• Amianto
 
La Corte d'appello di Milano, provvedendo sulla domanda proposta da O.N., ha accertato, a conferma della sentenza di primo grado, il diritto dell'assicurato alla rivalutazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche a favore dei lavoratori esposti per oltre un decennio all'amianto.
La Corte d'appello ha espresso il convincimento che la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, non richiede il riferimento a valori di soglia di concentrazione dell'amianto aerodisperso ricavabili da specifiche fonti normative, ma intende tutelare i lavoratori che abbiano comunque subito una esposizione ben più diretta e intensa rispetto a quella subita dalla collettività.
 
Ricorre in Cassazione l'INPS - Accolto.
 
"La Corte d'appello di Milano ha aderito ad una interpretazione della normativa rilevante ai fini della decisione che è in contrasto con i principi ripetutamente affermati sulla materia da questa Corte, principi che, con alcune precisazioni, vengono ora ribaditi.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, va interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni a cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche", quali riposi, ferie e festività) un'esposizione a polveri d'amianto superiore ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERCURIO Ettore - Presidente -
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere -
Dott. MORCAVALLO Ulpiano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8122/2007 proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati, RICCIO Alessandro, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro O.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GARLATTI Alessandro, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 238/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 17/03/2006 R.G.N. 1189/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/01/2009 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LO VOI Francesco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto

La Corte d'appello di Milano, provvedendo sulla domanda proposta da O.N., ha accertato, a conferma della sentenza di primo grado, il diritto dell'assicurato alla rivalutazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche a favore dei lavoratori esposti per oltre un decennio all'amianto.
Per quanto qui rileva, è opportuno ricordare che la Corte d'appello ha espresso il convincimento che la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, non richiede il riferimento a valori di soglia di concentrazione dell'amianto aerodisperso ricavabili da specifiche fonti normative, ma intende tutelare i lavoratori che abbiano comunque subito una esposizione ben più diretta e intensa rispetto a quella subita dalla collettività; e, nel caso, la prova di una siffatta esposizione era argomentabile anche dalla CTU effettuata in un altro giudizio relativo a un lavoratore operante nel medesimo ambiente.
L'Inps propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo di impugnazione.
L'assicurato resiste con controricorso.
Diritto

1. Il ricorso dell'Inps denuncia violazione e falsa applicazione della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8.
Si lamenta che il giudice di merito abbia interpretato la disposizione in esame escludendo che essa faccia riferimento ai livelli di esposizione a rischio individuati dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31; al riguardo si richiamano i principi che la giurisprudenza di questa Corte ha espresso valorizzando, in particolare, le considerazioni di Corte Cost. n. 5/2000 e la circostanza che è la stessa L. n. 257 del 1992, a dare fondamento normativo all'esigenza di un'esposizione superiore ad una certa soglia, in quanto prevede con specifica disposizione (art. 3, poi sostituito dalla L. 24 aprile 1998, n. 128, art. 16) il limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre di amianto devono ritenersi "respirabili" nell'ambiente di lavoro.
Si contesta poi che al D.L. n. 269 del 2003, art. 47, possa attribuirsi il carattere di norma innovativa.
Ribadita quindi l'inaccettabilità ai fini in esame della nozione di "esposizione" delineata dal giudice di merito, si sottolinea come nella specie non sia stata in alcun modo determinata l'intensità dell'esposizione patita dall'intimato, che neppure presuntivamente è stata ritenuta superiore al valore minimo di "soglia" contemplato dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, e confermato dal disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 59 decies, come introdotto dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2.

