Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 dicembre 2017, n. 30437 - Caduta al suolo del nuovo assunto. Nessun comportamento abnorme


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 19/12/2017

 

 

Ritenuto
che la Corte d'Appello di Caltanissetta, con sentenza n. 416/2011, rigettava l'appello proposto da E.S., titolare di omonima impresa edile, avverso la sentenza del tribunale di Caltanissetta ed in parziale riforma elevava a € 52.272,48 l'ammontare della somma dovuta dall'appellante in favore dell'Inail a titolo di regresso ex artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/1965 per infortunio sul lavoro avvenuto in data 18 gennaio 1999 ai danni di M.A., allorché quest'ultimo alle dipendenze della predetta impresa, durante i lavori di ristrutturazione di un vecchio immobile sito in Trapani, ebbe a cadere al suolo da una impalcatura sulla quale era salito per verificare la stabilità del ponteggio esistente;
che a fondamento della sentenza, per quanto qui interessa, la Corte sosteneva che gravasse sul titolare dell'impresa il preciso obbligo non solo di fornire, ma di assicurarsi che il lavoratore facesse effettivo uso del casco e della cintura di sicurezza, aggiungendo che non si potesse ritenere che il comportamento posto in essere dal M.A. (salire sulla parte non calpestabile del ponteggio e appoggiare il piede sulla mantovana) fosse connotato da abnormità e/o imprevedibilità;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione E.S. con tre motivi, illustrati da memoria, mentre l'Inail ha resistito con controricorso;
 

 

Considerato
che il primo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 10 e 11 d.p.r. 1124/1965, artt. 2697, 2729, 2087, 1218, c.c., insussistenza di prova in ordine al nesso causale, art. 115, 116 c.p.c. Inammissibilità dell'azione di regresso. Articolo 2087 c.c. Error in iudicando (in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c.). Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del fatto reato (art. 360 numero 3 e 5);
lamenta il ricorrente che la Corte non abbia accertato se nell'occorso sussistesse o meno un'ipotesi di fatto reato penalmente perseguibile d'ufficio, posto che il giudizio penale si era concluso con un provvedimento di archiviazione; che inoltre il giorno dell'evento M.A. si era recato sui luoghi di lavoro per un sopralluogo volto alla verifica della stabilità del ponteggio da smontare senza ricevere nessuna direttiva dal datore di lavoro, come comprovato dalla testimonianza di A. dalla quale discendeva che il comportamento del lavoratore era da porsi come causa esclusiva dell'evento;
che il secondo motivo di ricorso solleva la violazione falsa applicazione degli articoli 10 e 11 del d.p.r. 1124 del 1965, il vizio di motivazione, artt. 115, 116 c.p.c. con riferimento agli articoli 2697, 2087, 2043, 1218 c.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., per avere la Corte affermato che il comportamento del M.A. non concretasse un comportamento abnorme in contrasto con le risultanze processuali, in particolare con le dichiarazioni rese dal teste A., in quanto il M.A. si era recato sui luoghi di lavoro per un sopralluogo e non sarebbe dovuto passare alla parte superiore del ponteggio;
che il terzo motivo denuncia vizio di motivazione per omesso esame di una circostanza obiettiva di per sé idonea a condurre con certezza ad una decisione diversa articolo; artt. 2087 e 1218 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. (in violazione all'articolo 360, comma 1 n. 5 c.p.c.), in quanto non vi era la prova che il comportamento tenuto dal lavoratore fosse ricollegabile ad una colpa del datore di lavoro, mentre vi era la prova della imprevedibilità del comportamento tenuto dal M.A. idonea ad esonerare da qualsivoglia responsabilità il datore di lavoro, come risultava dalla richiesta di archiviazione del PM trascritta in ricorso;
che i tre motivi di ricorso, i quali possono esaminarsi unitariamente per connessione, sono infondati, anzitutto perché la Corte territoriale ha autonomamente e correttamente accertato l'esistenza di tutti i presupposti dettati dal DPR 1124/65 per l'esercizio dell'azione di regresso da parte dell'INAIL, affermando anche, in via incidentale, la penale responsabilità del datore di lavoro - senza che in contrario potesse esercitare alcun effetto preclusivo il provvedimento di archiviazione del procedimento penale per gli stessi fatti - ed ha sostenuto in proposito che il datore avesse violato gli obblighi di manutenzione e controllo degli impianti e dei dispositivi di sicurezza" ciò "comportando la penale responsabilità del datore di lavoro" ( v. pag. 5 e 6 sentenza);
che per il resto i motivi sollevano, oltretutto in modo contraddittorio (posto che vi si afferma che il datore non ha dato direttive al lavoratore), questioni di merito già correttamente esaminate, senza vizi logici e giuridici, dalla Corte competente, e che non sono suscettibili di esame da parte di questa corte di legittimità, alla quale il ricorso domanda un generale riesame del materiale probatorio al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto e senza neppure denunciare effettivi vizi di motivazione ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c. applicabile ratione tempore il quale postula l'omessa, insufficiente o contraddittoria valutazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio;
che le stesse censure sono peraltro infondate nel merito, atteso che l'infortunio è avvenuto sul luogo di lavoro e nella esecuzione di una attività lavorativa in relazione alla quale lo stesso datore di lavoro, il quale accampa come propria giustificazione di "non avere impartito nessuna direttiva al lavoratore", sostiene nel contempo di avergli fornito i necessari mezzi di sicurezza; mentre egli, oltre che fornire i presidi di protezione, aveva il preciso obbligo di individuare anzitutto ogni situazione di rischio presente sul luogo di lavoro, di informare tempestivamente e dettagliatamente il lavoratore e di sottoporlo alla opportuna vigilanza in ordine al corretto impiego dei medesimi mezzi di prevenzione, essendo tra l'altro al suo primo giorno di lavoro;
che salire su una parte non calpestabile del ponteggio ed appoggiare un piede su una mantovana non costituisce comportamento connotato da abnormità e/o imprevedibilità in quanto non esorbitava dall'attività lavorativa; posto che, come affermato nell'immediatezza dei fatti dal testimone A., il lavoratore infortunato era salito sul ponteggio, in quella parte ove erano sistemate delle mantovane costituite da due tavole poste al riparo dei calcinacci, proprio al fine di procedere allo smontaggio delle stesse; in quanto il punteggio esistente doveva essere smontato, perché già ritenuto non conforme alle esigenze di sicurezza; e ciò richiedeva, evidentemente, l'impiego di una ulteriore attenzione e di una supplementare cautela da parte del datore di lavoro, garante della sicurezza, il quale ha invece adibito ad una attività particolarmente pericolosa un lavoratore, come il M.A., al primo giorno di assunzione ("appena assunto"), senza dargli adeguate informazioni e vincolanti prescrizioni; essendo sufficiente osservare a tal fine che lo stesso teste A., ha affermato testualmente, in relazione al ponteggio in questione, che: "non potevamo immaginare che l'impalcatura non fosse stabile, anche perché dava l'impressione che fosse stabile, né c'era segnaletica che avvisasse della sua pericolosità";
che in conclusione la sentenza impugnata si sottrae a tutte le censure fatte valere col ricorso che deve essere quindi rigettato;
che le spese processuali seguono la soccombenza come da dispositivo;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 3700 di cui € 3500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese aggiuntive ed oneri accessori.
Roma, così deciso nella adunanza camerale del 21.9.2017