Cassazione Penale, Sez. 4, 28 dicembre 2017, n. 57668 - Infortunio con la macchina Transfer priva di un dispositivo di blocco


 

 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MICCICHE' LOREDANA Data Udienza: 07/11/2017

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza emessa il 15 marzo 2017, confermava in punto di responsabilità la sentenza pronunciata all'esito di rito abbreviato dal Tribunale di Brescia nei confronti di B.S., delegato per l'igiene e sicurezza sul lavoro dalla B.S. F.lli srl, che lo aveva dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3, cod.pen in quanto, in violazione delle norme antinfortunistiche, aveva cagionato per colpa gravi lesioni al lavoratore P.G.. Il predetto P.G., adibito alla macchina Transfer marca Gnutti posta nel reparto lavorazioni meccaniche dell'azienda, verificato un malfunzionamento del dispositivo di evacuazione dell'impianto, aveva rimosso la griglia di protezione della zona di passaggio del nastro trasportatore adibito alla evacuazione della tornitura metallica, inseriva la mano destra nel bagno di acqua chimica in cui era immerso il sistema di trasporto al fine di verificare se qualche oggetto si fosse incagliato nella catena che impartiva il movimento al nastro; in tale frangente la catena e gli ingranaggi in movimento intrappolavano le dita della mano del P.G., che riportava lesioni personali gravi consistenti nello schiacciamento delle dita della mano destra, con amputazione traumatica della falange ungueale. Al B.S. si era contestato non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee, posto che il sistema di evacuazione dei trucioli della macchina Transfer risultava priva di un riparo fisso o comunque mobile dotato di un dispositivo di blocco in grado di impedire la rimozione o l'apertura del nastro trasportatore ancora in movimento o comunque provocare l'arresto del nastro medesimo all'atto dell'apertura, (fatto accaduto il 13 maggio 2010).
2. La Corte territoriale disattendeva il primo motivo di appello, con il quale si contestava la sussistenza del nesso causale tra la condotta contestata e l'evento, sotto il profilo, da un lato, della abnormità della condotta del lavoratore, e dall'altro, della circostanza segnalata dal servizio di prevenzione della Asl nella comunicazione della notizia di reato, secondo cui la presenza di un dispositivo di protezione poteva, da solo, non essere sufficiente ad impedire l'evento, se contestualmente non veniva arrestata la macchina. Sul punto, la Corte evidenziava la difformità del macchinario alla normativa antinfortunistica, e, quanto alla dedotta abnormità, rilevava che la condotta del P.G. non esorbitava affatto dal processo produttivo nel quale il lavoratore era inserito. Accoglieva invece il secondo motivo di gravame, riconoscendo al B.S. l'attenuante di cui all'art. 62 n.6 e, confermando I giudizio di equivalenza, riduceva la pena inflitta, concedendo altresì il beneficio della non menzione. 
3. La sentenza è stata impugnata dal B.S. per il tramite del proprio difensore di fiducia.
3.1 Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, vizio di violazione di legge con riferimento all'art. 41, comma 2, cod pen. Si era infatti verificato un evento del tutto eccezionale ed imprevedibile da solo sufficiente a determinare l'evento, stante l'abnormità del comportamento del lavoratore, radicalmente lontano dalle modalità normali di esecuzione del lavoro. Per di più, era del tutto ininfluente, quanto al decorso causale, la mancanza di ripari fissi alla griglia di protezione (oggetto del comportamento alternativo lecito contestato all'imputato) posto che per evitare l'evento il macchinario avrebbe dovuto essere dotato anche di dispositivi interbloccanti. Con il secondo motivo, lamenta il ricorrente manifesta illogicità della motivazione relativamente al giudizio di comparazione delle circostanze e alla ritenuta equivalenza.
 

