ottenere l'affermazione della responsabilità del Comune per non avere neppure fornito le tute di stoffa ai lavoratori, siano esse da considerare DPI o normali abiti da lavoro;
che con il quindicesimo motivo si allega l'omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, con riferimento al punto di cui al motivo precedente;
che il Collegio - condividendo l'orientamento espresso da questa Corte nella sentenza 5 febbraio 2014, n. 2625 relativa ad una controversia analoga alla presente - ritiene che il ricorso - i cui plurimi motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo tra loro strettamente connessi ed avendo i medesimi presupposti giuridici e fattuali - non meriti accoglimento;
che la questione controversa è quella della sussistenza o meno, in base all'art. 2087 cod. civ. e nell'art. 32 Cost., del diritto dei lavoratori alla fornitura, da parte del datore di lavoro, di abiti di lavoro adeguati, che il datore di lavoro deve tenere in efficienza e sostituire se usurati verificando se, in relazione alle mansioni svolte sia necessario, tenendo conto delle prescritte precauzioni per la tutela della salute e sicurezza, fornire abiti DPI idonei, occupandosi del relativo lavaggio;
che il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata è del tutto corretto, in quanto la Corte è partita dalla premessa secondo cui se le tute fornite dal datore di lavoro Comune di Napoli ai presenti dipendenti avessero dovuto considerarsi DPI, allora non vi sarebbe stato alcun dubbio del connesso obbligo per il Comune di tenere indenni i lavoratori dai costi e dai disagi del loro frequente lavaggio;
che, in secondo luogo, la Corte d'appello ha precisato che, in base alla normativa di settore, gli indumenti da lavoro rientrano tra i DPI soltanto se hanno una funzione di protezione da rischi per la salute e sicurezza (quali, a titolo esemplificativo, gli indumenti per evitare il contagio on sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici);
che, pertanto, la Corte territoriale ha logicamente concluso che le tute di stoffa fornite ai presenti lavoratori dal Comune di Napoli - al pari delle tute da lavoro monouso in tjvek - non potevano essere ritenute DPI per le loro caratteristiche di capi comuni di abbigliamento (tute di stoffa) e la loro funzione di vestizione in quanto strumentali al solo scopo di mera preservazione degli abiti civili degli attuali ricorrenti dalla ordinaria usura connessa all'espletamento dell'attività lavorativa;
che quest'ultima conclusione si basa su un accertamento di natura squisitamente fattuale motivato congruamente ed ancorato ad elementi desunti dalla stesse prospettazioni delle parti ricorrenti e quindi insindacabile come tale in questa sede, anche in base all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo applicabile nella specie, '"ratione temporis"', antecedente la sostituzione ad opera dell'art. 54 del decreto- legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata deposita il 21 aprile 2011 e quindi prima dell'11 settembre 2012);
che di conseguenza è da escludere in radice non solo la dedotta assimilazione tra le tute fornite dal Comune di Napoli ai dipendenti di cui si tratta e i DPI, ma anche ogni nesso tra la tutela della salute e dell'igiene dei lavoratori ex art. 32 Cost. ed ex art. 2087 cod. civ. e la domanda formulata nel ricorso introduttivo del presente giudizio;
che, inoltre, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che oggetto della domanda era l'obbligo per il Comune di fornire le tute prima indicate e comunque di tenerle pulite e, in linea subordinata, di risarcire i dipendenti dalle spese sostenute per il lavaggio delle tute, questione completamente estranea al tema della tutela della salute e dell'igiene nel luogo di lavoro ex art. 32 Cost. ed ex art. 2087 cod. civ. - e alla relativa giurisprudenza di legittimità - posto che la finalità della fornitura delle tute usate dai ricorrenti non era quella di tutelarne la salute ma soltanto quella di preservarne gli abiti civili dall'usura dovuta allo svolgimento dell'attività lavorativa;
che, pertanto, è del tutto irrilevante per il presente giudizio stabilire se esista un obbligo per il datore di lavoro in via generale di proteggere attraverso tute ed abiti di lavoro adeguati (DPI o altre protezioni) i dipendenti soggetti a rischio di contaminazione con sostanze nocive, trattandosi di questione che è fuori dal thema decidendum;
che correttamente quindi non è stato esaminato il contenuto della perizia richiamata in ricorso né è stata ammessa la prova che tendeva ad acclarare la tesi dell'esposizione a rischi per la salute e l'igiene dei lavoratori in quanto si trattava di un'indagine non pertinente per la domanda introdotta;
che, in ipotesi, non si può quindi escludere che, per le lavorazioni cui erano addetti i ricorrenti, fosse necessario o opportuno predisporre DPI specifici di riduzione del rischio di contaminazione o altre cautele, ma tale eventuale obbligo ex art. 32 Cost. o ex art. 2087 cod. civ. non ha alcun nesso con l'obbligo di lavare con sistematicità tute che servono solo ad evitare l'usura di abiti civili, di cui si discute in questa sede;
che la sentenza impugnata risulta essere del tutto conforme ai richiamati orientamenti giurisprudenziali e va esente da ogni censura;
che, quindi, il ricorso deve essere respinto:
che le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi ed euro 5.000 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge e spese forfetarie nella misura del 15%.
Così deciso nella Adunanza camerale del 18 luglio 2017