XVII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUI CASI DI MORTE E DI GRAVI MALATTIE CHE HANNO COLPITO IL PERSONALE ITALIANO IMPIEGATO IN MISSIONI MILITARI ALL’ESTERO, NEI POLIGONI DI TIRO E NEI SITI DI DEPOSITO DI MUNIZIONI, IN RELAZIONE ALL’ESPOSIZIONE A PARTICOLARI FATTORI CHIMICI, TOSSICI E RADIOLOGICI DAL POSSIBILE EFFETTO PATOGENO E DA SOMMINISTRAZIONE DI VACCINI, CON PARTICOLARE ATTENZIONE AGLI EFFETTI DELL’UTILIZZO DI PROIETTILI ALL’URANIO IMPOVERITO E DELLA DISPERSIONE NELL’AMBIENTE DI NANOPARTICELLE DI MINERALI PESANTI PRODOTTE DALLE ESPLOSIONI DI MATERIALE BELLICO E A EVENTUALI INTERAZIONI
(istituita con delibera della Camera dei deputati 30 giugno 2015, modificata con delibera della Camera dei deputati 15 novembre 2017)

PROPOSTA DI RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ SVOLTA DALLA COMMISSIONE
(Relatore: on. Gian Piero SCANU)

INDICE
Mai più una penisola interdetta, mai più militari morti senza un perché
Capitolo 1. L’ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE DI INCHIESTA COSTITUITA NELLA XVII LEGISLATURA
1. Premessa
2. Le Commissioni di inchiesta sull’uranio impoverito istituite nelle legislature XIV e XV
3. Le conclusioni della Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito istituita nella XVI legislatura
4. L’attività istituzionale della Commissione uranio nella XVII legislatura: scansione temporale e metodologica
5. I filoni tematici dell’inchiesta
6. Le audizioni
7. Gli esami testimoniali
8. La trasmissione di atti all’autorità giudiziaria
9. Le missioni
9.1. La visita alla stazione NRTF - MUOS di Niscemi
10. L’attività di supporto tecnico alla Commissione: i gruppi di lavoro
11. Le relazioni intermedie
12. L’ultima fase dei lavori della Commissione
Capitolo 2. CRITICITA’ E PROPOSTE IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO
1. LE CRITICITÀ
1.1. L’inchiesta parlamentare e le inchieste giudiziarie
1.2. I rischi in agguato
1.3. Le scelte strategiche in materia di sicurezza sul lavoro nel mondo militare
1.3.1. Datori di lavoro sprovvisti di autonomi poteri decisionali e di spesa
1.3.2. Ispettori “domestici”
1.3.3. DVR e DUVRI omessi o inadeguati
1.3.4. RSPP e MC tra inerzie e note di linguaggio
1.3.5. RLS nominati dal datore di lavoro
1.3.6. La crisi del CISAM e del CETLI
1.3.7. Un Osservatorio epidemiologico della difesa scientificamente non accettabile
1.3.8. Sanzioni pagate dallo Stato
1.4. Dal “negazionismo” dei vertici militari alla “supplenza” della Commissione d’inchiesta
1.4.1. Il “negazionismo” dei vertici militari
1.4.2. La supplenza della Commissione d’inchiesta
2. LE PROPOSTE
2.1. La sicurezza sul lavoro nella proposta di legge AC 3925
2.2. Servizi ispettivi terzi ed efficienti
2.3. Una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro
2.4. Alla ricerca del datore di lavoro di fatto
2.5. RSPP e MC preparati e autonomi
2.6. Organi tecnico-operativi rigenerati
2.7. RLS eletto o designato dai lavoratori militari
2.8. Una ricerca epidemiologica affidata all’Istituto Superiore di Sanità
Capitolo 3. CRITICITÀ E PROPOSTE IN MATERIA PREVIDENZIALE
1. Per una adeguata tutela previdenziale del personale delle Forze armate
1.1 L’equo indennizzo
1.2 L’indennizzo garantito dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
1.3 Risultati della comparazione
2. L’accertamento del nesso di causalità e le prassi applicative, con particolare riferimento alle patologie multifattoriali
3. La proposta di legge AC 3925
Capitolo 4. I POLIGONI DI TIRO
1. Premessa
2. Sicurezza del lavoro e valutazione dei rischi
3. Sicurezza ambientale: criticità
4. Le modifiche normative
Capitolo 5. EFFETTI DELLE MODALITÀ’ DI SOMMINISTRAZIONE DEI VACCINI SUI MILITARI
1. Premessa
2. Lavori della Commissione sul tema.
3. Indagine sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale
4. Verifiche richieste in merito ai rischi legati a problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità
5. Ipersensibilità e allergie
6. Effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni
7. Monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati. Analisi dei dati sul follow-up del progetto denominato Studio sull'impatto genotossico nelle unità militari (SIGNUM)
8. Le modalità di somministrazione dei vaccini. Art. 1, lett. e) delibera istitutiva della Commissione
9. In conclusione
Capitolo 6. PARLAMENTO, GOVERNO E FORZE ARMATE UNA RIFLESSIONE FINALE
ALLEGATO 1
OSSERVAZIONI DEL VICEPRESIDENTE CATALANO in merito all’analisi dei componenti dei vaccini autorizzati per la profilassi vaccinale militare obbligatoria, all’analisi dei dati del follow-up di Signum e sui dati relativi alle malattie neoplastiche di cui soffrono i militari italiani
ALLEGATO 2
1. Relazioni sulle missioni svolte
2. Elenco delle audizioni libere
3. Elenco degli esami testimoniali

 

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Mai più una penisola interdetta, mai più militari morti senza un perché.
È diventato il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: un pezzo di terra del nostro Paese, di rara bellezza, che a Capo Teulada l’uomo ha dovuto vietare all’uomo; quella Penisola Delta utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi (dal 2009 al 2013 circa 24.000 tra artiglieria pesante, missili, razzi), quella penisola permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi.
Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: 30.000 crateri sino a 19-20 metri di diametro. Sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo. A Foxi, frazione del comune di Sant’Anna Arresi, in prossimità delle esercitazioni militari con impiego di mezzi corazzati e con attività a fuoco comprendenti missili con raggi a lunga gittata, nel periodo 2000-2013, si registra un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache. E in altre aree collocate in prossimità del poligono, quali Sa Portedda e Gutturu Saidu, si rilevano eccessi per patologie respiratorie e digerenti, del sistema urinario e tumorali.
Un decreto del Ministro della difesa del 22 ottobre 2009 impose la bonifica, ma l’area continuò ad essere il bersaglio delle esercitazioni.
Non stupiscono, a questo punto, le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari per il delitto di disastro doloso in seguito alla “presentazione di denunce da parte di cittadini di Teulada o di Sant’Anna Arresi, che segnalavano che alcuni congiunti o loro stessi avevano contratto delle gravi patologie tumorali e assumevano che ciò fosse accaduto a seguito dell’essere entrati in contatto con contaminanti diffusi dalle attività di esercitazione che si svolgevano nel poligono di Capo Teulada”. Un disastro che coinvolge il Poligono Delta e il prospiciente specchio acqueo, e che risulta causato da esercitazioni militari addirittura incrementate dopo e in violazione del decreto ministeriale del 2009. Un disastro che non sorprende se solo si riflette sulle regole adottate dall’Amministrazione della Difesa in tema di bonifica del Poligono Delta all’insegna di una deludente “convenienza”:
I) Norme per l'utilizzazione del Poligono di Capo Teulada (approvate l’11 agosto 1987 dal Capo di Stato Maggiore della Difesa)
“Il poligono "D" (penisola di Capo Teulada) è permanentemente interdetto al movimento di uomini e mezzi. Esso, infatti, viene utilizzato esclusivamente come zona di arrivo dei colpi (proiettili, razze e bombe) e su di esso non vengono mai svolte operazioni di bonifica”.
II) Disciplinare per la tutela ambientale del Poligono di Capo Teulada (approvato il 12 maggio 2008 dal Generale Comandante del Comando Militare Autonomo della Sardegna)
“Poligono "D"
È situato a sud ed è costituito dalla penisola di CAPO TEULADA, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica”.
III) Norme per l'utilizzazione del Poligono permanente di Capo Teulada (approvate il 30 marzo 2010 dal Generale comandante del Comando militare autonomo della Sardegna)
Parte I
“Poligono "D"
E’ situato a sud ed è costituito dalla penisola promontorio di Capo Teulada, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica.
Il poligono è utilizzato quale zona di arrivo:
- dei colpi di mortai ed artiglierie;
- di missili filo guidati;
- di tiri navali contro costa;
- di bombardamento e mitragliamento aereo;
- per sganci di emergenza per gli aerei”.

Parte II
“La penisola di CAPO TEULADA (poligono "D"), permanentemente destinata a zona di arrivo dei colpi delle artiglierie navali e terrestri, delle armi e sistemi d'arma in dotazione/sperimentazione e a zona di sgancio a terra e di emergenza per gli aerei, è inclusa fra le zone interdette ai soli fini del transito e dello sbarco. Al termine delle attività a fuoco, durante le quali la penisola di CAPO TEULADA è interessata come zona di arrivo colpi, il Direttore di Esercitazione (DE) deve compilare, in 4 copie, la prevista "Dichiarazione di Bonifica" come da Allegato "L"”.
L’omessa bonifica per ragioni di “convenienza”, il prosieguo delle esercitazioni, sono scelte strategiche che stonano a fronte del crescente e assordante allarme prodotto dalla penisola interdetta tra cittadini e istituzioni, e che tornano nell’audizione del 5 ottobre 2017 del Sostituto Procuratore della Repubblica di Cagliari Dott. Emanuele Secci:
Emanuele SECCI. Alludo al disciplinare del 2008, dove, con riferimento proprio alla penisola Delta, si dice che è una zona rispetto alla quale non è previsto che si debba procedere alla bonifica, per ragioni di convenienza economica, oltre che per la pericolosità di tale operazione per i militari che ne fossero stati incaricati”. “Non abbiamo trovato un provvedimento genetico da cui deriva l’interdizione di quest’area, nonostante lo abbiamo più volte richiesto.
Luigi LACQUANITI. Ci sta dicendo che non avete reperito un atto di divieto d’accesso, per cui abbiamo una zona del nostro territorio dove effettivamente non è possibile accedere, ma non sappiamo perché.
Emanuele SECCI. I divieti di accesso sono stati disposti di volta in volta, per esempio per lo specchio acqueo limitrofo alla capitaneria di porto. Ci sono dei provvedimenti specifici, annuali, periodici e successivi, però all’origine un provvedimento, per esempio, del Ministro della difesa o del Comandante generale dello Stato maggiore della difesa non esiste. Non c’è un provvedimento di questo tipo, o almeno non l’abbiamo trovato”. “Prima di tutto è interdetta per un pericolo per l’incolumità”.
Edmondo CIRIELLI. Probabilmente ci sono ordigni inesplosi.
Emanuele SECCI. I missili non esplosi...
Edmondo CIRIELLI. Sono rimasti lì.
Emanuele SECCI. Rimangono lì e non vengono fatti brillare. C’è questo primo pericolo. Inoltre, ci sono 166 tonnellate di metalli, che creano le condizioni di un inquinamento da metalli pesanti”. “A seguito degli accertamenti che abbiamo effettuato, abbiamo trovato presenze radioattive. Gli accertamenti radiometrici hanno rilevato la presenza di torio, che era una componente dei missili MILAN. Mi pare che nel corso delle esercitazioni dai primi anni 1990 fino al 2004, quando sono stati tolti dalla circolazione, ne siano stati esplosi oltre 4.200”. “In caso di missili o munizioni inesplosi, esiste l’obbligo di neutralizzarli attraverso gli artificieri e di determinarne l’esplosione, in modo tale che non possano arrecare pregiudizio o pericolo ai militari che si addestrano. La stessa cosa non viene ancora fatta nella penisola interdetta e, quindi, permane una situazione di estremo pericolo per l’incolumità pubblica. Dai dati che abbiamo rilevato, che sono molto empirici, sembrerebbe che finora siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano state eliminate otto. Di conseguenza, penso che l’intervento richiesto per la bonifica sia massiccio”. “Dal 2008 in poi, nonostante l’entrata in vigore del decreto ministeriale del 2009 che ha imposto la bonifica dei luoghi coinvolti dalle azioni di esercitazione, quest’area ha continuato a essere il bersaglio delle esercitazioni. Certamente bonificare integralmente quell’area non è semplice. Dalla fine del 2014, quando sono iniziate le creazioni dei varchi, ben poco è stato prelevato e portato via, non è stata intrapresa un’azione massiccia. Da quello che ho appreso, in altre realtà, quando ci si è avveduti che una zona era contaminata a seguito delle esercitazioni, l’attività è stata dismessa, anche per non esporre il personale che lì si esercita a ulteriori rischi”. “È un decreto ministeriale che dal 2009 obbliga le amministrazioni militari, quando effettuano esercitazioni, a ripulire ciò che sporcano”. “Non è prevista nessuna eccezione del tipo «fatti salvi i poligoni che hanno una penisola interdetta, ai quali non si applica questa norma».
Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una “penisola interdetta”: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’autorità militare, senza interlocuzioni con l’amministrazione dell’ambiente, con la Regione e con le Autonomie Locali. Garantire al meglio la sicurezza e la salute dei militari non è un sogno, ed è un atto dovuto alle nostre Forze Armate per l’impegno e lo spirito di sacrificio dimostrati ogni giorno al servizio del Paese.

CAPITOLO 1
L’ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE DI INCHIESTA COSTITUITA NELLA XVII LEGISLATURA

1. Premessa

Con la deliberazione del 30 giugno 2015, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 160 del 13 luglio 2015, la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni.
La Commissione è la quarta costituita nella storia del Parlamento italiano per indagare sulle complesse questioni che concernono l’utilizzo dell’uranio impoverito da parte delle nostre Forze armate, nonché, nel caso specifico della XVII legislatura, su un ampio spettro di fattori patogeni ad esso correlati e incidenti sia sulla salute dei militari, sia quella dei dipendenti civili dell’amministrazione della Difesa e delle popolazioni residenti nei territori su cui insistono i poligoni e le installazioni militari nel nostro Paese.
Prima di riassumente l’attività svolta in questo ambito da parte della Commissione istituita nella presente legislatura, è necessario ripercorrere brevemente i lavori delle precedenti commissioni di inchiesta sull’uranio impoverito, anche in considerazione del fatto che, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della delibera istitutiva del 30 giugno 2015, la Commissione «fonda la propria attività sulle conclusioni e promuove l'attuazione delle proposte contenute nelle relazioni finali» presentate dalle Commissioni parlamentari di inchiesta istituite dal Senato della Repubblica nel 2006 e nel 2010.
Si tratta infatti di un percorso di inchiesta risalente nel tempo, ma pur sempre attuale e dunque rispondente al requisito che l’articolo 82 della Costituzione prescrive per la costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta quando parla di «materie di pubblico interesse». L’attualità e l’interesse della materia hanno dato luogo alla deliberazione con cui la Camera dei deputati ha evidentemente ritenuto che le ragioni sottese alla costituzione di una nuova Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito, pur restando impregiudicate le conclusioni cui erano pervenute le precedenti, fossero ancora sostanzialmente irrisolte o necessitassero di ulteriori approfondimenti, tali da poter essere realizzati al meglio solo con l’esercizio dello strumento dell’inchiesta parlamentare.
Ai sensi della delibera istitutiva, il termine dell'attività della Commissione era fissato entro ventiquattro mesi dalla sua costituzione, avvenuta con l'elezione dell'Ufficio di presidenza il 17 dicembre 2015, tuttavia, con la successiva deliberazione della Camera del 15 novembre 2017, la durata dei lavori è stata prorogata fino al termine della XVII legislatura, per consentire alla Commissione di portare a compimento il vasto programma intrapreso.

2. Le Commissioni di inchiesta sull’uranio impoverito istituite nelle legislature XIV e XV.
La prima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito fu istituita nella XIV Legislatura al Senato, riprendendo i temi oggetto di un’indagine conoscitiva sulla prevenzione dei rischi e sulle condizioni di sicurezza dei militari italiani impegnati nei Balcani, deliberata nella fase conclusiva della XIII Legislatura dalla Commissione Difesa della Camera dei deputati.
Una parallela indagine conoscitiva era stata altresì autorizzata nello stesso gennaio del 2001 al Senato della Repubblica con riferimento alla conoscenza, da parte italiana, dell’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito da parte della NATO, nel corso delle operazioni belliche nei Balcani e delle misure adottate dalle Forze armate italiane per la prevenzione dei rischi derivanti dall’impiego di tale munizionamento¹.
Per l’attualità e la delicatezza degli interrogativi sollevati dalle citate indagini conoscitive, nello stesso gennaio 2001 ebbe inizio al Senato anche l’iter per l’istituzione di una commissione di inchiesta monocamerale, iter che tuttavia non riuscì a concludersi per l’intervenuta scadenza della XIII legislatura.
Si giunse così solo nella XIV legislatura all’approvazione da parte dell’Assemblea del Senato del Documento XXII, n. 27, di iniziativa del senatore Forcieri ed altri, recante “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e grave malattia che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni di pace, sulle condizioni della conservazione e sull’eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale”. La Commissione di inchiesta così istituita tuttavia iniziò i propri lavori soltanto a quasi quattro anni dall’inizio della XIV Legislatura, sotto la presidenza in principio del senatore Salini e successivamente del senatore Paolo Franco.
La relazione conclusiva di questa prima inchiesta sull’uranio impoverito, approvata il 1° marzo 2006, mise in luce diverse criticità, ma soprattutto accertò l’esigenza di estendere l’ambito delle indagini al personale italiano impiegato nelle missioni all’estero, non esclusivamente nei Balcani, ai poligoni di tiro, ai siti di stoccaggio dei munizionamenti e ai rischi di esposizione a fattori patogeni di varia natura per le popolazioni civili residenti nei teatri di confitto e nelle zone adiacenti gli insediamenti militari sul territorio nazionale, dedicando una particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico.
Questo medesimo ambito di indagine, esteso precisamente in questi termini, ha successivamente costituito l’oggetto della seconda Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito, istituita sempre presso il Senato nella XV legislatura, con Deliberazione adottata dalla Commissione difesa in sede deliberante l’11 ottobre del 2006. La Commissione, presieduta dalla senatrice Lidia Brisca Menapace, lavorò dal febbraio 2007 allo stesso mese dell’anno successivo, fornendo sufficienti elementi conoscitivi da giustificare, anche in questo caso, l’esigenza di ulteriori approfondimenti attraverso la prosecuzione dell’attività di inchiesta nella successiva legislatura, contestualmente contribuendo, pur nel breve periodo di tempo a disposizione, ad enucleare alcuni principi basilari come punto di partenza per il lavoro valutativo delle successive Commissioni.
Segnatamente spicca, fra i principi enunciati nelle conclusioni della Commissione Menapace, il criterio probabilistico, in base al quale, con riferimento alle patologie per le quali si ipotizzava la riconducibilità all’esposizione all’uranio impoverito, non si poteva né affermare né negare con certezza, in relazione ai risultati conseguiti dalla ricerca scientifica, un nesso direttamente causale tra l’esposizione e l’insorgere della patologia. Pertanto nelle sue conclusioni la Commissione optava per l’applicazione, in luogo di tale nesso causale, di un principio di probabilità di causa, da adottare, con riferimento all’indennizzabilità di patologie gravemente invalidanti o mortali contratte dal personale militare, sia in missioni fuori area sia in patria, nel procedimento amministrativo di accertamento di tali patologie e di attribuzione dei relativi benefici².

3. Le conclusioni della Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito istituita nella XVI legislatura.
Attraverso questi passaggi pregressi si giunse, nella XVI Legislatura, all’istituzione della terza Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito, sempre monocamerale e nuovamente deliberata dal Senato (il 16 marzo 2010), la quale diede inizio ai propri lavori il 15 settembre 2010, sotto la presidenza del senatore Rosario Giorgio Costa, concludendoli con l’approvazione della relazione conclusiva il 9 gennaio 2013.
Sin dall’inizio della sua attività, la Commissione Costa, nel far proprio il principio della probabilità di causa enunciato dalla Commissione Menapace, ebbe modo di constatare come sia la normativa vigente sia le modalità di applicazione della stessa da parte delle amministrazioni interessate risultassero lacunose e incongruenti sotto tale rispetto. A causa di ciò, la procedura di attribuzione del beneficio della cosiddetta “speciale elargizione”³ per i soggetti equiparati alle vittime del terrorismo risultava particolarmente farraginosa (in diversi casi contraddittoria), dando luogo a un frequente ed esteso contenzioso giudiziario, in cui l’amministrazione risultava non di rado soccombente, soprattutto a causa della carente motivazione degli atti di diniego del beneficio invocato.
Nell’esaminare i documenti prodotti dal Ministero della difesa e da altri soggetti, nonché le conclusioni della Commissione Mandelli e del progetto Signum, oltre che dalle risultanze delle audizioni svolte, la Commissione Costa ebbe la conferma che le conoscenze scientifiche non consentivano di affermare con certezza il ruolo causale di tutti i fattori di rischio presi in esame (tra cui l’esposizione all’uranio impoverito) rispetto agli effetti denunciati, ma, al tempo stesso, non consentivano di escludere che una concomitante ed interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi potesse essere alla base delle patologie e dei decessi osservati.
Raccomandava pertanto in primo luogo alle amministrazioni chiamate ad assicurare l’osservanza delle norme in materia di tutela della salute del personale militare e civile di adottare il basilare principio di precauzione, alla luce del quale devono essere evitate e inibite quelle attività che comportino il verificarsi di situazioni di rischio di natura chimica, fisica o biologica non controllabili con misure di contenimento o minimizzazione alla fonte, ovvero “non suscettibili di poter essere contenute o rapidamente risanate per quanto riguarda l’impatto ambientale, le implicazioni sulla catena alimentare, gli effetti di esposizione sull’uomo anche con l’impiego di mezzi di protezione individuale”. Conseguentemente, le medesime amministrazioni non avrebbero dovuto autorizzare operazioni da parte del personale senza l’impiego delle misure organizzative, delle procedure o istruzioni operative per la sicurezza (tra cui in particolare i dispositivi di protezione individuale - DPI).
Sul fronte dei vaccini e dei rischi legati ad una loro somministrazione incontrollata, le conclusioni della Commissione Costa segnalavano invece la necessità che ogni attività di somministrazione di farmaci, vaccini, antidoti dovesse essere effettuata tenendo conto della particolare situazione individuale del destinatario, in relazione a specifiche indicazioni cliniche, previa puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica per il tipo di somministrazione da effettuare, nonché previa acquisizione del consenso informato, con illustrazione puntuale degli effetti e dei rischi legati all’intervento stesso, nel rigoroso rispetto dei protocolli e dei calendari previsti.
Una ulteriore rilevante conclusione emersa dall’indagine svolta nella XVI legislatura e che vale la pena di sottolineare nuovamente in questa sede, in quanto ha costituito anch’essa una essenziale base di lavoro per la presente Relazione, è rappresentata dall’enunciazione del criterio di multifattorialità della patogenesi. Evitando di entrare nel merito delle singole ipotesi scientifiche - spesso discordanti - sulla tossicità o sull’eziopatogenesi correlata a singoli fattori ambientali o agenti causali, illustrate dai numerosi esperti e ricercatori auditi nel corso dell’inchiesta, la Commissione Costa ha sempre ritenuto di attenersi allo stretto merito politico, normativo ed amministrativo, che imponeva di astenersi da qualsiasi posizione di tipo scientifico o medico, concentrandosi invece sul principio di multifattorialità causale, ossia sulla concomitanza di cause possibili riguardo all’insorgere delle patologie considerate dall’inchiesta.
Alla luce di quanto detto sinora, è pertanto possibile osservare come, pur nella successione delle diverse legislature e nel progressivo ampliamento dell’oggetto dell’inchiesta, le relazioni conclusive delle tre Commissioni parlamentari di inchiesta sull’uranio impoverito attestino una sostanziale continuità di valutazioni e di contenuti, nonché un analogo approccio metodologico, tale da poter essere considerate parte di un’unica indagine sviluppatasi nell’arco di tre legislature.
Del resto, la stessa delibera 30 giugno del 2015, con cui la Camera dei deputati ha disposto l’istituzione, nella XVII legislatura, della quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sulle materie già indagate nelle precedenti legislature, ha inteso esplicitare tale principio di continuità con la già citata disposizione (articolo 1, comma 2) in cui si richiamano espressamente le conclusioni e l’attuazione delle proposte contenute nelle relazioni finali presentate al termine dei lavori delle analoghe Commissioni istituite nella XV e nella XVI legislatura.

4. L’attività istituzionale della Commissione uranio nella XVII legislatura: scansione temporale e metodologica.
Nel corso dei suoi due anni di attività la Commissione ha realizzato un vasto programma di lavoro, spaziando nell’ampia panoplia degli strumenti utilizzabili dall’inchiesta parlamentare, e procedendo fin da subito nel solco di diversi filoni di inchiesta estesi e complessi, alcuni dei quali hanno richiesto delicati approfondimenti.
Talmente variegato si è manifestato fin da subito l'ambito dell'inchiesta, come del resto richiedeva l'ampia elencazione dei compiti della Commissione contenuta nel suo titolo, che sono state approvate nel corso dei lavori due relazioni definite entrambe intermedie, andando oltre la stessa lettera della delibera istitutiva, in cui si prevedeva la sola presentazione di una relazione intermedia, alla scadenza del primo anno di attività, e di una relazione finale a conclusione dei lavori della Commissione.
In particolare, la prima fase di attività della Commissione - che ha condotto all'approvazione della Relazione sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate - ha seguito un modello di indagine prettamente conoscitiva, volto all'individuazione e al possibile superamento delle carenze normative nel settore individuato dall'oggetto dell'inchiesta. Ciò ha consentito di produrre, in allegato alla relazione approvata, uno schema di proposta di legge, finalizzato all'esame parlamentare da parte delle Commissioni di merito, contenente tutte le modifiche alla normativa vigente volte a creare un quadro omogeneo e onnicomprensivo in materia di sicurezza sul lavoro per i militari lavoratori civili della Difesa.
La seconda fase di attività della Commissione ha invece prescelto un modus operandi marcatamente ispettivo, optando per lo svolgimento di un'accentuata attività di inchiesta, mutuata dal modello del parallelismo con i poteri dell'autorità giudiziaria di cui all'articolo 82 della Costituzione. Ciò ha consentito alla Commissione di approfondire criticamente le lacune normative in precedenza individuate e quelle relative all'applicazione delle norme vigenti, affinando e potenziando i propri strumenti di inchiesta in relazione al grado di criticità riscontrato nell'audizione dei soggetti di volta in volta ascoltati in forma testimoniale o nel corso dei numerosi sopralluoghi effettuati presso i poligoni militari nel territorio nazionale. Al termine di questa seconda tranche di lavoro, è stata approvata la Relazione sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte.
Si tratta, come si vede, di un ventaglio di percorsi d'inchiesta dai confini estremamente ampi, che la Commissione ha potuto sviluppare attraverso un intenso programma di audizioni di natura prevalentemente conoscitiva, nella prima fase della sua attività, e di natura nettamente ispettiva nella seconda parte, anche con l'ausilio di un'estesa raccolta documentale e con il supporto di un apparato di consulenza altamente specializzato, riferito ai diversi profili tecnici dell'inchiesta.

5. I filoni tematici dell’inchiesta
Fin dall’inizio della programmazione dei lavori la Commissione ha ritenuto di definire in chiave tematica i canali della sua attività, sovrapponendone l’ambito quanto più fedelmente possibile sui compiti dell’inchiesta, come delineati dall’articolo 1 della delibera istitutiva del 30 giugno 2015. Ai sensi della delibera istitutiva, infatti, la Commissione ha il compito di indagare:
«a) sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui sono depositati munizionamenti, anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili riferiti alle popolazioni civili nelle zone di conflitto e nelle zone adiacenti alle basi militari nel territorio nazionale in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici o radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni;
b) sulle specifiche condizioni ambientali dei diversi contesti operativi al fine di valutare le misure adottate per la selezione delle migliori forme di sistemazione logistica e dei più appropriati equipaggiamenti di protezione individuali per le truppe impiegate;
c) sull'adeguatezza della raccolta e delle analisi epidemiologiche dei dati sanitari relativi al personale militare e civile, sia di quello operante nei poligoni di tiro e nelle basi militari nel territorio nazionale, sia di quello inviato nelle missioni all'estero;
d) sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale;
e) sulle modalità della somministrazione dei vaccini al personale militare, nonché sul monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati, tenendo conto in particolare dei risultati del progetto denominato «Studio sull'impatto genotossico nelle unita' militari» (SIGNUM);
f) sui rischi associati alla presenza di gas radon e di materiali contenenti amianto negli ambienti in cui il personale militare è chiamato a prestare servizio;
g) sull'adeguatezza degli istituti di indennizzo, di natura previdenziale e di sostegno al reddito previsti dall'ordinamento in favore dei soggetti colpiti da patologie correlate alle situazioni di possibile rischio indicate alle lettere a), d), e) e f). »
Su questa base giuridica la Commissione ha fondato i suoi lavori e, in particolare, ha delineato distinti filoni della propria attività, ciascuno dei quali assomma una o più lettere del citato articolo 1.
Sono stati pertanto svolti approfondimenti nei seguenti ambiti, riferiti al personale sia militare che civile dell’Amministrazione della Difesa:
a. Casi di militari gravemente ammalatisi, a seguito di esposizione ai fattori patogeni inclusi nell’oggetto dell’inchiesta
b. Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, sia sul territorio nazionale che all’estero
c. Adeguatezza degli istituti indennitari e previdenziali, riferiti ai fattori di rischio oggetto dell’inchiesta
d. Rischio ambientale determinato dall’attività delle Forze armate nei poligoni di tiro, anche con riferimento ai territori limitrofi e alle popolazioni ivi residenti
e. Rischi alla salute derivanti dall’impiego e dalla somministrazione di vaccini
f. Rischi alla salute derivanti da esposizione ad amianto e stato dell’arte delle relative bonifiche
g. Rischi alla salute derivanti da esposizione a radon
Per ciascuno di questi filoni la Commissione ha svolto un alto numero di audizioni ed esami testimoniali, nonché un ampio programma di missioni, da cui sono emerse numerose e rilevanti criticità e i cui frutti, in termini di valutazioni, conclusioni e proposte operative, sono confluiti nel contenuto specifico delle due citate relazioni intermedie, prodotte dalla Commissione in preparazione della presente relazione conclusiva.

6. Le audizioni
Le audizioni, che, come noto, hanno caratterizzato soprattutto la prima fase di attività della Commissione, hanno corrisposto anzitutto all’esigenza di mettere a fuoco l’entità e la natura dei rischi alla salute cui sono esposti i componenti delle Forze armate e i lavoratori civili della Difesa.
Alcune di esse in particolare, che si erano già svolte davanti alla Commissione Costa nella XVI legislatura, hanno avuto lo scopo di illustrare alla Commissione lo stato attuale delle cognizioni scientifiche e tecniche in materia di esposizione all’uranio impoverito e ad altri fattori patogeni, soprattutto in connessione con la possibilità di affermare l’esistenza di un nesso di causalità fra tale esposizione e l’insorgenza di specifiche patologie considerate dall’inchiesta.
In questo ambito rientrano a titolo esemplificativo, le audizioni di numerosi tecnici, professori, militari e anche consulenti della Commissione, specificamente richiesti di intervenire sulla materia per fornire un quadro informativo quanto più possibile neutrale e “laico”, come si è detto.
E’ utile rilevare che in questo caso la Commissione, nel solco di alcuni recenti precedenti nella prassi delle commissioni di inchiesta, ha ritenuto di ricorrere allo strumento poco tradizionale dell’audizione di suoi propri consulenti, con l’intendimento di voler acquisire un parere qualificato dagli esperti ritenuti ad avviso dei commissari come più accreditati nella materia di riferimento, ma in una forma più versatile del consueto deposito di una perizia tecnica, che non consente il confronto immediato con i commissari stessi.
Nell’ambito delle sedute della Commissione finalizzate a scopi di testimonianza e di doveroso ascolto delle ragioni delle vittime, peraltro, hanno fornito un quadro illuminante le numerose
audizioni di militari ammalati e di familiari di vittime di patologie connesse all’esposizione ad uranio impoverito e a vaccinazioni multiple. Tali testimonianze individuali e in alcuni casi collettive, al di là del forte impatto emotivo e delle riflessioni etiche in grado di suscitare nelle coscienze singole, hanno avuto il merito di sollevare un velo sulla condizione di solitudine e di grave abbandono in cui si sono trovati nel corso degli anni questi militari e i loro familiari, non soltanto nell’affrontare il progressivo decorso della malattia (in non pochi casi letale), ma anche nel percorso giudiziario successivo, di cui la Commissione ha constatato la lentezza e l’eccesso di spersonalizzazione nei confronti di chi ha messo la propria vita e la propria salute a servizio della Nazione.
Riassuntivamente sono stati auditi in forma libera i seguenti soggetti:
Falco ACCAME, Presidente dell'Associazione nazionale assistenza delle vittime arruolate nelle Forze armate e famiglie dei caduti, (17.2.16); Raffaele TARTAGLIA, rappresentante dell'Osservatorio permanente e centro studi per il personale delle Forze armate e di Polizia, (18.2.16) ; Andrea RINALDELLI, rappresentante del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino - CONDAV (24.2.16) e padre del caporal maggiore Francesco Rinaldelli (il cui decesso, secondo il padre, sarebbe dovuto alla somministrazione di vaccinazioni multiple); Giorgio TRENTA Presidente dell'Associazione italiana di Radioprotezione medica, (25.2.16 e 23.3.16); Luciano CARLEO rappresentante di CONTRAMIANTO e altri rischi - Onlus, (2.3.16 e 26.7.17); Carlo MAGRASSI Segretario generale del Ministero della difesa, (3.3.16, 17.3.16 e 20.4.16); Maura PAOLOTTI Direttore generale della Previdenza Militare e della Leva - PREVIMIL, (9.3.16 e 31.3.16); Massimo DE FELICE Presidente dell'INAIL, Giuseppe LUCIBELLO Direttore generale, Ester ROTOLI, Direttore della Direzione Centrale Prevenzione dell'INAIL, e Agatino CARIOLA, Direttore della Direzione Centrale Assicurazione, Prevenzione e Servizi Istituzionali dell'INAIL (10.3.16 e 25.5.16); Enrico TOMAO Ispettore generale della Sanità militare (IGESAN), (16.3.16 e 13.4.16); Mario MELAZZINI Presidente dell'Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), (30.3.16); Luigi BUONINCONTRO, Carlo CALCAGNI, Adamo FERRARA, Lorenzo MOTTA, Vincenzo RICCIO, militare colpito da patologie connesse all’oggetto dell’inchiesta, e Giuseppe TRIPOLI, che in sede di audizione ha sostenuto di aver contratto patologie connesse alle somministrazioni vaccinali (30.3.2016); Enrica PRETI, Direttore generale della direzione generale di Commissariato e di servizi generali (COMMISERVIZI) del Ministero della difesa, (6.4.16); Col. Claudio DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, (7.4.16); Gualtiero RICCIARDI, Presidente dell'Istituto superiore di sanità, Loredana MUSUMECI, Direttore del Dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto superiore di sanità, e Angelo DEL FAVERO, Direttore generale, (21.4.16); Cirino STRANO, consigliere scientifico dell'Associazione Movimento No MUOS Sicilia (21.4.16); Fiorenzo Marinelli, ricercatore presso l'Istituto di genetica molecolare del CNR di Bologna (21.4.16) ; Claudio Graziano Capo di Stato Maggiore della Difesa, (28.4.16); Cons. Edoardo ANDREUCCI, già Presidente del Comitato di verifica per le cause di servizio del Ministero dell'economia e delle finanze (4.5.16); Paolo GEROMETTA, presidente del Comitato di presidenza del Consiglio Centrale di Rappresentanza Interforze, Antonio CIAVARELLI, rappresentante COCER per la Marina, Antonsergio BELFIORI, rappresentante COCER per l'Aeronautica, Giovanni CUTRUPI, rappresentante COCER per la Guardia di Finanza, Andrea CARDILLI, rappresentante COCER per l'Arma dei Carabinieri, Roberto CONGEDI, rappresentante COCER per l'Esercito (11.5.16 e 19.5.16); Bernardo DE BERNARDINIS, Presidente dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), Luciano BOLOGNA, Giancarlo TORRI e Claudio NUMA, Dirigenti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) (18.5.16); ); Antonio CANCEDDA, Francesco DE ANGELIS, Salvatore DONATIELLO e Gaetano LUPPINO, militari colpiti da patologie connesse all’oggetto dell’inchiesta, Santa PASSANTI, madre del militare Francesco Finessi (la quale in sede di audizione ha sostenuto che il figlio sarebbe deceduto a seguito di patologie connesse a somministrazioni vaccinali) e Salvatrice PIROSA, vedova del carabiniere Giuseppe Bongiovanni (18.5.16); Roberta PINOTTI, Ministra della Difesa (26.5.16); Massimo CAPPAI, professore di statistica medica dell'Università degli Studi di Firenze (20.7.16 e 3.8.16); Annibale BIGGERI, dirigente dell'Arpas Sardegna, (20.7.16 e 3.08.16); Francesco PIGLIARU, Presidente della Regione Sardegna, (3.8.16); Massimo MASSELLA DUCCI TERI, Avvocato generale dello Stato (3.8.16); Paolo PASQUINELLI (9.11.16 e 11.01.17); Fausta DI GRAZIA, Presidente del Comitato di verifica per le cause di servizio presso il MEF, (19.1.17 e 2.2.17); Omero NEGRISOLO, tecnico prevenzione ambientale ARPAV Veneto, (1.2.17; Adriano CHIÒ, professore associato di neurologia presso l'Università di Torino, (8.2.17); Marco LAMPIS, Sindaco di Escalaplano, Giuseppe CABONI e Riccardo CABONI, legali del medesimo Comune, accompagnati dal Consigliere Comunale Nicola PRASCOLU (22.2.17); Gen. Enrico TOMAO Ispettore Generale della Sanità Militare, Gen. Div. Angelo PALMIERI Capo del VI Reparto di SMD - Sistemi C4I e Trasformazione, Col. Claudio DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico del Ministero della Difesa, Alessandro SGRÒ, Capitano di Fregata, ufficiale addetto presso l'Ufficio sistemi informativi di supporto del VI Reparto - Sistemi C4I e trasformazione, dello Stato Maggiore della Difesa. (08.3.17); Caporale Maggiore Scelto Antonio ATTIANESE e consorte Maria FORINO (15.3.17); Rosario CROCETTA, Presidente della Regione Siciliana, e Maria LO BELLO Vice Presidente della Regione Siciliana (17.5.17); Silvana MIOTTO, madre del militare David Gomiero (la quale in sede di audizione ha sostenuto che le gravi patologie da cui è affetto il figlio sarebbero dovute a patologie connesse a somministrazioni vaccinali) (31.05.17) ; Teresa RUOCCO, madre del militare Fulvio Pazzi (31.5.17); Biagio MAZZEO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei (21.6.17); Emanuele SECCI, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari (28.6.17); Carlo CHIARIGLIONE, militare in servizio intervenuto in rappresentanza del Caporale Maggiore Scelto Antonio Attianese (in precedenza audito dalla Commissione e successivamente deceduto per gli esiti della patologia contratta), Walter CECCHETTIN, militare in congedo gravemente ammalato, Francesco ZITO, padre del militare deceduto Leonardo Zito, Mercedes PACILEO, vedova del militare Enzo Liguori, Giovanna SORIA, vedova del militare Pasquale Cinelli, Gianluca PARISI, militare in congedo per ragioni di salute e Salvatrice PIROSA, vedova del militare Giuseppe BONGIOVANNI (13.9.17); Salvatore RULLO, Patrizia SADOCCO e Alberto Tuzzi, in rappresentanza di As.so.di.pro, Salvatore ANTONACI, padre del militare deceduto Andrea Antonaci, Pier Paolo CIPRIANI, fratello del deceduto Maresciallo Luciano Cipriani, Marisa MARCOLINI, madre del militare deceduto Valerio Saviantoni, Aniello BRANCALEONE, fratello del Caporale Maggiore Scelto deceduto Alfonso Brancaleone e Fabio FELACO, figlio del Maresciallo aiutante dell’Aeronautica militare Giovanni Felaco (11.10.17); Stefano SILVESTRI, igienista del lavoro presso l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica - ISPO (18.10.17); Alessandro MARINACCIO, ricercatore presso il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell'INAIL (19.10.17); Dario MIRABELLI, ricercatore presso il Centro di riferimento per l'epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte - CPO Piemonte (26.10.17); Raffaele GUARINIELLO, già Procuratore Vicario presso la Procura della Repubblica di Torino (15.11.17); Antonietta Morena GATTI, ricercatrice ed esperta in materia di nanoparticelle (15.11.17); Ezio BONANNI, Presidente dell'Osservatorio nazionale sull'amianto (6.12.17); Gen. D. (ris.) Osvaldo BIZZARI (6.12.17); Angelo Fiore TARTAGLIA, consulente legale dell'Osservatorio militare e centro studi per il personale delle Forze armate e di Polizia (7.12.17); Vincenzo TOMBOLINI, Professore ordinario di radioterapia presso l’Università “La Sapienza” di Roma (20.12.17); Fabrizio CIPRANI, Dirigente superiore medico della Polizia di Stato (20.12.17).
Tra le audizioni merita attenzione quella del Prof. Giorgio Trenta, Presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica. Il Professore, nella seduta del 23 marzo 2016, sollecitato con una serie di domande da parte del Presidente e dei commissari, riconosce, rifacendosi ai principi di probabilità qualificata e di multifattorialità nella genesi di patologie tumorali, la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio impoverito.