2. Il ricorso dell'INPS è fondato.

3. Deve rilevarsi che la Corte d'appello di Milano ha aderito ad una interpretazione della normativa rilevante ai fini della decisione che è in contrasto con i principi ripetutamente affermati sulla materia da questa Corte, principi che, con alcune precisazioni, vengono ora ribaditi.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, va interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni a cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche", quali riposi, ferie e festività) un'esposizione a polveri d'amianto superiore ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 (ex plurimis, Cass. n. 4913/2001, 8859/2001, 2926/2002, 7084/2002, 10185/2002, 997/2003, 16256/2003, 16118/2005, 16119/2005, 27451/2006, 12866/2007).
E' stato anche precisato che, ai fini del superamento della soglia in questione, non può attribuirsi un valore probatorio autonomo agli atti di indirizzo del Ministero, previsti dalla L. n. 179 del 2002, i quali assolvono soltanto una funzione di supporto nei confronti dell'INAIL, a cui è deferito il compito di certificare la durata e la consistenza del rischio subito dal lavoratore in relazione alle mansioni da lui svolte (L. n. 326 del 2003, art. 47, comma 4 e D.M. 27 ottobre 2004, art. 3, comma 1, emanato in forza dell'art. 47 cit., comma 6), e le cui certificazioni quindi costituiscono mezzo di prova ai fini del beneficio previdenziale in questione (Cass. n. 15800/2006 e 12866/2007).
Come è noto, tale linea interpretativa si collega all'esigenza di individuare una soglia di esposizione a rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all'amianto presa in considerazione dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 (nel testo di cui al D.L. n. 169 del 1993, art. 1, convertito nella L. n. 271 del 1993), che non presenta gli elementi di delimitazione del rischio che invece sono rappresentati nella previsione del comma 6 dal particolare tipo di lavorazione (svolgimento del lavoro nelle cave o nelle miniere di amianto) e in quella del comma 7 dalla verificazione di una malattia professionale correlata all'esposizione stessa.
Appare significativo che l'esigenza di precisare l'effettiva portata della norma è condivisa, sia pure con uno sviluppo ermeneutico diverso, anche dal giudice di merito, la cui sentenza viene ora all'esame, ed è indubbiamente rilevante che l'opzione ermeneutica di questa Corte si correli con l'orientamento della Corte costituzionale, che con le sentenze n. 5 del 2000 (avente specificamente ad oggetto la questione della sufficiente determinazione della norma) e n. 434 del 2002, valutabili congiuntamente, ha rilevato che la norma in questione ha una portata delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell'amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991, e successive modifiche.
Poichè il principio enunciato da questa Corte fa riferimento al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, è opportuno ricordare che l'art. 24 indica al comma 3 - o meglio indicava (visto che tutto il D.Lgs. n. 277 del 1991, capo 3^, comprendente sia l'art. 24 che l'art. 31, è stato abrogato dal D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina della protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione all'amianto nel D.Lgs. n. 626 del 1994) - il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo (in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore) quale soglia il cui superamento implica in sostanza la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato, che richiede l'adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio, come l'obbligo di notifica all'organo di vigilanza; l'informazione con periodicità annuale al lavoratore circa i rischi cui è esposto; la delimitazione dei luoghi in cui sussistono le condizioni di esposizione a rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione dei lavoratori addetti dei mezzi individuali di protezione; misure particolari circa gli indumenti dei lavoratori e i servizi igienici a disposizione degli stessi; misurazioni periodiche dei livelli di esposizione; l'inserimento del lavoratore in apposito registro, con periodica comunicazione dei relativi dati a organi di vigilanza e sanitari.
L'art. 31, d'altra parte, indicava (nel testo comprensivo delle modifiche L. n. 257 del 1992, ex art. 3) i valori medi limite di esposizione all'amianto nella misura di 0,2 fibre per centimetro cubo, salvo il superiore limite di 0,6 fibre per centimetro cubo in caso di esposizione a sole fibre di crisolito.
Il riferimento complessivo da parte della giurisprudenza al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, per l'individuazione della soglia, che deve intendersi integrare la portata precettiva della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, implica in concreto, a ben vedere, il riferimento al valore meno elevato di cui all'art. 24, correlato peraltro, come è evidente, ad una situazione considerata dallo stesso legislatore come di rischio qualificato e molto concreto, come di recente puntualizzato da questa Corte (Cass. n. 400/2007, n. 1180/2007, 1584/2007).