 

Diritto

 


1. Preliminarmente si rileva che il termine di prescrizione non è ancora decorso, venendo a maturazione 13 novembre 2017.
2. Il ricorso è infondato e si impone il rigetto.
3. L'esaustivo e coerente costrutto motivazionale della sentenza impugnata si sottrae alle censure denunciate dal ricorrente. La Corte territoriale ha invero rilevato, con argomentazione non censurata dal ricorrente, che risultavano integrate le violazioni della normativa antinfortunistica contestate nel capo di imputazione, in particolare degli artt. 70 e 71 del TU n.81/2008, in relazione ai punti 6.1 e 6.3 dell'allegato V del citato TU; nonché in relazione al punto 1.3.2 della norma UNI En 14070 del 2003. La pronuncia impugnata, richiamata la dinamica del sinistro così come definitivamente accertata, sottolinea che la norma UNI EN, cui fa rimando l'art. 71 del d.lgs n.81/2008 nel porre a carico del datore di lavoro l'obbligo di mettere a disposizione dei lavoratori le attrezzature conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari in materia, prevede al punto 1.3.2 che " l'accesso a parti pericolose o in movimento di sistemi di raccolta e rimozione di sfridi/trucioli deve essere impedito mediante ripari fissi. Se gli operatori hanno la necessità di accedere più frequentemente di una volta per turno, dovranno essere previsti ripari mobili interbloccati". Orbene, è pacifico che la botola che dava accesso al vano ove scorreva il nastro trasportatore non era fissa, ma rimuovibile, e per di più non era dotata (in quanto rimuovibile) di sistemi di interblocco.
4. Tanto premesso, è certamente destituito di fondamento il motivo di ricorso che fa leva sulla assenza del nesso causale; essendo stata pienamente provata, ed adeguatamente motivata, la sussistenza della responsabilità penale del ricorrente sia sul piano della cd "causalità della colpa" che su quello della causalità materiale. Proprio la violazione della normativa antinfortunistica, così come accertata, aveva permesso che la parte offesa potesse facilmente rimuovere la botola che dava accesso al nastro trasportatore, in quanto non dotata di ancoraggio fisso, e così infilare la mano all'Interno dell'ingranaggio. Né è dirimente l'argomento, riproposto anche in questa sede, secondo cui solo un sistema di bloccaggio automatico avrebbe potuto scongiurare l'evento, posto che la normativa esaminata impone chiaramente, quale dotazione di sicurezza, l'adozione di un sistema di bloccaggio nel caso in cui l'accesso agli ingranaggi non sia di tipo fisso, ma mobile. In ogni caso, la pronuncia impugnata, con motivazione approfondita e del tutto scevra da vizi logici, osserva che, pur se - per la limitata frequenza dell'operazione che imponeva il sollevamento del coperchio - non fosse stata necessaria l'adozione di un dispositivo di bloccaggio, sarebbe stato comunque obbligatorio il fissaggio del sistema di accesso. La difficoltà di rimozione del meccanismo, infatti, avrebbe reso più cauto e accorto il lavoratore, offrendogli anche il necessario tempo per disporre il bloccaggio dei macchinari.
5. Quanto alla doglianza inerente al cd comportamento abnorme, la Corte ha fatto corretta applicazione del principio ripetutamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (cfr. ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 47146 del 29/09/2005, Rv. 233186; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Rv. 250710 Sez. 4 n. 36227 del 26/03/2014, Rv. 259767). Pertanto, è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313 ). Nel caso in esame, la Corte territoriale ha evidenziato che il P.G. sorvegliava la macchina transfer, al fine di controllarne il regolare funzionamento e la conseguente regolarità del ciclo di produzione, di talché, certamente, la condotta dell'operaio si inseriva pienamente nel processo produttivo cui era addetto.
6. Quanto, poi, alla doglianza in punto di pena, la Corte territoriale ha considerato che, valutando la gravità della violazione della specifica normativa antinfortunistica, il riconoscimento della ulteriore attenuante di cui all'art. 62 n.4 non poteva determinare comunque un giudizio di prevalenza sulla aggravante contestata. E' appena il caso di considerare che il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti non è censurabile in sede di legittimità qualora il giudice di merito abbia giustificato la soluzione adottata con la indicazione degli elementi considerati ai fini del giudizio di comparazione, anche se non abbia confutato tutte le deduzioni delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa di tutte le circostanze del reato. In questa prospettiva, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez 6, 8 luglio 2009, Abruzzese ed altri). E, nel caso di specie, il ragionamento della Corte territoriale - che, peraltro, è comunque giunta a mitigare il trattamento sanzionatorio - risulta coerente e congruamente argomentato.
7. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 7 novembre 2017