7. Gli esami testimoniali
Dopo una prima franche di attività dedicata ad acquisire un quadro informativo quanto più ampio possibile, attraverso lo svolgimento di un consistente numero di audizioni (fase conclusasi con l’approvazione della prima relazione sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale), la Commissione, come si è detto, ha proseguito i propri lavori imprimendo un’impronta diversa, caratterizzata da un marcato tratto ispettivo.
A questa seconda fase di attività ha corrisposto lo svolgimento di un ampio ciclo di esami testimoniali, nel corso dei quali la Commissione ha potuto audire in qualità di persone informate sui fatti connessi all’oggetto dell’inchiesta sia alcuni dei soggetti già invitati precedentemente in audizione libera, sia ulteriori nuovi soggetti in grado di fornire elementi informativi consistenti, anche in virtù delle forme giuridicamente più stringenti dell’audizione in forma testimoniale.
In tale quadro, il più consistente gruppo di esami testimoniali ha riguardato i responsabili degli organi di vigilanza sull’applicazione delle norme in materia di sicurezza e salute sul lavoro dei militari. Si tratta, in particolare, degli esami testimoniali di responsabili dei competenti uffici presso il Segretariato generale della Difesa, dell’Ufficio di Coordinamento Centrale della Vigilanza (UCoCeV), delle Unità di Coordinamento della Vigilanza d’Area (UCoSeVA), suddivisi nelle rispettive aree Esercito (EI), Marina militare (MM), Aeronautica militare (AM), Corpo dei Carabinieri (CC), della Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza, Prevenzione e Protezione dello Stato Maggiore dell’esercito, nonché dei vari Servizi di vigilanza (SV), anche con riferimento ai poligoni visitati nel corso delle missioni svolte dalla Commissione. In questo stesso ambito tematico rientrano anche gli esami testimoniali dell’ Ispettore Generale della Sanità Militare, di vari rappresentanti del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e del Centro Tecnico Logistico Interforze NBC (Nucleare Biologico Chimico).
Sono da ricollegare soprattutto al tema della congruità della raccolta di dati sulle patologie connesse al servizio svolto dai militari in Italia e all’estero gli esami testimoniali (preceduti da un’analoga audizione in forma libera) del Direttore dell'Osservatorio epidemiologico del Ministero della Difesa, mentre un ulteriore gruppo di esami testimoniali, di natura più eterogenea, ha riguardato esperti scientifici e ricercatori, nonché alcuni militari che in tempi risalenti avevano prestato servizio in aree interessate da specifici fattori di rischio alla salute, la cui presenza era stata per lungo tempo negata o resta tuttora controversa.
Riassuntivamente, la Commissione ha audito in forma testimoniale i seguenti soggetti:
Antonino BONASERA, responsabile UCoCeV - Segretariato generale Difesa/DNA (13.12.16) ; Col. Giovanni TRIVISONNO e Ten. Col. Antonio ODORE, UCoSeVA AM - Ufficio vigilanza ispettiva (14.12.16); Ten. Col. Marcello BIANCHI, UCoSeVA AM - Ufficio vigilanza tecnico-amministrativa (14.12.16); Col. Onofrio GARZONE, UCoSeVA E.I. (21.12.16); Ten. Col. Angelo DI SPIRITO, UCoSeVA E.I. (21.12.16); Gen. B. Antonello VESPAZIANI, già Comandante del poligono di Cellina Meduna (21.12.16); Ten. Col. Mario ANGELI, medico competente del poligono di Cellina Meduna (21.12.16); Ten. Col. Francesco BATTAGLINI, Responsabile del servizio prevenzione e protezione del poligono di Cellina Meduna (21.12.16); Col. Alessandro LAZZINI, responsabile dell’Ufficio Coordinamento dei Servizi di Vigilanza d’Area dello Stato Maggiore dell’Esercito (18.1.17); Col. Francesco NASCA, responsabile dell’Ufficio Antinfortunistica e Medicina del Lavoro dello Stato Maggiore dell’Esercito (18.1.17); Gen. B. Carmelo COVATO, Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza, Prevenzione e Protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito (18.1.17 e 16.11.17); C.V. Francesco BATTAGLIA, UCOSEVA MM (25.1.17) (8.2.17 e 16.2.17; C.V. Massimo CASTELLI, Servizi Vigilanza Area Nord MM (25.1.17) ; Col. Filippo AGOSTA, JMED COI (25.1.17, 15.3.17 e 24.7.17); Magg. Raffaele RUOCCO, Capo 3A Sezione Vigilanza Antinfortunistica CC (26.1.17); Cap. Antonio PRIMIANI, Addetto 3A Sezione Vigilanza Antinfortunistica CC (26.1.17); Col. Claudio DE ANGELIS, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico del Ministero della Difesa, (15.2.17 e 1.3.17) ; Gen. div. Vito FERRARA, Capo della Direzione di sanità dell'Arma dei Carabinieri, (15.2.17) ; Amm. Sq. Giuseppe CAVO DRAGONE, Comandante del COI, (23.2.17 e 18.5.17) ; Ten. Col. Ing. Vinicio PASQUALI, Direttore interinale del Centro Tecnico Logistico Interforze NBC (8.3.17 e 4.5.17); Col. Pietro LO GIUDICE, Capo della Divisione J4 del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) (2.3.17, 9.3.17 e 4.5.17); Gen. Giorgio RUSSO, Comandante del Poligono Interforze Salto di Quirra (29.3.17); Roberto COMELLI, Capo del IV Reparto Logistica e Infrastrutture dello Stato Maggiore della Difesa, (29.3.17, 10.5.17 e 7.6.17); Col. ing. Gioacchino PAOLUCCI, Direttore dello Stabilimento militare munizionamento terrestre di Baiano di Spoleto (12.4.17); Ass. tecn Silvestro CAMPANA, Responsabile del servizio prevenzione e protezione dello Stabilimento militare munizionamento terrestre di Baiano di Spoleto (12.4.17); Col. ing. Giulio BOTTO, Direttore dello Stabilimento militare ripristini e recuperi del munizionamento di Noceto di Parma (12.4.17) ; Ten. Col. ing. Massimo PIAZZA, Responsabile del servizio prevenzione e protezione dello Stabilimento militare ripristini e recuperi del munizionamento di Noceto di Parma (12.4.17); Contrammiraglio Claudio BOCCALATTE, Direttore del CISAM (3.5.17); Alessandro CAVAGNARO, Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza del CISAM (3.5.17) ; Ten. Col. Raffaele ZAGARELLA, Capo sezione esperti qualificati del CISAM (3.5.17) ; Col. Antonino MANNINO, Capo della Medicai Intelligence (11.5.17); Col. Sergio CARDEA, Capo Divisione J3 del COI (17.5.17); Gen. Enrico TOMAO, Ispettore Generale della Sanità Militare (10.5.17 e 24.5.17); Col. a.ter t.ISSMI Stefano GIRIBONO, Comandante del 7 Reggimento NBC. (24.5.17); Gen. S.A. Roberto NORDIO, Sottocapo di Stato Maggiore della difesa (7.6.17 e 21.6.17); Giuseppe CAROFIGLIO, Maresciallo in quiescenza della Guardia di finanza (28.6.17 e 5.7.17); Ten. Col. medico Ennio LETTIERI (5.7.17) ; Prof. Francesco RICCOBONO (27.9.17); Gen. Francesco PIRAS (27.9.17); Maresciallo Francesco PALOMBO (27.9.17); Vittorio LENTINI, già Caporal Maggiore Capo scelto dell'Esercito italiano. (12.10.17); Maresciallo Massimo ORRÙ (25.10.17); Gen. B. (ris.) Fernando TERMENTINI (16.11.17); Vincenzo TOMBOLINI Professore ordinario di radioterapia presso l’Università “La Sapienza” di Roma (21.12.17).

8. La trasmissione di atti all’autorità giudiziaria
In relazione a tre specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta la Commissione ha convenuto di trasmettere gli atti acquisiti nelle rispettive audizioni presso le procure della Repubblica competenti e, in due circostanze, per conoscenza anche alla Procura generale militare.
Si tratta nel primo caso della vicenda relativa al militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in territori contaminati dalla presenza di uranio impoverito in Afghanistan, nell’ambito di due diverse missioni militari all’inizio degli anni 2000, successivamente deceduto, in conseguenza della stessa patologia, nei mesi seguenti all’audizione resa davanti alla Commissione il 15 marzo 2017. Il Caporale Maggiore Scelto Attianese fu invitato dalla Commissione ad esporre il suo caso personale in audizione a seguito di una sua intervista avvenuta nel corso di una nota trasmissione televisiva, in cui denunciava l’atteggiamento ostruzionistico di alcuni superiori e le gravi minacce da lui subite nel corso del trattamento delle pratiche assistenziali e previdenziali relative alla sua richiesta di causa di servizio.
Gli atti relativi all’audizione del Caporale Maggiore Scelto Attianese, inclusivi della documentazione depositata dal militare, sono stati inviati per le opportune iniziative al Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma in data 23 marzo 2017.
In una seconda circostanza la Commissione ha deliberato la trasmissione di atti all’autorità giudiziaria e segnatamente nel caso rappresentato dal Tenente Colonello Medico Ennio Lettieri, nel corso dell’esame testimoniale svolto davanti alla Commissione il 5 luglio del 2017. In tale occasione il Tenente Colonnello Lettieri affermava di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kossovo in qualità di direttore dell'infermeria del Comando KFOR, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano, in un contesto di scarsa o inefficiente sorveglianza sanitaria sui militari italiani ivi impiegati e di grave pericolosità ambientale, del tutto sottovalutato o ignorato dai comandi in carica.
Infine, la Commissione ha provveduto a trasmettere alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma gli atti relativi all’esame testimoniale svolto davanti alla Commissione il 16 novembre 2017 dal Generale Carmelo Covato, della Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza, Prevenzione e Protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito. Nel caso di specie il Generale Covato aveva affermato, nel corso di un’intervista televisiva andata in onda pochi giorni prima della convocazione davanti alla Commissione, che i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati, affermazioni che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta.
Si segnala infine che la Relazione intermedia sull'attività d'inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle Forze armate, approvata dalla Commissione il 19 luglio 2017, è stata inviata al Procuratore generale della Corte dei conti per le valutazioni di competenza.

9. Le missioni
La realizzazione di queste due distinte fasi di attività della Commissione ha altresì richiesto lo svolgimento di un intenso programma di missioni sul territorio, diretto all'adempimento della funzione ispettiva e all'acquisizione documentale presso i poligoni e gli arsenali, che ha prodotto il materiale necessario all'analisi dei consulenti e alla discussione delle conclusioni approvate nelle due relazioni.
Lo svolgimento delle missioni ha seguito alcune linee direttrici, che costituivano oggetto di specifico interesse da parte della Commissione. Si tratta in particolare del filone di indagine relativo agli arsenali e alle connesse problematiche di sicurezza e tutele previdenziali del personale rispetto al rischio della presenza di amianto; dei sopralluoghi nell’ambito delle verifiche sulla sicurezza dei lavoratori e sullo stato dei luoghi, anche sotto il profilo ambientale, dei poligoni militari sul territorio nazionale; di approfondimento delle problematiche connesse alla presenza di gas radon.
Nel corso delle missioni, come nell’ambito della restante attività, la Commissione ha deliberato di ricorrere non solo al consueto strumento delle audizioni, ma anche allo svolgimento di esami testimoniali in loco, concentrandosi particolarmente sui soggetti responsabili della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori. Tali soggetti sono stati individuati di volta in volta nella figura del comandante, del responsabile del servizio prevenzione protezione, del medico competente, nonché dei rappresentanti dei lavoratori ed ogni altro soggetto atto a fornire elementi di conoscenza alla Commissione, secondo lo schema delle più tradizionali indagini conoscitive.
Le missioni svolte dalla Commissione sono state le seguenti:
Visite agli arsenali di Taranto (20 maggio 2016), Augusta (1° luglio 2016), La Spezia (28 luglio 2016).
Missione in Sardegna (dal 2 al 7 ottobre 2016), con visita ai poligoni di Salto di Quirra, Capo Teulada, Capo Frasca e al deposito munizioni di Santo Stefano (La Maddalena).
Missione a Padova, Pordenone e Ravenna (12 e 13 gennaio 2017), con visita ai poligoni di Cellina Meduna e Foce Reno e audizioni di personale impiegato presso il 1° ROC di Monte Venda.
Missione a Pisa (15 e 16 marzo 2017), per visitare il Centro interforze studi per le applicazioni militari - CISAM.
Missione a Bari e Lecce (21 e 22 marzo 2017), con visita ai poligoni di Torre Veneri e Torre di Nebbia.
Missione ad Agrigento, Caltanissetta Catania (dal 3 al 6 aprile 2017), con visita alla stazione NRTF - MUOS di Niscemi, alla base di Sigonella e al poligono di Drasy.

9.1. La visita alla stazione NRTF - MUOS di Niscemi
Un particolare profilo di specificità presentava la visita alla stazione NRTF - MUOS di Niscemi (CL) a causa del fatto che si tratta di una installazione militare ad uso esclusivo di alleati o a supporto del dispositivo NATO, in particolare del MUOS (Mobile User Objective System ) situato nel territorio di Niscemi.
In tale occasione la Commissione, oltre ad acquisire specifica documentazione, ha svolto una visita del sito, un’audizione del procuratore capo di Caltagirone (CT) Giuseppe Verzera, di alcuni rappresentanti del territorio e dell’allora Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta.
Il MUOS è un impianto di trasmissione dati ad uso esclusivo della US NAVY, denominato NRTF, gestito secondo un accordo tra le Forze armate italiane e quelle statunitensi. Durante la citata missione in Sicilia, svolta fra il 3 e il 6 aprile 2017, la delegazione della Commissione ha avuto l'opportunità di conoscere, grazie alla collaborazione offerta dalle autorità statunitensi, le potenzialità di quel sistema che resta ad uso esclusivo degli Stati Uniti e che, accanto alle preesistenti 46 antenne, ha di fatto reso il sito di Niscemi, immerso in una splendida sughereta, un sito strategico militare, ma ad alto impatto per il territorio e per gli abitanti.
Su questa delicata tematica, prima della Commissione si era già mossa la magistratura, attraverso la Procura di Caltagirone che ha aperto un fascicolo di inchiesta per abusivismo edilizio, nonostante l'iter realizzativo avesse ottenuto il nulla osta di tutte le istituzioni coinvolte.
In particolare, durante l'audizione del Procuratore capo di Caltagirone, Giuseppe Verzera, il 5 aprile a Caltanissetta, è emerso quanto si evince dai seguenti atti:

PRESIDENTE. Dunque, signor procuratore, siamo passati da un problema di carattere edilizio, originato come un abuso compiuto in violazione al decreto che ne stabiliva l’inedificabilità, a una possibile sussistenza di reato in ambito ambientale. Tuttavia, quell’abuso edilizio non è stato cancellato?

Giuseppe VERZERA, Procuratore capo di Caltagirone. No, c’è un processo pendente in dibattimento.
Dal punto di vista dei rischi ambientali sulla popolazione locale e per gli addetti delle nostre Forze armate, derivante dall'emissione di onde elettromagnetiche da parte della “foresta di antenne”, ovvero le 46 presenti ma non tutte contemporaneamente funzionanti, ben poco è stato purtroppo fatto in passato. Lo dimostra il caso dell'ex militare italiano in servizio nel 2002 presso la base NRTF di Niscemi, SALVATORE FERLITO, audito sempre a Catania dalla Commissione il 5 aprile 2017, il quale afferma: «Noi eravamo circa 40 soldati, che appunto ci occupavamo di antiterrorismo e di sorvegliare questa base americana. Non so perché c’eravamo noi, comunque c’eravamo noi. Facevamo servizio all’interno, proprio sotto l’antenna che è inquisita. Mai visti militari americani. Noi avevamo soltanto questa tenda da campo. »
Su queste due direttrici ovvero la mancanza di controllo sanitario prima del 2009 e l'attuale processo in corso pendente presso la procura di Caltagirone, su quanto l'ARPA Sicilia ha dichiarato di svolgere in termini di controllo ambientale e sui dati che l'amministrazione americana ha dichiarato di produrre in termini di monitoraggio delle emissioni elettromagnetiche del MUOS, la Commissione ha concluso la propria visita ottenendo da parte statunitense la disponibilità a definire e a determinare un rapporto molto più stretto e istituzionale con l’Arpa regionale per la verifica dei dati sul possibile inquinamento elettromagnetico, con un progetto di monitoraggio in continuo. L’Arpa, e di conseguenza la Regione Siciliana, dovranno trovare i finanziamenti necessari per impiantare un’ulteriore modalità di rilevazione di questi dati con strumenti di elevata affidabilità. Su questo punto era stato sollecitato l’allora Presidente della Regione siciliana, Crocetta, durante l’audizione del 17 maggio 2017. Ad oggi non risulta che sia partito un nuovo sistema di monitoraggio in continuo non affidato alle stesse istituzioni che gestiscono il MUOS.
Inoltre, non risultano ancora attuati dalle Amministrazioni interessate molti degli impegni previsti nel Protocollo d’intesa, che permetteva l’avvio delle procedure per l’installazione delle antenne, firmato il 1A giugno 2011 tra la Regione siciliana ed il Ministero della difesa tra cui in particolare:
- fornire la consulenza dell’allora Centro Interforze Studi Applicazioni Militari (CISAIVI) e la strumentazione di misura necessaria ad effettuare il monitoraggio continuo dei campi elettromagnetici. Integrando la suddetta strumentazione nella rete regionale di monitoraggio dell'ARPA Sicilia che ne curerà la gestione e la elaborazione dei dati e i cui dati saranno resi sempre disponibili per l'amministrazione di Niscemi;
- attrezzare l’area naturalistica della Sughereta realizzando, in sei mesi dall’avvio dei lavori di realizzazione del MUOS, una infrastruttura ecocompatibile per il controllo, gestione ed accoglienza, adeguata a supportare l’attività di unità ippomontate e di sistemi per la vivibilità del parco, in accordo con l’Ente gestore del parco stesso.
- supportare le azioni degli organismi territoriali per la promozione del prodotto agro-alimentare dell’area di Niscemi sul territorio nazionale ed internazionale, anche coinvolgendo organismi all’uopo preposti quali l’ICE;
- promuovere rapporti diretti di collaborazione, anche attraverso specifici gemellaggi, con gli Enti gestori di no o più parchi naturali degli Stati Uniti d’America per il tramite dell’ufficio consolare all’uopo individuato, al fine di promuovere rapporti e scambi culturali continui, favorire gli scambi tra i giovani che vivono nel territorio ove ricade la Riserva Naturale Orientata “Sughereta di Niscemi” e i giovani fruitori delle aree naturali protette degli Stati Uniti d’America e ad attrarre sul territorio esperti provenienti dagli Stati Uniti per supportare il territorio nella fase di avvio della gestione innovativa del Parco della Sughereta, anche attraverso specifiche azioni formative, nonché a contribuire alla divulgazione nel mondo della conoscenza della Riserva Naturale Orientata e del territorio niscemese;
- adoperarsi per la promozione e l’istituzione di summer schools in gemellaggio con centri di eccellenza americani e per suscitare la costituzione di borse di studio per gli studenti di Niscemi per lo svolgimento di attività di studio/ricerca presso gli Stati Uniti d’America.

10. L’attività di supporto tecnico alla Commissione: i gruppi di lavoro.
Fin dall’inizio della sua attività la Commissione si è contraddistinta per l’esigenza di un alto grado di tecnicità, di cui è espressione la deliberazione di costituire quanto prima una équipe di collaboratori altamente qualificati, particolarmente variegato, esperto delle materie comprese nell’oggetto dell’inchiesta. Di tale gruppo sono entrati a far parte magistrati esperti di diritto del lavoro, ricercatori scientifici e medici sul tema delle profilassi vaccinali e dell’esposizione a nanoparticelle, avvocati esperti in materia di tutela previdenziale dei lavoratori, professori universitari di diritto ambientale, tecnici balistici, medici e anatomopatologi, fisici, magistrati contabili e militari.
Il contributo dei consulenti ha percorso sottotraccia l’attività della Commissione fin dall’inizio dei suoi lavori, attraverso un’efficace partecipazione alle sedute e alla progettazione del percorso dell’inchiesta, ma si è reso particolarmente evidente, nella sua dimensione di gruppo di esperti assegnatario di uno specifico obiettivo di studio, solo nella seconda franche dell’attività della Commissione, caratterizzata da una più accentuata connotazione ispettiva.
Tale lavoro di équipe si è svolto al di là degli schemi tradizionali delle commissioni di inchiesta, risultando del tutto smarcato dalla eventuale costituzione di comitati speciali all’interno del plenum, che la Commissione non ha ritenuto infatti di dover istituire. I gruppi di lavoro, pur costituendo un soggetto sui generis dato che prescindono dalla partecipazione dei commissari, hanno tuttavia acquisito un proprio ubi consistam di fattivo supporto ai lavori della Commissione. Assumendo una duplice modalità operativa hanno, da un lato, contribuito in modo pregevole alla preparazione tecnica delle singole sedute della Commissione, particolarmente per quanto riguarda la predisposizione della base tecnica necessaria allo svolgimento dei numerosi esami testimoniali; dall’altro, hanno condotto un lavoro collegiale di elaborazione di contributi ad hoc, preventivamente individuati dalla Commissione intorno a oggetti definiti, che hanno preso la forma specifica di allegati alla seconda relazione intermedia e depositati in questa forma agli atti della Commissione.
Con il supporto di questo gruppo di collaboratori diversificato per competenze, la Commissione ha inteso individuare e approfondire ben nove differenti filoni di inchiesta, nell'ambito di ciascuno dei quali è stata prodotta una specifica relazione tecnica. Si tratta dei seguenti:
1) monitoraggio e analisi dei dati epidemiologici riferiti ai militari;
2) analisi, a fini ispettivi, dei documenti di valutazione del rischio redatti per i militari e i lavoratori della Difesa;
3) controllo sull'operato degli organi di vigilanza e dei medici competenti per i lavoratori militari e civili della Difesa;
4) effettuazione di sopralluoghi e verifica dello stato ambientale dei poligoni militari e del personale ivi impiegato;
5) verifica e acquisizione dei dati sui vaccini e sulla loro somministrazione ai militari;
6) verifica della presenza di amianto e analisi dei rischi ad essa correlati nei siti ove è impiegato personale civile e militare della Difesa;
7) prevenzione del rischio a carico dei militari in un quadro internazionale;
8) analisi e monitoraggio dell'impatto ambientale dei siti militari sul territorio e sulle popolazioni circostanti;
9) studio e rilevazione del rischio derivante dalla presenza di gas radon e di radiazioni ionizzanti nei siti ove è impiegato personale civile e militare della Difesa.
A ciascuno di questi argomenti ha corrisposto uno specifico gruppo di lavoro, formato di consulenti della Commissione preventivamente individuati dal Presidente e, in due casi, coordinati dai due Vicepresidenti (si tratta del Gruppo vaccini, coordinato dal Vicepresidente Ivan CATALANO, e del Gruppo amianto, coordinato dalla Vicepresidente Donatella DURANTI). I gruppi di lavoro hanno utilizzato il materiale pervenuto alla Commissione in occasione delle audizioni e degli esami testimoniali (resoconti stenografici e documentazione depositata o prodotta successivamente), nonché raccolto nel corso delle missioni, per redigere i rispettivi contributi tecnici, successivamente confluiti nei contenuti delle relazioni intermedie e della presente, dopo essere stati vagliati e fatti proprie dalla Presidenza con il consenso dei gruppi in Commissione.

11. Le relazioni intermedie.
Fin dall’inizio della sua attività la Commissione ha programmato i suoi lavori con delle scadenze temporali molto ravvicinate, la prima delle quali prevedeva la redazione di una relazione intermedia preliminare entro un termine inferiore a quello indicato dalla stessa delibera istituiva, con il preciso scopo di accelerare i tempi dell’esame per così dire “istruttorio” dell’oggetto dell’inchiesta e consentire di dedicare maggiore spazio alla successiva attività propriamente inquirente della Commissione.
Approvando così il 26 maggio 2016, dopo circa sei mesi dalla sua costituzione, la Relazione sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate, la Commissione ha inteso dare immediatamente forma e contenuto alla prima parte dei propri lavori, dedicati allo svolgimento di attività prettamente conoscitiva dello stato dell’arte su una materia complessa, anche attraverso una fase ricognitiva delle conclusioni cui erano pervenute le precedenti commissioni sull’uranio impoverito.
La successiva approvazione il 19 luglio 2017, ad un anno di distanza dalla prima, di una ulteriore Relazione intermedia sull'attività d'inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle Forze armate, ha invece dato conto del nucleo più ispettivo del lavoro svolto dalla Commissione, dedicato, come di è detto, agli esami in forma testimoniale dei principali soggetti individuati all’interno dell’amministrazione della Difesa come direttamente coinvolti e responsabili nel sistema della vigilanza sulla sicurezza, del comando dei poligoni militari, della gestione dei dati sanitari riferiti ai militari.
Si tratta di due ampi documenti che affrontano da angolazioni similari e complementari la necessità di verificare il livello di effettiva attuazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro tra i lavoratori appartenenti all'amministrazione della difesa, con particolare riguardo ai componenti delle Forze armate, approfondendo le specificità che caratterizzano il comparto della Difesa, alla luce del particolare sistema di «giurisdizione domestica» in tema di malattie professionali e infortuni sul lavoro, attualmente vigente per i lavoratori di questo settore.
Rinviando al contenuto specifico di tali relazioni intermedie per un’analisi puntuale e dettagliata delle risultanze delle singole audizioni ed esami svolti dalla Commissione nel corso dei suoi lavori, può esser utile sinteticamente accennare alle principali criticità rilevate sui versanti indicati dai titoli delle stesse relazioni e alle conclusioni cui sono pervenuti i due documenti approvati, che hanno toccato tutti i temi oggetto dei singoli filoni d’inchiesta. Si è infatti spaziato dalla rilevazione di evidenti carenze nel grado di effettività della tutela dei militari sul piano della sicurezza del lavoro, soffermandosi in particolare sull'inadeguatezza degli istituti di indennizzo, di natura previdenziale e di sostegno del reddito previsti dall'ordinamento in favore dei soggetti colpiti dalle patologie indicate nell'oggetto dell'inchiesta, all'analisi delle gravi ricadute sulle popolazioni civili nelle zone adiacenti alle basi militari nel territorio nazionale, dovute alla specificità nella gestione dei poligoni militari e all’insufficienza delle cautele con riferimento alla prevenzione del possibile danno ambientale; alla verifica attenta e critica dell'adeguatezza - o per meglio dire dell'inadeguatezza - della raccolta e dell'analisi epidemiologica dei dati sanitari relativi al personale militare e civile; all'analisi in chiave fortemente critica delle modalità di somministrazione dei vaccini al personale militare e della valutazione dei rischi connessi alla presenza di gas radon e di materiali contenenti amianto negli ambienti in cui il personale militare e civile presta servizio; alla rilevazione di preoccupanti ritardi registrati nell’attività di bonifica dell’amianto particolarmente nei siti degli arsenali militari.
In particolare, le maggiori criticità sono state rilevate dalla Commissione nel settore dell’applicazione da parte dell’amministrazione della Difesa della normativa vigente nel settore della prevenzione e della sicurezza del lavoro e in quello della tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, per quanto concerne soprattutto la valutazione dei rischi, la responsabilità del datore di lavoro, l’approntamento di strutture e servizi di prevenzione idonei. In questo campo infatti la Commissione ha constatato in alcuni casi la mancata o inadeguata redazione da parte delle figure preposte alla sicurezza dei lavoratori, dei fondamentali documenti programmatici della sicurezza previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81: dal DVR (Documento di Valutazione del Rischio) al DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali), dal PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) ai programmi di informazione-formazione dei lavoratori.
In questo quadro, la Commissione ha richiesto allo Stato Maggiore della Difesa la trasmissione dei documenti di valutazione dei rischi di tutti i poligoni, aree esercitative e arsenali militari sul territorio nazionale; tuttavia i documenti pervenuti alla Commissione hanno riguardato solo una piccola parte dei siti interessati. Il fatto che non siano stati prodotti alla Commissione i DVR di molti siti militari denota in più casi la mancata predisposizione di tali documenti da parte dei soggetti obbligati, in molti casi una “diffusa disattenzione”, attuale, non solo risalente nel tempo, degli organi di sorveglianza militari nei confronti di tale obbligo, come opportunamente evidenziato nelle conclusioni della prima relazione intermedia.
Sia nel corso delle audizioni, che in occasione delle missioni dedicate alla questione, la Commissione ha conseguentemente più volte richiamato i comandanti esaminati (esercitanti la funzione di datori di lavoro ai fini della normativa in materia di sicurezza sul lavoro) ad adempiere all’obbligo di legge della redazione dei documenti previsti dal D.lgs. n. 81 del 2008, sottolineando esplicitamente l’esigenza che anche per le attività esercitative e addestrative sia necessaria una specifica e puntuale valutazione di tutti i rischi, ivi compresi quelli da interferenza legati alle attività antecedenti, contemporanee e successive che si svolgono nei poligoni da parte dei reparti esercitati e da parte dei reparti che gestiscono tali aree.
La Commissione ha inoltre potuto ricostruire, attraverso un gruppo consistente di audizioni, esami testimoniali ed alcune specifiche missioni, la specialità dell’ordinamento militare per quello che riguarda l’assetto dei servizi di prevenzione e protezione e l’esercizio delle funzioni ispettive e di vigilanza, specialità che si estrinseca in una organizzazione peculiare ispirata ad un criterio di assoluta autosufficienza.
Già dalle risultanze delle precedenti commissioni di inchiesta erano emerse le criticità di questo modello organizzativo, che, tendendo a sovrapporre il ruolo del controllore a quello del controllato, viene a mancare del necessario requisito della terzietà, assumendo con ciò i caratteri di una giurisdizione domestica non solo non adeguatamente motivata nella sua specialità, ma anche produttiva di effetti deteriori nella tutela del dipendente della Difesa rispetto a quella garantita al lavoratore comune.
Un’ulteriore specialità dell’amministrazione della Difesa, rilevata criticamente dalla Commissione in quanto negativamente incidente sul livello di tutela del lavoratore, è quella che concerne la peculiare attribuzione della qualità di datore di lavoro nell’ambito delle Forze armate. Il D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, recante Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, infatti, al comma 2 dell’art. 246, individua tale qualità anche in soggetti dichiaratamente “non dotati di autonomi poteri di spesa”, contravvenendo in tal modo al disposto dell’art. 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale il datore di lavoro deve essere invece “dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa”¹⁰. Come ha potuto constatare la Commissione soprattutto nel corso dei sopralluoghi svolti presso i poligoni militari, la mancanza di autonomi poteri decisionali e di spesa in tali soggetti determina una sostanziale inefficacia delle norme sulla responsabilità dello stesso datore di lavoro in ordine all’attuazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, in questo caso militare.
Un ulteriore nodo critico che la Commissione era chiamata a sciogliere riguardava la tutela previdenziale del personale delle Forze armate, con particolare riguardo alla concessione delle provvidenze previste dall’ordinamento per il caso di patologie correlate all’esercizio del dovere, anche in relazione all’esposizione ai fattori patogeni indicati nell’oggetto dell’inchiesta.
In questo ambito la Commissione ha condotto un’indagine ad ampio spettro, che, partendo dalla verifica dell’efficacia delle procedure previste dalla legge per l’attribuzione delle citate provvidenze, è giunta all’indicazione di precise lacune o incongruenze normative, all’accertamento di responsabilità individuali, anche attraverso l’esame dei casi singoli e le audizioni dei soggetti responsabili per l’amministrazione della Difesa o del Ministero dell’economia.
Questo specifico campo dell’inchiesta è stato trattato diffusamente nell’ambito della prima relazione intermedia sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate, cui si rimanda per gli aspetti di contenuto e di dettaglio. In questa sede occorre tuttavia ribadire, come già detto nella citata relazione, che l’indagine della Commissione ha evidenziato “la non adeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle Forze armate dalle attuali prassi applicative” e che “tale inadeguatezza trova causa non già nell’entità delle provvidenze previste dall’ordinamento vigente, ma nelle incongruenze e criticità del procedimento di attribuzione di tali provvidenze”, in particolare nella farraginosità e nelle carenze del percorso amministrativo e nel particolare modus operandi del Comitato di verifica per le cause di servizio, istituito presso il Ministero dell’economia con il compito di accertare la riconducibilità delle patologie insorte alle speciali condizioni ambientali e operative¹¹.
La seconda relazione della Commissione, che arriva dopo numerose sentenze che hanno confermato sul piano giuridico l'esistenza di un nesso causale, tra esposizione senza protezione in ambienti contaminati da uranio impoverito e patologie tumorali, è stata invece incentrata sul rischio ambientale e sulle politiche di prevenzione e protezione e per la sicurezza del personale addetto ai poligoni di tiro presenti sul territorio nazionale. In questi siti e nelle aree contigue¹² la mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti impiegati nelle esercitazioni ha prodotto considerevoli rischi ambientali anche in danno delle popolazioni residenti nei territori circostanti¹³. La Commissione ha infatti dovuto constatare come l’attività di bonifica del territorio su cui insistono i poligoni sia stata e continui ad essere nettamente insufficiente, tale da compromettere in modo irreversibile lo stato dei luoghi (è il caso della cosiddetta “penisola interdetta”, nell’area di Capo Teulada), ed è tale da arrecare grave rischio alla salute anche per le popolazioni locali.
Peraltro le condizioni in cui versano diversi siti e installazioni militari (prime fra tutte le strutture del CISAM di Pisa, visitate dalla Commissione nell’ambito di una apposita missione), nonché di arsenali e depositi di munizioni, attestano, che in taluni casi, gli standard di sicurezza garantiti dall’amministrazione della Difesa sul territorio non sono adeguati al livello di rischio a cui sono soggetti i lavoratori impiegati. Documenti sollecitati e acquisiti dalla Commissione hanno infatti evidenziato rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni connessi all’impiego nell’attività militare di svariate sostanze pericolose, nonché rischi fisici, biologici, rischi di esposizione ad atmosfere esplosive, oltre che a condizioni di stress lavoro-correlato, mentre ulteriori rischi sono stati rilevati in caserme, depositi e stabilimenti militari (rischi strutturali, carenze di manutenzione, presenza di materiali pericolosi come l’amianto, la cui opera di bonifica integrale in navi, aerei, elicotteri ed altre attrezzature in dotazione delle Forze armate non è ancora completata).
La problematica dell’amianto, intesa come bonifica ambientale dei luoghi e delle attrezzature militari, navi e officine, nonché come pregiudizio alla salute arrecato ai cosiddetti “ex-esposti” per l’arco temporale in cui la dannosità del minerale non era ancora stata riconosciuta, ha costituito l’oggetto di una serie di tre missioni che la Commissione ha svolto per effettuare sopralluoghi agli arsenali di Taranto, La Spezia ed Augusta, con la guida della Vicepresidente Donatella Duranti¹⁴. Lo stato di fatiscenza e l’incuria in cui versavano alcune delle strutture visitate dalla Commissione hanno aggravato le preoccupazioni della delegazione in visita, confermando il giudizio su un insufficiente grado di tutela della salute dei lavoratori, soprattutto di quelli civili impiegati nei processi produttivi degli arsenali.
Anche i rischi connessi alla presenza di gas radon, la cui cancerogenicità è riconosciuta da tempo, sono stati oggetto di particolare attenzione da parte della Commissione con lo svolgimento di un’apposita missione a Padova, dedicata ad approfondire la problematica della contaminazione da presenza di radon all’interno delle installazioni militari del I ROC di Monte Venda¹⁵, nonché nell’ambito del lavoro svolto dal gruppo di consulenti costituito ad hoc, che ha prodotto uno specifico documento sull’argomento.
Un ultimo filone di inchiesta attivato dalla Commissione, su cui sono state svolte diverse audizioni ed esami testimoniali e rispetto al quale la Commissione ha provveduto all’acquisizione di una corposa documentazione, è rappresentato dalla problematica relativa al rischio derivante dalla profilassi vaccinale nei confronti dei componenti delle Forze armate, anche in vista della partecipazione a missioni internazionali in territorio straniero. Con il supporto dell’apposito gruppo di lavoro di consulenti, la Commissione ha condotto in questo campo un’ampia ricognizione non solo delle modalità di somministrazione dei vaccini (considerate responsabili, nel quadro di un criterio eziologico di multifattorialità, dell’insorgenza di diverse patologie, particolarmente in soggetti che per condizioni di stress o immunodepressione da stress in situazioni di conflitto o tensione risultavano particolarmente vulnerabili), ma anche delle modalità di analisi dei dati sanitari dei militari da parte degli uffici della sanità militare preposti a tale scopo¹⁶.

12. L’ultima fase dei lavori della Commissione
A seguito dell’approvazione, nel luglio 2017, della seconda relazione intermedia, l’attività della Commissione è ripresa, dopo la pausa estiva dei lavori della Camera, con lo scopo di ultimare la trattazione di alcuni temi affrontati dalle due relazioni approvate, che necessitavano di ulteriori approfondimenti, anche su sollecitazione di singoli membri della Commissione, per consentire l’elaborazione delle conclusioni e delle valutazioni politiche atte a costituire il nucleo della relazione conclusiva sulle risultanze dell’attività complessiva della Commissione.
In quest’ottica, la Commissione ha proceduto allo svolgimento di numerose audizioni ed esami testimoniali di militari, esperti scientifici, professori universitari, ricercatori, con lo scopo di corrispondere da un lato a specifiche richieste di soggetti interessati ad essere auditi, dall’altro a particolari esigenze conoscitive rappresentate da singoli gruppi di lavoro nel corso della rispettiva attività. Ha inoltre ricevuto documentazione richiesta, sin dalla prima fase dei lavori, a istituzioni sia militari che civili, che è stata oggetto di studio da parte del gruppo di lavoro sui vaccini presieduto dal Vicepresidente Ivan Catalano.
Le risultanze di questa tranche conclusiva dei lavori della Commissione hanno investito essenzialmente il tema dell’accertamento di particolari condizioni ambientali patogene nel territorio dei poligoni militari e delle aree contigue¹⁷, nonché dell’applicazione della normativa in materia di sicurezza dei militari nei teatri operativi all’estero possibilmente interessati dalla presenza di uranio impoverito, con particolare riguardo alla condizione del contingente italiano inviato nei Balcani a cavallo fra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni duemila¹⁸.
In alcuni casi gli accertamenti che la Commissione ha ritenuto di effettuare sono conseguiti alla specifica esigenza di verificare l’accuratezza di affermazioni rese nell’immediatezza dell’inchiesta da esponenti del mondo militare sulla eventuale presenza di uranio impoverito negli armamenti a disposizione delle nostre Forze armate impiegate all’estero nel passato¹⁹, oppure dalla necessità di riascoltare persone già menzionate o interessate dall’attività delle precedenti commissioni d’inchiesta sull’uranio impoverito e che, alla luce delle evidenze conseguite nel corso dell’inchiesta attuale, erano chiamate a chiarire affermazioni con esse discordanti o particolarmente difficili da interpretare a causa del lasso di tempo intercorso dagli eventi raccontati o testimoniati²⁰. Hanno infine investito il tema della composizione dei vaccini somministrati ai militari e quello del follow up del progetto SIGNUM, già citato, relativo alla presenza dell’attività di vaccinazione fra i fattori di rischio multifattoriale sulla salute dei militari.
L’ultima parte dei lavori della Commissione ha peraltro visto una intensificazione dell’attività dei gruppi di lavoro dei consulenti, chiamati a tirare le fila di un lavoro complesso e stratificato nel corso dei mesi precedenti, che ha dato adito di riflesso, su impulso della Commissione, ad un ininterrotto flusso di richieste informative e documentali rivolte alle amministrazioni competenti, nonché di sollecitazioni inviate per le vie formali ai ministri interessati per ottenere i necessari riscontri di specifiche incongruenze di volta in volta rilevate, nel corso dell’inchiesta, all’interno della normativa vigente - sia di rango primario che secondario - in materia di tutela della sicurezza sul lavoro dei componenti delle Forze armate.
Ciò ha confermato la natura genuinamente costruttiva del lavoro svolto dalla Commissione, volta a riformare in positivo il quadro normativo posto a tutela dei lavoratori della Difesa, in modo da garantire loro lo stesso grado di sicurezza che la legge prevede per tutti gli altri lavoratori della Repubblica.

CAPITOLO 2.
CRITICITÀ’ E PROPOSTE IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO

1. Le criticità
1.1. L’inchiesta parlamentare e le inchieste giudiziarie

Nel settore primario della sicurezza e della salute sul lavoro, la Commissione d’inchiesta, grazie alle penetranti metodologie investigative adottate, ha scoperto -dietro le rassicuranti dichiarazioni rese dai vertici dell’Amministrazione della Difesa e malgrado gli assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo pur esplicitamente sollecitate- le sconvolgenti criticità che in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i lavoratori militari del nostro Paese.
Un’opera, quella realizzata dalla Commissione d’inchiesta, a maggior ragione preziosa, ove si tenga presente che malauguratamente non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa.
Non mancano, è vero, alcune apprezzabili eccezioni. Come il processo che il 2 novembre 2017 a Padova, per iniziativa della Procura della Repubblica, ha condotto il Tribunale a condannare in primo grado alla pena della reclusione in anni due un ex-direttore della sanità militare per i reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose in danno di tre militari esposti a radon nel sito incavernato di Monte Venda (incuneato fino a 100 metri di profondità e areato solo artificialmente), nonché al risarcimento dei danni il Ministro della Difesa pro¬tempore in rapporto a due militari (v. la sentenza di condanna depositata il 29 dicembre 2017). Da richiamare sono pure due dibattimenti in corso: l’uno presso il Tribunale di Lanusei per il delitto di omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri di cui all’articolo 437 c.p. a carico di ufficiali del distaccamento di Capo San Lorenzo e di comandanti in capo del Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra, “il poligono militare più grande d’Europa” in una sede affidata a “uffici giudiziari minuscoli” secondo quanto ha posto eloquentemente in risalto l’attuale Procuratore della Repubblica; l’altro presso il Tribunale di Padova per i delitti di omicidio colposo e di abbandono di persone incapaci a carico di 14 direttori e comandanti dell’Amministrazione della Difesa per patologie amianto correlate in 63 appartenenti alla Marina Militare imbarcati o in servizio a terra. E di basilare rilievo sono le indagini svolte per il delitto di disastro doloso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.
È allarmante, peraltro, che, tra l’indifferenza delle autorità competenti, in materia di patologie occorse a militari o a cittadini residenti nei pressi di siti militari -ivi compresi gli stessi mesoteliomi da amianto o i tumori polmonari da radon- i procedimenti per reati quali l’omicidio colposo o le lesioni personali colpose nemmeno vengano avviati, ovvero si sviluppino con una tale lentezza o senza gli indispensabili approfondimenti, con la conseguenza che si concludono con il proscioglimento nel merito o per prescrizione del reato.
Il risultato è devastante. Nell’amministrazione della Difesa continua a diffondersi un senso d’impunità quanto mai deleterio per il futuro, l’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che si potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità. E quel che è ancora peggio, dilaga tra le vittime e i loro parenti un altrettanto sconfortante senso di giustizia negata, proclamato in accorate audizioni davanti alla Commissione d’inchiesta.
Non sorprende allora che, nel corso di un’audizione avvenuta l’11 ottobre 2017 di congiunti di militari deceduti, l’Avv. Patrizia Sadocco, facente parte della Assodipro, chiamata ad assistere le famiglie in più procedimenti penali, abbia reso una dolente dichiarazione:
“Per l’uranio si parla di 7-8-10.000 morti e ammalati, in Marina militare so che sono arrivate oltre il migliaio le persone individuate e in Monte Venda sono anche lì centinaia., sembra quasi che non si possa parlare. Sembra di parlarne come se fosse la strage di Ustica, nel senso di dire che è una follia pensare di andare nel penale. In realtà, io ritengo che siano cose gravissime, che devono andare nel penale. Da quello che a me risulta - non so se sbaglio - non credo che ci siano condanne penali contro i vertici militari in Italia, da quello che mi risulta, da quello che so. Da quello che mi risulta non c’è un procedimento per l’uranio impoverito. Non mi risulta che ci sia un procedimento penale per l’uranio impoverito. Nonostante ci siano stati magistrati molto coraggiosi e molto preparati ad avviare queste indagini, sono magistrati isolati, completamente isolati, perché a Padova la situazione, dal mio punto di vista, è preoccupante. C’è stato grande entusiasmo per l’avvio dei procedimenti penali, però c’è un ispettore che se ne occupa, perché, lo sapete bene, non c’è un pool di polizia giudiziaria. C’è un dottore che se ne occupa. Ci sono due magistrati, di cui uno è stato trasferito, che se ne occupano. Non c’è nessuna condanna definitiva contro i vertici militari. Il procedimento Marina 1 è preoccupante. Perché? Perché c’è stata un’assoluzione in primo grado sulla base di una teoria scientifica che non è mai esistita. C’è stata una sentenza in Corte d’appello sulla base di una prescrizione che non è mai esistita. La Corte di cassazione ha detto: «Basta, finiamola. Non è mai esistita questa teoria scientifica della dose killer. Non è vero che c’è stata prescrizione». Ha rispedito alla Corte d’appello e la Corte d’appello ha di nuovo fatto una sentenza di assoluzione. Ora le parti civili vogliono fare ricorso in Cassazione, ma pare che il Procuratore generale non ne voglia sapere. Quello che sto cercando di trasmettere è che sembrano procedimenti penali che non andranno da nessuna parte. Io capisco bene dove finiscono le competenze della politica e dove iniziano quelle della magistratura, però la mia proposta alla Commissione, se può essere un consiglio, è cercare di creare un gruppo di lavoro, perché sono migliaia, migliaia e migliaia i morti e gli ammalati. Voi lo sapete molto più di me. Adesso io non voglio paragonare la cosa come il pool di Mani pulite, però, voglio dire, quando si vuole fare un gruppo di lavoro di medici, polizia giudiziaria e magistrati che lavora, non importa dove sia questo gruppo di lavoro. Credo di sapere perché sull’uranio impoverito non ci sia un procedimento penale, perché credo che l’unica competente potrebbe essere solo la procura di Roma e capisco che non può avviare un procedimento penale di questo tenore. Questo credo io, perché i morti ci sono, gli ammalati ci sono. È possibile mai, per una cosa così grave...? singolare che non ci siano condanne ed è singolare l’atteggiamento dei giudici. È lodevole l’atteggiamento di quei giudici e di quei magistrati che hanno portato avanti le cose. Io non lo so se questa Commissione potrà in qualche modo non dico interferire, perché mi è molto chiaro - lo ribadisco - qual è l’ambito politico e l’ambito penale, però non credo che debba essere così sottovalutato oppure dire «Tanto, penale. non saranno mai capaci di fare niente».
È deludente per un giovane professionista ed è deludente per le famiglie.
Ecco perché in data 15 ottobre 2017 la Commissione ha trasmesso la Relazione sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte al Ministro della Giustizia, richiamando alla sua attenzione “le osservazioni svolte in ordine alla istituzione, nel settore delle morti causate dal lavoro e dall'ambiente, di una Procura della Repubblica nazionale, anche al fine di soddisfare l'esigenza, reiteratamente sottolineata davanti a questa Commissione da militari ammalatisi e da congiunti di militari deceduti, di interventi organici e sistematici della magistratura penale a tutela della salute e della sicurezza del personale della Difesa”.

1.2. I rischi in agguato
Eppure, molteplici e temibili sono i potenziali rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle Forze Armate, ma anche dalla Polizia di Stato e dai Vigili del Fuoco. Sono proprio i rischi che la Commissione d’inchiesta è riuscita a portare alla luce: tanto per fare degli esempi, amianto, uranio impoverito, vaccini, ma non solo, anche ad esempio quel killer silenzioso che è la seconda causa di tumore polmonare, il radon.
Basti pensare ai poligoni di tiro presenti sul territorio nazionale nei quali la mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti impiegati nelle esercitazioni ha prodotto rischi ambientali in danno di quanti sono stati e sono chiamati ad operare o a vivere nel loro ambito. Da segnalare sono il Poligono di Capo Teulada con la cosiddetta penisola interdetta, ma anche il PISQ, il Monte Romano, Torre di Nebbia, Carpegna, Val D’Oten, Candelo Massazza, e quella Cellina Meduna solo ultimamente liberata dalle lunette al torio. Il ritardo accusato dai responsabili dei poligoni nel ricostruire l’uso effettuato in passato del missile MILAN, e, di conseguenza, nel censire la presenza sul terreno di residui pericolosi come le lunette al torio, dimostra le insufficienze nel governo del rischio.
La Commissione ha acquisito elementi significativi circa le operazioni di brillamento di munizionamento obsoleto, in particolare presso il PISQ. E solamente nel 2015, grazie al dott. Marcello Campagna, medico competente del poligono interforze, si è effettuata una prima valutazione dell’esposizione a nanoparticolato aerodisperso durante tali operazioni. In tal modo smentendo quanto dichiarato nel corso dell’audizione resa il 5 ottobre 2016 innanzi la Commissione dal Gen. Giorgio Francesco Russo, Comandante del PISQ:
“Questa è la famosa attività di brillamento, che è stata interrotta più o meno vent’anni fa. Siamo nel 2016 e l’ultima attività di questo tipo, a mente, dovrebbe essere datata a fine anni 1980, quindi anche più indietro nel tempo, ed era fatta a fini addestrativi anche su materiale scaduto. Per ciò che concerne il periodo dal 2013 in poi, sono sicuro di quello che affermo: non è mai stata distrutta un’arma. Quello che è stato distrutto è il munizionamento - lo ripeto - a fini addestrativi.”
Nessun dubbio che le attività svolte presso i poligoni di tiro siano pericolose, non solo a causa della natura intrinseca delle operazioni svolte, ma anche in ragione delle caratteristiche dei sistemi d’arma e dei munizionamenti impiegati. Rischi connessi ai fumi, alle polveri, alle nanopolveri, contenenti tra l’altro metalli pesanti; rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti (ad esempio, radon) e non ionizzanti, in particolare campi elettromagnetici e radiazioni ottiche artificiali; rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni riconducibili all’impiego di sostanze impiegate in diverse attività, dai carburanti alle vernici, dai solventi ai fumogeni.
Per quanto riguarda i rischi da esposizione alle radiazioni ionizzanti del personale delle Forze Armate, sono emersi ulteriori dati. A seguito dell’esame testimoniale reso dal Maresciallo in congedo Giuseppe Carofiglio in data 28 giugno e 5 luglio 2017, e di una conseguente richiesta di informazioni, la Commissione ha ricevuto una nota del Comandante Generale della Guardia di Finanza del 26 ottobre 2017, che indica la detenzione/presenza di 576 proiettili “API” (Armor-Piercing Incendiary prodotti dalla società statunitense Aerojet Ordinance Company) destinati a due pattugliatori della Guardia di Finanza, e realizzati con uranio impoverito. Tali proiettili sarebbero stati acquisiti dal Corpo della Guardia di Finanza nel 1985, successivamente custoditi presso il Deposito Munizioni di “Montagna Spaccata” (Pozzuoli NA), e tutti “smaltiti” in un’esercitazione presso il Poligono militare di Torre Astura (LT) nel 1994.
Rischi minacciosi gravano persino su caserme, depositi, stabilimenti militari: sia deficienze strutturali (particolarmente critiche nelle zone a maggior sismicità), sia carenze di manutenzione, sia materiali pericolosi come l’amianto. Amianto, d’altra parte, la cui presenza ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri. Tanto è vero che la Procura della Repubblica di Padova è giunta ad accertare che solo nell’ambito della Marina Militare 1101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate (circa 570 i mesoteliomi). Ed allarmano le prospettive di ordine generale delineate dal Direttore del RENAM Alessandro Marinaccio, audito il 19 ottobre 2017: “il picco dei casi di mesotelioma, sia il numero di casi sia il numero di tassi, è presumibile sia nel periodo tra il 2015 e il 2020”. Intanto, come si desume da una relazione tecnica di Marinaccio trasmessa in data 29 gennaio 2018 dal Presidente dell’Inail Massimo De Felice, nell’ambito dei corpi militari, “sono stati identificati 830 casi di mesotelioma maligno con esposizione in tale settore”. Ed è sconfortante apprendere da tale relazione che “negli archivi del ReNaM sono presenti informazioni relative a n. 9 casi di mesotelioma maligno con codice di esposizione ‘familiare’ insorti in soggetti esposti per ragioni di convivenza con familiari professionalmente esposti nel settore della ‘Difesa nazionale’”: una esposizione, dunque, che si è insinuata persino nel domicilio dei militari, coinvolgendo i loro congiunti.
Prezioso in argomento è risultato l’apporto dato da un esperto autorevole come il Dott. Stefano Silvestri in una consulenza tecnica depositata il 18 dicembre 2014 nell’ambito di un procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Torino in merito all’esposizione ad amianto di equipaggi della Marina Militare e pervenuta su formale richiesta a questa Commissione:
“1) L’uso dell’amianto sulle navi in ferro durante il ‘900 è stato massiccio e le navi militari non sono state esentate da questo impiego;
2) Un gran numero di militari e di civili dipendenti della Marina Militare hanno contratto malattie asbesto correlate per aver manipolato direttamente materiali contenenti amianto (MCA), essere stati presenti durante opere di manutenzione che comportavano uso e lavorazioni dei MCA, aver passato gran parte del tempo durante la loro attività lavorativa a bordo di navi che contenevano MCA;
3) Personale militare e civile impiegato negli Arsenali Militari ha subito esposizione ad amianto durante gli interventi di manutenzione svolti sia a bordo sia nelle officine a terra.
In varie occasioni la concentrazione di fibre aerodisperse è risultata essere di alcune migliaia per litro d’aria. La rilevazione di tali concentrazioni è verosimile dato che gran parte dei MCA utilizzati in campo nautico erano da considerarsi friabili e di conseguenza rilasciavano in aria grandi quantità di fibre.
Il periodo in cui queste esposizioni si sono verificate è piuttosto lungo. Le coibentazioni con amianto e l’uso di MCA erano già diffusi anche prima della seconda guerra mondiale, periodo in cui alcuni casi avevano già iniziato il loro servizio in Marina.
Né il dibattito scientifico sulla pericolosità dell’amianto, già fervido negli anni ’60, né ciò che accadeva nelle aziende produttive italiane a cavallo degli anni ’70 con lo sviluppo di iniziative sindacali rivolte a chiedere più igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, compresi i cantieri navali, né quello che era successo anni addietro nella Marina Militare Statunitense e nella Royal Navy Britannica, né la pur ricca letteratura internazionale riguardante studi sulla salute del personale marittimo e dei cantieri avevano suscitato la necessità, almeno, di porre attenzione al problema nei responsabili ad ogni livello, nei medici addetti alla sorveglianza sanitaria ed in generale nella Sanità Marittima, ed al fatto che l’amianto presente nel naviglio militare italiano avesse potuto mettere a serio rischio la salute di tutti i marinai militari italiani e del personale impiegato negli Arsenali, così come era accaduto e stava accadendo all’estero. Tale problema è immancabilmente emerso e con numeri tutt’altro che trascurabili, allo scadere del tempo di latenza e senza che oggi, a distanza di molti anni dalle situazioni lavorative a rischio, si possa porre rimedio a quanto accaduto.”
A proposito del radon, lungimirante fu l’interrogazione n. 4-16746 presentata dagli On. Ruzzante, Pinotti, Pisa, Lumia, Luongo, De Brasi e Rotundo alla Camera dei Deputati sin dal 20 settembre 2005 in cui si afferma che “nella prima metà degli anni ottanta gli americani erano al corrente del rischio radon tanto che, diversi contingenti delle basi NATO del Centro- Sud, furono spostati e, presso la base USAF di Aviano fu avviata una complessa procedura di bonifica dalle infiltrazioni di questo gas radioattivo”, ma che “il nostro Governo, diversamente da quanto fatto dagli americani, non ha preso nessun provvedimento per eliminare o abbattere i rischi da esposizione da radon e, solo nel 1998, anno di dismissione della base del Venda, il Piano sanitario nazionale ha inserito anche la riduzione dei rischi da radon mentre, solo nel 2002, la Regione Veneto ha pubblicato i primi dati di monitoraggio del territorio, che evidenziano come i Colli Euganei siano un sito prossimo ai livelli di guardia quanto a concentrazione da radon”. Nel corso della propria inchiesta, la Commissione ha riscontrato in più siti militari l’esposizione passata e/o presente a concentrazioni anche alte di radon. Il 2 novembre 2017 -accogliendo le valutazioni effettuate dai periti Forastiere, Bochicchio e Soffritti e considerando non persuasive le contrarie deduzioni del consulente tecnico di parte Pira- il Tribunale di Padova ha pronunciato una sentenza di condanna per omicidio colposo e lesioni personali colpose per tumori polmonari in militari esposti al radon a Monte Venda. E nella sentenza depositata il 29 dicembre 2017 ha posto in risalto dati eloquenti:
“Osserva il tribunale che la conoscibilità, all'interno dell'organizzazione militare, del fenomeno radon, è pacificamente comprovata dai ripetuti controlli sulla radioattività delle acque termali insistente nello stabilimento militare di Ischia, svolti dallo stesso CISAM sin dal 1960 e negli anni seguenti. Nel 1977 i lavoratori delle terme furono inseriti, su indicazione del CISAM stesso, nel secondo gruppo tra quelli indicati ex art. 3 lett. H D.P.R. 13 febbraio 1964 n. 185. Erano all'epoca, dunque, ben note all'Amministrazione Militare le proprietà e le caratteristiche del radon, che la stessa Amministrazione riferiva a zone, quali quelle termali, di origine vulcanica. Non sfuggivano all'Amministrazione, che prudenzialmente raffrontava le misurazioni effettuate dal CAMEN presso gli stabilimenti di Ischia sin dal 1978, ai fini della protezione sanitaria dei lavoratori, "giusto il parere espresso dal CNEN a tale riguardo", non al limite segnato dal D.M. 6/6/1968, ma ai limiti inferiori indicati nella pubblicazione 24 dell'ICRP3I, in 60.000 pc/lt (pari a circa 2.200 bq/mc), nemmeno la legislazione vigente e la soglia indicata dall’International Commission on Radiological Protection.”
Nota, inoltre, il Tribunale di Padova come “il dubbio sulla nocività dell'ambiente, derivante dalle caratteristiche geologiche dello stesso, debba indurre il datore di lavoro a indagare sulla presenza di potenziali nocivi per il lavoratore, non potendosi avallare un atteggiamento consapevolmente e colposamente inerte”.
Come mai ad oltre mezzo secolo di distanza da quel 1960 nemmeno l’attuale Governo -pur esplicitamente reso edotto mediante l’invio della c.d. “Relazione intermedia”- si è preoccupato d’imporre immediatamente un’effettiva e sistematica vigilanza sulla consistenza del fenomeno?
Non è l’unico interrogativo spinoso: perché è rimasta lettera morta in Italia la circostanza che negli Stati Uniti (ma anche in Canada), tra i veterani della Guerra del Golfo, si sia riscontrata un’incidenza di SLA che ha indotto le Autorità di quel Paese a riconoscere la SLA come malattia connessa al servizio militare, e dunque come malattia indennizzabile, per tutti i veterani che hanno prestato servizio per più di 90 giorni? come mai l’Amministrazione della Difesa del nostro Paese non risulta aver svolto indagini e condotto studi sulla SLA tra i militari? E perché il Capo di Stato Maggiore della Difesa, pur chiamato dall’articolo 26, comma 1, lettera b), D.P.R. n. 66/2010 ad assicurare “i rapporti con le corrispondenti autorità militari degli altri Stati” - non risulta essersi informato sulle iniziative adottate in materia di rischi lavorativi dalle Autorità militari di altri Paesi?
Desta poi allarme la situazione dei teatri operativi all’estero. Anzitutto, la Commissione ha dovuto constatare l’esposizione, oltre all’uranio impoverito anche ad a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati. Singolare è, inoltre, la scarsa conoscenza, ammessa dagli stessi vertici militari responsabili del coordinamento delle missioni (COI: Comando operativo di vertice interforze), circa l’uso in tali contesti di armamenti pericolosi eventualmente impiegati da Paesi alleati. Illuminanti, tra le molteplici acquisizioni probatorie da parte della Commissione, sono, sotto questo profilo, le dichiarazioni rese il 15 marzo 2017 dal Col. Filippo Agosta, capodivisione JMED del COI:

RESIDENTE: Vorrei leggere al colonnello un passaggio della relazione del colonnello Pietro Lo Giudice, della divisione J4: «Il COI non dispone di comunicazioni o informazioni di uso di particolare munizionamento da parte dei Paesi e/o coalizioni che potrebbero avere utilizzato nei teatri oggetto di schieramento di truppe italiane». Lei conferma questo passaggio della relazione del colonnello Pietro Lo Giudice?.

Filippo AGOSTA. Lo confermo ampiamente.
Né può essere trascurata la testimonianza resa il 5 luglio 2017 dal Ten. Col. Medico Ennio Lettieri, per più anni in missione in Kosovo, l’ultima volta in qualità di direttore dell’infermeria del Comando KFOR, una base situata nella capitale, a Pristina:
«Appena sono arrivato in questa base di Pristina che si chiama Film City mi hanno subito fatto notare che era distribuita e venduta nei vari negozi, pizzerie o ristoranti un’acqua dal sapore molto particolare, ne discussi anche con il comandante della missione che attualmente è un generale italiano e quindi decisi di cercare qualcosa inerente alla composizione sia chimica che batteriologica di quest’acqua.
Innanzitutto all’occhio arrivò subito la provenienza di questa acqua, che era un’acqua kosovara, veniva distribuita sia in forma naturale che in forma frizzante e poi venduta nei ristoranti e nelle pizzerie. Provai a cercare le analisi riguardanti questa acqua e non trovai nulla negli archivi della mia infermeria, provai a chiedere al laboratorio di riferimento, che è un laboratorio tedesco, e mi dissero: «cerchiamo e poi ti richiamiamo e ti facciamo eventualmente avere una copia».
Ne parlai anche con il JMED, una figura estremamente importante perché è consulente per la parte sanitaria del comandante della missione, che è sempre tedesco e che mi disse: «ho già richiesto io le analisi di quest’acqua, appena arrivano ti faccio avere copia».
Dopo circa un mese (occorrono più o meno venti giorni per fare quel tipo di analisi) sono tornato nuovamente a batter cassa riguardo a queste analisi e lui fu molto evasivo, al che chiamai il laboratorio e il direttore del laboratorio mi rispose: «senza la sua autorizzazione (cioè l’autorizzazione del JMED tedesco) non ti posso fare alcun tipo di analisi, non ti posso rilasciare alcun tipo di referto». In quel momento ho deciso di farlo ufficialmente tramite la mail istituzionale del mio ufficio e a quella mail io non ho mai ricevuto risposta.
Sapendo di essere sulla strada giusta provai allora a contattare tutti i colleghi medici italiani che si erano avvicendati in quell’infermeria, con la speranza che qualcuno di loro avesse conservato copia di quelle analisi. Fortunatamente un collega che in quel momento era in Libano mi mandò le analisi che aveva conservato, che risalivano al 30 gennaio del 2015.
In quel referto è riportata la quantità di ione bromato dei campioni che hanno analizzato soltanto per la parte dell’acqua naturale, questa acqua dal nome Dea.
In pratica, la quantità di bromato di questi campioni eccedeva di circa dieci volte il massimo consentito, cioè, se la quantità di ione bromato è al massimo di 10 microgrammi su litro, nei campioni analizzati la quantità di ione bromato era dai 65 ai 97 microgrammi su litro.
Cercai immediatamente di contattare il nostro generale, che era in licenza ma al suo rientro subito ne parlai con lui, che fu ben contento di sentire di sentire quelle cose, perché anche a lui il sapore di quell’acqua non convinceva particolarmente, infatti mi riferiva che spesso e volentieri andava in bagno, a volte avvertiva anche un certo senso di nausea.
In accordo con lui io scrissi al mio diretto superiore, che era un colonnello irlandese, chiedendo di sospendere la distribuzione dell’acqua naturale DEA e a scopo cautelativo anche di quella frizzante, perché non avevo alcuna analisi riferibile a quel tipo di acqua, quindi in data 10 gennaio scrissi a questo colonnello chiedendo di ritirarla.
Lui stesso mi chiamò dicendomi: «forse ti sei sbagliato, perché le analisi che mi hai mandato sono del 30 gennaio 2015», ma io dissi: «no, non ho sbagliato, perché quello è il documento che sono riuscito a trovare», quindi erano quasi due anni che già si sapeva di quella sostanza all’interno dell’acqua e poi la conferma l’ho avuta da alcuni militari che stanno lì da uno o da due anni, che mi dissero che effettivamente era stata tolta e poi dopo qualche mese è stata reintrodotta sia in distribuzione che in vendita.
Lo ione bromato è un cancerogeno di classe 2 B, possibile cancerogeno per l’uomo, ma legandosi con il potassio forma il bromato di potassio, che è un cancerogeno puro. Non so per quale motivo poi quest’acqua (soltanto la naturale) fu sostituita da un’acqua croata nel giro di qualche giorno, che però riportava sull’etichetta che era un’acqua destinata esclusivamente all’esportazione in Kosovo».

1.3. Le scelte strategiche in materia di sicurezza sul lavoro nel mondo militare
Le criticità sono, e continueranno ad essere, alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme e da prassi adeguate. Restano immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale dell’Amministrazione della Difesa in una categoria di lavoratori deboli. Quelle scelte strategiche che per giunta umiliano i militari ammalati o morti per la mortificante sproporzione tra la dedizione dimostrata in attività altamente pericolose e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.
Si tratta di scelte strategiche che doverosamente, tra il 19 e il 20 settembre 2017, la Commissione d’inchiesta ha segnalato alle Autorità competenti, trasmettendo, in particolare, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché ai Ministri della Difesa, della salute, del Lavoro e delle politiche sociali, dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, la propria "Relazione sull'attività d'inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte" (c.d. Relazione Intermedia del 19 luglio 2017), “con la richiesta di voler fornire alla Commissione stessa ogni informazione, notizia, documento e chiarimento in ordine alle molteplici e gravi criticità rappresentate dalla predetta relazione, nonché in merito agli eventuali provvedimenti adottati al riguardo”.
La Commissione d’inchiesta prende atto che la Ministra della Salute ha trasmesso il 15 dicembre 2017 “i contributi di competenza di questo Ministero con l'auspicio che possano risultare utili ai fini di una maggiore comprensione della tematica in esame, sotto il profilo sanitario”, mentre la Ministra della Difesa ha espresso l’11 gennaio 2018 la “piena soddisfazione per il fatto che le interlocuzioni tenutesi in questi mesi, tra i rappresentanti di questo Dicastero e la Commissione, abbiano evidentemente contribuito alla definizione degli emendamenti proposti nella manovra di bilancio. In particolare mi riferisco alle modifiche approvate in materia di attività svolte nei Poligoni militari ed agli approfondimenti svolti per l'identificazione di potenziali misure per la migliore tutela del personale dell'Amministrazione della Difesa”, ha rilevato “come il documento offra una molteplicità di spunti di riflessione”, e rassicurato “sul fatto che le articolazioni competenti della Difesa hanno già avviato e proseguiranno un'intensa attività di disamina ed approfondimento di queste complesse tematiche, i cui esiti saranno tenuti nella massima considerazione da parte del Dicastero per la definizione delle appropriate azioni migliorative”.
A sua volta il Ministero dell’Ambiente e della tutela del mare, a firma del Direttore Generale per i Rifiuti e l’Inquinamento, con lettera del 10 gennaio 2018, ha segnalato l’esistenza di un ’’Protocollo d’intesa per la tutela ambientale ed attività esercitative militari”, peraltro risalente al 18 giugno 2015.
Due anni sono durate le sistematiche ed approfondite indagini da parte della Commissione d’inchiesta. Questi due anni di investigazioni a tutto campo sono valsi a riannodare in una trama unitaria i diversi fili scoperti, e, in particolare, hanno consentito di fare finalmente piena luce sugli otto meccanismi procedurali e organizzativi che oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti su militari e cittadini e nel contempo di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere.

1.3.1. Datori di lavoro sprovvisti di autonomi poteri decisionali e di spesa
La Commissione ha accertato che, nell’ambito delle Forze armate, i datori di lavoro designati a norma dell’articolo 246 D.P.R. n. 90/2010 sono generalmente sprovvisti di effettivi poteri decisionali e di spesa. Non a caso, il Generale Roberto Comelli, Capo del IV Reparto dello Stato Maggiore della Difesa, esaminato da questa Commissione il 7 giugno 2017, ha dichiarato: “Lo sappiamo bene che nell’ambito della nostra organizzazione non tutti i datori di lavoro sono dotati di autonomia finanziaria, ma coloro che non hanno questa disponibilità lo richiedono all’ente superiore, da cui gerarchicamente dipendono, e quindi rappresentano la loro esigenza”. Ed ha aggiunto di non essere in grado di “affermare che al datore di lavoro che avanzasse all'ente superiore questa domanda viene sempre garantita la copertura finanziaria”.
E ancora. La Direttiva SMD - L - 018, avente per oggetto «il coordinamento degli Enti tecnico/operativi della Difesa e il ricorso a Istituzioni esterne nel campo Chimico, Biologico, Radiologico e Nucleare (CBRN)», approvata dal Capo di Stato Maggiore della Difesa nel novembre 2006, prevede che, qualora sorga l'esigenza di valutare rischi con l'ausilio delle competenze specialistiche degli organi tecnico-operativi della difesa (come il CISAM e il CETLI), un datore di lavoro debba presentare una richiesta, e che questa richiesta viene accolta su esclusiva decisione del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Agevole è chiedersi: una funzione tipica del datore di lavoro quale la valutazione dei rischi è esercitata dal datore di lavoro formale o a ben vedere dal Capo di Stato Maggiore della Difesa?
Altro esempio. Con nota inviata dal COI (Comando Operativo di Vertice Interforze) allo Stato Maggiore della Difesa in data 16 settembre 2016, si comunicò la necessità di monitoraggi sulla salubrità dell'aria a Mosul, Erbil e Baghdad perché «nell'aria viene percepita la presenza maleodorante della ’combustione di rifiuti di materiale plastico», ad Atrush perché vi sono «residui provenienti da n. 2 raffinerie di petrolio nel raggio di 10 km», e a Mogadiscio perché vi sono «fumi da discariche limitrofe». Nell'esame testimoniale del 7 maggio 2017, il Ten. Col. Pietro Lo Giudice, Capo Divisione J4 del COI, ha riferito alla Commissione che, di tutte le richieste inviate allo Stato Maggiore della Difesa, ne erano state approvate soltanto due (le misurazioni di radon presso lo schieramento in area diga di Mosul e il controllo biologico in Kosovo). Legittimo chiedersi: in questo caso, una funzione tipica del datore di lavoro non è in realtà esercitata dal Capo di Stato Maggiore della Difesa? E quale autonomia possiedono i comandanti pur formalmente individuati come datori di lavoro se un organo superiore può bloccare l’effettuazione di monitoraggi ritenuti necessari dagli stessi datori di lavoro sui rischi per la salute e la sicurezza dei militari operanti nel loro sito?
Né, d’altra parte, risulta che, per esercitare il ruolo primario affidatogli dalla Direttiva SMD - L - 018, il Capo di Stato Maggiore della Difesa acquisisca elementi di valutazione quali:
- l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali nei siti militari interessati
- gli esiti delle visite ispettive
- relazioni periodiche sullo stato della sicurezza dei militari da organi quali Igesan e Segretariato generale della Difesa.
Sicché viene da chiedersi perché, invece di esercitare funzioni tipiche del datore di lavoro, il Capo di Stato Maggiore della Difesa non abbia assicurato ai datori di lavoro nominati i finanziamenti necessari per assolvere in autonomia ai loro compiti in materia di tutela della salute e della sicurezza del personale militare e civile delle Forze Armate.
E si resta costernati nell’apprendere dalla consulenza tecnica depositata dal Dott. Stefano Silvestri il 18 dicembre 2014 nell’ambito di procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Torino in merito all’esposizione ad amianto dell’equipaggio della Marina Militare, quanti marinai avrebbero potuto essere salvati, e non lo sono stati:
“È stata reperita una consistente documentazione tecnica relativa ad un materiale isolante prodotto in Italia già alla fine dell’800 senza alcun impiego di amianto che era idoneo alla coibentazione di tubolature, anche in ambito navale. Si tratta della Martinite, dal nome dell’azienda produttrice (Manifatture Martiny di Torino), che era stata impiegata per la coibentazione delle navi della Marina Militare Italiana costruite a cavallo del ‘900. In un depliant tecnico della Martiny si trova una lunga lista di navi:
• La nave “Varese” è stata costruita nel Cantiere Orlando di Livorno 1898 - 1901
• La nave “Dante Alighieri” a Castellammare di Stabia 1909 - 1913
• La nave “S.Giorgio” a Castellammare di Stabia 1905 - 1908
• La nave “Ferruccio” nell’Arsenale Militare di Venezia 1899 - 1902
• La nave “Marsala” a Castellammare di Stabia 1911 - 1914
• La nave “Nino Bixio” a Castellammare di Stabia 1911 - 1913
• La nave “Benedetto Brin” a Castellammare di Stabia 1899 - 1901
• La nave “Emanuele Filiberto” a Castellammare di Stabia 1893 - 1901
• La nave “Vittorio Emanuele” a Castellammare di Stabia 1901 - 1908
• La nave “Marco Polo” a Castellammare di Stabia 1890 - 1894
• La nave “Napoli” a Castellammare di Stabia 1903 - 1908
• La nave “Saint Bon” nell’Arsenale Militare di Venezia 1894 - 1901
• La nave “Enrico Dandolo” nell’Arsenale Militare di La Spezia 1873 - 1882
• La nave “Regina Margherita” nell’Arsenale Militare di La Spezia 1898 - 1904.
Nel dépliant tecnico reperibile presso la biblioteca comunale di Torino si trovano notizie circa le caratteristiche termoisolanti della Martinite comparabili, se non superiori, con quelle degli isolanti contenenti amianto, peraltro prodotti e commercializzati dalla stessa Martiny. Con la Martinite potevano essere prodotte le coppelle per l’isolamento di tubolature in ambito navale. Un articolo sul materiale è presente nella rivista Architettura del 1940 quando si trattano le problematiche dei materiali cosiddetti “autarchici”, cioè costruiti interamente in Italia con materie prime esclusivamente reperibili entro i confini nazionali, durante il periodo fascista. Le caratteristiche tecniche della Martinite sono riportate in un documento della ditta Martiny. In un certificato di controllo della ditta GMT (Grandi Motori Trieste) dell’1/6/1976, dove si mette a confronto la Martinite con la Capisolite (contenente amianto), l’analista Casadei conclude che da un punto di vista dell’isolamento termico i due materiali sono equivalenti. Un documento altrettanto importante proveniente dall’archivio personale del Consulente è rappresentato dalla certificazione di idoneità della Martinite da parte dell’UNAV, oggi scomparso, che era l’ente di unificazione in campo navale con gli stessi compiti dell’UNI L’UNAV dichiara la Martinite idonea per la costruzione di porte tagliafuoco con impiego navale. Il documento è del 1949. Non sono noti i motivi per i quali abbiano preso il sopravvento i materiali contenenti amianto rispetto alla Martinite ed in particolare nella Marina Militare italiana, visto che questo isolante era ben conosciuto, ma un fatto è certo: se fosse stato impiegato questo materiale al posto degli isolanti contenenti amianto si sarebbero risparmiate le centinaia di patologie asbesto correlate insorte tra i militari ed i civili dipendenti della Marina Militare di cui molte ad esito infausto.”
Una vicenda, questa, che:
- il Dott. Silvestri ha ribadito nell’audizione del 18 ottobre 2017 (“Se quindi questo tipo di coibente fosse stato sviluppato e avesse avuto dei rappresentanti più importanti di quelli dell'amianto perché la Martiny non era una multinazionale, forse si sarebbero risparmiate migliaia di vite, e non soltanto in Italia, però purtroppo chi vendeva l'amianto ha vinto, tant'è vero che poi la Martiny circa trent'anni fa ha chiuso”);
- vale a confermare quanto siano determinanti ai fini della tutela della salute dei militari le scelte strategiche di fondo dei vertici più che le occasionali iniziative di datori di lavoro sprovvisti di effettivi poteri decisionali e di spesa;
- fa comprendere quanto lungimiranti si rivelino gli insegnamenti della Corte di Cassazione:
“Occorre distinguere tra deficienze inerenti all’ordinario funzionamento dell’apparato e difetti strutturali, atteso che per questi ultimi permane la responsabilità dei vertici aziendali” (così, per tutte, Cass. 14 giugno 2017 n. 25732).
Le “scelte strategiche di fondo” - questa la linea-guida fissata dalla Corte Suprema - le “scelte gestionali di fondo”, le “carenze strutturali”, le “scelte di carattere generale di politica aziendale”, sono tutte riconducibili alla sfera di responsabilità dei “vertici aziendali”.

1.3.2. Ispettori “domestici”
In forza dell’articolo 13, comma 1-bis, D.Lgs. n. 81/2008, nei luoghi di lavoro delle Forze armate così come delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco, la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni.
Dunque, a differenza delle imprese private e delle altre imprese pubbliche, le Forze Armate (ma anche la Polizia di Stato e i Vigili del Fuoco) vantano una “giurisdizione domestica” destinata a ridurre il D.Lgs. n. 81/2008 al rango di una legge scritta sulla carta più che applicata e fatta applicare. Non basta, infatti, contemplare un apparato di organi preposti alla vigilanza sul rispetto delle disposizioni antinfortunistiche, se poi fa difetto un contesto organizzativo che di fatto valga a renderne incisiva l’azione.
Sorprendente, ma snidata dagli esami testimoniali e dai documenti acquisiti, è la diffusa disattenzione -attuale, si badi, e non risalente al passato- degli organi di vigilanza militari nei riguardi dei quattro fondamentali documenti programmatici della sicurezza previsti nel D.Lgs. n. 81/2008: dal DVR (Documento di Valutazione del Rischio) al DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali), dal PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) ai programmi di informazione-formazione dei lavoratori. Ed è facile rendersi conto che una simile disattenzione, e più in generale l’insufficienza e l’inadeguatezza dei controlli, si riverberano fatalmente sui comportamenti dei debitori di sicurezza.
L’azione degli organi di vigilanza “domestici” si è dimostrata insufficiente sia sul piano quantitativo, sia sul piano qualitativo.
Un caso eclatante per tutti.
In questi anni, nei teatri operativi all’estero, non è mai stata svolta attività di vigilanza, con l’unica singolare eccezione delle «addettanze» (fino al 2016, Vienna, Parigi, Berlino, Varsavia, Londra, Madrid). Con il risultato che i nostri soldati possono essere inviati in zone nelle quali non è stata effettuata una seria valutazione dei rischi. Un esempio si trae dalla testimonianza resa il 5 luglio 2017 dal Ten.Col. Medico Ennio Lettieri: la base italiana di Pristina in Kosovo a ridosso di “una centrale elettrica che ha due ciminiere denominate Kek 1 e Kek 2, dalle quali quotidianamente c’è un’emissione di fumo che rende l’aria estremamente irritante e potenzialmente dannosa”.
Il distinguo operato in sede di vigilanza tra “addettanze” e teatri operativi è troppo drastico e netto, per non apparire il frutto di un disegno preordinato a limitare i controlli alle “addettanze” (non a caso, a detta dello stesso Gen. Comelli, senza scoprire “situazioni di particolare gravità tali da determinare ammende o denunciare qualcuno”), e ad affrancare da imbarazzanti visite ispettive luoghi potenzialmente pericolosi quali i teatri operativi. Ed è spontaneo chiedersi come mai un disegno di tal fatta abbia potuto essere accettato dai vertici militari. Delle due l’una: o disinteresse o gradimento.
Eppure, l’esperienza dell’amianto dovrebbe far comprendere le pesanti ricadute della “giurisdizione domestica” sulla salute dei militari. Significativa è anche qui la consulenza tecnica depositata dal Dott. Stefano Silvestri il 18 dicembre 2014 nell’ambito di procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Torino in merito all’esposizione ad amianto dell’equipaggio della Marina militare e pervenuta su richiesta di questa Commissione:
“Tra i motivi che hanno contribuito al ritardo della messa in atto di provvedimenti per la prevenzione del rischio e che non hanno certamente giovato alla salvaguardia della salute del personale, vi è sicuramente quello dell’isolamento in cui operano le strutture militari, soltanto in parte dovuto al problema oggettivo della riservatezza con cui gli “affari militari” vengono trattati, per ragioni di sicurezza nazionale e delle stesse Forze Armate. Il problema dell’impossibilità di effettuare negli ambienti militari la vigilanza sull’applicazione delle norme di prevenzione da parte degli organismi tradizionalmente a ciò preposti si è presentato a suo tempo in modo molto simile anche nelle Ferrovie dello Stato, dove soltanto da pochi anni l’Organo di Vigilanza delle ASL può accedere negli ambienti di lavoro FS. Com’è noto, anche nel personale delle Ferrovie dello Stato si sono, e si stanno presentando, seri problemi per la salute dei dipendenti a causa dell’amianto. A questo proposito però occorre ricordare che con il D.P.R. n. 90/2010, entrato in vigore dal 9 ottobre 2010 è stata istituita una struttura di prevenzione, denominata Marivigilanza, alla quale è stato attribuito il compito di vigilare sull’igiene e la sicurezza nell’ambito di tutte le strutture della Marina Militare, ivi comprese le navi. L’attribuzione ha previsto la nomina di alcuni Ufficiali di Polizia Giudiziaria scelti tra i militari della Marina. È opinione dello scrivente che potranno insorgere inevitabili conflitti di interesse e comprensibili difficoltà per questi nuovi UPG nel momento in cui si troveranno a dover sanzionare o addirittura denunciare i loro stessi commilitoni con una ricaduta non certo positiva sull’applicazione delle norme e quindi del rispetto della prevenzione in generale.”

1.3.3. DVR e DUVRI omessi o inadeguati
La Commissione ha accertato che due documenti fondamentali come il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) e il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI) non hanno riscosso la dovuta attenzione da parte dei datori di lavoro militari, e ciò:
-senza che RSPP e Medici Competenti adempissero al loro obbligo di dissuadere i datori di lavoro da scelte magari economicamente seducenti, ma contrastanti con le esigenze di tutela della salute nei luoghi di lavoro;
-senza che gli ispettori “domestici” si preoccupassero d’impedire mediante le dovute notizie di reato al pubblico ministero e il rilascio di apposite prescrizioni ai contravventori l’indisturbata consumazione di violazioni penalmente sanzionate come DVR e DUVRI mancanti o inadeguati;
-e senza che in alcun modo i vertici dell’Amministrazione della Difesa si adoperassero per arginare scelte e violazioni tanto esiziali per la sicurezza.
Il fatto è che l’assenza, così come l’inadeguatezza del DVR e del DUVRI, rappresentano il metodo più efficace per stendere un velo tutt’altro che pietoso sull’esposizione del personale ai rischi incombenti nei siti militari in Italia e all’estero, e nel contempo per mantenere un lugubre silenzio sulla mancata adozione delle misure di prevenzione e di protezione.
Si comprende a questo punto che la diffusa inosservanza degli obblighi inerenti alla valutazione dei rischi -lungi dal costituire un inadempimento meramente formale e lungi dal rappresentare un fenomeno casuale- risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive.
Un’ulteriore conferma si trae dall’esame dell’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Comandante del COI (Comitato Operativo Interforze), irremovibile in data 23 febbraio 2017 nel dichiarare che nei teatri operativi all’estero non sarebbe doverosa una stretta osservanza dell’obbligo di valutazione dei rischi. Una dichiarazione palesemente contrastante, non solo con le norme generali degli articoli 17, comma 1, lettera a), e 28 D.Lgs. n. 81/2008, bensì anche con la stessa norma specifica dettata dall’articolo 255 D.P.R. n. 90/2010, intitolato “Valutazione dei rischi”, ed esplicito nel mantenere fermi “gli obblighi del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 81 del 2008, ai fini della valutazione dei rischi nelle attività e nei luoghi di lavoro dell'Amministrazione della difesa”, senza dunque operare alcun distinguo tra attività svolte in territorio italiano ovvero all’estero. Ma una dichiarazione resa dal comandante di un basilare organismo facente capo allo Stato Maggiore della Difesa, e una dichiarazione che vale a spiegare le carenze rilevate dalla Commissione nelle valutazioni dei rischi presso i siti operativi all’estero.
Al riguardo, paradigmatico è il caso della missione italiana nell’ambito dell'operazione NATO Joint Enterprise, in Kosovo. Nei documenti forniti, il comandante della missione esplicitamente afferma che non sono previste “le specifiche figure per costituire il servizio di prevenzione e protezione dai rischi statuito dal D.Lgs. 81/08” e che le Superiori Autorità “non hanno mai disposto, in base al comma 4 dell'Articolo 253 del D.P.R. 90/2010, le modalità con cui dare attuazione al D.Lgs 81/80 nel corso di operazioni e attività condotte dalle Forze Armate al di fuori del territorio nazionale”.
Consideriamo la missione italiana nell’ambito dell'Operazione NATO Joint Enterprise, in Kosovo. Nei documenti forniti, il comandante della missione esplicitamente afferma che non sono previste “le specifiche figure per costituire il servizio di prevenzione e protezione dai rischi statuito dal D.Lgs. 81/08”, e che le Superiori Autorità “non hanno mai disposto, in base al comma 4 dell'articolo 253 del D.P.R. 90/2010, le modalità con cui dare attuazione al D.Lgs 81/08 nel corso di operazioni e attività condotte dalle Forze Armate al di fuori del territorio nazionale”.
Del pari significativa è la testimonianza resa il 5 luglio 2017 dal Ten.Col. Medico Ennio Lettieri, per più anni in missione in Kosovo, l’ultima volta in qualità di direttore dell’infermeria del Comando KFOR, una base situata nella capitale, a Pristina:
“Per quanto riguarda la sorveglianza, se parliamo di sorveglianza sanitaria noi ci rifacciamo al Testo 81, quindi dovremmo avere all’interno delle nostre basi un DVR, un Documento di valutazione dei rischi, da quanto so io non esiste nessun documento di valutazione dei rischi e quindi, se non c’è una valutazione del rischio, non si può stabilire quali sono i soggetti che devono entrare in sorveglianza sanitaria. Io delle sei missioni che ho fatto in tre Stati (Afghanistan, Libano e Kosovo) non ho mai visto un DVR, essendo medico competente anche della caserma è una delle prime cose che vado a controllare, però non c’è niente. Sono però a conoscenza del fatto che nella base di Mosul quando ero in Kosovo, nel periodo gennaio 2016-gennaio 2017, è stata iniziata la stesura di un DUVRI da parte di un nostro generale, che aveva chiesto ausilio a un collega che mi chiese da dove partire per la stesura di un DUVRI”.
E’ il caso di aggiungere che il datore di lavoro deve -dovrebbe- valutare tutti i rischi, ivi compresi “i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti «rischi generici aggravati», legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta” (Interpello della Commissione Interpelli istituita presso il Ministero del Lavoro n. 11 del 25 ottobre 2016).

1.3.4. RSPP e MC tra inerzie e note di linguaggio
Due sono i caposaldi dell’impresa sicura nel disegno del D.Lgs. n. 81/2008: anzitutto, il potere, ma anche le competenze, personificate dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e dal Medico Competente (MC).
Si tratta di figure di fondamentale rilievo. A proposito dell’RSPP, la Corte di Cassazione rileva che “la violazione dei doveri di prevenzione e di informazione facenti carico al RSPP è riconducibile ad una ambigua (e quindi carente) dizione riguardante le misure prevenzionali da adottare in relazione alla valutazione del rischio specifico”, e che “il tenore generico della prescrizione contenuta nel DVR predisposto dall’RSPP non assolve all'obbligo di individuare in maniera specifica e puntuale le misure di prevenzione e protezione da adottare nel caso concreto”. Spiega che l’RSPP è tenuto ad indicare “la necessità di adempimento dell'intervento in termini di cogenza, urgenza, indifferibilità data l'incombenza del rischio oggetto di valutazione e prevenzione”, e “ad adempiere all'obbligo di valutazione e prevenzione del rischio in conformità alle previsioni normative in materia, formulando specifiche e tassative prescrizioni tecniche vincolanti per tutti i soggetti destinati ad operare nella struttura aziendale, a prescindere dalle specifiche conoscenze e capacità dei singoli operatori”. Ritiene che il datore di lavoro non possa “ignorare una specifica indicazione proveniente dal RSPP (e se lo fa ne risponderebbe in via esclusiva)” (così, ad es., Cass. 7 settembre 2017 n. 40718).
Del pari determinante è l’apporto del MC. Insegna, infatti, la Corte di Cassazione che “l'espletamento dei compiti da parte del medico competente comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato ad un ruolo meramente passivo in assenza di sollecitazione da parte del datore di lavoro”.
Nella prospettiva segnata dal D.Lgs. n. 81/2008 e dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, assumono un peso determinante, anzitutto, al minimo, la presenza dell’RSPP e del MC, ma anche la loro professionalità e autonomia: la professionalità, indispensabile per fornire al datore di lavoro indicazioni ispirate dall’accreditato sapere scientifico e tecnologico sui rischi specifici e sulle appropriate misure cautelari; e l’autonomia, altrettanto irrinunciabile per instaurare con il datore di lavoro una dialettica senza sconti di alcun genere e per sollecitare l’adempimento degli interventi preventivi “in termini di cogenza, urgenza, indifferibilità”.
Nel mondo militare, RSPP e MC sono figure realmente preparate e autonome?
Un primo dato posto in luce dagli accertamenti della Commissione fa sensazione: in alcuni siti, RSPP e/o MC sono risultati addirittura assenti. Già si è evocata la missione italiana nell’ambito dell'operazione NATO Joint Enterprise, in Kosovo. Nei documenti forniti, il Comandante della Missione esplicitamente afferma che non sono previste “le specifiche figure per costituire il servizio di prevenzione e protezione dai rischi statuito dal D.Lgs. 81/08”, e che le Superiori Autorità “non hanno mai disposto, in base al comma 4 dell'articolo 253 del D.P.R. 90/2010, le modalità con cui dare attuazione al D.Lgs 81/08 nel corso di operazioni e attività condotte dalle Forze armate al di fuori del territorio nazionale”. Nel documento, sono riportate due missive (una dell’aprile, l’altra dell’ottobre 2016) inviate dal comandante della missione al COI nelle quali si chiede conto di come egli debba affrontare il problema, evidenziando che “la nota assenza organica e di fatto in T.O. di tutte le figure professionali previste dalla normativa in materia, determinerebbe l'impossibilità di dar seguito, nei modi e nelle forme obbligatori per legge, a quelle attività rese cogenti dalle clausole contrattuali per appalto di lavori e/o fornitura di servizi che espressamente richiamano detta normazione”.
Altro esempio: nel Documento di Valutazione dei Rischi della Task Force Air di Al Minhad risultano “da nominare” i ruoli di RSPP e medico competente.
Significativa è, del resto, la dichiarazione resa il 25 gennaio 2017 dal capodivisione JMED del Comando operativo di vertice interforze (COI) Col. Filippo Agosta con riguardo ai teatri operativi:

PRESIDENTE. Ci sta dicendo che mancano i medici competenti?

Filippo AGOSTA. Sì, mancano i medici competenti. Per quello stiamo cercando di ovviare.
In altre situazioni, i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e i Medici Competenti, pur presenti, non hanno saputo o potuto offrire un contributo adeguato.
Tipico il caso del medico competente del poligono di Cellina Meduna:
“Svolgo le funzioni di medico competente per il Comando 132a Brigata Corazzata «Ariete», il reparto comando della 132a Brigata «Ariete», il 132° Reggimento Artiglieria di Maniago, il Reggimento logistico di Maniago e il Comando del centro sportivo «La Comina» di Pordenone. Sono tutti enti militari. Al momento sono anche medico competente dell’11° Reggimento bersaglieri di Orcenico Superiore.
I miei incarichi istituzionali sono nell’ordine: dirigente del Servizio sanitario del Reparto comando e supporti tattici «Ariete» e della 132a Brigata Corazzata «Ariete». Sono anche medical advisor del Comando 132a Brigata «Ariete» e, quindi, consulente del comando della 132a Brigata Corazzata”.
Quanto agli obblighi spettanti al MC, ivi incluso l’obbligo della visita “almeno” una volta all’anno di tutti gli ambienti di lavoro imposto al MC dall’articolo 25, comma 1, lettera i), D.Lgs. n. 81/2008, ecco le ammissioni-confessioni del MC del Poligono di Cellina Meduna:
“Faccio annualmente il sopralluogo periodico sui luoghi di lavoro insieme all’RSPP, al comandante e ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Lo faccio annualmente. Poi, se necessario, posso aumentare la frequenza.

PRESIDENTE. In che cosa consiste questa visita annuale?
MC. Consiste nel recarmi dove il datore di lavoro, attraverso il suo collaboratore principale di lavoro, che è l’RSPP, mi dice di recarmi al fine di valutare insieme, concordemente, in armonia con quello che loro hanno già valutato, e dare un contributo da parte del medico competente a questa valutazione degli ambienti di lavoro, con riferimento ai fattori di rischio, se ve ne sono, al fine di redigere poi quello che può essere un programma di sorveglianza sanitaria. Il programma di sorveglianza sanitaria è il protocollo sanitario. Per quanto riguarda il Poligono di Cellina Meduna, non ho collaborato in maniera diretta su questo tipo di territorio. Io vado dove mi dicono di andare. Non faccio nulla di più. Se poi mi dicono «Vai a vedere questo sito, vai a vedere quella infrastruttura», considerando che ho tanti reparti, vado dove mi dicono di andare. Poi, se c’è una problematica da affrontare e analizzare, eventualmente do il mio contributo. Io mi faccio parte proattiva nel momento in cui mi pongono un problema. A quel punto devo per forza entrare in gioco, diciamo. Certo che il carico di lavoro è importante. Non dico che è troppo, però è importante, questo sicuramente”.

PRESIDENTE. Ha mai richiesto al ReNaM i casi di mesotelioma insorti tra i militari operanti nel vostro ambito?

MC. No.

PRESIDENTE. Ha avuto modo di denunciare la presenza di malattie professionali?

MC: Per quanto riguarda la malattia professionale, al momento non ho denunciato. Ho fatto semplicemente la non idoneità alla mansione permanente.

Mauro PILI. Ha mai sentito parlare di torio nel poligono di Cellina Meduna?

MC. Ho sentito parlare di torio nel poligono di Cellina Meduna negli ultimi mesi, nell’ultimo periodo di convocazione, adesso che sono stato qui convocato.

Mauro PILI. Lei ha detto prima che ha fatto dei sopralluoghi in tutte le aree.

MC. Sì, chiamiamoli sopralluoghi, ma, in realtà, vado lì non per fare dei sopralluoghi. Vado lì, poi ci sto, li conosco questi posti, questi siti dove si spara nei poligoni nella linea di tiro, però non nei termini della valutazione di determinati fattori di rischio, se non di quelli specifici della linea di tiro, delle piazzole, ma non certamente nei termini in cui un fattore di rischio mi viene presentato in un DVR. Mi dicono: «Dottore, che cosa significa questo fattore di rischio?» Questo è.

Mauro PILI. Lei è stato mai in questo poligono nelle aree di bersaglio personalmente? Ha mai svolto un sopralluogo?

MC. Nelle aree di bersaglio sono andato dieci giorni fa per la prima volta. Sono andato perché ero stato convocato il 5 dicembre.

Mauro PILI. Quindi, lei non si è occupato delle precauzioni adottate dal personale che è andato a prelevare il torio in quest’area di tiro?

MC. No, nessuno mi ha mai detto, ma proprio neanche da lontano... Io non posso... non sono una figura che può.

PRESIDENTE. Mi pare di capire dalle risposte che sta formulando alle domande molto pertinenti del collega Pili che lei innanzitutto non fosse, se non da qualche mese a questa parte, a conoscenza dell’esistenza del torio in quel poligono e che, in ogni caso, lei ritenga che questa eventualità non fosse di sua competenza. È così?

MC. Certo, sì. Alcuni mesi fa sono venuto a conoscenza di un’informazione sugli organi di stampa, ma voglio sottolineare in maniera forte questo aspetto: il medico competente. io lo sono per questi enti, poi ci sono, possono essere tantissime infrastrutture. Un territorio di migliaia di ettari. chi conosce prima di me i determinati fattori di rischio mi deve dire dove sta il problema e mi deve portare all’attenzione un determinato problema. Mi devono dire: «Questo adesso valutiamolo insieme». Io posso essere un organo consultivo. Poi, nel momento in cui mi sottopongono all’attenzione quel problema, allora divento [incomprensibile]. Questo è importante.
Non mancano purtroppo le contraddizioni, come a proposito degli idrocarburi policiclici aromatici, noti cancerogeni:

PRESIDENTE. Lei ha avuto occasione di rilevare un rischio di esposizione certa o probabile o comunque possibile ad agenti cancerogeni, mutageni o teratogeni?

MC. No.
Ma poi:

MC. Per scrupolo, faccio eseguire il monitoraggio biologico al personale che è in officina e agli operai del deposito carburanti, che comprende i metaboliti urinari degli idrocarburi policiclici aromatici l’acido ippurico, l’acido trans-muconico.
A sua volta, il MC del Poligono di Capo Teulada ha rivelato alcune lacune.

MC. Sono a conoscenza della presenza dell’amianto in una parte della base, ma non è una parte della base frequentata dai nostri dipendenti.

PRESIDENTE. È frequentata?

MC. Non è una parte della caserma dove viene svolta un’attività lavorativa da parte del personale effettivo della caserma. Sono degli hangar, che esistono da sempre, sicuramente da prima che arrivassi io, che non vengono utilizzati dal personale che lavora a Capo Teulada.

PRESIDENTE. Lei ha, quindi, ritenuto che questo fatto non costituisse di per sé un potenziale pericolo per la salute dei lavoratori.

MC. Considerata la distanza. Abbiamo valutato che non c’è un rischio in questo senso. Non ci lavora nessuno. Questa è la risposta. Non ci lavora nessuno. Esistono. Sicuramente, sono supervisionati. Sicuramente, ci andrà qualcuno, ma non ci vanno.

PRESIDENTE. Si è mai occupato dello stress lavoro-correlato?

MC. No.

PRESIDENTE. Come mai?

MC. Non l’abbiamo valutato.

PRESIDENTE. Se la Commissione fosse nella condizione di poterla aiutare a risolvere i problemi che lei ha trovato e trova nell’esercizio delle sue funzioni, che cosa chiederebbe alla Commissione? Che tipo di interventi chiederebbe? Scusi, dottore, noi abbiamo capito che ci sono molte cose che purtroppo non vanno bene. Ci siamo anche fatti l’idea che questo non sia accaduto per sua colpa. Probabilmente, anzi certamente, l’ingranaggio non funziona. Dialetticamente, allora, forse la cosa migliore da fare è chiederle che cosa le piacerebbe che la Commissione facesse affinché lei possa essere posto nella condizione di fare bene, come vorrebbe e sa fare, il suo lavoro.

MC. Io penso che l’incarico di medico competente debba essere un incarico esclusivo. Questa è la mia risposta.

Anche la testimonianza resa il 5 luglio 2017 dal Ten.Col. Medico Ennio Lettieri, per più anni in missione in Kosovo, l’ultima volta in qualità di direttore dell’infermeria del Comando KFOR, una base situata nella capitale, a Pristina, ha suscitato l’interesse della Commissione:

Ennio LETTIERI. Ho avuto un paziente che è andato in insufficienza renale, tra l’altro era anche un paziente con un trapianto di rene, cioè avevamo in teatro operativo una persona che forse aveva eluso i controlli sanitari ed era arrivato lì con un rene....

PRESIDENTE. Quindi, colonnello, ci sta dicendo che c’era nel teatro operativo un militare che aveva subìto il trapianto di un rene, giusto?

Ennio LETTIERI. Sì, circa cinque anni prima. Rimpatriato con priorità 1 prima al Celio e poi al Policlinico Tor Vergata, fortunatamente nel giro di qualche giorno di ricovero hanno iniziato immediatamente un trattamento dialitico e sono riusciti a salvare il rene funzionante, però era un paziente estremamente critico che io come direttore di un’infermeria piccola non potevo assolutamente gestire, quindi l’abbiamo mandato all’ospedale tedesco che è abbastanza attrezzato tranne che per dialisi, perché non ci si aspetta di avere un paziente simile in teatro operativo, né nelle forze...

PRESIDENTE. Immagino che lei non sapesse che questo militare avesse subìto il trapianto del rene...

Ennio LETTIERI, Ten. Col. Medico. No, non lo sapevo, l’abbiamo appreso con un escamotage perché lui aveva un polmone che non funzionava, era estremamente dispnoico, aveva un’importante difficoltà respiratoria, quadro clinico che non tornava né a me, né alla collega che era con me, quindi ci doveva essere qualcosa in più rispetto a quello che ci aveva raccontato, ossia questa specie di asma. Con un escamotage siamo riusciti a farci dire che aveva subìto questo intervento, giustamente era reticente perché sapeva che dando un’informazione del genere io avrei immediatamente richiesto un’evacuazione in priorità 1, per evitare che perdesse l’unico rene funzionante o addirittura morisse, perché era in pericolo di vita, quindi qualcosa bisognava fare. Quello che è inspiegabile è come abbia potuto entrare in teatro operativo un militare che aveva subìto un trapianto di rene, così come un altro che mi hanno riferito poco tempo fa con un bypass gastrico, condizioni cliniche incompatibili con una missione all’estero, dove un soldato deve essere pronto in qualsiasi momento a scappare e a fare tutte le attività connesse a un servizio operativo, e un soggetto con un bypass gastrico o un’insufficienza renale mi sembra difficile che possa partecipare attivamente a un servizio operativo.

Paolo COVA. Da medico, a un esame obiettivo generale, guardando un militare che parte per una missione, si riesce o non si riesce a capire che è stato trapiantato?

Ennio LETTIERI. Sì, il trapianto di rene viene fatto in fossa iliaca, quindi anteriormente, e la prima cosa che si fa è far spogliare...

Paolo COVA. Perché si può dire che c’è un militare che è reticente, ma, dato che in questi mesi ci è stato detto che tutti i militari vengono sottoposti a visite e a controlli prima di partire, immagino che questo militare sia stato sottoposto almeno a una visita, a un esame obiettivo generale.

Ennio LETTIERI. No, perché io ho chiesto al nefrologo che ha preso quel paziente e gli ho detto: «mi verifichi chi ha fatto l’idoneità a questo signore?» e lui mi ha risposto: «non ce l’ha l’idoneità», quindi è stato bypassando il Servizio sanitario militare.

Paolo COVA. Vuol dire che è partito senza avere una visita?

Ennio LETTIERI. Certamente. È impossibile che un medico non si sia accorto di una cosa simile.

Paolo COVA. O non ha fatto la visita o è impossibile...

Ennio LETTIERI. Non l’ha fatta. Le dico questo che chiarisce il concetto di come funziona la nostra idoneità: io ho preparato 8-9 contingenti, viene fatta una lista che si chiama Attacco e viene data al medico. Il medico comincia a fare le sue visite, i suoi prelievi, prende i precedenti, se viene da un altro reparto chiede la cartella clinica all’altro reparto, quindi è un requisito necessario per poter partire, a meno che chi vuole farci partire non firma e sottoscrive che può partire, indipendentemente che abbia o meno l’idoneità sanitaria, altrimenti non mi spiegherei questo, non mi spiegherei il bypass gastrico, non mi spiegherei chi attualmente in teatro (me l’hanno confermato i colleghi che sono in Libia) ha un indice di massa corporea superiore a 30, però ci sono, quindi come hanno fatto? Chi vuole farli partire quindi li fa partire lo stesso, indipendentemente che ci sia il requisito di idoneità sanitaria, e si immagina poi tutte queste persone che eventualmente hanno dei problemi in teatro quando rientrano che cosa fanno per prima cosa? Chiedono la causa di servizio, però io non posso stabilire se lo ha contratto lì o era una condizione preesistente alla partenza.

Maria Chiara CARROZZA. Posso capire che qualcuno sfugga ai controlli e riesca a partire anche quando non dovrebbe, quello che non capisco è se lei come responsabile medico (non ricordo esattamente la qualifica) o chi ha questa funzione abbia accesso alle cartelle cliniche di tutti quelli che vengono... Se qualcuno viene durante la missione a farsi visitare, lei dovrebbe avere la possibilità di guardare la cartella clinica e dire che è congruente o non è congruente, e questa è la prima cosa, quindi c’è qualcosa che non funziona anche nella procedura per attivare il monitoraggio, perché ora con la cartella clinica elettronica dovrebbe essere semplice questo percorso...

Ennio LETTIERI. Dovrebbe essere più che altro immediato, tanto è vero che quando io sono arrivato ho chiesto e ottenuto con un altro collega d’arma di verificare all’arrivo di tutto il personale italiano le vaccinazioni e le idoneità, all’inizio ci sono riuscito, poi mi hanno bypassato.

Maria Chiara CARROZZA. Avendo la responsabilità della salute, chi ha queste funzioni deve avere accesso alle cartelle cliniche, alle vaccinazioni e a tutto quanto.

Anche gli RSPP esaminati dalla Commissione hanno palesato seri limiti nello svolgimento della propria attività. Partiamo dal caso dell’RSPP presso lo stabilimento militare munizionamento terrestre di un territorio come quello di Baiano di Spoleto: sentito in data 12 aprile 2017, egli non ha saputo spiegare perché il DVR non contenesse alcuna valutazione della vulnerabilità sismica dei fabbricati e degli impianti. E ancora, a proposito di un incidente accaduto il 22 dicembre 2016 nello stabilimento di Baiano di Spoleto, egli ha dichiarato:

RSPP. In questo caso, per quanto riguarda quella tipologia di attività (parliamo dell’allestimento della bomba a mano MF 2000, che ormai è partita prima in via sperimentale e poi in via definitiva), prima dell’evento abbiamo costruito circa 80.000 bombe a mano, con una linea di assemblaggio approvata anche dalle autorità superiori in questo caso. Certamente il mio ruolo in quel momento e anche oggi non è quello di stabilire una linea di lavorazione, perché non ho competenza in merito, ma chi ha costruito la bomba sulla base della sperimentazione precedente ha anche acquisito elementi per la tutela dei lavoratori in base ai rischi a cui erano esposti. Per quale motivo sia successo l’evento non compete a me stabilirlo, la magistratura dovrà fare il suo corso con i pareri di parte.

PRESIDENTE. Lei è al corrente che il vostro DVR è datato, è fermo al 2010 e non avete fatto le integrazioni a mente del decreto legislativo n. 39 del 2016?

RSPP. L’ultimo è stato firmato mi sembra nel 2015.

PRESIDENTE. No, quello che ci avete mandato è del 2010 e, come lei ben sa, nel 2016 è intervenuto il decreto legislativo n. 39, che comporta degli adempimenti. Quindi avete il DVR indietro di circa sette anni. Quindi le raccomandiamo vivamente di procedere con immediatezza alla sistemazione del tutto.

PRESIDENTE. Noi la informiamo che il Milan contiene del torio, quindi sarebbe stato, sarebbe e sarà indispensabile che di questo si tenesse conto nella gestione della sicurezza all’interno dello stabilimento. Lei sa che lo stabilimento è stato realizzato in una zona sismica 1?

RSPP. So che è una zona sismica, ma non ero a conoscenza che fosse zona sismica 1.

Utile è anche prendere in considerazione le dichiarazioni dell’RSPP di Capo Teulada:
“Fino ad oggi, mi sono interessato prevalentemente dei cosiddetti rischi tabellati, quelli da mansioni lavorative, come uso sempre dire: da mansioni realmente svolte. Uno, infatti, potrebbe avere un incarico, ma svolgerne un altro, quindi uso questa terminologia. Mi riferisco ai lavori classici di officina, di falegnameria, di elettricista, di muratore e così via. Vi ringrazio, invece, perché ho appreso nella giornata di oggi che esistono altre tipologie di rischio, come quello più volte nominato delle nanoparticelle. Vorrei, però, aggiungere che per questo abbiamo colto la palla al balzo e, vista la disponibilità dell’Università di Cagliari, abbiamo subito approfittato e tracciato delle linee collaborative, che proseguono”.
Dove emerge il ruolo di formatore svolto in supplenza dalla Commissione d’inchiesta, peraltro necessariamente circoscritto agli RSPP esaminati. Ma l’RSPP di Capo Teulada ha aggiunto una considerazione di ordine economico:

PRESIDENTE. Sono stati individuati rischi associabili all’amianto nel poligono?

RSPP. Sì. A questo proposito, siccome ero presente alla domanda che avete rivolto al comandante, cercherò di spiegare un po’ meglio. All’interno della base siamo riusciti a smaltire per intero tutto l’amianto che c’era, per intero, attraverso le ditte specializzate. Quanto all’hangar, invece, che si trova a qualche chilometro dalla base, la copertura non è comunque in fase di sfaldamento. Non lo dico io, ma il tecnico del CETLI, che è venuto, e io ero presente. Ha preso dei campioni, li ha fatti analizzare e ha stabilito che le condizioni attuali ci permettono di «respirare», cioè abbiamo del tempo utile prima di provvedere allo smaltimento. Se non ricordo male, chiedemmo un preventivo di spesa, e 2.000 metri quadri è una bella botta. Ci parlarono, se non ricordo male, di due anni e che poi sarebbero venuti a ricontrollarlo, prima di provvedere....

È stato esaminato pure l’RSPP del poligono di Salto di Quirra:

RSPP. I rischi che richiedono un approfondimento e che stiamo ancora approfondendo, in collaborazione con il medico competente e con l’Università degli studi, sono legati a tutte quelle attività che vengono svolte durante le esercitazioni nell’aree del poligono a terra. Infatti, a seguito dei provvedimenti e dei noti avvenimenti della procura, praticamente dal 2011 non abbiamo più svolto attività. Adesso stiamo effettuando una serie di analisi, di controlli e di monitoraggi dell’evoluzione di tutti quei fenomeni che possono essere nocivi o dannosi per la salute dei lavoratori.

PRESIDENTE. Non ho capito quali mansioni svolgono le persone che a suo giudizio sarebbero più esposte ai rischi professionali.

RSPP. Le mansioni più esposte al rischio professionale sono quelle normali. Su due piedi è difficile dirlo. Comunque, non ci sono rischi elevati; sono tutti rischi per la sicurezza bassi. Non ci sono casi eccezionali tali da attirare grosse attenzioni, sono tutti rischi bassi per la sicurezza.

Elementi contraddittori o lacunosi affiorano anche a proposito delle esercitazioni:

PRESIDENTE. Il documento di valutazione dei rischi (DVR) del poligono del Salto di Quirra consta di quasi 9.000 pagine. Purtuttavia, in queste 9.000 pagine non viene valutato il rischio derivante dalle esposizioni ad agenti chimici e fisici che vengono dispersi nell’ambiente durante le esercitazioni a fuoco. Come spiega lei una carenza così clamorosa?

RSPP. Personalmente non la considero una carenza. L’attività del poligono è ferma dai primi mesi del 2011, da quando è iniziata l’indagine della procura. C’è da dire una cosa: non c’è nessun lavoratore del poligono che segue, all’interno della cornice di sicurezza che l’utente comunica al poligono...Mi spiego meglio, facendo un preambolo un po’ più vasto. L’utente, ovvero il terzo che utilizza le aree del poligono per svolgere la propria attività, che può essere sperimentale o addestrativa, e richiede l’utilizzo delle aree, deve produrre al poligono la documentazione di sicurezza prevista: delle schede di sicurezza integrate e lo studio di distribuzione nell’ambiente delle emissioni prodotte in seguito all’attività da svolgere. Queste analisi sono validate dall’Istituto superiore della sanità e corredate da una valutazione della nostra direzione generale della sanità, ai fini dell’esclusione di eventuali pericoli per l’incolumità pubblica derivanti dall’esposizione ad agenti chimici presenti nell’area o comunque prodotti dall’attività. Questo documento viene presentato. Comunque, prima di avere l’autorizzazione a svolgere l’attività, come estensione dell’articolo 26 della legge n. 81, viene fatto un coordinamento sulla sicurezza, in cui l’utente ci fornisce tutti i dati relativi a questi fattori. Contemporaneamente, fornisce anche le cornici di sicurezza, ovvero le aree di sgombro da applicare, al di fuori delle quali il rischio per la sicurezza è praticamente nullo. Queste vengono applicate. In assenza di questi atti, l’attività dell’utente non viene autorizzata e non viene svolta. Dal 2011, quando sono iniziate le indagini, ci sono state soltanto due attività nel corso di quest’anno. Praticamente l’assenza di questa analisi di rischio è dovuta proprio all’assenza di attività. Io non posso fare a priori una valutazione, perché non so cosa useranno. Quando so cosa usano e qual è l’impatto sull’ambiente o sulla salute posso redigere qualcosa.

PRESIDENTE. Credo che in un poligono, che per definizione è la sede in cui si svolgono esercitazioni a fuoco, questo tipo di previsione debba essere assolutamente presente. Questa considerazione, colonnello, mi rimanda a una relazione dei nostri esperti, che tratta il contenuto relativo ai DVR messi a disposizione della Commissione, quello di Perdasdefogu (Salto di Quirra) e quello di Capo San Lorenzo. Noi stiamo parlando del primo. Il primo documento contiene per l’esattezza (abbiamo finalmente il numero esatto) 8.857 pagine. Oltre ad avere un numero di pagine sicuramente elevato, questo documento risulta essere di difficile lettura, in quanto mancante di un indice. Non si tratta di un documento organico e strutturato, ma di un documento stratificato nel tempo. Chi dice queste cose, colonnello, è il presidente della precedente Commissione d’inchiesta, il senatore Costa, che, nella sua relazione del 9 gennaio 2013, scriveva a proposito di questo documento che «la documentazione non è presentata in maniera organica, armonica e integrata e, di conseguenza, non è di semplice approccio valutativo». Non pare, quindi, rispettato l’ultimo capoverso dell’articolo 28, comma 2, del decreto legislativo n. 81, che, come lei ben sa, stabilisce che la scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione.

Senza risposta è poi rimasta un’ulteriore lacuna:

PRESIDENTE. Dall’esame del registro degli esposti ad agenti cancerogeni, colonnello, si ricava che sono state individuate le seguenti esposizioni ad agenti cancerogeni: polveri di legno duro per i falegnami, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) per i manutentori delle centrali termiche, naftalene per gli addetti al rifornimento carburanti aerei e benzene per gli addetti al rifornimento benzina autotrazione. Come spiega, quindi, colonnello, che il documento di valutazione dei rischi cancerogeni difetti di una valutazione dell’esposizione a naftalene e IPA, che la valutazione del benzene sia stata effettuata con una metodica non standardizzata e che le polveri di legno duro siano state determinate solo per il distaccamento di Capo San Lorenzo? Lei non era al corrente di queste cose, colonnello?

Lacune si affacciano anche dall’esame dell’RSPP del poligono di Capo San Lorenzo:

PRESIDENTE. Vorremmo anche una valutazione specifica del rischio di esposizione a cancerogeni per il personale di officina e di rifornimento carburante. Lei si impegna a farcelo pervenire e a segnalare questa carenza, in maniera che possa essere integrato in questi termini? Per noi, è importante che lei segnali questa carenza.

RSPP. Sì, mi impegno, ma questa valutazione ritenevo di averla fatta. Magari non è articolata...

PRESIDENTE. Adesso, però, siamo più tranquilli che nel documento della valutazione dei rischi, grazie a ciò che lei potrà rappresentare in quanto responsabile RSPP, ci potrà essere quest’integrazione. [...] In rapporto alle attività svolte all’interno del poligono dagli esercitati, come viene garantita la sicurezza con riguardo ai rischi cosiddetti interferenziali? Viene elaborato il DUVRI?

RSPP. Viene redatto un verbale di interferenze tra noi, che ospitiamo gli utenti - per noi, gli esercitanti sono utenti - e gli esercitanti. Ci interfacciamo con il loro responsabile, gli diciamo quali sono i rischi all’interno dell’area in cui vanno a operare e facciamo questo.

PRESIDENTE. Il cosiddetto documento unico di valutazione dei rischi di interferenze, il DUVRI? È questo?

RSPP. Lo chiamiamo verbale di coordinamento. Sì, è questo, perché non c’è.

PRESIDENTE. Lei si impegnerà a fare la relativa segnalazione, che non serve un verbale generico, ma serve il DUVRI.

Da sottolineare è, altresì, l’incompletezza della valutazione del rischio radiologico:

RSPP. Noi ci siamo resi conto che non avevamo capacità tali che ci permettessero di far fronte a un’emergenza di rischio radiologico. Di conseguenza, dicevamo a chiunque si trovasse in quell’area ad avvisare, all’occorrenza, i Vigili del fuoco, di non dire loro soltanto di un eventuale incendio, ma del rischio incendio radiogeno, in modo che si attrezzassero in una certa maniera. Sicuramente, poi, la procedura poteva essere scritta meglio, poteva.”.

Dal suo canto, l’RSPP di un sito come il più volte evocato Poligono di Cellina Meduna afferma:

PRESIDENTE. Per esempio, rischi relativi allo svolgimento e all’effettuazione dell’attività addestrativa? RSPP. Rischi no.

Mauro PILI. Sono stati sparati 300 missili MILAN: 3 grammi per missile sono quasi un chilo di torio. Per lei questo quantitativo è un quantitativo significante o irrilevante?

RSPP. Non glielo so dire, perché non so gli effetti sulle persone.

Maria AMATO. Sui Documenti di valutazione dei rischi, almeno dal 2013 in poi, cioè da quando quest’area è stata recintata, risulta che il rischio sia radiogeno?

RSPP. Per il poligono Cellina Meduna non è stato redatto il Documento di valutazione dei rischi, perché avevamo già comunicato che il regolamento del poligono, il disciplinare d’uso e il Piano di tutela ambientale contenevano tutte le norme relative per la sicurezza del personale.

Del pari eloquenti le dichiarazioni dell’RSPP del poligono di Foce Reno:

RSPP. Io ho completato il corso da responsabile del servizio prevenzione e protezione, se non sbaglio, il 20 marzo 2015, quindi sono stato formato ufficialmente da quella data in poi. Devo anche precisare che nel 1998 - parliamo, quindi, degli inizi della prevenzione e protezione in ambito Forza armata, per cui c’era un poco forse di confusione - il mio comando mi invitò a frequentare un corso di aggiornamento per RSPP che non aveva nessun tipo di scopi formativi, ma di aggiornamento. Essendo, però, l’unico del comando che masticava un po’ la materia appresa negli istituti di formazione, mi incaricarono di essere il responsabile del servizio prevenzione e protezione, abbinato ad altri incarichi, quindi tanta buona volontà e tanto impegno. [...] (Il DVR è) un documento che noi aggiorniamo con periodicità almeno annuale, anche se sarebbe previsto ovviamente aggiornarlo almeno una volta ogni quattro anni [?]. (Il DVR) è sempre in fase di aggiornamento.

PRESIDENTE. Lei ritiene di poter escludere che possa esservi un’esposizione a carico del personale ad agenti cancerogeni, mutageni o teratogeni?

RSPP. No, presidente. Direi di no. Da quello che mi risulta, no. Lo escludo perché dalle tipologie di attività che noi svolgiamo al poligono non si è mai verificato che ci siano delle fonti inquinanti che possono produrre queste patologie.

PRESIDENTE. Per i suoi compiti di valutazione dei rischi, le è capitato di chiedere consulenze specialistiche al CISAM o al CETLI?

RSPP. Al CETLI, praticamente c’è una programmazione, una pianificazione proprio per quest’anno per vedere l’inquinamento del suolo. CISAM è la stessa cosa per quanto riguarda il rischio, che però è sempre pianificato per l’anno prossimo.

Ma l’esame dell’RSPP del Poligono Foce Reno si è rivelato utile anche sotto il profilo attinente all’autonomia:

PRESIDENTE. Lei è in grado di farcelo avere seduta stante (il DVR)?

RSPP. Al momento, c’è la disponibilità, ma mi è stato detto che non posso...

PRESIDENTE. Da chi le è stato detto che non può darcelo?

RSPP. No, dalle note di linguaggio.

1.3.5. RLS nominati dal datore di lavoro.
Fugace è apparsa la figura del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nel corso degli accertamenti svolti dalla Commissione.
Eppure, le tredici attribuzioni riservate all’RLS dall’articolo 50, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 ne fanno comprendere il ruolo basilare ai fini di una effettiva tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro. Basti riflettere che l’RLS “accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni”, “promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori”, “formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è, di norma, sentito”, “fa proposte in merito alla attività di prevenzione”, “avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività”, persino “può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”. (Circa la funzione di controllo attribuita all’RLS v. Cass. 19 ottobre 2017 n. 48286).
Nessuna meraviglia, pertanto, se il D.Lgs. n. 81/2008 si preoccupi di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’RLS. Non a caso, lo definisce come “la persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”; dispone che “il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”; e riconduce comunque ai lavoratori la designazione o elezione dell’RLS.
Il fatto è che l’articolo 250 D.P.R. n. 90/2010 introduce un singolare distinguo tra rappresentanti dei lavoratori civili per la sicurezza e rappresentanti dei lavoratori militari per la sicurezza: i primi “sono eletti o designati secondo le modalità previste dagli articoli 47 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008, e nel rispetto degli accordi collettivi nazionali tra le organizzazioni sindacali e l’Agenzia per la rappresentanza delle amministrazioni nel pubblico impiego”; i secondi, invece, “sono designati dal datore di lavoro su proposta non vincolante degli organi della rappresentanza militare (COBAR, di cui all’articolo 871, libro IV, titolo IX, capo I, sezione I)”.
Ognuno intende che con questa norma il cerchio si chiude: il datore di lavoro non solo designa l’RSPP e il MC, ma designa anche l’RLS.

1.3.6. La crisi del CISAM e del CETLI
Basilare ai fini di un’adeguata rilevazione dei rischi nei siti militari sarebbe l’apporto degli Enti tecnico-operativi di cui dispongono le Forze Armate, primi fra tutti il CISAM e il CETLI, nel quadro delineato dalla Direttiva SMD - L - 018.
La Commissione si è preoccupata di approfondire l’attività svolta da questi Enti tecnico¬operativi, sia mediante l’esame testimoniale dei loro esponenti, sia mediante una missione apposita presso il CISAM.
Il risultato è stato tanto inatteso quanto deludente. Il Direttore del CISAM, nel suo esame testimoniale del 3 maggio 2017, alla domanda “Lei in quanto direttore del CISAM è in grado di assolvere e di far assolvere all’istituto tutte le funzioni previste dalla legge in maniera inoppugnabile e completa, sì o no?”, ha risposto “no”. E nella medesima data, un suo collaboratore, il Ten.Col. Raffaele Zagarella, si è espresso con le parole “dire che il CISAM non fa il 100 per cento di quello che gli viene chiesto, è evidente”. Emblematico è apparso il caso del Poligono di Monte Romano. In una relazione trasmessa il 20 marzo 2017, relativa ad un intervento effettuato dai tecnici CISAM nel novembre 2016, si mette in luce un nuovo ritrovamento, in due aree del Poligono diverse da quelle controllate nel 2013, di complessive 70 lunette al torio. Questa la conclusione: "L'area del Poligono di Monte Romano è già stata sottoposta in varie occasioni a misure e operazioni di raccolta sistematica di torine; le attività sono state di carattere preliminare a premessa di un lavoro completo caratterizzazione e bonifica del sito in relazione a una possibile contaminazione derivante dal torio contenuto nel sistema di guida del missile anti-carro MILAN. Anche se i primi parziali risultati non mostrano la presenza di rischi radiologici particolarmente significativi, è però indispensabile, a premessa di qualsiasi ulteriore azione di bonifica, procedere ad una completa caratterizzazione radiometrica del sito. Data l'estensione dell'area, l'attività eccede le attuali capacità operative del CISAM, per cui si suggerisce di procedere, a similitudine di quanto fatto presso il Poligono di Cellina Meduna (PN), richiedendo la collaborazione di altri Enti istituzionali (ARPA, ISPRA, ENEA, CNR, etc.)". Se ne desume che, dopo circa 10 anni di controlli, il CISAM indica come necessaria una completa caratterizzazione radiometrica del sito, mai realizzata sino ad ora, e al contempo dichiara la propria incapacità operativa a provvedervi.
Significativo è anche quanto ha riferito nella sua audizione del 5 ottobre 2017 dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Cagliari circa l’intervento del CISAM presso il Poligono di Capo Teulada:
“Il CISAM, organo tecnico dell’amministrazione militare, dai primi anni 1990, era intervenuto diverse volte nel poligono. Tuttavia, aveva effettuato delle verifiche all’interno del poligono senza entrare nelle aree dove si svolgevano le esercitazioni, ma limitandosi alle installazioni permanenti, quali gli uffici del comando e le zone utilizzate dai militari”.
“Anche allo stesso CISAM prima delle indagini da noi svolte venivano forniti dati non attendibili e molto riduttivi rispetto agli armamenti esplosi e al numero di esercitazioni effettuate. Questo non è privo di significato”.
Anche gli accertamenti sulle attività svolte dal CETLI NBC in merito a fattori di rischio chimici e biologici hanno evidenziato diverse criticità. Già nell’esame testimoniale dell’8 marzo 2017, il Direttore interinale del Centro Tecnico Logistico Interforze NBC aveva affermato che “l'ente non è in grado di effettuare analisi su particolato aerodisperso e nanoparticolato”, e in una sua relazione dell’8 aprile 2016 relativa al “monitoraggio ambientale di una base italiana a Gibuti” si legge: “Dalle analisi chimiche condotte non è stato possibile accertare la natura dei fenomeni legati ai cattivi odori percepiti dal personale. Ciò nonostante, analizzando la documentazione fotografica acquisita in fase di campionamento, riportata in allegato C, è possibile individuare due potenziali sorgenti di inquinamento lungo il perimetro della base: o presenza di vari cumuli di rifiuti indifferenziati posizionati a ridosso del perimetro della base, che se incendiati, oltre a provocare un cattivo odore, potrebbero creare l'emissione di sostanze altamente nocive (es. diossine, PCB, ecc.), la cui analisi non è tra le potenzialità esprimibili del CETLI NBC; o presenza d'acqua potenzialmente contaminata da percolato derivante dai rifiuti presenti nell'area”.
Certo, il Direttore del CETLI ha riferito che il Centro si sta attivando per superare queste carenze, anche se purtroppo la soluzione “non è dietro l’angolo”. Tanto è vero che, nel corso dell’esame testimoniale del 4 maggio 2017, egli ha riferito che il Centro è afflitto da scoperture di organico.
Non stupisce allora che più richieste di monitoraggio avanzate dai datori di lavoro non vengano soddisfatte. Basti por mente che, in forza della direttiva SMD L 018, il datore di lavoro dei siti militari in Italia e all’estero, ove ritenga necessario un monitoraggio di determinati rischi, deve rivolgersi allo Stato Maggiore della propria Forza Armata, che rappresenterà l’esigenza in sede di Comitato Interforze di Coordinamento (CIC), il quale “conclusa l’analisi generale dell’istanza, valutata la fattibilità dell’esigenza sia in termini capacitivi che finanziari ... la sottopone all’approvazione del Capo di SMD per il suo inserimento nella prima programmazione finanziaria utile, quale obiettivo annuale o pluriennale da conseguire con elevata priorità”.
Questa organizzazione mette in luce, non solo un oggettivo limite all’autonomia dei comandanti nella valutazione dei rischi e nella conseguente individuazione e attuazione delle misure di prevenzione e protezione, ma altresì una insufficienza di risorse che non consente agli enti tecnici di fornire tempestivamente un supporto alla valutazione dei rischi.
Un ulteriore esempio tra i molteplici casi emersi grazie all’attività di inchiesta della Commissione. Con nota inviata dal COI (Comando Operativo di Vertice Interforze) allo Stato Maggiore della Difesa in data 16 settembre 2016, si comunicò la necessità di monitoraggi sulla salubrità dell’aria a Mosul, Erbil e Baghdad perché “nell'aria viene percepita la presenza maleodorante della 'combustione di rifiuti di materiale plastico”, ad Atrush perché vi sono “residui provenienti da n. 2 raffinerie di petrolio nel raggio di 10 km”, e a Mogadiscio perché vi sono “fumi da discariche limitrofe”. Ma non basta. Nel già ricordato esame testimoniale del 7 maggio 2017, il Ten. Col. Pietro Lo Giudice, Capo Divisione J4 del COI, ha riferito alla Commissione che, di tutte le richieste inviate allo Stato Maggiore della Difesa, ne sono state approvate soltanto due (le misurazioni di radon presso lo schieramento in area diga di Mosul e il controllo biologico in Kosovo).
Non senza contare che sia il CISAM, sia il CETLI NBC, perdono il controllo delle situazioni oggetto delle loro attività, e non vengono coinvolti nella ricerca e nell’applicazione delle soluzioni.
Le criticità di Enti fondamentali come il CISAM e il CETLI -messe in luce dall’attività di inchiesta della Commissione, ancora una volta in supplenza degli organi di vigilanza militari rimasti del tutto inerti- sono state portate a conoscenza dei Rappresentanti di vertice dell’Amministrazione della Difesa, i quali hanno sorprendentemente sostenuto che non ne erano al corrente.

1.3.7. Un Osservatorio epidemiologico della difesa scientificamente non accettabile
“I dati di sorveglianza riportati non supportano l'ipotesi che esista un problema di maggiore incidenza di neoplasie tra il personale militare, né che la partecipazione a missioni OFCN rappresenti un rischio specifico per l'insorgenza di neoplasie”.
È la dirompente conclusione esposta dal Direttore dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa Col. Claudio De Angelis nel corso della sua audizione in data 7 aprile 2016.
Successivamente, la Commissione ha approfondito le indagini. Ed è giunta, in particolare, ad accertare, su dati forniti dalla Procura della repubblica di Padova, che solo nell’ambito della Marina Militare 1101 persone risultano decedute o ammalate per patologie asbesto-correlate (circa 570 i mesoteliomi); e da una relazione tecnica del Direttore del Renam Alessandro Marinaccio trasmessa in data 29 gennaio 2018 dal Presidente dell’Inail Massimo De Felice, ha desunto che, nell’ambito dei corpi militari, “sono stati identificati 830 casi di mesotelioma maligno con esposizione in tale settore”.
Là dove il Direttore dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa aveva riferito alla Commissione che tra i militari di tutte le Forze Armate 107 erano i casi di mesotelioma, diventati 126 a un successivo esame testimoniale dello stesso Col. De Angelis in data 7 febbraio 2017.
Perché questa stupefacente differenza di dati?
“Noi” - ecco la clamorosa spiegazione successivamente data dal Col. De Angelis il 7 febbraio 2017 a fronte delle contestazioni mossegli dalla Commissione - “perdiamo i dati del personale in congedo”.
Non a caso, la Commissione ha chiesto all’Ispettore Generale della Sanità Militare Gen. Enrico Tomao se gli sembrasse congruo, e se gli sembrasse scientificamente accettabile, che una struttura chiamata Osservatorio epidemiologico della Difesa si fermi alla raccolta e alla valutazione dei casi relativi ai militari in servizio? La risposta data dal Gen. Tomao nel corso del suo esame testimoniale è stata “no”.
Una risposta, quella del Gen. Tomao, condivisa dagli epidemiologi Alessandro Marinaccio e Dario Mirabelli auditi dalla Commissione rispettivamente il 19 ottobre e il 26 ottobre 2017, le cui dichiarazioni sono valse, altresì, a mettere a fuoco la delicatezza degli studi epidemiologici e la necessità di approcci e verifiche malauguratamente trascurati dall’Osservatorio Epidemiologico della Difesa:

PRESIDENTE. Lei conviene che non può essere definita procedura epidemiologica quella che è limitata a un lasso di tempo così breve e non è estesa a tutta la vita biologica della persona?

Alessandro MARINACCIO, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell'INAIL. Direi senza dubbio di sì, soprattutto per malattie come quelle amianto-correlate, e in particolare come il mesotelioma, che hanno tempi di latenza così lunghi e derivano da esposizioni molto spesso professionali. L'esposizione all'agente nocivo parte dall'età lavorativa, quantomeno, del soggetto. In più, la malattia ha tragicamente bisogno di un numero di anni, mediamente 40, ma può essere anche di più. L'età media dei casi di mesotelioma nel ReNaM, se non ricordo male, è intorno ai 70-75 anni, quindi comunque l'età media dei casi di mesotelioma è molto alta per sua natura, tant'è vero che per esempio il sistema di registrazione dei casi di mesotelioma appunto tramite Registro nazionale non avrebbe granché senso se si limitasse alla popolazione lavorativa. Gran parte dei casi è ammalata, infatti, quando è fuori dal circuito. Il picco dei casi di mesotelioma, sia il numero di casi sia il numero di tassi, è presumibile sia nel periodo tra il 2015 e il 2020. Questo predicemmo qualche anno fa e i dati che abbiamo oggi confermano, sostanzialmente, questa previsione, indicando che è in corso attualmente il momento di maggiore incidenza della malattia nella popolazione. E’ presumibile che nei prossimi anni - la data precisa è impossibile da dire - la tendenza sarà necessariamente quella di una diminuzione dei casi. È evidente che tutte queste analisi hanno come punto di riferimento essenziale la dinamica e la dimensione dei consumi di amianto prima del bando. In tutti gli esercizi statistico¬epidemiologici si mette in correlazione la curva dei consumi di amianto iniziata in Italia dopo la Seconda guerra mondiale ed è stata crescente fino agli anni ’60-’70, e purtroppo in Italia anche nel corso degli anni ’80.

Dario MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. La forza lavoro dipendente di una certa attività industriale viene monitorata dal punto di vista sanitario fintanto che è in servizio.
Quando poi le persone vanno in dimissione, per pensionamento o perché si trasferiscono a svolgere un'altra attività, non vengono più viste e sorvegliate dal medico d'azienda, per lo meno non dal medico d'azienda di quell'azienda, ma della nuova ditta in cui la persona eventualmente si trasferisce. Questo fa sì che certi fenomeni, certe conseguenze sulla salute, se ci sono delle esposizioni professionali, possano essere intercettate e certe altre no. Quali possono essere intercettate? Quali non possono essere intercettate da un sistema di questo genere? Le conseguenze a breve termine possono essere intercettate. Se ci sono delle sostanze che provocano asma bronchiale in alcune persone e quelle persone sviluppano asma bronchiale, questo è un fenomeno che si instaura nel giro di qualche settimana dall'inizio dell'esposizione alla sostanza asmogena. È chiaro che un fenomeno di questo genere può essere intercettato dal cosiddetto servizio del medico competente. Analogamente, può essere intercettato da un osservatorio epidemiologico delle Forze armate che funzioni con questo criterio. Un'ipoacusia professionale richiede un'esposizione al rumore prolungata, per esempio di due o tre anni, prima di poter iniziare a instaurarsi. Dipende da quanto è lunga la permanenza dell'esposto nel luogo di lavoro. Se è abbastanza lunga, chiaramente l'esordio dell'ipoacusia professionale può essere intercettato dal servizio del medico competente. Quando ci spostiamo verso malattie che hanno una «scadenza» molto più lunga rispetto all'inizio dell'esposizione - pensiamo già all'asbestosi - se non siamo di fronte a delle esposizioni ad amianto del tipo di quelle che si verificavano tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, che provocavano l'asbestosi massiva nel giro di quattro o cinque anni, ma di fronte a esposizioni già come quelle dell'Eternit degli anni Cinquanta, molto inferiori alle altre, che provocano sì l'asbestosi, ma dopo trenta quarant'anni, è evidente che un sistema di sorveglianza sanitaria basato sulla logica del medico competente, del medico d'azienda («guardo i lavoratori fintanto che sono dipendenti della mia azienda e poi non li sorveglio più»), non intercetterà se non una prima parte dei casi di asbestosi, quelli che si ammalano più precocemente. Quelli che poi hanno una fibrosi progressiva nel tempo, che continua a progredire lentamente anche dopo la cessazione dell'esposizione attiva - non dimentichiamo che l'amianto permane nei tessuti, quindi un conto è l'esposizione esterna, un conto è l'esposizione interna del nostro apparato respiratorio - per cui questa fibrosi continua a progredire, è evidente che il medico competente non intercetta quei casi che si sviluppano dopo trenta o quarant'anni, ma non li intercetta neanche l'Osservatorio se non si dota di altri strumenti. Ecco perché, quando facciamo uno studio di coorte - non è facile, è impegnativo, richiede davvero tanto tempo e tante risorse umane - «inseguiamo» una persona anche dopo che è uscita dallo stabilimento. I lavoratori Eternit sono stati monitorati per il loro stato in vita e le cause di morte anche e soprattutto dopo che erano usciti dall'Eternit. Anche quando sapevamo che il lavoratore aveva cessato di lavorare in stabilimento, per esempio, nel 1980, abbiamo continuato a chiedere ai comuni di residenza quale fosse lo stato in vita e, se deceduti, quali fossero le cause di morte, per lo meno per conoscere le cause di morte. Conoscere altri aspetti dello stato di salute delle persone è molto più difficile, praticamente impossibile.

Paola BOLDRINI. Vorrei sapere se, secondo lei, può essere corretto far confluire, se troviamo provvedimenti per farlo, tutti i dati della vita dei militari oltre il percorso militare. L'Osservatorio Epidemiologico della Difesa si dovrebbe occupare anche del percorso successivo.

Dario MIRABELLI. Sì, penso che sia fondamentale, per un'osservazione epidemiologica completa, non limitarsi al periodo in cui le persone sono in servizio attivo. È un fatto talmente conosciuto in epidemiologia che quando si è in servizio attivo c'è un profilo di salute, e quando si va via ce n'è un altro, che si parla di effetto lavoratore sano. Ovviamente, potete immaginare quanto possa essere spiccato un effetto lavoratore sano se interessa delle persone in servizio nelle Forze armate, dove la selezione per la prestanza fisica è un po’ più spinta di quella di chi deve entrare in un'azienda privata. C'è comunque anche per chi si dedica al lavoro manuale in un'azienda privata, ma la selezione fisica per chi presta servizio nelle Forze armate è importante. l'effetto lavoratore sano non è soltanto dovuto, inoltre, a una selezione iniziale delle persone fisicamente idonee a prestare un certo tipo di attività, ma anche a una permanenza in servizio delle persone sane, quindi a una componente non solo di effetto lavoratore sano per selezione, ma anche di effetto lavoratore sano per sopravvivenza. È qualcosa di estremamente complesso. È ovvio che, se vogliamo intercettare tutte le conseguenze che può avere un'esposizione, dobbiamo dotarci di strumenti per il monitoraggio a lunga scadenza e dopo la dimissione delle persone. È anche ovvio che, siccome questi strumenti sono piuttosto impegnativi, onerosi dal punto di vista proprio materiale, queste non sono cose che si possono fare in modo generalizzato. Vanno definite delle priorità, e su quelle vanno messi in piedi gli strumenti di sorveglianza.

Maria Chiara CARROZZA. Io ho solo una domanda. Questi studi longitudinali sono onerosi, come ha detto lei, ma dovrebbero servire a inferire anche delle potenziali misure di monitoraggio e di assistenza per tutti quelli che vengono in contatto con una situazione simile. Se si fa uno studio longitudinale e si scopre che ci sono questi effetti, è giusto pensare che dobbiamo monitorare sempre più con gli stessi studi longitudinalmente un numero maggiore della popolazione. Non potendolo fare, però, in maniera così estesa, si dovrebbe decidere che chi è esposto o è passato, per esempio, dalla caserma di Casale Monferrato, ha un rischio maggiore di contrarre certe malattie, e quindi ha diritto a più monitoraggio, più sostegno per la propria salute. Ha un rischio maggiore di contrarre certe malattie. Secondo me, dovrebbero essere presi dei provvedimenti, quelli, sì, estesi a un maggior numero di persone in termini di monitoraggio della loro salute e di rischio per loro, e di sostegno da parte delle strutture pubbliche a chi si è esposto di più, non per scelta ma perché si è trovato a lavorare.

Dario MTRABELLI. Posso solo sottoscrivere.

Paolo COVA. È venuto a parlare il responsabile del ReNaM. Ora, io militare, l'esempio più classico, che posso essere stato nelle Forze armate per motivi professionali o di leva, mi ammalo di mesotelioma o asbestosi. L'esempio più semplice è di chi ha fatto il militare di leva, e non viene considerato. Automaticamente, se viene fatto il militare di leva, verrà chiesto se a Milano, in Puglia. Dove è stato? Quando ci è stato? È stato a Casale Monferrato un anno? Ci è stato un mese? Tn secondo luogo, facile, a volte chiedono se si è fatto il militare in Marina, sui carri. Si può rispondere che si è stati in fureria in Piemonte, a Casale Monferrato, e si chiude. Avviene così o no?

Dario MTRABELLI. No. Non ho avuto modo di narrarvi come operiamo, non solo in Piemonte, ma anche in Lombardia, in Puglia, in Emilia-Romagna e in generale, per ricostruire e documentare la storia di esposizione di un caso di mesotelioma. Innanzitutto, il caso di mesotelioma, dobbiamo intercettarlo. Ci deve essere segnalato o dobbiamo andarcelo a trovare noi, più frequentemente la seconda che non la prima. Una volta, però, che abbiamo identificato un caso, cerchiamo di ottenere un'intervista personale con il diretto interessato. Non è sempre possibile, perché la sopravvivenza è breve, perché le persone stanno male, perché a volte la rete familiare tende a essere protettiva intorno al paziente, a schermarlo anche dal contatto con noi, e diverrà chiaro tra un attimo perché. In questo caso, non otterremo un'intervista diretta, ma un'intervista indiretta, per esempio intervisteremo il coniuge o un figlio, una figlia. Attraverso un rispondente cercheremo di sapere che cosa? Cercheremo di conoscere, ricostruire, innanzitutto, l'intera storia lavorativa di una persona e, all'interno della quale collochiamo sempre il servizio nelle Forze armate, anche se è un servizio di leva e non è un servizio professionale. Ricostruiamo poi l'intera storia abitativa per capire se la persona, per esempio, ha vissuto in prossimità di una fonte antropico- ambientale di inquinamento da amianto. Ricostruiamo anche la storia dei lavori svolti dalle persone con cui la persona ha convissuto, perché ci sono appunto casi in cui chi si è ammalato di mesotelioma non è l'esposto, ma un convivente della persona. Si ricostruiscono altri aspetti ancora dell'ambiente di vita e domestico. Ci sono casi dovuti al fatto che nell'ambiente di casa erano presenti o utilizzati materiali contenenti amianto particolari. Si tratta, quindi, di un'intervista complessa, onerosa, che dura, quando va bene, un'ora, ma possono anche essere due. Tra l'altro, se è un'intervista fatta a un rispondente, non sempre si riescono a ottenere tutti quei dettagli e tutte quelle informazioni che potrebbero essere utili. Per focalizzare l'attenzione sul periodo nelle Forze armate, certo, chiediamo esattamente dove è stato prestato servizio, anche di leva, dove è stato fatto il CAR, dove è stato prestato servizio successivamente.

Paolo COVA. Lo chiedono in tutta Italia?

Dario MIRABELLI. Sì, certamente. Poi può essere che quello addetto alle interviste in un certo COR, che fa 250, 300, 400 interviste all'anno, come nel caso della Lombardia, sia personale molto addestrato. In un COR molto più piccolo, con una popolazione più piccola, un'incidenza più bassa, in cui si fanno 20 interviste all'anno, è chiaro che ci sarà personale con minore addestramento per forza. Può essere, in quanto meno addestrato, magari anche meno pronto a sollecitare un'informazione. Se questa non viene fornita spontaneamente, si rischia di perderla. Non sto dicendo che tutto va ben, madama la marchesa, che è tutto perfetto ovunque. Ci sono certamente delle situazioni in cui c'è un'esperienza molto maggiore e altre in cui ce n'è una minore. Inoltre, l'esperienza non è la stessa nei confronti di tutti i settori in cui vi può essere stata esposizione all'amianto. Noi abbiamo la capacità di fare buone domande se qualcuno ha lavorato nel cemento-amianto, nell'edilizia o nel settore tessile, ma se ci capita qualcuno che ha lavorato nelle attività portuali o nella cantieristica navale, esperienza non ne abbiamo. Notoriamente, in Piemonte non ci sono queste realtà. Relativamente al periodo lavorativo di quella persona, l'intervistatore si trova in difficoltà e, o le cose gli vengono dette spontaneamente, o non è in grado di fare delle domande pertinenti.

E del pari significativo è quanto precisato da Franco Ciprani, Dirigente superiore medico della Polizia di Stato, in una missiva del 27 dicembre 2017 inviata al Presidente della Commissione a seguito della sua audizione:
“Nel corso delle audizioni che si sono susseguite in seno alla Commissione è emersa la difficoltà di un attendibile dato epidemiologico - circa l'incidenza e la prevalenza di patologie tumorali nei militari - dovuta alla circostanza che l'ente della Difesa deputato al monitoraggio perde i casi quando i militari vanno in congedo.
Premesso che a chi scrive non pare particolarmente indaginosa una ricerca dei militari in congedo - anche tramite semplice intervista telefonica sullo stato di salute - non bisogna dimenticare che alcune migliaia di militari impiegati nei territori della ex Jugoslavia, ai sensi delle norme di legge che lo consentono in via preferenziale, sono transitati nelle forze di polizia, dove permarranno fino al sessantesimo anno di età.
La disponibilità dei dati relativi a questi soggetti è attuale e, soprattutto, risulta molto semplice uno studio prospettico su questa popolazione, con comparazione con adeguati gruppi di confronto. Anche in tal senso, il coinvolgimento di enti esterni alle amministrazioni interessate garantirebbe maggiore trasparenza ed uniformità.”
In questa prospettiva, anche l’Osservatorio epidemiologico della Difesa finisce per essere funzionale alle scelte strategiche di fondo adottate dall’Amministrazione della Difesa. Invero, appare evidente che in un’ottica preventiva la sottostima dei casi può erroneamente indurre a ritenere efficienti i sistemi di prevenzione in atto e a non stimolarne una revisione critica. E può indurre, ed ha indotto in specifiche sedi giudiziarie e non solo giudiziarie, a ritenere indimostrato il nesso causale tra patologia ed esposizione a determinati agenti nocivi. Una sottostima che diventa ancor più criticabile, ove si rifletta su quanto riferito Alessandro Marinaccio nella relazione tecnica trasmessa in data 29 gennaio 2018, e, cioè, che “negli archivi del ReNaM sono presenti informazioni relative a n. 9 casi di mesotelioma maligno con codice di esposizione ‘familiare’ insorti in soggetti esposti per ragioni di convivenza con familiari professionalmente esposti nel settore della ‘Difesa nazionale’”: una esposizione, dunque, che a maggior ragione sfugge all’Osservatorio Epidemiologico della Difesa.

1.3.8. Sanzioni pagate dallo Stato
Nella medesima ottica si collocano gli effetti prodotti dall’articolo 253, comma 8, D.P.R. n. 90/2010, ove si dispone che, “salvo quanto previsto al comma 7, gli importi dei pagamenti in sede amministrativa previsti dal decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e delle sanzioni amministrative previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, eventualmente irrogate al personale militare e civile dell’Amministrazione della difesa per violazione commesse presso organismi militari, sono imputate, in via transitoria sul pertinente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa, fatta salva ogni rivalsa dell’Amministrazione nei confronti degli interessati che siano riconosciuti responsabili per dolo o colpa grave a seguito di specifica inchiesta disposta ai sensi del titolo III del libro III”.
Palese è che il meccanismo contemplato da questa disposizione appare funzionale alle scelte strategiche di fondo adottate dall’Amministrazione della Difesa, in quanto toglie mordente all’efficacia dissuasiva delle sanzioni previste a carico delle persone fisiche di datori di lavoro, dirigenti, preposti, medici competenti, e nel contempo alleggerisce il peso di una responsabilità ragionevolmente mal tollerata da soggetti privi di autonomi poteri decisionali e di spesa. Non a caso, con missiva del 19 aprile 2017, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Claudio Graziano, riferisce, a seguito di richiesta rivolta dal Presidente della Commissione, che “sulla scorta dei conseguenti accertamenti richiesti agli Stati Maggiori della Forze Armate e al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, rappresento che, nell’ambito dell’Area Tecnico Operativa, non sono finora stati rilevati casi di rivalsa per dolo o colpa grave, da parte dell’Amministrazione della Difesa nei confronti dei contravventori delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro”. Né cambia sostanzialmente il quadro d’insieme la successiva nota del 13 settembre 2017 con la quale lo Stato Maggiore della Difesa ha comunicato che “a seguito di ulteriori approfondimenti effettuati lo Stato Maggiore dell'Esercito, a rettifica di quanto inizialmente reso noto, ha informato che nel proprio ambito è stato rilevato un caso di rivalsa per dolo o colpa grave per un importo pari a
Euro 164.40” (v. anche la nota del 21 novembre 2017 dello Stato Maggiore della Difesa). Né la situazione è mutata nel corso del 2017, visto che il 9 gennaio 2018 il Gen. Covato, in seguito a richiesta della Commissione in data 21 novembre 2017, ha comunicato che “nel corso del 2017 e sino ad oggi non risulta essere stata esercitata alcuna azione di rivalsa a seguito delle inchieste amministrative di cui agli artt. 452 e ss. del D.P.R. 90/2010”.
Chiunque percepisce la difficoltà di operare un distinguo tra presenza e assenza di dolo o colpa grave. Tanto più che un sostanziale ausilio non può in proposito sopraggiungere dall’Autorità Giudiziaria, visto che i procedimenti penali relativi alle contravvenzioni antinfortunistiche sono abitualmente destinati a chiudersi con l’estinzione del reato per intervenuta oblazione a norma del D.Lgs. n. 758/1994.

1.4. Dal “negazionismo” dei vertici militari alla “supplenza” della Commissione d’inchiesta
Nel quadro descritto dai paragrafi che precedono, fanno sensazione due fenomeni, l’uno contraltare dell’altro.

1.4.1. Il “negazionismo” dei vertici militari
Un primo fenomeno è rappresentato da un costante atteggiamento dei vertici inteso a fornire una visione esasperatamente ottimistica del mondo militare della sicurezza: sia sotto il profilo dei rischi, sia sotto il profilo della prevenzione, sia sotto il profilo della vigilanza “domestica”, presentata addirittura come “un esempio virtuoso”. Un atteggiamento che si è poi convertito per forza di cose in dichiarazioni di stupore nelle ipotesi in cui la Commissione ha contestato i risultati dei propri accertamenti: come a proposito delle condizioni critiche del CISAM, del CETLI, dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa.
Ancora ultimamente questo atteggiamento si è manifestato in una intervista rilasciata al TG2, edizione delle 20.30, dell’8 novembre 2017 dal Gen. B. Carmelo Covato, collocato dal settembre 2013 in una posizione chiave in quanto responsabile della Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza, Prevenzione e Protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito. Si tratta di un’intervista -come è emerso dall’esame testimoniale reso dal Gen. Covato il successivo 16 novembre 2017- che il Gen. Covato rilasciò, non a titolo personale nel suo ufficio, ma “presso il Gabinetto del Ministro, Palazzo Baracchini, via XX Settembre”, su incarico datogli due o tre giorni prima dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Gen. Danilo Errico, il quale gli disse “dal Gabinetto del Ministro mi hanno chiesto di mandare qualcuno per fare un’intervista al TG2 e io ho scelto te”. Il Gen. Covato si aspettava che gli “avrebbero posto il problema dei morti in Kosovo”, in quanto “l’argomento era un’inchiesta sull’uranio in Kosovo”, e si era documentato, leggendo “tutto quello che riusciva a trovare, per non essere impreparato”. E ancora: “quando il capo mi ha chiamato per dirmi che mi aveva scelto per andare a svolgere questa intervista, mi ha detto quali erano gli argomenti, mi ha detto che lui aveva sicuramente parlato con il portavoce del ministro di questa questione, quindi le indicazioni su cosa verteva l’intervista me le ha date il mio Capo di Stato Maggiore”. Dunque, un’intervista non estemporanea, ma con tutti i crismi dell’ufficialità.
Questa una prima dichiarazione rilasciata dal Gen. Covato nell’intervista:

GIORNALISTA.: Signor Generale, gli uomini che operavano sul terreno, lì nell’ex Jugoslavia, sapevano del pericolo dei bombardamenti dell’uranio impoverito?

Carmelo COVATO. Assolutamente sì, perché durante la fase di pianificazione vengono prese in considerazione tutti gli aspetti di situazioni che possono essere presenti in un determinato teatro operativo, e anche una possibile minaccia di tipo nucleare o biologico e chimico viene sempre presa in considerazione.

Ecco al riguardo il tenore dell’esame testimoniale reso poi dal Gen. Covato il 16 novembre 2017:

PRESIDENTE. Le chiedo, allora, se la stupiscano le affermazioni riportate in una relazione, presentata dal colonnello Lo Giudice alla Commissione in data 9 marzo 2017, documento 225/1, nella quale si legge «il COI non dispone di comunicazioni o informazioni di uso di particolare munizionamento da parte dei Paesi e/o coalizioni che potrebbero avere utilizzato nei teatri oggetto di schieramento di truppe italiane», affermazione confermata dall’ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone nell’audizione del 18 maggio 2017. Alla luce di queste dichiarazioni, signor generale, lei si sente di confermare quanto lei ha affermato nell’intervista televisiva?

Carmelo COVATO. “Nel rispondere alla domanda del giornalista, mi sono rifatto a quella che è ed è sempre stata la linea della Difesa in questo campo. Nella fattispecie, rileggendo i verbali dell’indagine conoscitiva della Commissione difesa della XIII legislatura presieduta dall’onorevole Valdo Spini, durante l’udienza dei vertici della Difesa il capo di Stato maggiore della Difesa in carica all’epoca, il generale Arpino, aveva dichiarato quello che ho detto io durante l’intervista, cioè che loro conoscevano, ma non...”. “La mia risposta è che io non ero presente al momento dei fatti e non rivestivo ruoli per i quali potevo essere a conoscenza delle informazioni che mi sono state richieste. Nel rispondere al giornalista mi sono rifatto alle conoscenze che ho acquisito leggendo questi verbali, di cui le accennavo prima. La mia quindi era ed è un riportare informazioni acquisite, perché in quel momento lì io non rivestivo incarichi, non ero impiegato all’estero e quindi non potevo sapere che cosa era stato detto”.

PRESIDENTE. Qui siamo alla XVII legislatura, e nella XVII legislatura sono state rese le dichiarazioni che io le ho ricordato poco fa. Lei svolge una funzione apicale, lei è un generale, e mi pare che la cosa più naturale e più ovvia anche per chi non è generale sia di attingere alla memoria della situazione contemporanea, non di ciò che è accaduto, se non ricordo male, nel 1996, perché lei cita la XIII legislatura, che è iniziata nel 1996 ed è finita nel 2001”. “La domanda era: gli uomini che operavano sul terreno lì nella ex Jugoslavia sapevano del pericolo dei bombardamenti dell’uranio impoverito? Lei evidentemente, se è stato in grado di essere così assertivo, probabilmente ha parlato lei con quegli uomini in quell’occasione.

Carmelo COVATO. Nossignore.

Eppure, proprio il Gen. Covato, in un precedente esame del 18 gennaio 2017, ha assicurato che “l’istituzione di questa Commissione d’inchiesta, che io seguo dal primo giorno in cui avete cominciato i vostri lavori, è stata fonte di ispirazione per parecchie valutazioni”. E per giunta, nel corso dell’esame del 16 novembre 2017, egli non ha esitato a sostenere di aver letto “molto attentamente” la c.d. “Relazione intermedia” di questa Commissione del 19 luglio 2017. Solo che davanti all’intervistatore del TG2 il Gen. Covato si è dimenticato delle pagine 14 e 15 della “Relazione intermedia” recanti le affermazioni di Lo Giudice, e ha preferito rifarsi a dichiarazioni risalenti agli anni novanta attribuite all’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa. Non senza poi aggiungere:

Carmelo COVATO. Intanto la mia competenza non si estende all’estero, nel senso che la mia competenza in quanto coordinatore, come è stato più volte ribadito, è riferita al personale dell’Esercito...

PRESIDENTE. Come ha potuto lei rispondere in maniera così assoluta, non avendo conoscenza di quella realtà estera?

Più che mai il Gen. Covato avrebbe potuto tenere in considerazione le dichiarazioni rese già in precedenza, il 15 marzo 2017, dal C.le magg. Sc. Antonio Attianese, purtroppo successivamente deceduto:
“Ho fatto due missioni in Afghanistan e mi sono ammalato al rientro. Non ho mai saputo della pericolosità dell’uranio impoverito. Non ho mai saputo che in zone devastate come quelle in cui ho operato, oltre a difendersi dalla situazione di guerra, c’era anche da difendersi da questo nemico invisibile. Quando chiedevamo spiegazioni ai nostri superiori di alcune notizie che sentivamo in radio, TV o leggendo sui giornali, ci veniva detto che erano sciocchezze inventate per andare contro il Governo, contro i militari e contro gli americani. Fino a prima che mi ammalassi, ero convinto anch’io che l’uranio fosse solo una storia inventata per non mandarci in missione. Se non andiamo in missione, non riusciamo a mantenere la nostra famiglia, perché sappiamo che purtroppo lo stipendio che prendiamo è misero. Molte volte ci siamo sentiti dire, io e i miei colleghi, che se volevamo andare in missione per avere un po’ di soldi da mandare a casa, dovevamo pensare a lavorare e a non creare problemi con malattie o sciocchezze che si sentivano in TV. Purtroppo, per queste sciocchezze mi sono ammalato. Sapevo che era ed è vietato parlare di uranio impoverito o di pericolosità ambientale. In tutte le note di ingaggio [linguaggio?] che ci si consegnavano e ci ordinavano di rispettare, suggerivano di non parlare o di dare notizie obiettivamente false.”

Utile in proposito è stata anche l’audizione di Franco Ciprani, Dirigente superiore medico della Polizia di Stato, audito il 20 dicembre 2017 a proposito di una sua Consulenza Tecnica d’Ufficio:

Giulia GRILLO. Nella CTU, lei dice che i rischi di esposizione a uranio depleto, sostanze chimiche cancerogene, dai gas di scarico dei mezzi a quelle utilizzate per la pulizia delle armi, erano noti alle autorità militari prima dell’impiego del P. nei teatri operativi.

CIPRANI, Alle autorità militari, non ai militari impiegati. La tossicità di taluni fattori era nota, poi, se non sono state prese delle misure, lo chieda all’amministrazione.

Ma anche la seconda risposta data dal Gen. Covato al giornalista televisivo si muove nel medesimo orizzonte della minimizzazione:

GIORNALISTA. Eppure ci sono 340 morti, quasi 4000 malati di varie patologie tumorali legate all’inquinamento dovuto all’esplosione dei proiettili all’uranio impoverito secondo i legali dei militari coinvolti.

Carmelo COVATO. Questi dati, questi numeri, se confrontati con una popolazione non militare si può assolutamente notare che i numeri sono notevolmente inferiori di quelli riferiti ai militari.

Ecco sull’argomento il successivo esame testimoniale del Gen. Covato:

PRESIDENTE. Ci vuole spiegare che cosa intendeva dire con questa affermazione? Che ci si ammala di più nelle famiglie, nelle realtà domestiche rispetto a come ci si può ammalare nelle missioni all’estero? Ci spiega poi come abbia potuto fare questa comparazione?

Carmelo COVATO. Sulla questione dei numeri, non avendo io evidenze precise, ho fatto riferimento specifico a quanto dichiarato più volte (credo anche qui in Commissione, se ricordo bene) dall’ispettore generale della sanità, il generale Tomao, che ha più volte detto che dagli studi condotti, dai risultati della Commissione Mandelli inizialmente e poi dagli studi e dai dati in possesso dell’Osservatorio Epidemiologico, non si poteva trovare una correlazione tra l’impiego nei teatri e l’insorgenza di malattie, e che comunque i casi riscontrati non superavano quelli attesi, cioè quello che era atteso confrontando con popolazioni più ampie, con campioni più ampi.

PRESIDENTE. Il generale Tomao parlava del cosiddetto «Osservatorio epidemiologico militare». La caratteristica di questo Osservatorio epidemiologico militare è che registra le malattie insorte soltanto durante il periodo in cui le persone svolgono quel servizio. Allora, il lavoro fatto dall’Osservatorio epidemiologico militare, che lei ha richiamato, al punto che ha dichiarato alla stampa che addirittura si sta più sani andando a fare il servizio militare, le ispezioni e le missioni internazionali piuttosto che a casa, lei le conferma?

Carmelo COVATO. Semplicemente era un’affermazione che era riferita al fatto che, da quello che mi risultava e che lei dice non essere corretto, e io ne prendo atto e valuterò in questo altro modo eventuali, ulteriori riflessioni da fare su questo argomento, prendevo atto di quanto riferito dal massimo rappresentante della sanità nell’ambito militare.

Peccato che il Gen. Covato avrebbe potuto sviluppare queste “ulteriori riflessioni” già al cospetto del giornalista televisivo se solo avesse tenuto nel debito conto la “Relazione intermedia” da lui letta “molto attentamente”, e, segnatamente, le pagine 69-75 dedicate all’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, ritenuto scientificamente non accettabile” proprio dal “massimo rappresentante della sanità nell’ambito militare” assunto come ispiratore dell’intervista televisiva.
Anche la terza risposta data al giornalista televisivo ha destato l’interesse della Commissione:
“I nostri soldati hanno ricevuto tutta la protezione che era possibile con le conoscenze del periodo e quindi anche con la tecnologia anche del periodo”.

Meno drastica la versione esposta dal Gen. Covato alla Commissione il 16 novembre 2017:

PRESIDENTE. Ma lei, scusi, che cosa offre a questa Commissione come elemento inoppugnabile per poter fare questa affermazione? Lei ha appena detto che sarebbe inconfutabile. Come fa lei a dire in una Commissione d’inchiesta, ma anche ad un passante, come fa ad impegnarsi in questi termini, fino a dire che sarebbe inconfutabile che i nostri militari abbiano sempre avuto il massimo della protezione disponibile? Che elementi ha lei, se ci ha detto che ad esempio non si occupa delle missioni dei nostri militari all’estero? Come fa lei a propalare queste notizie, non avendo, per sua stessa ammissione, il ruolo giusto per poterle permettere di farlo?

Carmelo COVATO. Lei mi ha fatto una domanda e io ho risposto per quelle che sono le mie conoscenze. Ci sono situazioni in cui io sono direttamente coinvolto e altre in cui no. Tutte le volte che io sono stato impegnato all’estero, quindi esperienza personale, tutto ciò che era l’ultimo grido in fatto di equipaggiamento veniva destinato al personale all’estero.

PRESIDENTE. Generale, mi dispiace farle notare che lei non è titolato per fare questa affermazione apodittica. Lei sta parlando, sta esprimendo un punto di vista assolutamente personale, che non costituisce interesse di questa Commissione. Lei è entrato con il contingente italiano nei Balcani, generale?

Carmelo COVATO, Generale. Nossignore.

Anche a questo proposito sarebbe stato proficuo tener conto di quanto dichiarato a questa Commissione dal C.le magg. Sc. Antonio Attianese:

Antonio ATTIANESE. Mi sono arruolato il 18 aprile del 1998, già con la fissazione di reparto operativo, quindi ho fatto subito le selezioni per andare nel all’epoca IV Battaglione alpini paracadutisti. Fui scelto per frequentare il corso ranger, forze per operazioni speciali. Dopo circa un anno, conclusi l’iter, mi qualificai come ranger, e fui anche uno dei primi. Fui poi inviato per la prima missione in Afghanistan, ISAF, International Security Assistance Force, a Kabul, dal 5 maggio 2002 al 4 settembre 2002. La seconda missione, dal 20 febbraio 2003 al 20 maggio 2003, fu in Afghanistan, denominata «Enduring Freedom».

Giulia GRILLO. Quando siete andati in missione, evidentemente non vi hanno detto di utilizzare dei dispositivi di protezione individuale rispetto a un rischio di tipo chimico-fisico.

Antonio ATTIANESE. No.

Giulia GRILLO. Per caso, in una di queste missioni c’erano altri contingenti militari?

Antonio ATTIANESE. Anche durante la pulizia delle armi, di regola ci dovrebbero dare mascherina e guanti. La maggior parte di queste cose sono finite, non c’erano, sono finite, non c’erano. Tutte quelle polveri, quindi, tutti quei detergenti...

PRESIDENTE. Lavoravate senza protezione.

Antonio ATTIANESE. Esatto. Purtroppo, sì.

Giulia GRILLO. In occasione di una di queste missioni, c’erano contemporaneamente contingenti di altre Forze militari di altri Paesi, che invece, rispetto a voi, utilizzavano.

PRESIDENTE. La domanda della collega era la seguente: rispetto ai militari degli altri contingenti, degli altri Paesi, lei e i suoi colleghi del contingente italiano disponevate di un equipaggiamento di misure di sicurezza minori rispetto agli altri?

Antonio ATTIANESE. Sì. Minore, sì. Non avevamo niente per queste polveri. Gli americani avevano tutto. Avevano sempre mascherine quando c’era qualche bonifica di qualcosa. Avevano un equipaggiamento attrezzato.

PRESIDENTE. Più efficace ed efficiente.

Antonio ATTIANESE. Sì, esatto.

Parimenti significative le dichiarazioni rese lo stesso 16 novembre 2017, subito dopo l’esame del Gen. Covato, dal Gen. Fernando Termentini, presente in varie missioni, anche nella “valle della mattanza”:

“Nell’amministrazione della Difesa ho praticamente rivestito tutti gli incarichi connessi alle attività di comando, e in più ho partecipato a missioni all’estero quale responsabile della bonifica e dell’addestramento per la bonifica da ordigni esplosivi. Kuwait, subito dopo la fine della guerra del Golfo, fine giugno del ‘91; Somalia, in varie riprese dal ‘92 in poi; Bosnia in varie riprese dal ‘95 in poi. Queste le più significative. Poi sono stato in Mozambico, in territori caldi o emergenti da periodi bellici di una certa importanza. Lì mi sono occupato con un team di ufficiali italiani esperti nel settore di addestrare il personale locale alla bonifica di ordigni esplosivi di campi minati. Abbiamo operato anche al brillamento e all’eliminazione di ordigni. In nessuna di queste occasioni che ho citato ho avuto sentore che, oltre agli ordigni classici che mi aspettavo di trovarmi di fronte (proiettili inesplosi, bombe d’aereo, mine), ce ne fossero stati altri. In Kuwait (e l’ho scoperto dopo) mi sono trovato alla presenza sicuramente (con il senno di poi sicuramente) di materiale colpito da proiettili all’uranio impoverito, ma non sapevo nulla, quindi nei brillamenti, nelle volate (così si chiamano tecnicamente), nella distruzione dei proiettili può darsi che ci fossero anche mescolati insieme proiettili all’uranio impoverito. La stessa cosa in Bosnia, dove non avevamo avuto alcun sentore della presenza di questo materiale. Peraltro, ho sempre partecipato a queste missioni come responsabile diretto del nucleo di bonificatori, quindi impiegavo degli uomini a diretto contatto del pericolo, e come persona di staff, quindi a livello Comando contingente, ma onestamente io l’ho scoperto nel 2001.
Quando si dice che avevamo indossato gli indumenti adatti per la protezione, se per indumenti adatti si intende la tuta da combattimento, l’uniforme da combattimento, e la maschera anti NBC che fa parte del normale equipaggiamento di un soldato, sì, è vero, ma non avevamo peculiari accorgimenti contro un’ipotesi di pericolo possibile.

PRESIDENTE. Quindi, lei sta confutando almeno due affermazioni: la prima è quella secondo cui il personale veniva informato dei rischi presenti in un determinato teatro operativo e anche di una possibile minaccia di tipo nucleare o biologico o chimico, quindi lei asserisce che questo non fosse assolutamente vero.

Fernando TERMENTINI. No, una possibile minaccia nucleare biologica e chimica è vera, perché istituzionalmente avevamo la maschera anti NBC al seguito, quindi è la dimostrazione di un warning mirato. Per quanto attiene altro tipo di avvertimenti, no, io almeno, al mio livello di responsabilità non ho mai ricevuto specifiche direttive.

PRESIDENTE. Ma solo lei oppure anche gli altri militari?

Fernando TERMENTINI. Se io ero il comandante, doveva discendere da me la notizia.

PRESIDENTE. Quindi, in conseguenza di ciò, l’altra precisazione che lei fa in contraddittorio con il generale Covato è che il personale non aveva nessun tipo di equipaggiamento che potesse metterlo al riparo dai rischi conseguenti all’esposizione.

Fernando TERMENTINI. Assolutamente. Le posso portare degli esempi pratici: in Kuwait e in Bosnia indossavo l’uniforme da combattimento e avevo al seguito la maschera, in Somalia la stessa cosa. Non avevamo particolari accorgimenti. Io mi permisi di suggerire di far indossare la mascherina antipolvere nell’attraversamento di aree sospette, dove poteva esserci stato l’uso di uranio impoverito, per evitare che attraverso la respirazione si inalasse materiale contaminato. Mi fu risposto (dall’allora Capo di Stato Maggiore) «i miei tecnici stanno lavorando». Io mi riferisco in particolare al Kuwait e ai confini del Kuwait con l’Iraq, dove c’è una distesa di terreno chiamato «la valle della mattanza». Là era pieno di mezzi da combattimento iracheni, mezzi civili iracheni in fuga martellati dai bombardamenti della coalizione. A posteriori, ricordando la forma di quei buchi, quando ho cominciato a sentir parlare dell’uso di uranio impoverito, ho cominciato a tirare le mie conclusioni.

Mauro PILI. Vorrei sapere se lei sia a conoscenza di suoi militari che abbiano contratto la sua stessa malattia nei teatri operativi.

Fernando TERMENTINI. Sissignore, specialmente in Bosnia. Di quelli connessi direttamente alla mia attività, quella di bonifica, che io sappia, una decina o quindicina.

1.4.2. La supplenza della Commissione d’inchiesta
A fronte di tanta riluttanza dei vertici militari nella descrizione delle criticità in materia di sicurezza del lavoro, la Commissione ha finito per assumere inopinatamente un ruolo di supplenza.
Occorre notare più con rammarico che con soddisfazione l’effetto indotto dalle attività della Commissione, riconducibile nel quadro di una “strategia della deterrenza”. Anche perché la Commissione non è destinata a funzionare in eterno al fine di garantire la legalità nel mondo militare della sicurezza.
Basti por mente, a mero titolo di esempio, che, con la richiesta di acquisire i DVR (Documenti di Valutazione dei Rischi) e con l’esame testimoniale di comandanti, RSPP e medici competenti, la Commissione ha finito per svolgere di fatto un ruolo suppletivo nei confronti degli organi di vigilanza, inducendo i soggetti obbligati a elaborare per la prima volta o a rivedere, in più casi in modo integrale, i propri DVR. Emblematici sono i casi PISQ, Capo San Lorenzo, Capo Frasca. Ma significativi sono pure i casi di prima redazione del DVR intervenuta tra il 2016 e il 2017 segnalati il 9 gennaio 2018 dal Gen. Covato in seguito a richiesta della Commissione in data 21 novembre 2017 e meritevoli di doveroso approfondimento in sede ispettiva.
Del pari emblematica è la rivisitazione degli obblighi di coordinamento e di cooperazione previsti dall’articolo 26 D.Lgs. n. 81/2008 testimoniata dalla nuova Direttiva 7027 del gennaio 2017 recante "Misure di tutela della sicurezza salute del personale da adottare nei poligoni e nelle aree addestrative", che proprio alla luce delle indicazioni emergenti dalle domande rivolte dalla Commissione in più esami testimoniali abroga la precedente nota dello Stato Maggiore Esercito III Reparto n. 42843 del 23 marzo 2015.
Ovvero si pensi che solo nel corso della riunione del CIC del novembre 2016, in coerenza con un’esigenza sottolineata dalla Commissione nei propri esami testimoniali, è stato concordato di inserire tra i destinatari delle relazioni degli organi tecnico-operativi come il CISAM e il CETLI anche gli uffici preposti alla vigilanza, “in modo tale da dare a tutti una panoramica completa delle situazioni di criticità presenti” (secondo quanto precisato dal Gen. Comelli).
O ancora fanno riflettere le criticità di enti fondamentali come il CISAM e il CETLI, messe in luce dall’attività di inchiesta della Commissione in supplenza degli organi di vigilanza militari rimasti del tutto passivi, e portate dalla Commissione stessa a conoscenza dei Rappresentanti di vertice dell’Amministrazione della Difesa dichiaratisi all’oscuro.
Oppure, solo a seguito degli accertamenti condotti al riguardo dalla Commissione, si è finalmente ritenuto di dover soddisfare l’esigenza di definire i criteri alla stregua dei quali deve essere svolta l’attività di vigilanza nei teatri operativi all’estero, e alla stregua dei quali debbono essere individuate “le figure di coloro che devono andare nei vari teatri a fare attività di vigilanza”, secondo quanto riferito dal Gen. Roberto Comelli (Capo del IV Reparto S.M.D. G.D.A.).

2. LE PROPOSTE

Al fine di recuperare il mondo militare a una dimensione effettivamente ispirata ai valori costituzionalmente protetti della sicurezza e della salute, la Commissione d’inchiesta avanza una serie di proposte fondamentalmente preordinate a bloccare gli effetti distorsivi prodotti dai meccanismi descritti nel paragrafo 1.

2.1. La sicurezza sul lavoro nella proposta di legge AC 3925
Basilare sarebbe, anzitutto, l’approvazione della proposta di legge SCANU A.C. 3925, firmata dalla quasi totalità dei componenti della Commissione, più che mai indispensabile al fine di garantire un’effettiva prevenzione contro i rischi incombenti su militari e cittadini. Come si desume dettagliatamente dalla relazione illustrativa della proposta, le norme ivi contenute mirano proprio a liberare il mondo militare della sicurezza sul lavoro dai meccanismi procedurali ed organizzativi che precludono un’effettiva tutela.
In primo luogo, la proposta, all’articolo 2, provvede a rendere esplicitamente inderogabile anche in relazione alle Forze armate l’individuazione del datore di lavoro nel soggetto dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. E coerentemente abroga le contrastanti disposizioni del D.P.R. n. 90/2010 (articoli 246, comma 2, e 250, comma 10).
L’articolo 9, a sua volta, rompe il perverso meccanismo della giurisdizione domestica. Infatti, affida la vigilanza sui luoghi di lavoro dell’Amministrazione della difesa al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, purché in possesso di adeguata abilitazione di sicurezza, e attribuisce a questo personale la facoltà di avvalersi di servizi sanitari e tecnici individuati dall’Amministrazione della difesa. Per forza di cose, vengono, quindi, abrogati i dissonanti articoli da 260 a 263 e 270 del D.P.R. n. 90/2010.
Per quel che concerne DVR e DUVRI, l’obiettivo perseguito è quello di specificare ulteriormente i precetti dettati con rigore dalle norme generali del D.Lgs. n. 81/2008. L’articolo 8, comma 1, lettera a), aggiunge tra i « gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari », richiamati dall’articolo 28, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, anche coloro che svolgono “le attività o mansioni comportanti operazioni connesse ad attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate, quali equipaggiamenti militari speciali, armi, munizioni, sistemi d’arma, materiali di armamento, o la frequentazione di luoghi situati in prossimità di tali attrezzature, comprese le operazioni indicate negli articoli 2185 del codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e 1079, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90”. Inoltre, si abroga l’articolo 255, comma 3, del D.P.R. n. 90/2010, che devitalizza l’obbligo di valutazione di un rischio, lo stress lavoro-correlato, tutt’altro che irrilevante nell’ambito di un’amministrazione gerarchicamente ordinata. E anche con riguardo al DUVRI si chiarisce che gli obblighi e gli adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 in relazione al personale utilizzato dalle imprese appaltatrici operanti per l’Amministrazione della difesa siano a carico del datore di lavoro dell’impresa appaltatrice medesima, restando tuttavia fermi a carico del datore di lavoro committente gli obblighi previsti dall’articolo 26 del citato decreto legislativo n. 81/2008. Contestualmente si abroga lo stridente articolo 256, comma 3, D.P.R. n. 90/2010.
La proposta di legge si preoccupa, poi, di salvaguardare l’autonomia degli RSPP, in quanto, all’articolo 9, prevede che i responsabili e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione adempiano alle proprie funzioni in piena autonomia nei confronti di autorità gerarchicamente sovraordinate. Inoltre, all’articolo 3, stabilisce che le visite e gli accertamenti sanitari finalizzati alle verifiche previste dall’articolo 41, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 sono effettuati dal medico competente, che, per accertamenti diagnostici, può avvalersi dei servizi sanitari delle Forze armate, ed esplicitamente fa salva “la piena autonomia del medico competente”. Per giunta, nell’articolo 11, comma 1, lettera a), libera un adempimento preventivo essenziale quale la sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente dalle strettoie dei cosiddetti “rischi tabellati”, e, dunque, ricollega siffatto adempimento alle risultanze della valutazione dei rischi inerenti alle attività o mansioni comportanti “operazioni connesse ad attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate, quali equipaggiamenti militari speciali, armi, munizioni, sistemi d’arma, materiali di armamento, o alla frequentazione di luoghi situati in prossimità di tali attrezzature, comprese le operazioni indicate negli articoli 2185 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, e 1079, comma 1, del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010”.
Determinante è infine l’abrogazione dell’articolo 253, comma 8, del D.P.R. n. 90/2010 e, dunque, la cancellazione del meccanismo consistente nel pagamento delle sanzioni da parte del Ministero della Difesa.
Resta fermo l’auspicio che, al fine di evitare inammissibili disparità di trattamento, analogamente si provveda per le Forze di polizia e per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

2.2. Servizi ispettivi terzi ed efficienti
L’approvazione della proposta di legge AC 3925 è indispensabile, ma non ancora sufficiente, per smontare i meccanismi procedurali ed organizzativi che valgono ad oscurare nell’universo militare rischi temibili e responsabilità effettive.
Altre misure appaiono necessarie alla luce degli accertamenti condotti dalla Commissione. E la prima è l’organizzazione di servizi ispettivi, non solo terzi, alla stregua della proposta di legge AC 3925, ma anche efficienti e preparati.
Certo, l’abbandono della giurisdizione domestica costituisce una premessa comunque essenziale. Ma occorre anche che il Ministro del lavoro provveda a:
- arricchire gli organici e ancor più la professionalità degli ispettori del Ministero del Lavoro chiamati dalla proposta di legge AC 3925 a svolgere l’attività di vigilanza, e in ispecie di un Ispettorato Nazionale del Lavoro attualmente in difficoltà, con specifico riguardo alle peculiarità del mondo militare;
- evitare che i dirigenti dei servizi ispettivi indichino come obiettivo primario un numero elevato di sopralluoghi oggettivamente a discapito della loro qualità;
- premiare, non punire, gli ispettori che si prodigano nelle attività di vigilanza;
- evitare che l’ispettore preannunci le ispezioni;
- garantire l’unitarietà dei comportamenti degli organi di vigilanza, e così scongiurare inammissibili differenziazioni nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme tra zona e zona e tra settore e settore;
- scongiurare ogni confusione tra l’attività di vigilanza e una sostanziale attività di consulenza.
Un punto, quest’ultimo, che non a caso ha suscitato l’interesse della Commissione anche durante l’esame testimoniale del Gen. Covato, responsabile della Direzione per il coordinamento centrale del Servizio di vigilanza, prevenzione e protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito, in data 16 novembre 2017:

Carmelo COVATO. L’organizzazione prevenzionale fa capo naturalmente ai singoli datori di lavoro, e il mio organismo è un organismo di consulenza alta, nel senso che tutte le volte che gli operatori della prevenzione in periferia hanno dei dubbi su come affrontare una situazione, su come interpretare una norma, si rivolgono al mio ufficio antinfortunistica, e in quel caso i miei esperti che stanno lì elaborano queste consulenze per il personale che sta in periferia.

Giulia GRILLO. Quindi voi siete dei consulenti, cioè la vigilanza è una consulenza che voi fate. Se ve la richiedono, fate la consulenza, se no non la fate.

Carmelo COVATO. Stavamo parlando della parte prevenzionale.

Giulia GRILLO. Quindi è una prevenzione su consulenza, cioè lei passa da un ufficio, la chiamano: «mi fa una consulenza?», funziona così? Oppure ha un ruolo specifico proattivo nei confronti di vigilanza, prevenzione e protezione? Chiarisca perfettamente qual è la sua funzione.

Carmelo COVATO. La domanda era relativa all’aspetto prevenzionale. Nella mia organizzazione l’aspetto prevenzionale è separato dalla vigilanza, la vigilanza è eseguita da un altro ufficio, che si chiama Ufficio per il coordinamento.

Giulia GRILLO. È sotto la sua responsabilità?

Carmelo COVATO. Sempre.

Giulia GRILLO. Quindi il responsabile è lei.

Carmelo COVATO. Sempre sotto la mia responsabilità, anche se la vigilanza è un organo autonomo, composto da ufficiali di polizia giudiziaria che, per quanto attiene le indagini, dialogano direttamente con le procure. Io non sono un ufficiale di polizia giudiziaria, mi occupo del coordinamento delle attività, ma l’organo di vigilanza dal punto di vista delle indagini è autonomo. Quando dicevo che ci occupiamo di consulenza, volevo semplicemente dire che nella parte prevenzionale, che è ramificata su tutta l’organizzazione della Difesa, l’organo centrale è l’ultimo organo a cui rivolgersi se qualcosa non è chiaro, se c’è da valutare qualcosa. Oltre a questo, naturalmente, l’ufficio si occupa della formazione, quindi garantisce che in periferia tutto il personale che svolge compiti prevenzionali, i responsabili del servizio e quant’altro, siano debitamente formati, e, se non lo sono, si preoccupa di avviarli ai corsi di formazione, si occupa di valutare e di fornire il proprio contributo nei tavoli tecnici quando si parla di prevenzione, quando si interviene su norme, su disegni di legge e quant’altro. Questa è la funzione della parte prevenzionale della mia organizzazione, la parte vigilanza è un’altra cosa.
Dove desta sorpresa il distinguo tra prevenzione e vigilanza: come se la vigilanza (beninteso, quella “domestica”) nulla avesse a spartire con la prevenzione.

2.3. Una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro
Si è sottolineato in precedenza che non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa, e che, in materia di patologie occorse a militari o a cittadini residenti nei pressi di siti militari - ivi compresi gli stessi mesoteliomi da amianto o i tumori polmonari da radon - i procedimenti per reati quali l’omicidio colposo o le lesioni personali colpose nemmeno vengono avviati, ovvero si sviluppano con una tale lentezza o senza gli indispensabili approfondimenti, con la conseguenza che si concludono con il proscioglimento nel merito o per prescrizione del reato.
Sarebbe il momento di passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo costruire una nuova organizzazione nei settori delle morti e dei disastri causati dagli ambienti di vita o di lavoro, una Procura nazionale, o quantomeno un’Agenzia nazionale, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il Paese, sul modello dei póles de santé DRpublique francesi.
Pensiamo ai casi più eclatanti di tumori o altre patologie che si verificano tra i militari. Ogniqualvolta esplode un’emergenza del genere, si avverte la necessità di una gestione unitaria del caso. E invece accade che ogni singola procura o nemmeno si fa carico del fenomeno, o ne valuta autonomamente un solo aspetto, non è in grado di approfondire i fatti nella loro globalità, non ha il quadro d’insieme, esamina un pezzetto della storia complessiva.
Come non bastasse, bisogna ammettere che vi sono procure della repubblica (poche) specializzate, e procure della repubblica (la maggior parte) non specializzate, e per lo più con un organico a tal punto ridotto da impedire ai pochi magistrati presenti di farsi la competenza e l’esperienza necessarie. Paradigmatica, sotto questo verso, è la situazione segnalata alla Commissione d’inchiesta dal Procuratore della repubblica presso il tribunale di Lanusei.
Come stupirsi allora se, ad esempio, le indagini sui tumori occorsi a militari esercenti la medesima attività e situati in diverse parti del territorio italiano si chiudano in una zona con la condanna (come, ad esempio, in primo grado a Padova) e nelle altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un’archiviazione?

2.4. Alla ricerca del datore di lavoro di fatto
Una quarta misura, strettamente connessa alle precedenti, consiste nell’applicazione sistematica dell’articolo 299 del D.Lgs. n. 81/2008 da parte degli organi ispettivi.
Tale articolo stabilisce che “le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”. La
Corte di Cassazione ne desume che il debito di sicurezza del datore di lavoro può derivare da due fonti: l’investitura formale come datore di lavoro e l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche del datore di lavoro (v., ad es., Cass. 17 novembre 2017 n. 52536; Cass. 31 ottobre 2017 n. 50019; Cass. 25 ottobre 2017 n. 48940): “con la conseguente possibilità della coesistenza, all’interno della medesima impresa, di più figure aventi tutte la qualifica di datore di lavoro cui incombe l’onere di valutare i rischi per la sicurezza, di individuare le necessarie misure di prevenzione e di controllare l’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza da parte del coobbligato” (così, per tutte, Cass. 20 aprile 2017 n. 19036).
Gli ispettori “domestici” si sono ben guardati dall’applicare questi insegnamenti della Corte di Cassazione nell’ambito militare. Tocca a ispettori terzi verificare se l’esercizio di funzioni tipiche del datore di lavoro quali quelle - a mero titolo di esempio - riservate al Capo di Stato Maggiore della Difesa dalla Direttiva SMD - L - 018, avente per oggetto «il coordinamento degli enti tecnico/operativi della Difesa e il ricorso a istituzioni esterne nel campo chimico, biologico, radiologico e nucleare (CBRN)», approvata dal Capo di Stato Maggiore della Difesa nel novembre 2006, non valga a far individuare un datore di lavoro formale e un datore di lavoro di fatto nell’ambito militare, l’uno e l’altro chiamati a rispondere per la violazione di un obbligo quale la valutazione dei rischi.

2.5. RSPP e MC preparati e autonomi
Già la proposta di legge AC 3925 introduce varianti preordinate a soddisfare l’esigenza di garantire l’autonomia e la competenza dei Responsabili del servizio prevenzione e protezione e dei Medici competenti militari. Ma queste varianti debbono essere accompagnate da provvedimenti atti a definire apposite procedure, promuovere buone prassi, aumentare le risorse destinate alla formazione di RSPP e MC, creare a livello di Forza armata un’apposita direzione centrale di coordinamento dell’attività degli RSPP e dei MC, ormai non più coinvolta nella vigilanza affidata ad organi esterni.
In particolare, la scelta dell’RSPP non può più ricadere su colui che in questo o quel reparto “ne mastica di sicurezza” e occorre evitare che un RSPP sia condotto a un corso di aggiornamento senza aver prima seguito un corso di formazione base.
In questa ottica, si auspica che, nel quadro dell’Accordo Stato-Regioni n. 128/2016 “finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni”, si preveda un modulo specifico aggiuntivo per gli RSPP operanti nell’ambito delle Forze armate, così come avviene per alcuni altri comparti. Un modulo che dovrebbe riguardare specificatamente anche i rischi connessi ai sistemi d’arma e ai relativi munizionamenti in tutte le fasi (dalla produzione, all’immagazzinamento, all’uso nei poligoni e nei teatri operativi, alla bonifica, e allo smaltimento).
Per quanto riguarda i MC, si rende necessario garantire l’aggiornamento formativo ECM (Educazione continua in medicina) per la specifica specializzazione, così come richiesto dall’articolo 38, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008, anche per consentire lo scambio di competenze tra MC civili e militari.

2.6. Organi tecnico-operativi rigenerati
La crisi in cui versano attualmente gli organi tecnico-operativi impone l’adozione di provvedimenti atti a consentire una risposta sistematica e tempestiva alle richieste provenienti dai datori di lavoro.
Non basta, peraltro, assicurare maggiori risorse al CISAM, al CETLI e agli altri enti tecnico-operativi. Occorre anche e previamente condurre un’analisi sul tipo e sulla quantità delle prestazioni prevedibilmente richieste per soddisfare le esigenze delle Forze armate: ad esempio, quanti esperti qualificati in radioprotezione sono indispensabili, quanti luoghi devono essere monitorati per il radon, quante indagini ambientali nelle diverse matrici (aria, acqua, suolo) sono necessarie per completare e in alcuni casi per elaborare le valutazioni dei rischi chimici, fisici, biologici, radiologici, cancerogeni, e teratogeni, quanto amianto è ancora presente e quante analisi servono per definirne i piani di manutenzione e controllo o per monitorarne la bonifica?
Proficue sarebbero, altresì, alla luce degli accertamenti condotti dalla Commissione, cinque misure:
- assegnazione agli enti tecnico-operativi di personale qualificato, non solo militare, ma anche civile, con profili e formazione tecnico-scientifica adeguata;
- implementazione della strumentazione scientifica;
- una rete interforze tra i diversi enti tecnico-operativi per evitare sovrapposizioni di competenze e massimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili;
- prosecuzione del controllo da parte degli enti tecnico-operativi in ordine alle situazioni oggetto delle loro attività;
- coinvolgimento degli enti tecnico-operativi nella ricerca e nell’applicazione delle soluzioni.

2.7. RLS eletto o designato dai lavoratori militari
Un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nominato dallo stesso datore di lavoro è una figura che si accompagna coerentemente con un ispettore che appartiene alla medesima impresa sottoposta a vigilanza, all’insegna di una giurisdizione integralmente domestica.
Ha scritto la Corte di Cassazione che “l'articolo 9 dello Statuto dei lavoratori ha costituito il primo riconoscimento normativo della presenza organizzata dei lavoratori ai fini dell'attuazione del diritto alla sicurezza sui luoghi di lavoro” e che questo riconoscimento “trova, altresì, conforto, sempre più incisivamente, nella previsione dell'elezione o della designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con funzioni di accesso, consultazione e proposizione (cfr. dapprima il decreto legislativo n. 626 del 1994 e, poi, il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81)” (Cass. 30 giugno 2015 n. 27183).
Una norma come quella dettata dall’articolo 250 del D.P.R. n. 90/2010, stabilendo la nomina dell’RLS da parte dello stesso datore di lavoro, tradisce la logica profonda sottesa alla figura dell’RLS istituita dal D.Lgs. n. 81/2008 in sintonia con la Direttiva madre CEE 12/06/1989 n. 89/391/CEE: una figura contemplata proprio al fine di sollecitare la partecipazione dei lavoratori all’attività di prevenzione e insieme il loro controllo sull’operato del datore di lavoro. Ognuno intende quanto ardue diventino una simile partecipazione e un simile controllo da parte di un RLS nominato dallo stesso controllato.
Per giunta, quell’articolo 250 introduce un’inammissibile disparità di trattamento nell’ambito della medesima Amministrazione della Difesa tra i rappresentanti dei lavoratori civili per la sicurezza “eletti o designati secondo le modalità previste dagli articoli 47 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008, e nel rispetto degli accordi collettivi nazionali tra le organizzazioni sindacali e l’Agenzia per la rappresentanza delle amministrazioni nel pubblico impiego” e i rappresentanti dei lavoratori militari per la sicurezza “designati dal datore di lavoro su proposta non vincolante degli organi della rappresentanza militare”.
In questo quadro, si propone di integrare l’articolo 12 della proposta di legge AC 3925, indicando tra le norme abrogate anche quelle disposizioni che nell’art. 250 D.P.R. n. 90/2010 si riferiscono specificamente ai rappresentanti dei lavoratori militari per la sicurezza in termini differenziati rispetto ai rappresentanti dei lavoratori civili per la sicurezza.

2.8. Una ricerca epidemiologica affidata all’Istituto Superiore di Sanità
Nessun dubbio, poi, che anche nel mondo militare risulti fondamentale la ricerca epidemiologica.
Quante volte, e ancora in questi giorni, militari e cittadini lamentano una mancata risposta sulla associabilità di determinate patologie a esposizioni lavorative o ambientali all’interno o nelle vicinanze di aree militari. Esortiamo e aiutiamo le istituzioni scientifiche a svolgere al riguardo ricerche approfondite e neutrali. E d’altra parte andiamo in tutto il Paese alla ricerca dei tumori causati dal lavoro, anche dei tumori occorsi ai militari. Non lasciamo che continuino a restare sepolti negli archivi dei comuni e degli ospedali e che continuino a non essere segnalati all’autorità giudiziaria, né all’ente assicuratore, né agli organi di vigilanza.
Preziosa anche sotto questo riguardo è una nota redatta dal consulente della Commissione, Dott. Pietro Comba, epidemiologo presso l’Istituto superiore di sanità, da assumere come punto di riferimento per una seria riorganizzazione di un osservatorio epidemiologico nel mondo militare:
“Gli osservatori epidemiologici sono strutture nate in attuazione dell’articolo 58 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978: “Nel piano sanitario nazionale di cui all'articolo 53 sono previsti specifici programmi di attività per la rilevazione e la gestione delle informazioni epidemiologiche, statistiche e finanziarie occorrenti per la programmazione sanitaria nazionale e regionale e per la gestione dei servizi sanitari. I programmi di attività, per quanto attiene alle competenze attribuitegli dal precedente articolo 27, sono attuati dall'Istituto superiore di sanità. Le regioni, nell'ambito dei programmi di cui al primo comma, provvedono ai servizi di informatica che devono essere organizzati tenendo conto delle articolazioni del servizio sanitario nazionale. Con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, sono dettate norme per i criteri in ordine alla scelta dei campioni di rilevazione e per la standardizzazione e comparazione dei dati sul piano nazionale e regionale”.
Due nozioni emergono in particolare da questa impostazione:
1) Le “informazioni epidemiologiche”, ovvero le informazioni sullo stato di salute della popolazione, vengono raccolte secondo norme e criteri ben precisi.
2) Tali informazioni vengono utilizzate per la programmazione sanitaria.
Deriva da questa sintetica analisi che un osservatorio epidemiologico deve qualificarsi per la coerenza scientifica e di sanità pubblica fra il proprio specifico mandato, gli strumenti di cui si dota e i risultati che produce.
Nel caso concreto della rilevazione dei mesoteliomi è fin troppo ovvio che una rilevazione troncata al momento del congedo è priva di validità e si impone uno stretto raccordo con il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) per realizzare una significativa rilevazione dei dati. Il Registro, come è noto a chiunque abbia familiarità con questa materia, è un sistema fondato sui Centri operativi regionali, che detengono l’informazione primaria, e su una struttura centrale, ubicata presso l’INAIL, che elabora periodiche sintesi dei dati raccolti, secondo procedure dettagliatamente illustrate sul sito web dell’INAIL al quale si rinvia per una disamina più approfondita. È molto importante che la collaborazione osservatorio epidemiologico - ReNaM a) si attivi sollecitamente; b) produca indicatori epidemiologici validi; c) produca informazioni utili a fini preventivi, ossia contribuisca a indicare le attività e i territori in cui sorgenti importanti di amianto abbiano determinato esposizioni professionali e ambientali ancora in atto ovvero già rimosse. Chi voglia intraprendere uno studio in collaborazione con il ReNaM deve quindi raccordarsi con la struttura centrale (diretta dal Dott. Alessandro Marinaccio) e, attraverso di lui, con la rete dei COR. Si veda ad esempio come questo raccordo è stato trovato con successo e senza particolari difficoltà per la realizzazione del Progetto SENTIERI-ReNaM sull’incidenza dei mesoteliomi nei Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche.”
È il caso di aggiungere che purtroppo l’Osservatorio epidemiologico della Difesa non ha tempestivamente, né adeguatamente, osservato queste indicazioni metodologiche pur dopo le plurime audizioni del suo direttore davanti alla Commissione. Al riguardo, il Presidente dell’INAIL, Prof. Massimo De Felice, ha comunicato alla Commissione che solo in data 22 marzo 2017 l’Osservatorio ha fatto pervenire una richiesta formale volta ad acquisire alcune tipologie di dati relativi al comparto in questione. E a sua volta il Direttore del ReNaM Dott. Marinaccio, audito il 19 ottobre 2017, ha posto in risalto l’accidentato, e tutt’altro che concluso, percorso dei rapporti tra ReNaM e Osservatorio epidemiologico della Difesa:

Donatella DURANTI. Siccome ha parlato di questo protocollo tra il ReNaM e l'Osservatorio epidemiologico della Difesa per un approfondimento dei casi appunto nel comparto difesa, vorrei capire a che punto è questo protocollo e se è possibile fornirci tutti i dati.

Alessandro MARINACCIO. Dopo questa discussione preliminare, in cui è stato chiarito da parte nostra che il ricorso ai COR regionali era essenziale, abbiamo fornito all'Osservatorio i riferimenti e i contatti di tutti i responsabili dei COR, che sono stati contattati recentemente dall'Osservatorio e a cui è stata sottoposta una prima bozza di protocollo per vedere le disponibilità e la fattibilità dello studio. I COR stanno rispondendo, proprio in questi giorni, con le loro disponibilità, anche ponendo il problema delle risorse necessarie per un lavoro aggiuntivo rispetto a quello che correntemente fanno e chiedendo anche di approfondire il protocollo e di renderlo più operativo. Quello che è circolato in una prima fase, infatti, probabilmente è un documento che va ancora approfondito e reso più cogente. Siamo, quindi, nella fase in cui i COR stanno esprimendo la loro disponibilità alla collaborazione. Quello che ho verificato è che chiedono una definizione più accurata del protocollo e anche un'identificazione, se possibile, delle risorse con le quali svolgere queste attività ulteriori.

PRESIDENTE. L’attività vera e propria ancora non è iniziata.

Alessandro MARINACCIO. No.

Ulteriori indicazioni operative sono state suggerite da Franco Cipriani, Dirigente superiore medico della Polizia di stato, in una missiva del 27 dicembre 2017 inviata al Presidente della Commissione a seguito della sua audizione:
“Nel corso delle audizioni che si sono susseguite in seno alla Commissione è emersa la difficoltà di un attendibile dato epidemiologico - circa l'incidenza e la prevalenza di patologie tumorali nei militari - dovuta alla circostanza che l'ente della Difesa deputato al monitoraggio perde i casi quando i militari vanno in congedo. Premesso che a chi scrive non pare particolarmente indaginosa una ricerca dei militari in congedo - anche tramite semplice intervista telefonica sullo stato di salute - non bisogna dimenticare che alcune migliaia di militari impiegati nei territori della ex Jugoslavia, ai sensi delle norme di legge che lo consentono in via preferenziale, sono transitati nelle forze di polizia, dove permarranno fino al sessantesimo anno di età. La disponibilità dei dati relativi a questi soggetti è attuale e, soprattutto, risulta molto semplice uno studio prospettico su questa popolazione, con comparazione con adeguati gruppi di confronto. Anche in tal senso, il coinvolgimento di enti esterni alle amministrazioni interessate garantirebbe maggiore trasparenza ed uniformità.”
Diventano, dunque, urgenti il superamento dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, e l’affidamento delle indispensabili ricerche epidemiologiche nel mondo militare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l’Istituto Superiore di Sanità.

Capitolo 3.
CRITICITÀ E PROPOSTE IN MATERIA PREVIDENZIALE

1. Per una adeguata tutela previdenziale del personale delle Forze armate

Al fine di verificare l’adeguatezza della tutela previdenziale assicurata al personale delle Forze armate dalle norme vigenti e dalle prassi applicative, la Commissione ha proceduto, innanzi tutto, ad una ricognizione delle prestazioni previdenziali e assistenziali previste, a legislazione invariata, in favore di detto personale.
Al riguardo, occorre premettere che, in forza della norma di interpretazione autentica di cui all'articolo \2-bis del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, con legge 23 aprile 2009 n. 38, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, non si applicano al personale delle Forze armate, come a quello delle Forze di polizia, che rimangono disciplinate dai rispettivi ordinamenti, fino al complessivo riordino della materia.
Considerato, inoltre, che, per espresso dettato legislativo, l’abrogazione degli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, disposta dall’articolo 6 del decreto legge 6 dicembre 2011, n.201, non si applica nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, il personale delle Forze armate continua ad avere diritto, in caso di evento lesivo causato dal servizio, alla erogazione dell’equo indennizzo.
Questo elemento differenzia il trattamento riservato al personale delle Forze armate da quello garantito alla generalità dei lavoratori, compresi i dipendenti civili dello Stato, che hanno diritto non già all’ equo indennizzo, bensì alla tutela indennitaria prevista dal d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), e successive modificazioni e integrazioni.
La comparazione tra le due diverse tutele indennitarie assume, quindi, decisiva rilevanza ai fini della valutazione dell’adeguatezza delle prestazioni lato sensu previdenziali previste per il personale delle Forze armate.

1.1. L’equo indennizzo
La base di calcolo dell’equo indennizzo è stata costituita, fino al 31 dicembre 1994, dalla classe iniziale di stipendio della qualifica o del livello di appartenenza (nel caso delle Forze armate, del grado rivestito) al momento della domanda, maggiorata dell'80 per cento, secondo quanto disposto dall‘art. 154 del d.P.R. n. 312/89 e dall’art. 1, comma 120, della legge n. 662/96.
I criteri di determinazione della base di calcolo dell’equo indennizzo sono stati più volte modificati nel corso degli anni.
La disciplina attualmente vigente è stata dettata dall’art. 1, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, ai cui sensi la base di calcolo dell’equo indennizzo è costituita dal solo stipendio tabellare iniziale del grado rivestito alla data della domanda, con esclusione ogni altra voce retributiva e di qualsivoglia maggiorazione.
Al fine di determinare l’importo dell’indennizzo, la predetta base di calcolo deve essere moltiplicata per due e deve, poi, essere applicato il coefficiente relativo alla categoria di inabilità riconosciuta, come da tabella che segue:

Tabella

Categoria

Percentuale invalidità

Coefficiente

A

Prima

100% - 91%

100

A

seconda

90% - 81%

92

A

terza

80% - 71%

75

A

quarta

70% - 61%

61

A

quinta

60% - 51%

44

A

sesta

50% - 41%

27

A

settima

40% - 31%

12

A

ottava

31% - 21%

6

B

 

20% - 11%

3


L’importo così ottenuto, si riduce del 25% o del 50% se il dipendente ha superato il cinquantesimo o il sessantesimo anno di età al momento dell'evento che ha provocato il danno.
L’approdo finale dei criteri e delle modalità di calcolo dell’equo indennizzo ha portato, con ogni evidenza, ad un drastico ridimensionamento delle provvidenze riconosciute al personale delle Forze armate.

1.2. L’indennizzo garantito dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 38 del 2000, le principali prestazioni economiche garantite in caso di inabilità permanente o di morte, causate da infortunio sul lavoro o da malattia professionale, sono le seguenti:
• l’indennizzo in capitale del danno biologico, per menomazioni comprese tra il 6 e il 15%
• la rendita diretta, per menomazioni pari o superiori al 16%;
• la rendita a superstiti, in caso di morte.
L’ indennizzo in capitale è erogato in un’unica soluzione, e l’importo dello stesso è indicato nell’apposita Tabella dell’indennizzo del danno biologico, in funzione del grado di menomazione, accertato sulla base della tabella delle menomazioni prevista dal d.lgs. 38/2000.
La tabella dell’indennizzo del danno biologico è impostata secondo i seguenti criteri:
- areddituale, indipendente cioè dal reddito, in quanto la menomazione in sé produce lo stesso pregiudizio alla salute per tutti gli essere umani;
- crescente, al crescere della gravità della menomazione;
- variabile, in funzione dell’età (decresce al crescere dell’età) e del sesso (tiene conto della maggiore longevità femminile).
La rendita diretta, erogata mensilmente per tutta la vita, si compone di due quote. Una areddituale, che indennizza il danno biologico ed è commisurata soltanto alla percentuale di menomazione, l’altra reddituale, destinata a ristorare le conseguenze patrimoniali della menomazione, e pertanto commisurata, oltre che al grado di menomazione, alla retribuzione percepita dall’assicurato.
La retribuzione da utilizzare quale base di calcolo della quota reddituale della rendita è quella effettiva percepita nell’anno precedente l’evento lesivo, con il limite del minimale e del massimale stabilito dalla legge, pari, rispettivamente, a € 16.195,20 e a € 30.076,80 annui.
L’assicurato, dopo il riconoscimento del diritto alla prestazione, può denunciare successivi aggravamenti per ottenere l’adeguamento dell’indennizzo in capitale o la costituzione della rendita o, ancora, una maggiore rendita, se già costituita.
In caso di morte causata dalle conseguenze dell’infortunio o della malattia professionale, è costituita la rendita a favore dei superstiti.
Beneficiari della prestazione sono:
• il coniuge, fino alla morte o a nuovo matrimonio (nel caso di matrimonio sono dovute tre annualità)
• i figli fino al 18° anno di età, senza ulteriori requisiti, fino al 21° anno di età, se studenti di scuola media superiore o professionale viventi a carico e senza un lavoro retribuito, per tutta la durata normale del corso, non oltre il 26° anno di età, se studenti universitari viventi a carico e senza un lavoro retribuito, per tutta la durata normale del corso di laurea, oltre la maggiore età e finché dura l'inabilità se inabili al lavoro.
In mancanza di coniuge e figli:
• genitori naturali o adottivi, viventi a carico, fino alla morte
• fratelli e sorelle, viventi a carico e conviventi, negli stessi termini validi per i figli.
Per eventi mortali antecedenti al 1° gennaio 2014, la rendita a superstite era calcolata sulla retribuzione annua effettiva del lavoratore deceduto, nel rispetto dei limiti minimo e massimo stabiliti per legge (minimale e massimale di rendita).
Per le rendite a favore di superstiti di lavoratori deceduti a far data dal 1° gennaio 2014, il calcolo è effettuato sulla base del massimale di legge, pari, come già sottolineato, a € 30.076,80.
La rendita ai superstiti è cumulabile con la pensione di reversibilità; la rendita diretta è cumulabile con la pensione di anzianità o di vecchiaia e con l’assegno o pensione di invalidità, purché, in quest’ultimo caso, le due prestazioni non siano connotate da completa sovrapponibilità, per essere fondate sullo stesso quadro morboso (Cassazione civile, sez. VI, 22 marzo 2016, n. 5636).
Le rendite, inoltre, sono esenti da ritenute IRPEF.

1.3. Risultati della comparazione
Dalla comparazione tra i due sistemi è risultato di tutta evidenza che la tutela indennitaria prevista dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è di maggior favore rispetto a quella garantita dall’equo indennizzo, non soltanto perché è più bassa la soglia minima di indennizzabilità (6% invece di 11%), ma perché la quota patrimoniale della rendita, spettante a partire dal 16% di inabilità, è calcolata con riferimento alla complessiva retribuzione effettiva (sia pure con il massimale di € 30.076,80 annui), invece che al solo stipendio tabellare iniziale. Questa conclusione è stata confermata dai numerosissimi confronti effettuati su fattispecie concrete, né diversamente si può opinare sul rilievo che talune infermità di cui alla tabella A, categoria 1, sono valutate con un grado di inabilità superiore a quello previsto dalla tabella delle menomazioni di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000.
Il grado di menomazione, infatti, costituisce soltanto una delle variabili che determinano l’importo della prestazione spettante. Sviluppando l’intero calcolo, il risultato è comunque più favorevole, nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria, anche nei casi sopra menzionati.
A ciò si aggiunga che la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali non soltanto assicura un indennizzo destinato a garantire la continuità del sostegno economico, ma si articola in prestazioni anche di diversa natura finalizzate al miglioramento della qualità della vita degli infortunati e dei tecnopatici. Basti pensare all’assistenza protesica di eccellenza erogata dal Centro protesi di Vigorso di Budrio e all’assistenza sanitaria privilegiata, con conseguente erogazione delle prestazioni sanitarie eccedenti rispetto ai livelli essenziali di assistenza, ivi compresa la gratuità dei farmaci di fascia C necessari.

2. L’accertamento del nesso di causalità e le prassi applicative, con particolare riferimento alle patologie multifattoriali
Le reiterate sentenze della magistratura ordinaria e amministrativa hanno costantemente affermato l’esistenza, sul piano giuridico, di un nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari o, per essi, dai loro superstiti. La patogenicità dell’uranio impoverito è stata altresì riconosciuta sul piano scientifico, dal momento che la Tabella delle malattie professionali, approvata con Decreto Ministeriale del 9 aprile 2008, su proposta dell’apposita commissione scientifica, elenca al numero 15 le malattie causate da effetti non radioattivi dell’uranio e suoi composti. Vero è che l’unica patologia nonosologicamente definita è la nefropatia tubulare, ma altrettanto vero è che la voce 15 della Tabella contiene anche una dizione aperta, così formulata: “altre malattie causate dall’esposizione ...”. Ciò dimostra che gli effetti patogenitici dell’uranio impoverito sono multiformi e che a dieci anni di distanza dall’emanazione della predetta Tabella, i progressi della scienza medica e i risultati delle indagini epidemiologiche imporrebbero un aggiornamento della Tabella stessa, con l’inclusione di altre patologie nonosologicamente definite, con particolare riguardo a talune forme tumorali del sistema emolinfopoietico.
Nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per quanto riguarda le malattie professionali, vige il c.d. sistema misto: accanto a malattie indicate in tabella, con previsione delle lavorazioni e delle malattie dalle stesse causate, sono tutelabili anche quelle non tabellate, purché ne sia dimostrata la eziopatogenesi lavorativa.
La differenza tra le due categorie di patologie professionali riguarda la distribuzione dell'onere della prova.
Nel caso delle malattie tabellate, sul lavoratore incombe l'onere di provare di essere stato addetto alla lavorazione indicata in tabella e di essere affetto dalla patologia prevista nella medesima tabella. Il nesso di causalità tra lavorazione e patologia è assistito da presunzione legale, che può essere superata soltanto laddove l'INAIL fornisca la prova certa di una diversa causa extra lavorativa.
Nel caso delle malattie non tabellate, il lavoratore deve provare non soltanto di essere stato addetto ad una lavorazione che lo ha esposto ad un determinato agente e di essere affetto dalla patologia denunciata, ma anche il nesso di causalità tra l'agente patogeno e la malattia.
È da notare che le patologie a genesi multifattoriale, per la maggior parte delle quali non è possibile esprimersi in termini di certezza scientifica, sono valutate e definite nel pieno rispetto dei principi di diritto dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. La prova del nesso di causalità tra l'agente patogeno e la malattia si ritiene raggiunta quando sussista una probabilità qualificata, fondata sulle risultanze di accreditate indagini epidemiologiche e di studi condivisi dalla comunità scientifica. Se concorrono cause lavorative con fattori eziologici extra lavorativi, in forza del principio di equivalenza causale di cui all'articolo 41 c.p., la malattia si considera professionale. Ai fini della corretta applicazione della regola contenuta nell'articolo 41 c.p. in tema di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, deve, pertanto, escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.
Per quanto riguarda il personale delle Forze armate, il percorso amministrativo che porta al riconoscimento della c.d. «causa di servizio» prevede:
il parere della CMO (Commissione medica ospedaliera) composta da medici militari, che si pronuncia sulla gravità della patologia e sulla corrispondente percentuale di invalidità che ne deriva, ma non sull'eziopatogenesi;
il parere del CVCS (Comitato di verifica per le cause di servizio), organo del MEF, nel quale i medici militari sono in maggioranza nella formulazione del giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità, pronunciato su base esclusivamente documentale ed in assenza di un reale contraddittorio con l'interessato.
Nell'ambito del procedimento or ora descritto, non appare sufficientemente garantita la terzietà di giudizio e, soprattutto, i pareri negativi espressi dal Comitato di verifica per le cause di servizio, a conclusione del descritto procedimento risultano redatti «con motivazioni di stile, stereotipate, meramente apparenti, apodittiche o generiche» (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 1o dicembre 2015) e «aprioristicamente in contrasto con quanto sostenuto dalla comunità scientifica e persino recepito dalle istituzioni politiche, che hanno riconosciuto con legge dello Stato l'esistenza del rischio specifico» (T.A.R. Lazio, sez. I; cfr. inoltre, ex multis, Cons. St. n. 837 del 29 febbraio 2016; T.A.R. Toscana Sez. I n. 462 del 15 marzo 2016; T.A.R. Lazio sez. I-bis, n. 7363 del 16 agosto 2012).
Molto spesso, in particolare con riferimento alle patologie più gravi, esitate nel decesso del militare che ne era affetto, il C.V.C.S. si è espresso in termini negativi per l’asserita mancanza di certezza assoluta, sul piano scientifico, in ordine al nesso di causalità, senza alcuna valutazione del criterio probabilistico-statistico che, per costante insegnamento dei giudici di legittimità, deve essere applicato in questi casi, anche con riguardo alla causa di servizio (Cassazione civile, sez. un., 17/06/2004, n. 11353, e, da ultimo, Cassazione civile, sez. lav., 02/01/2018, n. 12).
La prassi adottata dal CVCS è stata censurata anche dai giudici amministrativi che hanno annullato i provvedimenti di diniego rilevando che l'accertamento in ordine al nesso di causalità il più delle volte ha avuto esito negativo, perché effettuato secondo canoni di certezza assoluta, anziché fondato sul consolidato principio probabilistico-statistico, affermato da costante giurisprudenza, proprio per «l'impossibilità di stabilire sulla base delle attuali conoscenze scientifiche un nesso diretto di causa-effetto» (T.A.R. Lazio, sez. I-bis, n. 7777 del 21 luglio 2014).
Particolarmente significative sono le sentenze, di cui sono di seguito riportati alcuni esempi, con le quali i giudici amministrativi hanno censurato l’atteggiamento negazionista del CVCS in merito agli effetti dell’esposizione all’uranio impoverito.
“La probabile connessione tra l'esposizione all'uranio impoverito e l'insorgenza di gravi patologie, anche di natura oncologica, ha indotto l'ONU a vietare l'utilizzo di armi contenenti tale elemento (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi hanno assunto misure di protezione e di precauzione a favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO. Va, quindi, riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa, secondo la fattispecie astratta dell'art. 2087 c.c., nel caso di contrazione da parte del militare impegnato in missioni ad alto rischio della patologia ematoncologica classificata come Linfoma di Hodgkin, a causa dell'assenza di dispositivi di protezione personale ed informazioni sull'utilizzo di armamenti e proiettili ad uranio impoverito.” (T.A.R. Aosta, (Valle d'Aosta), sez. I, 20/09/2017, n. 56).
“Sono illegittimi i pareri medico-legali del Comitato di verifica per le cause di servizio che escludono la riconducibilità a causa di servizio dell'infermità patita dall'interessato - militare già in missione di pace in Kosovo e Libano - sulla scorta di una motivazione di stile, stereotipata e, comunque, meramente apparente, sicuramente non in grado di consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico che ha indotto ad escludere il nesso di causalità tra attività espletata e patologia insorta. Nella fattispecie, il Comitato di verifica non ha né menzionato il complesso insieme di fattori di rischio riconducibili all'esposizione di inquinanti in ambito lavorativo (l'interessato, in qualità di meccanico di mezzi corrazzati, era particolarmente esposto ad agenti inquinanti e cancerogeni), né tantomeno fornito congrue ragioni per escludere che le particolari condizioni di impiego del militare potessero aver influito sull'insorgere della patologia in contestazione. I pareri in questione non tengono, invero, in alcun conto il potenziale effetto patogeno dei fattori di rischio, ormai riconosciuti pericolosi, menzionati dal militare, in particolare l'esposizione oltre che all'inquinamento atmosferico, alle contaminazioni tossiche provocate dall'impatto ed esplosione di munizione anche all'uranio impoverito, alle esalazioni dei gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi chimici per la pulizia delle armi e a massicci bombardamenti elettromagnetici, assieme alla sottoposizione ad un elevato livello di stress e alla massiccia somministrazione di vaccini, elementi che hanno indotto lo stesso legislatore nazionale a riconoscere l'esistenza di appositi benefici economici in favore del personale interessato (art. 1079, comma 1, del d.P.R. n. 90/2010 e già con l'abrogato art. 2 d.P.R. n. 37/2009 emendato in attuazione dell'art. 2, commi 78 e 79, della l. 244 del 2007).” (T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 08/02/2017, n. 55).
“In tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l'impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l'impiego nei contesti fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kosovo in zone interessate dall'utilizzo di ordigni all'uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell'esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia. In tale ottica, il verificarsi dell'evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto « criterio di probabilità », a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l'esposizione del militare all'inquinante in parola, l'amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l'insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.” (T.A.R. Genova, (Liguria), sez. I, 29/09/2016, n. 956).
“In caso di infermità contratte da militari a causa dell'esposizione a polveri sottili derivanti dall'uranio impoverito, il verificarsi dell'evento costituisce un dato ex se sufficiente a ingenerare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento a meno che la Pubblica amministrazione non riesca a dimostrare che essa non aveva determinato l'insorgenza della patologia la quale dipenda, invece, da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l'insorgere dell'infermità.” (T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, 06/03/2015, n. 429).
Le sentenze del T.A.R. e del Consiglio di Stato non hanno, però condotto alla soluzione delle questioni controverse, perché al giudice amministrativo poteva essere domandata soltanto la tutela demolitoria, cioè l’annullamento del provvedimento impugnato, e non la decisione nel merito della questione controversa.
Ne è conseguita l’instaurazione di un circolo vizioso - il T.A.R. annullava, il CVCS riesaminava e ribadiva il diniego, sia pure con piccole variazioni della motivazione, l’interessato impugnava di nuovo, il T.A.R. annullava .... e così via - che ha prodotto una moltiplicazione del contenzioso con effetti pregiudizievoli per la finanza pubblica e, soprattutto, molto penosi per i militari interessati - o, troppo spesso, per gli eredi - che si sono visti negare, o differire all’infinito, il diritto alla tutela di cui lo Stato è debitore verso i propri servitori.
Questo circolo vizioso è stato almeno in parte neutralizzato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, affermando che la giurisdizione va attribuita al giudice amministrativo solo in relazione ai pregiudizi patiti in vita dal militare poi deceduto e fatti valere iure hereditatis dagli eredi, mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando gli eredi facciano valere iure proprio i danni da loro patiti in conseguenza del decesso del congiunto ( Cassazione civile, sez. un., 05/05/2014, n. 9573).
I superstiti dei militari deceduti a causa delle patologie contratte in servizio si sono visti, così costretti, stanti gli impropri ostacoli opposti all’accesso alla tutela previdenziale che avrebbe dovuto essere garantita dallo Stato, a ricorrere alla tutela risarcitoria, di competenza del giudice ordinario. Ciò ha determinato un incremento della spesa pubblica, puntualmente rilevato dalla Corte dei conti che, nella sua relazione sul consuntivo del 2016 ha evidenziato come:
“Le cause pendenti relative al risarcimento danni da esposizione da uranio impoverito, escluse quelle pendenti presso questa Corte dei conti, per il riconoscimento del trattamento pensionistico privilegiato militare, sono aumentate da 57 del 2015 a 71 del 2016 per un valore totale passato da 60,15 milioni a 80,81 milioni, davanti al giudice sia civile (nel 2015, 31 cause per un valore complessivo di 27,5 milioni, nel 2016, 37 cause per un valore complessivo di 35,6 milioni) che amministrativo (nel 2015, 26 cause per un valore complessivo di 2,3 milioni, nel 2016, 34 cause per un valore di 45,1 milioni)” .
Si è venuta, quindi, a determinare una situazione in cui i diritti che l’ordinamento riconosce al personale delle Forze armate sono nei fatti annullati dalla prassi applicativa e coloro che vorrebbero essere tutelati dallo Stato, come, secondo legge sarebbe loro diritto, si vedono costretti, per non divenire vittime silenti ed acquiescenti, ad avviare un rapporto conflittuale, con addebiti di responsabilità, quale è quello oggetto di una azione civilistica di risarcimento danni.
In conclusione, la tutela previdenziale del personale delle Forze armate si rivela del tutto inadeguata, non soltanto per l’esiguità delle provvidenze garantite dall’ordinamento a detto personale, ma anche per la carenza di effettività della tutela, dovuta a criticità procedurali e a una prassi che ne pregiudica sostanzialmente la corretta applicazione.

3. La proposta di legge AC 3925
L’accertata inadeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle Forze armate, al quale è riservato un trattamento deteriore rispetto alla generalità dei lavoratori, appare inaccettabile, considerata la specificità e la rilevanza della funzione svolta, e in aperto contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all’articolo 3 della Costituzione. Nella specifica materia la Corte costituzionale ha numerose volte ribadito che a parità di rischio deve corrispondere parità di tutela (Corte Cost., 7 aprile 1981, n. 55, Corte Cost., 10 dicembre 1987, n. 476, Corte Cost., 16 ottobre 1986, n. 221, Corte Cost., 21 marzo 1989, n. 137, Corte Cost., 4 aprile 1990, n. 160, Corte Cost., 2 marzo 1990, n. 98, Corte Cost., 15 luglio 1992, n. 332, Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 171). Né può essere dimenticato che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione degli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco dalla tutela apprestata dal d.P.R. 30 giugno 1965, n, 1124, con sentenza n. 157/1987, dichiarò l’inammissibilità della questione perché l’ordinanza di rimessione non la poneva in condizione di accertare se la specifica normativa applicabile agli appartenenti al Corpo prevedesse provvidenze non meno valide di quelle previste dal t.u. del 1965.
Così pronunciando, i giudici delle leggi hanno chiaramente indicato il principio guida da seguire: se le provvidenze previste a favore di soggetti esclusi dalla generale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono inferiori a quelle garantite dalla predetta assicurazione obbligatoria, si è in presenza di una violazione del precetto costituzionale.
Non essendo in alcun modo ipotizzabile che le Forze armate siano esposte, nell’esercizio delle loro alte funzioni, a rischi inferiori a quelli che affronta un qualsiasi altro lavoratore, la Commissione ha ritenuto urgente proporre un intervento legislativo finalizzato a porre rimedio alla evidenziata e macroscopica disparità di trattamento, nel rispetto di un fondamentale principio di equità.
In particolare, la Commissione ha ritenuto necessario che si proceda al riordino dell'intera materia della tutela previdenziale del personale delle Forze armate, riconducendola nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, garantita alla generalità degli altri lavoratori.
La soluzione prospettata, da estendere anche al personale del comparto sicurezza, d'altro canto, costituisce piena attuazione della norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 12-bis del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, con legge 23 aprile 2009 n. 38, secondo il quale le Forze armate dovevano intendersi escluse dal predetto sistema di tutela soltanto «fino al complessivo riordino della materia».
Si è pertanto previsto che al personale delle Forze armate, ivi compresa l'Arma dei Carabinieri, si applichino le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.
Conformemente a quanto è previsto per tutti i dipendenti di ruolo dello Stato, l'assicurazione di tale personale verrà attuata dall'Istituto nazionale dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) con il sistema della gestione per conto dello Stato.
Con la gestione per conto, le Amministrazioni dello Stato non corrispondono all'INAIL il premio assicurativo previsto per il regime ordinario, di cui al titolo I del Testo Unico n. 1124/1965 (settore industria), ma rimborsano all'Istituto gli importi delle prestazioni erogate ai dipendenti dello Stato infortunati e tecnopatici, le spese dovute per accertamenti medico¬legali e per prestazioni integrative, nonché una quota unitaria per le spese generali di amministrazione relative alla gestione degli infortuni denunciati e delle rendite in vigore in «conto Stato», come disposto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 10 ottobre 1985.
I dipendenti dello Stato hanno diritto a tutte le prestazioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, con la sola eccezione dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta. La predetta indennità, infatti, è una prestazione economica finalizzata a indennizzare la mancata retribuzione dovuta all'astensione dal lavoro in conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale e, pertanto, in caso di gestione per conto, non viene riconosciuta per mancanza del presupposto, dal momento che le Amministrazioni dello Stato continuano ad erogare la retribuzione anche durante il periodo di temporanea astensione dal lavoro.
Anche nel regime della gestione per conto, il lavoratore ha facoltà di proporre opposizione avverso l'atto con il quale l'INAIL definisce il caso. Se l'opposizione attiene a questioni di carattere medico-legale, la stessa viene solitamente trattata in sede di visita collegiale, con la presenza di un sanitario di fiducia del lavoratore, così assicurando quella fase di contraddittorio che, come già segnalato, è, invece, del tutto assente nel procedimento innanzi al CVCS.
In relazione a quanto sopra e ai fini di una coerente ed efficace applicazione dei principi che governano la materia si dovrà comunque procedere, con le modalità previste dalle norme vigenti, ai tempestivi aggiornamenti delle tabelle delle malattie professionali, inserendovi le specifiche patologie afferenti al personale delle Forze armate, tenendo conto delle risultanze scientifiche e di quanto accertato da questa Commissione d'inchiesta e da quelle che l'hanno preceduta, e anche in linea con le stesse indicazioni fornite dai richiamati D.Lgs. n. 66/2010 (articolo 2185) e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 (articolo 1079).
La disposizione di cui all'articolo 12 della proposta legislativa non comporta oneri assicurativi per lo Stato proprio per l'evidenziata insussistenza dell'obbligo di versamento dei premi che consegue alla scelta della formula della «gestione per conto».
Il riconoscimento del diritto del personale delle Forze armate alla prestazioni indennitarie previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 non comporta maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché il rimborso all'INAIL delle prestazioni riconosciute al personale delle Forze armate è compensato dall'abrogazione dell'istituto dell'equo indennizzo per il predetto personale.
Al fine di non determinare diminuzioni del livello di tutela garantito al personale delle Forze armate e in considerazione delle peculiarità di natura e funzione esercitate, è riconosciuta la cumulabilità delle speciali provvidenze - già previste dall'ordinamento a suo favore - con le prestazioni indennitarie garantite dall'INAIL.
Inoltre, per evitare ogni possibile duplicazione di indennizzo, in coerenza con i principi che governano la compatibilità delle prestazioni previdenziali, è stata espressamente prevista la non cumulabilità di quelle che traggono origine dalla stesso evento lesivo ed assolvono alla medesima funzione.
Per garantire il raccordo tra i diversi istituti e scongiurare ogni possibilità di valutazioni contraddittorie è previsto che la presentazione della domanda di infortunio sul lavoro o di malattia professionale sia condizione di procedibilità della domanda di riconoscimento del diritto alle specifiche provvidenze previste in favore delle Forze armate. A tal fine si è previsto che l'accertamento effettuato dall'INAIL sul nesso di causalità tra l'attività lavorativa e l'evento lesivo sia vincolante anche ai fini del riconoscimento del diritto a tali provvidenze e che il relativo procedimento rimanga sospeso sino all'esito dell'accertamento predetto.
L'impianto normativo come ricostruito determina una spinta alla maggiore efficienza dell'azione amministrativa nell'ambito dei procedimenti di riconoscimento di causa di servizio, evitando le duplicazioni del ricorso alla CMO e al CVCS e, con esso, le criticità già evidenziate nel precedente paragrafo.
La proposta di legge contiene anche la disciplina della fase transitoria in relazione, per un verso, ai procedimenti in corso e, per l'altro, agli infortuni verificatisi e alle malattie professionali manifestatesi prima dell'entrata in vigore del nuovo regime e per i quali, a tale data, non pende il relativo procedimento.
Per i primi è prevista una loro interruzione con obbligo a carico dell'amministrazione della Difesa di trasmissione all'INAIL della denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale entro 180 giorni, con relativa sanzione in caso di inottemperanza.
Per i secondi è previsto un termine di decadenza (12 mesi) entro il quale l'interessato dovrà denunciare l'evento infortunistico o la malattia professionale manifestatasi.
Sempre nell'ottica di garantire un'ordinata transizione tra i due regimi è altresì previsto che il rigetto con sentenza passata in giudicato della domanda di equo indennizzo, per insussistenza del nesso di causalità tra l'attività di servizio e la patologia, precluda la proposizione della domanda di riconoscimento di infortunio sul lavoro o di malattia professionale per la patologia oggetto del giudizio.
Come norma di chiusura, è parso opportuno prevedere la non applicazione della normativa ipotizzata con riferimento alle patologie per cui, alla data di entrata in vigore della medesima, sia stato riconosciuto, in via definitiva, il diritto all'equo indennizzo o alla pensione per causa di servizio.

Capitolo 4.
I POLIGONI DI TIRO

1. Premessa

La delibera della Camera dei deputati 30 giugno 2015, che ha istituito la Commissione d’inchiesta sugli effetti derivanti dall’utilizzazione dell’uranio impoverito ha definito all’articolo 1, comma 1, le materie oggetto dell’indagine, indicando, alla lettera a), i “casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui sono depositati munizionamenti, anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili riferiti alle popolazioni civili nelle zone di conflitto e nelle zone adiacenti alle basi militari nel territorio nazionale in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici o radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni”.
La delibera della Camera dei deputati ha dunque ripreso pressoché alla lettera le omologhe disposizioni contenute negli atti con cui il Senato istituì, nella XV e XVI Legislatura, le Commissioni d’inchiesta dedicate anch’esse alla questione dell’uranio impoverito, rispettivamente con la deliberazione 11 ottobre 2006 e con la deliberazione 16 marzo 2010. Con tali atti, e, in particolare, con la deliberazione del 2006 veniva ampliato e meglio articolato l’ambito dell’inchiesta, rispetto alla deliberazione del Senato 17 novembre 2004, nella quale si conferiva all’omologo organo parlamentare inquirente istituito nella XIV Legislatura il mandato di indagare “sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impegnato nelle missioni internazionali di pace e sulle loro cause, nonché sulle condizioni della conservazione e sull’eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale”. Estendendo la portata dell’indagine ai poligoni di tiro e alle condizioni ambientali degli ambienti circostanti, nonché alle condizioni sanitarie della popolazione civile residente nelle aree prossime alle installazioni militari, gli atti di cui sopra hanno inteso cogliere anche un dato politico di grande rilievo, relativamente all’esigenza di associare all’indagine sulle cause di morte e sulle patologie gravemente invalidanti contratte dal personale recatosi in missione all’estero, anche quella relativa all’ampia materia dei danni ambientali e dei rischi per le persone derivanti dall’attività svolta da diversi enti della difesa in patria: esigenza confermata, per il personale militare, anche dai dati epidemiologici riferiti alla Commissione d’inchiesta presieduta dal senatore Costa (XVI Legislatura) dall’Osservatorio epidemiologico militare, in base ai quali su 3761 casi di patologie neoplastiche occorse nel personale militare dal 1991 al 21 febbraio 2012 (alla data, cioè, in cui la rilevazione fu posta a disposizione della Commissione), 3063 riguardavano persone che non si erano mai mossi dal territorio nazionale e 698 i militari recatisi in missione.
Al di là di qualsiasi considerazione sulla completezza dei dati forniti, occorre comunque rilevare uno scarto significativo tra malati “missionari” e “non missionari” che, peraltro, ha concorso a imprimere un indirizzo piuttosto uniforme allo svolgimento delle inchieste parlamentari succedutesi nel corso delle diverse Legislature, nel senso di rivolgere l’attenzione non su un unico agente patogeno, sia pure rilevante, ma di orientare la ricerca sulla pluralità di agenti patogeni, chimici, fisici e radiologici e sui rischi ad essi connessi, che riguardano l’intero mondo militare e, per alcuni aspetti, si ripercuotono anche sulla popolazione civile e sulla salubrità degli ambienti. Anche su questi ambiti tematici l’inchiesta si è orientata in base al presupposto che dalla constatazione della specificità della condizione militare dovessero derivare misure legislative e amministrative intese a rafforzare la tutela di beni costituzionalmente protetti quali la salute dei cittadini e dei lavoratori in divisa e l’integrità dell’ambiente, e non, come purtroppo la Commissione ha avuto occasione di riscontrare, regole e comportamenti indirizzati a ridurre i livelli di protezione, con pregiudizio delle persone che presso i predetti enti lavorano o che vivono in aree ad essi adiacenti.
Deve essere inoltre evidenziato il particolare tipo di raccordo istituito tra la presente Commissione Parlamentare e quelle che l’hanno preceduta e che furono costituite nel 2006 e nel 2010. Il 2°comma dell’art. 1 della delibera dispone: “La Commissione fonda la sua attività sulle conclusioni e promuove l’attuazione delle proposte contenute nelle relazioni finali presentate al termine dei propri lavori” dalle richiamate Commissioni di inchiesta del Senato.
Non si tratta dunque della generica prosecuzione dell’inchiesta sulla stessa materia e con identiche finalità. La delibera ha implicitamente riconosciuto a tal punto l’importanza delle conclusioni e delle proposte formulate dalle due precedenti Commissioni che le ha esplicitamente indicate non solo come presupposto storico ma come acquisizioni consolidate che sono entrate a fare parte del patrimonio cognitivo al quale la Commissione attualmente in carica può attingere nella formulazione delle sue conclusioni.
Proprio sui complessi temi riguardanti salute e ambiente nei poligoni di tiro la Commissione del Senato istituita nella XVI legislatura aveva svolto un’intensa attività procedendo a numerose audizioni di militari ed esperti, nonché del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei che, a conclusione di un’inchiesta svolta sulla situazione ambientale del Poligono interforze di alto di Quirra (PISQ), aveva chiesto il rinvio a giudizio di venti imputati, alcuni dei quali accusati di aver dolosamente omesso le cautele necessarie a prevenire infortuni e disastri. La predetta Commissione aveva inoltre effettuato sopralluoghi presso il PISQ, nonché presso i poligoni di Perdasdefogu, Capo Teulada e Capo Frasca in Sardegna e Torre Veneri in Puglia, delegato ispezioni e promosso un’indagine epidemiologica che ha riguardato in particolare il Presidio del Salto di Quirra, acquisendo le conclusioni dei risultati del precedente progetto di monitoraggio ambientale.
A conclusione dell’attività qui brevemente richiamata, dalla quale era emersa la presenza di siti inquinati all’interno e nei pressi di alcuni dei poligoni visitati, la Commissione nella relazione conclusiva approvata il 9 gennaio 2013, pur prendendo atto del preannunciato progetto ministeriale di risanamento ambientale, si preoccupava di sottolineare che tale operazione “deve costituire il presupposto di un cambiamento strutturale, sia per quello che riguarda le condizioni di svolgimento delle attività militari sia per quello che attiene alla gestione del territorio”. Esprimeva inoltre l’auspicio che venisse realizzato un sistema capace di consentire “l’individuazione puntuale delle attività gravemente dannose per la salute e per l’ambiente e il conseguente divieto di svolgerle nei poligoni”. Operazioni, queste, ritenute necessarie in quanto “costituiscono il presupposto affinché si possa parlare di effettivo e duraturo recupero ambientale e sono la premessa per la modernizzazione e la razionalizzazione dell’addestramento e delle esercitazioni”.
Infine sui temi della salute e delle condizioni socio-economiche degli abitanti dei comuni confinanti con i poligoni di tiro la Relazione così concludeva:” E’ necessario assicurare anzitutto a chi risiede all’interno o ai margini di essi che le attività si svolgano in sicurezza e senza rischi per la salute e l’ambiente, rimuovendo una condizione di incertezza che si protrae da anni e che si ritorce solo in un danno per i residenti e per le economie locali”.
Adempiendo al compito conferitole dalla Camera dei deputati, nel corso della presente legislatura, la Commissione ha quindi proceduto ad una serie di audizioni e di sopralluoghi, recandosi in particolare nelle strutture della Sardegna, della Sicilia, della Puglia e nel Nord Italia. Con riferimento ai poligoni della Sardegna, dove peraltro è concentrata la maggior parte degli insediamenti di questo tipo, la Commissione ha anche tenuto conto dei risultati dell’inchiesta svolta nel 2011 dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei sul poligono di Salto di Quirra e delle indagini condotte dalla Procura di Cagliari relativamente alla situazione del poligono di Capo Teulada.
Diversamente dalle precedenti legislature, la Commissione si è avvalsa in numerosi casi dei poteri dell’autorità giudiziaria, di cui all’articolo 82 della Costituzione, ascoltando come testi, con il relativo obbligo di deporre e di rispondere, secondo verità, alle domande poste, i soggetti ritenuti informati di fatti rilevanti ai fini dello svolgimento dell’inchiesta nell’ambito degli accertamenti finalizzati a valutare l’esistenza e la portata del rischio lavorativo a carico del personale civile e militare impiegato nei poligoni militari. Questo procedimento è stato adottato, in particolare, per il personale in servizio investito dall'amministrazione militare di compiti specificamente concernenti la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nel corso dei lavori, sono emerse rilevanti criticità che investono in primo luogo i temi della salute dei lavoratori e dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti agli insediamenti militari, nonché della salubrità degli ambienti, ma anche quelli relativi al governo del territorio, considerato che le aree dei poligoni, appartenenti al demanio militare e soggette a specifiche servitù, sono di fatto sottratte alla giurisdizione delle amministrazioni elettive, che solo da pochi anni hanno iniziato a rivendicare un più attivo controllo sulle aree di loro pertinenza, in un rapporto di costante confronto (e, in taluni casi, di fattiva collaborazione) con le autorità militari. Si tratta, in sostanza, del tema del couso del territorio di insediamento delle strutture militari e delle diverse forme che esso può assumere e in parte ha già assunto.

2. Sicurezza del lavoro e valutazione dei rischi.
Per quanto riguarda le politiche di prevenzione e protezione e per la sicurezza del personale addetto ai poligoni di tiro, una rilevante criticità è emersa relativamente alla valutazione dei rischi. Secondo la normativa vigente, tale compito spetta al datore di lavoro, nel caso di specie individuato nel comandante della struttura (articolo 246 del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), e non può essere delegato ad altri soggetti. Quanto all’oggetto della valutazione, l’articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008 precisa che esso riguarda tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi di tipo particolare, dettando quindi un obbligo che non consente deroghe o eccezioni di qualsiasi tipo, come peraltro ha ampiamente e costantemente ricordato la Corte di cassazione, secondo una giurisprudenza costante di cui ha dato ampiamente conto la Relazione sull'attività d'inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte (Doc. XXII-bis, n. 11) approvata dalla Commissione nella seduta del 19 luglio 2017 (di seguito, seconda relazione intermedia).
Proprio alla luce di tali premesse, la Commissione ha preso atto di una generale criticità, riconducibile a una condizione obiettiva, nella quale la valutazione dei rischi lavorativi effettuata nei poligoni di tiro a cura degli organi competenti è risultata mancante, in alcuni casi, e lacunosa, nella maggior parte delle realtà esaminate, nonché a un profilo soggettivo, riscontrabile nella persistenza, da parte dei responsabili delle Forze Armate, di un’interpretazione della normativa vigente (sia quella di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, sia quella di cui al Titolo IV, Capo I, Sicurezza sui luoghi di lavoro, del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), accreditata in taluni casi anche da documenti e dichiarazioni ufficiali, tendente a ridimensionare e ad assoggettare a deroghe e condizioni la portata dell’obbligo di valutazione dei rischi, appellandosi alla specificità dell’attività svolta per motivarne il mancato o parziale adempimento
Su tale questione, occorre ricordare che nel corso dell’inchiesta svoltasi nella precedente legislatura, era stato acquisito solo il Documento di valutazione dei rischi del poligono interforze di Salto di Quirra; esso, sottoposto alla valutazione di alcuni consulenti e previa acquisizione di un rapporto di valutazione del Dipartimento di medicina del lavoro (già ISPESL) dell’INAIL, era risultato poco organico, anche a causa di una certa pletoricità, incompleto quanto alla valutazione dei singoli rischi, con particolare riferimento all’esposizione ad agenti cancerogeni, privo di indicazioni in ordine alle modalità di effettuazione della sorveglianza sanitaria e non adeguatamente aggiornato.
Nella presente legislatura, questa opera di analisi ha assunto carattere di maggiore sistematicità e la lettura dei DVR acquisiti ha non solo confermato ma anche approfondito le valutazioni già espresse a proposito del DVR del PISQ, ponendo in luce varie criticità in ordine all’incompletezza della valutazione, con riferimento all’esposizione a specifici agenti patogeni, al mancato aggiornamento, alla sopravvalutazione di alcune tipologie di rischio e alla sottovalutazione di altre, alla pletoricità della trattazione che in alcuni casi è suscettibile di rendere problematica l’utilizzazione del DVR come strumento operativo, alla parzialità o all’assenza di valutazione dei rischi interferenziali, ovvero i rischi dovuti all’interferenza tra attività lavorative svolte da organizzazioni di diversi datori di lavoro, di particolare rilievo per strutture che ospitano continuamente reparti in addestramento o in esercitazione, le cui problematiche, in termini prevenzione e sicurezza, possono essere notevolmente diverse da quelle accertate per il personale addetto ai singoli siti.
Infatti, per quanto riguarda quest’ultima problematica, si ricorda che l’art. 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che, il datore di lavoro che affidi lavori, servizi o forniture a un’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno dell’impresa, debba adempiere ad obblighi: di valutazione dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice; di informazione della stessa sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui è chiamata ad operare e sulle relative misure di prevenzione; di cooperazione; di coordinamento e di redazione del DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali), contenente l’indicazione delle misure da adottare per eliminare o quanto meno ridurre al minimo i rischi da interferenze lavorative.
Nella seconda relazione intermedia la Commissione ha sostenuto che le attività svolte dagli esercitati nell’ambito di quelle proprie dei poligoni rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81. Infatti, anche se tale disposizione fa riferimento “ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione” occorre, come peraltro ha già sottolineato la richiamata relazione, rifarsi alle indicazioni derivanti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, in particolare laddove quest’ultima ha precisato che ai fini dell’operatività degli obblighi dettati dall’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 “occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione - ma all’effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori” (Cass. 23 giugno 2017, n. 31410).
Non di rado, nel corso delle audizioni dei comandanti dei poligoni che ospitano attività esercitative, o del personale addetto alla sicurezza, è emersa una scarsa attenzione verso questo profilo, accompagnata alla tendenza a giustificare la mancata o parziale valutazione dei rischi interferenziali con l’esclusione dell’applicabilità di una disposizione riferita al contratto di appalto, al quale ovviamente, non è riconducibile l’attività di addestramento ed esercitazione. Questa eccezione, come si è detto, risulta superata alla luce della citata giurisprudenza della Corte di cassazione, e di recente anche gli organi competenti delle Forze armate hanno avvertito l’esigenza di superare un approccio meramente formalistico a questa problematica: appare opportuno, a questo proposito, riportare integralmente quanto è stato già affermato nella seconda relazione intermedia:
“La Commissione, nelle diverse audizioni effettuate, ha più volte richiamato sul punto i Comandanti/datori di lavoro esaminati. In particolare, ha sottolineato esplicitamente l’esigenza che anche per le attività esercitative e addestrative sia necessaria una specifica e puntuale valutazione di tutti i rischi, ivi compresi quelli da interferenza legati alle attività antecedenti, contemporanee e successive che si svolgono nei poligoni da parte dei reparti esercitati e da parte dei reparti che gestiscono tali aree. Ed ha, quindi, richiamato la necessità di provvedere alla redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) e del documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI). Anche sotto questo profilo, fa spicco la funzione rieducativa svolta dalla Commissione. Basti pensare che lo Stato Maggiore dell’Esercito - Direzione per il Coordinamento Centrale del Servizio di Vigilanza e Prevenzione e Protezione (DICOPREVA) - ha emanato, nel gennaio 2017, la Direttiva 7027 recante "Misure di tutela della sicurezza salute del personale da adottare nei poligoni e nelle aree addestrative". In primo luogo, questa nuova Direttiva sostituisce la precedente nota dello Stato Maggiore Esercito III Reparto n. 42843 del 23 marzo 2015, abrogandone dunque i contenuti. La nuova Direttiva premette esattamente che «l’azione di coordinamento tra il C.te/D.d.L. del poligono/area addestrativa (ospitante) ed il C.te/D.d.L del Reparto in esercitazione (ospitato), costituisce un obbligo primario ai fini della tutela della salute e della sicurezza di tutto il personale». Indi, prende le distanze dalle note precedentemente emanate dallo Stato Maggiore dell’Esercito, e stabilisce che è «indispensabile una preventiva attività ricognitiva, nonché un coordinamento tra il Servizio Prevenzione e Protezione del Reparto in addestramento e quello dell’Ente gestore del poligono» e che «in tale quadro, risulta necessario produrre una valutazione congiunta e documentata dei rischi da parte dei C.ti/D.d.L. (Poligono/Aree addestrative e Reparti in addestramento)». Inoltre, la nuova Direttiva osserva che, «qualora dalla Valutazione dei Rischi Interferenziali dovesse emergere la necessità di effettuare varianti ai DVR del Reparto in addestramento e/o dell’Ente gestore del poligono/area addestrativa, questi dovranno essere di conseguenza aggiornati». Secondo quanto riportato nelle indicazioni contenute nella Direttiva 7027/2017, l’attività valutativa svolta dai datori di lavoro «ospitato e ospitante» che a loro volta sono oggetto «del DVR dell’Ente gestore del poligono/area addestrativi» dovrà, tra l’altro, permettere di verificare la compatibilità « sia con la valutazione dei rischi » e con « le conseguenti misure/mezzi/disposizioni contenute nel DVR del Reparto in addestramento, sia con quelle approntate dal C.te/D.d.L. ospitante e che sono oggetto del DVR dell’Ente gestore del poligono/area addestrativi ». La stessa Direttiva prevede che «a valle della valutazione congiunta dei rischi interferenziali» il processo deve concludersi «con la redazione di un Attestato di Cooperazione e di Coordinamento che, rifacendosi ai principi dell’articolo 26 (Obblighi connessi ai contratti d’appalto e d’opera o di somministrazione) del D.Lgs. n. 81/2008, dovrà essere firmato congiuntamente e conservato agli Atti di entrambi gli Enti». Benché la denominazione adottata per il documento di valutazione dei rischi da interferenza - Attestato di Cooperazione e di Coordinamento - non è conforme al linguaggio del nostro legislatore, resta, però, il fatto che un simile Attestato risulta completo nei contenuti. Con un’avvertenza: che il facsimile di Attestato di Cooperazione e di Coordinamento allegato alla Direttiva 7027/2017 risulta persino troppo schematico. L’auspicio è che i soggetti interessati non si limitino ad una compilazione formale dell’Attestato, ma si preoccupino di pervenire a una definizione concreta e contestualizzata dei principi contenuti nella direttiva in applicazione dell’articolo 26 del D.Lgs n. 81/2008. Importante, inoltre, è che l’iniziativa intrapresa dallo Stato Maggiore dell’Esercito con la Direttiva n. 7027/2017 trovi concreta applicazione nei Poligoni di Forza Armata, e venga replicata o estesa dalle altre Forze Armate, prima fra tutte l’Aeronautica Militare per il poligono di Capo Frasca e il poligono interforze di Salto di Quirra (PISQ).”
Un altro aspetto già messo in rilievo nella citata relazione intermedia, e che rientra a pieno titolo nell’ambito delle criticità indicate, riguarda alcune realtà, le cui caratteristiche operative sono state addotte per giustificare la mancata predisposizione del DVR. Già la predetta relazione aveva indicato come emblematico il caso del poligono di Cellina Meduna; per tale insediamento, l’ex comandante della 132° Brigata Ariete, generale di brigata Antonio Vespaziani, nella testimonianza resa innanzi alla Commissione nel corso dell’audizione del 21 dicembre 2016, aveva segnalato la mancata predisposizione del DVR, nel presupposto che il carattere episodico dell’utilizzazione della struttura rendesse necessaria la valutazione del rischio soltanto in occasione dello svolgimento delle esercitazioni; non si trattava, peraltro, di una decisione isolata, adottata da un singolo comandante, ma di una conseguenza della già rilevata tendenza a ritenere che le peculiarità di talune delle attività svolte dalle Forze armate costituiscano di per se stesse una giustificazione per derogare nell’applicazione della legislazione vigente. Infatti, poco prima dell’audizione del generale Vespaziani, lo Stato Maggiore della difesa, IV Reparto logistica e infrastrutture, con la nota del 14 novembre 2016 aveva confermato che nei poligoni di Casalborsetti (Foce Reno), Cellina Meduna e Torre Veneri non era stato disposto un DVR specifico, in quanto “le attività lavorative sono svolte in modo non continuativo” e la valutazione dei rischi era pertanto effettuata nell’ambito dei documenti dei reparti impegnati nelle esercitazioni. Per tale aspetto, la nota riprendeva quanto già sostenuto nella nota dello Stato Maggiore Esercito III Reparto 23 marzo 2015, prot. 42843 avente ad oggetto “D.Lgvo 81/08 - Testo unico sulla sicurezza del lavoro - Documenti di esercitazione/antinfortunistica” nella quale, in base a un non meglio precisato “effetto dell’evoluzione della normativa in argomento” si chiariva appunto che i DVR non dovessero essere elaborati per lo svolgimento delle attività esercitative, in quanto le misure di sicurezza erano già sancite “nei documenti di esercitazione e nei relativi manuali, regolamenti e pubblicazioni di riferimento”. Va detto, ribadendo quanto già affermato dalla Commissione, che tale affermazione non trova alcun riscontro nella lettera e nello spirito della legislazione antinfortunistica: come ha precisato la Corte di Cassazione, l’articolo 28 del decreto legislativo n. 81, nel prescrivere l’onnicomprensività della valutazione dei rischi, non stabilisce alcuna eccezione in relazione alla discontinuità della prestazione lavorativa, in quanto l’obbligo di valutazione “si estende a tutte le persone che vengano a trovarsi in situazioni di pericolo connesse all’attività esercitata, a prescindere dall’episodicità della prestazione” (Cass. 6 dicembre 2016, n. 51947).
Come già si desume dall’ampia citazione della seconda relazione intermedia sopra riportata, sembra che l’intera materia della valutazione dei rischi abbia iniziato a costituire l’oggetto di un ripensamento critico da parte degli organi competenti delle Forze Armate, conseguenza anche dei rilievi e delle considerazioni critiche mosse dalla Commissione in relazione alle lacune e alle carenze riscontrate nei poligoni di tiro visitati; si può pertanto riscontrare una maggiore consapevolezza del fatto che una più rigorosa applicazione della normativa antinfortunistica costituisce di per sé un fattore importante di superamento di approcci e comportamenti rivelatisi non rispondenti alla necessità di tutelare quanto più possibile l’integrità psicofisica dei lavoratori che indossano la divisa e, nel caso dei poligoni, anche delle popolazioni residenti nelle aree circostanti ad insediamenti militari. Questo nuovo approccio è riscontrabile sia nella citata Direttiva 7027 recante "Misure di tutela della sicurezza salute del personale da adottare nei poligoni e nelle aree addestrative", sia nell’adozione di conseguenti comportamenti da parte dei comandanti/datori di lavoro, concretizzatisi nella recente redazione del DVR del poligono di Foce Reno (15 novembre 2016) e di quello della Scuola di cavalleria dalla quale dipende il poligono di Torre Veneri (28 febbraio 2017).
La Commissione, peraltro, ha svolto la sua attività di indagine nel presupposto che l’individuazione di lacune e criticità debba essere sottoposta ai soggetti istituzionali chiamati in causa, non soltanto al fine di accertare eventuali responsabilità di qualsiasi natura, ma anche come concretizzazione del principio costituzionale di leale collaborazione, nel senso dello sviluppo di un confronto mirato a una comune ricerca delle misure più idonee a incrementare l’efficacia dell’azione di prevenzione e di tutela della salute e dell’ambiente in aree dove, per la specificità delle attività a cui sono destinate, sono obiettivamente riscontrabili rischi di varia natura, in misura senza dubbio superiore a quelli presenti in altri e diversi ambienti di vita e di lavoro, e che necessitano quindi della messa a punto di adeguati interventi protettivi.
In questo spirito, nel corso delle audizioni svoltesi presso i vari siti visitati, e segnatamente nelle audizioni di testimoni, la Presidenza ha avuto occasione di rivolgere numerose raccomandazioni sia ai datori di lavoro, sia ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e ai medici competenti delle diverse strutture, tutte volte all’unico fine di assicurare che la valutazione dei rischi e dei rischi interferenti nell’ambito delle strutture militari visitate fosse effettuata conformemente al dettato normativo, senza forzature interpretative della legislazione vigente, riscontrate in taluni casi e non sempre giustificabili in relazione all’invocata peculiarità delle funzioni e dei compiti delle strutture militari. Come la Commissione ha avuto modo più volte di ricordare, anche sulla scorta di un’ormai consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità, tali peculiarità non possono essere infatti invocate per giustificare la riduzione dei livelli di tutela assicurati dalla legge.
D’altra parte, sembra opportuno richiamare i comandi dei singoli reparti sulla rilevanza delle responsabilità che gravano su di essi in relazione alla loro posizione di datori di lavoro. Complessivamente, infatti, non si può non ribadire quanto già sostenuto in altri documenti, circa il fatto che un’accresciuta sensibilità verso le problematiche della sicurezza del lavoro in ambito militare, sia da parte dei comandi sia da parte di coloro che sono investiti dei compiti di responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e di medico competente, di per sé apprezzabile, stenta però a tradursi in una cultura della prevenzione uniformemente diffusa e in comportamenti del tutto conseguenti, rivolti alla piena, uniforme e rigorosa attuazione delle disposizioni vigenti, a partire da quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. La persistenza di aree di incertezza, di valutazione incompleta, parziale o non adeguatamente aggiornata dei rischi, comporta una prevenzione lacunosa che investe in primo luogo la responsabilità del comandante-datore di lavoro e dei soggetti preposti alle relative funzioni.
A tale proposito, si osserva che la necessaria evoluzione da un atteggiamento di maggiore consapevolezza a una pratica di piena e costante applicazione delle normative di sicurezza in ambito militare non può essere affidata a misure parziali e tanto meno alla buona volontà dei singoli. Occorrono, al contrario, interventi strutturali, rivolti in primo luogo ad assicurare che la vigilanza sull’applicazione della normativa antinfortunistica sia attuata nel rispetto dei principi di terzietà, indipendenza e professionalità, come segnalato nella Relazione sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle forze armate (Doc. XXII-bis, n. 7, di seguito, prima relazione intermedia) approvata dalla Commissione nella seduta del 26 maggio 2016, i cui contenuti sono stati in larga misura recepiti nella proposta di legge n. 3295 (Scanu e altri: Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e altre disposizioni concernenti la sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate) il cui iter di approvazione, ostacolato peraltro da resistenze di varia natura, è stato interrotto per l’anticipato scioglimento delle Camere.
È infatti necessario che tutti i livelli dell’organizzazione militare impegnati ad assicurare l’osservanza della normativa di sicurezza siano posti nelle condizioni di adempiere a tale delicato compito, e dispongano di risorse e strumenti, anche normativi, adeguati e di interlocutori in grado anche, laddove necessario, di indirizzare la loro azione. Sotto questo profilo, la Commissione non ritiene accettabile che, come peraltro è capitato di udire in alcune audizioni, l’adozione di misure di prevenzione e sicurezza, e in particolare la disponibilità di dispositivi di protezione individuale, nei poligoni e nelle strutture industriali della difesa, possa essere condizionata dalla indisponibilità di mezzi finanziari adeguati.
Nel complesso, si può affermare che le audizioni dei responsabili degli uffici dell’amministrazione della difesa preposti ai compiti di prevenzione e di vigilanza - responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP) e medici competenti - hanno posto in risalto problematiche in larga misura già note alla Commissione e che rinviano direttamente alle proposte formulate nella prima relazione intermedia e alla proposta di legge sopra richiamata. Va aggiunto che, se si raffrontano tali audizioni con quelle di alcuni responsabili degli uffici dell’amministrazione facenti capo al Segretariato generale e allo Stato maggiore della difesa e competenti in materia di prevenzione e sicurezza, emerge con una certa evidenza che, al di là di quella che può essere l’accertata professionalità e personale correttezza dei soggetti ascoltati, la situazione attuale, caratterizzata dalla totale autoreferenzialità dell’apparato di protezione e prevenzione in ambito militare, specialmente per quanto attiene alla vigilanza, ha dato luogo a un sistema che, nei profili attuativi, operativi e ispettivi, si caratterizza per una complessità artificiosa, fatta di duplicazioni, sovrapposizione e frammentazione di competenze, suscettibili di tradursi in scarsa trasparenza per quanto attiene a una precisa individuazione delle funzioni e delle responsabilità. Senza una semplificazione e una ridistribuzione dei compiti - che, peraltro, ad avviso della Commissione può discendere solo da un riassetto delle funzioni di vigilanza nei termini già n precedenza illustrati - infatti, sussiste il rischio che, al di là delle volontà individuali, si radichi nei fatti un meccanismo nel quale il peso degli adempimenti e delle relative responsabilità risulta in ultima analisi distribuito in una misura e con modalità tali da ripercorrere in senso inverso l’ordine gerarchico.

3. Sicurezza ambientale: criticità
Se ci si volge a considerare l’impatto delle attività svolte dai poligoni di tiro sull’ambiente circostante, e conseguentemente su profili rilevanti che investono la qualità della vita non solo dei lavoratori ivi impiegati, ma anche dei residenti nelle zone limitrofe, si deve constatare anche in questo caso che, malgrado un’aumentata attenzione rivolta in questi ultimi anni alle problematiche ambientali da parte delle autorità militari, persiste un’obiettiva difficoltà a passare dalle dichiarazioni di intenti a comportamenti conseguenti.
Sono particolarmente significativi al riguardo i dati emergenti dalle indagini sui poligoni di tiro relativi alla salute dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti i poligoni, soprattutto in Sardegna, una realtà già nota da tempo e oggetto di attenta valutazione da parte di diversi organismi, delle cui conclusioni si è avvalsa sia l’inchiesta parlamentare in corso sia quelle svolte nelle passate Legislature.
Per quanto riguarda iI Poligono interforze di Salto di Quirra, già nella scorsa Legislatura, il Board Scientifico istituito dall’Istituto superiore di sanità con la collaborazione della Regione Sardegna, in seguito all’approvazione da parte del Senato della mozione n. 366, nella seduta del 23 febbraio 2011, nella sua Relazione finale, consegnata alla Commissione nel corso dell’audizione del prof. Gualtiero Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e del direttore generale dello stesso Istituto, dott. Angelo Del Favero (21 aprile 2016), precisava che l’analisi dell’ospedalizzazione dell’area considerata aveva fatto riscontrare, per gli uomini, eccessi relativamente ai tumori del sistema linfoematopoietico e per le donne alla tiroide, “e, per entrambi, eccessi associati alle malattie cardiovascolari, alle malattie dell’apparato digerente ed a quelle dell’apparato urinario”. Per quanto riguarda la frazione di Quirra del comune di Villaputzu, situata in prossimità del sito militare, la Relazione, pur precisando che il numero dei soggetti è molto esiguo, che il periodo di follow up è breve (5 anni) e che pertanto il sistema di osservazione ha una bassa sensibilità, ha riportato tre casi di patologie oncologiche rare, due dei quali sono risultati in eccesso rispetto a quanto previsto in base ai tassi di ospedalizzazione della popolazione di riferimento, in termini di significatività statistica.
Conseguentemente, nella considerazioni conclusive sulla situazione dell’area di Quirra, la stessa Relazione raccomanda “la prosecuzione del piano di sorveglianza epidemiologica per essere in grado di cogliere eventuali segnali a sostegno dell’ipotesi di un eccesso del numero di soggetti residenti a Quirra affetti da neoplasie in diverse sedi. Si ritiene inoltre opportuno che la tematica dell’elevata radioattività naturale riscontrata nel sito venga approfondita”.
Sulla situazione di quel poligono e sul raffronto con quella riscontrata a Capo Teulada si è espresso nel corso delle sue audizioni (20 luglio e 3 agosto 2016) il Prof. Annibale Biggeri, docente di statistica medica all’Università di Firenze, già componente del citato Board Scientifico e consulente tecnico della Procura di Cagliari nell’indagine in corso che riguarda il poligono di capo Teulada.
“Per quello che riguarda Quirra gli eccessi per questi particolari tumori potrebbero essere anche coerenti (sottinteso con le attività militari), soprattutto se consideriamo che l’area complessiva di tutti i tumori su cui insistono i due poligoni, sia quello a mare che quello a terra, vede un eccesso di malattie del sistema linfopoietico nei maschi. Questo farebbe pensare a sostanze tossiche specifiche di una possibile esposizione professionale. Pensiamo ai pastori che entrano nel poligono o alle donne che risiedono nelle vicinanze.”. Afferma lo stesso prof. Biggeri inoltre: “il sospetto epidemiologico è verso le sostanze radioattive, ma bisogna che siano documentate nelle relazioni tecniche sulle matrici ambientali”.
Ulteriori audizioni svolte presso la Commissione hanno peraltro evidenziato come, fino a un recente passato, la gestione del PISQ sia stata caratterizzata da una notevole sottovalutazione dell’impatto delle attività svolte sull’ambiente circostante. Un primo aspetto rilevante riguarda l’utilizzo dei missili anticarro Milan, il cui sistema di puntamento include una componente radioattiva, consistente in una lunetta di torio, una sostanza radioattiva, che, dopo il lancio, ricade sul terreno. Il 7 giugno 2017, rispondendo a una richiesta della Commissione, il comandante del PISQ, generale Giorgio Francesco Russo, ha comunicato che “il numero di missili Milan lanciati presso il PISQ nel periodo dal 1986 al 2000 è di 463 a testa attiva e 50 a testa inerte”: un numero peraltro inferiore a quello riferito, per il poligono di Capo Teulada, dal generale Roberto Nordio, vice Capo di Stato Maggiore della difesa, il quale, ascoltato il 21 giugno 2017, ha comunicato che presso tale insediamento sono stati utilizzati 1242 missili Milan. Per quanto riguarda il PISQ, il fatto che non si sia provveduto al recupero dei residuati di torio è documentato dalle dichiarazioni rese dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei, dott. Biagio Mazzeo, in occasione dell’audizione del 7 giugno 2017: “Abbiamo avuto il problema dei missili Milan. Sfortunatamente questi missili erano stati concepiti con un sistema di puntamento che usava il torio, che è un elemento radioattivo abbastanza conosciuto. Le indagini svolte hanno fatto emergere la presenza del torio sia nel bestiame, sia in alcune persone, e in particolare è stata fatta una riesumazione di salme di pastori deceduti per malattie oncologiche o linfomi e si è visto che c’era una componente di torio nelle loro ossa”. Nel corso dell’audizione il magistrato ha fornito altre informazioni, sui predetti accertamenti, svolti per conto della Procura della Repubblica dal prof. Lodi Rizzini, direttore del Dipartimento di chimica e fisica dell’Università di Brescia e membro del CERN di Ginevra, precisando che è stata appurata la presenza del torio 232 nelle salme dei pastori deceduti per patologie tumorali. Il dott. Mazzeo ha inoltre fornito la documentazione relativa all’utilizzazione dei missili Milan, tra cui un’informativa di polizia giudiziaria in cui si afferma che tra il 1986 e il 2000 sono stati lanciati 1.184 missili Milan (il procuratore aveva parlato di 1.187 missili lanciati, una cifra comunque notevolmente superiore a quella comunicata dal comandante del PISQ).
Come è già stato rilevato nella seconda relazione intermedia, anche per quanto riguarda i brillamenti di munizionamento obsoleto (i cosiddetti “fornelli”), particolarmente presso il PISQ, sono state fornite versioni contraddittorie. In particolare nel corso dell’audizione resa il 5 ottobre 2016 innanzi la Commissione, il Gen. Giorgio Russo, Comandante del PISQ, ebbe a dichiarare che l’attività di brillamento, svolta a fini addestrativi, era stata interrotta alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, e aggiunse:
“Per ciò che concerne il periodo dal 2013 in poi, sono sicuro di quello che affermo: non è mai stata distrutta un’arma. Quello che è stato distrutto è il munizionamento - lo ripeto - a fini addestrativi.”
Relativamente agli effetti dei brillamenti sulla salute delle persone e degli animali e sull’ambiente, sono state fornite utili informazioni dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei che, nella predetta audizione, ha fatto presente che dalle indagini svolte emerge con chiarezza che “gli animali, i cui organi sono risultati contaminati da sostanze estranee, essenzialmente da metalli pesanti, pascolavano nell’area del poligono e in zone limitrofe a quella in cui avvenivano alcune attività pericolose, quali i brillamenti”.
Quanto alla destinazione dell’area di Perdas de Fogu ai brillamenti, il Procuratore ha precisato:
«Il poligono teoricamente sarebbe un luogo dove devono svolgersi attività addestrative o attività sperimentali, ma a un certo punto della sua storia (per volontà che non so individuare, ma sicuramente sono decisioni prese a livelli più alti rispetto a quelli della direzione del poligono) si è deciso di utilizzare l’area di Perdas de Fogu per la distruzione di arsenali di materiali obsoleti. Stiamo parlando soprattutto, se non esclusivamente, di materiali di pertinenza dell’Aeronautica militare, cioè bombe d’aereo, munizioni di artiglieria antiaerea e anche munizionamento leggero, piccoli calibri per armi portatili».
Anche dalle indagini svolte nelle passate Legislature, risulta quanto ha affermato il dottor Mazzeo, circa la provenienza dei materiali obsoleti da distruggere non soltanto dall’area del Poligono, ma da tutto il territorio nazionali; lo smaltimento, come ha precisato il magistrato si svolgeva “attraverso sessioni che duravano anche mesi e si svolgevano quotidianamente per lunghi periodi, si procedeva a fare delle buche profonde anche 20 metri, usando mezzi meccanici nella disponibilità del poligono, si collocava il materiale da eliminare, si metteva una carica di tritolo (si è parlato di un metro cubo di 700-800 chili, ma comunque stiamo parlando di quantità piuttosto consistenti) e si procedeva al brillamento“.
«Venivano scavate queste buche e poi veniva sgomberata l’area, il personale militare veniva messo in zona di sicurezza, dopodiché si procedeva al brillamento, che consisteva nell’esplosione del tritolo che portava con sé anche il resto del materiale. Si verificava una proiezione di materiali combusti, incombusti, terra, tutto quello che possiamo immaginare, che formava colonne alte diverse decine di metri, dopodiché si aveva per un periodo di tempo abbastanza lungo una ricaduta di queste polveri, di questi materiali sul territorio circostante. La cosa più grave è che il personale militare che interveniva immediatamente dopo ogni brillamento per verificare che non ci fossero degli ordigni rimasti inesplosi, che potessero costituire un pericolo per la sicurezza delle persone, interveniva senza adeguate protezioni, alcuni testi ci hanno detto che non portavano niente, altri dicevano che usavano delle mascherine del tipo di quelle che usano le infermiere o gli imbianchini quando lavorano, venivano usati i guanti di pelle di dotazione militare e portavano le loro uniformi da lavoro, senza nessuna particolare protezione ».
«Per quanto riguarda invece le persone non dipendenti del poligono, cioè i pastori, questi venivano ammessi a rientrare nell’area del poligono una volta che l’artificiere garantiva che non ci fosse più pericolo di ulteriori esplosioni o cose di questo genere. Per cui, tenendo conto che il bestiame veniva lasciato all’interno del poligono, ovviamente questi avevano fretta di rientrare per poter controllare se gli animali fossero dispersi o meno. Abbiamo visto che gli animali che si trovavano in quell’area hanno manifestato una forte presenza di metalli e materiali estranei all’interno del loro corpo: sono stati esaminati organi di animali che non erano giovanissimi, di quattro o cinque anni, quindi si è potuto verificare l’esistenza di un accumulo di queste sostanze. Per quanto riguarda il personale militare, abbiamo avuto numerosi casi di persone ammalate. Diciamo che sono dei cluster che non sono particolarmente allarmanti, se visti in proporzione alla generalità del personale militare; tuttavia, se andiamo a considerare le mansioni specifiche svolte da questo personale, vediamo che quelli che erano maggiormente esposti, cioè quelli che si recavano immediatamente dopo l’esplosione nel luogo, sono quelli che hanno subito i maggiori danni. Così è avvenuto fra i pastori, per cui abbiamo avuto, nell’ambito della stessa famiglia, uno o più casi di linfoma o di malattie oncologiche riferibili ai gruppi di pastori che operavano nell’area vicina a questa dei famosi brillamenti di cui ho parlato».
Conferme indirette sul danno ambientale prodotto dalla pratica dei brillamenti sono venute anche dall’audizione in data 27 settembre 2017 del generale Francesco Piras, capo ufficio operativo del PISQ tra il 1982 e il 1988. Secondo la testimonianza resa alla Commissione, in aree appositamente individuate del poligono, vennero condotte in quel periodo operazioni di brillamento su vasta scala, per lo smaltimento di materiale militare obsoleto, proveniente da tutta Italia. Confermando quanto dichiarato nel corso dell’inchiesta svolta dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Lanusei, il generale Piras ha altresì ricordato che “al termine del brillamento l’area veniva controllata per verificare la presenza del materiale inesploso e poi ricoperta con il terreno di riporto, lasciando al suo interno le parti metalliche residue degli armamenti distrutti.” In effetti, pur tenendo presente il dato di una diversa misura della sensibilità ambientalistica negli anni ’80, non soltanto in seno alle Forze Armate, dalla predetta audizione è emerso come le attività di brillamento venissero condotte tenendo in scarsa considerazione le condizioni di sicurezza degli operatori (come peraltro si evince anche dalla testimonianza resa nella stessa audizione del 27 settembre 2017, dal maresciallo dell’Aeronautica Francesco Palombo) e delle popolazioni residenti nelle aree prossime alle zone di brillamento.
A sua volta, il medico competente del poligono di Salto di Quirra, Prof. Marcello Campagna, ha fatto pervenire una «Relazione sul poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra: valutazione dell’esposizione a nanoparticolato aerodisperso durante le attività di brillamento di munizionamento obsoleto», del 4 luglio 2015. Dalla relazione, finalizzata a «valutare l’esposizione a nanoparticolato aerodisperso durante alcune campagne di brillamenti svolte presso la base di Perdasdefogu del Poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra» risulta, in particolare, che le prove effettuate dal prof. Campagna durante le operazioni di brillamento risalgono ad aprile e maggio 2015, un periodo nel quale, secondo il comandante del Poligono, tali attività avrebbero dovuto essere cessate da tempo. Inoltre, la predetta Relazione osserva:
"Da quanto riferito dal Servizio di prevenzione e protezione aziendale, nei periodi di effettuazione delle campagne, le attività di brillamento vengono effettuate dal lunedì al venerdì nei periodi prestabiliti. Generalmente durante la giornata lavorativa vengono effettuati dai due ai quattro brillamenti. In particolare dal lunedì al giovedì vengono effettuati due brillamenti la mattina e due/uno la sera, il venerdì due la mattina».
Appare evidente che le attività svolte presso i poligoni di tiro sono potenzialmente pericolose, non solo a causa della natura intrinseca delle operazioni svolte, ma anche in ragione delle caratteristiche dei sistemi d’arma e dei munizionamenti impiegati. Rischi connessi a fumi, polveri, nanopolveri, contenenti tra l’altro metalli pesanti, sono ormai elementi acquisiti, dato che i brillamenti, anche se di sostanze non inquinanti di per sé, sono comunque tali da determinare il fenomeno definito di risospensione, poiché possono comunque sollevare e rimettere in atmosfera inquinanti sia di origine artificiale, prodotti dalle stesse attività militari anche anni prima, sia di origine minerale-naturale, cioè arsenico, piombo ed eventualmente anche uranio naturale. Per giunta, si associano rischi connessi alle radiazioni ionizzanti (ad esempio radon) e non ionizzanti, in particolare campi elettromagnetici e radiazioni ottiche artificiali. Alcuni documenti sollecitati e acquisiti dalla Commissione mettono in luce rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni connessi a sostanze impiegate nelle diverse attività, dai carburanti alle vernici, dai solventi ai fumogeni.
Non risultano inoltre pervenute dall’autorità militare competente risposte soddisfacenti al quesito, posto in più occasioni dal deputato Pili, circa l’interramento di napalm nell’area del Poligono di Salto di Quirra; a tale proposito, infatti, tra la documentazione che il dottor Mazzeo ha fatto pervenire relativamente ai missili Milan, è inclusa una nota del Centro consultivo studi e ricerche dell’Aeronautica militare, dell’agosto 1984, avente per oggetto “Controllo materiale NAPALM” in cui si indica l’interramento come la soluzione più ragionevole. Peraltro, l’interramento di materiali di varia natura non è una prassi estranea al PISQ: nell’inchiesta svolta nella passata Legislatura, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei pro tempore, dottor Domenico Fiordalisi, riferì la notizia del ritrovamento, nell’ambito delle indagini svolte, di una vera e propria discarica nella zona di Is Pibiris, all’interno dell’area del PISQ, dove sono stati interrati, su una superficie di circa un ettaro, e per una profondità da tre a cinque metri, rilevanti quantità di rifiuti pericolosi (comprendenti amianto, impianti elettronici, gomme di camion, batterie e accenditori per missili, rocchette di fili di rame di missili teleguidati e parti di missili anticarro). Inoltre, la discarica era situata sopra la «testata» di un’asta fluviale che alimenta il fiume Flumendosa, a non più di un chilometro e mezzo dall’abitato del comune di Perdasdefogu.
Come è stato messo in rilievo negli atti precedentemente adottati, sia nell’ambito dell’inchiesta parlamentare in corso, sia nei documenti riguardanti le inchieste parlamentari svolte nelle passate Legislature, il degrado nello stato fisico-chimico di alcuni siti dei citati poligoni militari e il rapporto tra le attività ivi svolte e le condizioni sanitarie sia del personale in servizio sia delle popolazioni residenti nei pressi degli insediamenti, sono state oggetto di eloquenti considerazioni da parte di soggetti chiamati a svolgere le loro valutazioni su basi scientifiche e in posizione di imparzialità. Numerose criticità presenta anche il poligono di Capo Teulada, oggetto di particolare attenzione anche nel corso dell’inchiesta svolta nella passata Legislatura, a causa di una situazione ambientale che risulta fortemente compromessa. L’insediamento, che si estende su una superficie di 7.200 ettari, comprende anche il Poligono delta, più noto come Penisola Interdetta, un’area che è sempre stata utilizzata come zona di arrivo dei colpi (proiettili, razzi, bombe) e che, al contrario di tutte le altre del Poligono, non è mai stata interessata da operazioni di bonifica, né di recupero degli ordigni inesplosi ovvero di rimozione dei materiali (anche inerti) utilizzati per le singole esercitazioni. Lo stesso regolamento ne prescrive l’interdizione permanente al movimento di uomini e mezzi. L’analisi condotta sulle immagini satellitari ha evidenziato la presenza di rilevanti alterazioni del terreno. