Cassazione Penale, Sez. 7, 15 dicembre 2017, n. 55866 - Nessun comportamento abnorme del lavoratore che tiene una condotta rientrante nelle sue attribuzioni


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 22/11/2017

 

 

 

FattoDiritto

 


Il ricorso di G.G. avverso la sentenza in epigrafe indicata, recante l'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen., è manifestamente infondato e quindi inammissibile.
Infatti, quanto al primo motivo, va rammentato che la Corte regolatrice ha chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è osservato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni, con le seguenti precisazioni: che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; che deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Deve pure osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686); e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109).
Tanto premesso, si rileva che nel caso la Corte territoriale ha insindacabilmente escluso il carattere abnorme della condotta posta in essere dal lavoratore infortunato, che rientrava pienamente nelle sue attribuzioni, che erano appunto quelle di provvedere al recupero dell'imbragatura utilizzata per sostenere i lingotti nella fase immersiva; del resto è lo stesso ricorrente a parlare di mero "intervento intempestivo" del B., affermandone la condotta colposa concorrente ed implicitamente escludendone l'abnormità.
Per il resto il motivo svolge essenzialmente censure in fatto, non consentite in sede di legittimità. E' noto infatti che la ricostruzione della vicenda fattuale è operazione rimessa in via esclusiva al giudice di merito, come tale insindacabile in Cassazione qualora, come nel caso, non sia ravvisabile alcuna incongruenza o manifesta illogicità nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, che ha plausibilmente ricostruito i fatti sulla base della indubbia unicità dell'operazione di ricarica della vasca posta in essere dai due operai, volta allo scarico dei lingotti di zinco dal carroponte.
Il secondo motivo è manifestamente infondato sulla scorta del costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui la revoca della sospensione condizionale della pena concessa in primo grado può essere disposta dal giudice d'appello solo se la statuizione sia stata oggetto di espressa impugnazione da parte dell'imputato e non anche di ufficio, anche quando in secondo grado la condanna a pena detentiva è sostituita con condanna alla sola pena pecuniaria, in quanto la concessione del beneficio, dando luogo ad una causa di estinzione del reato, è sempre una previsione di favore per l'imputato, rispetto alla quale opera il divieto di "reformatio in peius" (Sez. 5, n. 42583 del 11/06/2015, Camisotti, Rv. 26641201). Nel caso nessuna richiesta di revoca del beneficio era stata avanzata dalla difesa nel giudizio di appello, pertanto la Corte territoriale lo ha correttamente tenuto fermo.
Con riferimento al terzo motivo, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, va detto che l'inammissibilità del ricorso osta alla rilevabilità d'ufficio della questione dell'applicabilità dell'art. 131 -bis cod. pen., che comunque non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore - come nel caso di specie - alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità.
Segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 2.000 a titolo di sanzione pecuniaria.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 novembre 2017