E in effetti è questa soglia di 0,1 fibre per centimetro cubo quella che risulta considerata rilevante dallo stesso Inps e che ha trovato riscontro concreto in talune precedenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 16256/2003 e 16119/2005). E' opportuno anche ricordare che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 59 decies, introdotto dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2 (in attuazione, come si è già ricordato, della direttiva comunitaria 2003/18/CE), ha ormai fissato nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione all'amianto.
Il dibattito circa l'interpretazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, coinvolge anche la valutazione degli eventuali elementi desumibili dalla modifica della disciplina dei benefici in questione attuata dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 - il cui testo è stato ampiamente modificato e integrato dalla Legge di Conversione n. 326 del 2003, e la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132 -, che, oltre a modificare la misura e la portata del beneficio contributivo accordato -riducendo il coefficiente di maggiorazione da 1,5 a 1,25 e limitando la sua incidenza alla determinazione della misura delle prestazioni pensionistiche, esclusa invece la sua rilevanza ai fini del diritto all'accesso alle prestazioni stesse -, precisa la fattispecie costitutiva nel senso che è richiesta l'esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa con una diversa unità di misura dalla D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24.
L'orientamento interpretativo recepito dalla sentenza impugnata ritiene che rappresentino elementi di conferma del carattere innovativo anche di quest'ultima parte della disposizione sia il fatto stesso della sua introduzione, sia l'impiego della espressione secondo cui i benefici "sono concessi esclusivamente ai lavoratori che ...". In effetti appare più persuasiva l'opinione che la nuova disciplina confermi che anche precedentemente era richiesta un'esposizione superiore ad una determinata soglia di legge (Cass. n. 21257/2004 e 22422/2006), perchè il legislatore del 2003 ha ritenuto congrua la previsione di una soglia di esposizione quantitativamente precisata.
Nè appare adeguatamente significativo il fatto che il legislatore del 2003 abbia indubbiamente, sotto altri aspetti, mirato a ridurre la portata dei benefici in questione, anche perchè vi è il dato obiettivo che è mancata una norma di interpretazione autentica della disciplina previgente, pur in presenza di un già netto orientamento della giurisprudenza di cassazione.
La circostanza che la riforma del 2003 abbia espressamente fatto riferimento ad una precisa soglia di esposizione alle fibre di amianto contribuisce a far escludere la decisività delle obiezioni correlate alla difficoltà di provare il superamento di determinati livelli di esposizione in anni pregressi, per i quali possono mancare rilevazioni strumentali del tipo di quelle previste dalla normativa più recente.
D'altra parte i numerosi precedenti di merito esistenti in materia confermano che sono possibili accertamenti tecnici basati sulla valutazione dei tipi di lavorazione e delle relative condizioni ambientali riscontrabili nelle varie epoche e nelle varie realtà aziendali.
E questa Corte ha precisato che non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell'esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che, mediante la ricostruzione dell'ambiente di lavoro e la individuazione delle fonti di esposizione all'amianto, si possa pervenire a formulare un giudizio di pericolosità dell'ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia prevista (Cass. n. 16119/2005, 19456/07, 19692/07).
E' appena il caso di rilevare che nel caso in esame non è in discussione la perdurante rilevanza, ratione temporis, delle norme vigenti anteriormente all'entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003.
In conclusione, rilevato che il giudice di merito ha fatto applicazione di un erroneo principio di diritto e conseguentemente non ha accertato se vi sia stato, per il periodo minimo previsto dalla legge, l'esposizione all'amianto in misura superiore alla soglia in questione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice (che si indica nella stessa Corte d'appello di Milano in diversa composizione), il quale si atterrà al seguente principio di diritto: "Il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, comma 3 (abrogato dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 5)" ed espleterà, nell'ambito dei suoi poteri, tutti gli accertamenti opportuni al fine di verificare il superamento della suddetta soglia.

4. Il giudice di rinvio provvederà al regolamento delle spese, anche per questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
 
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2009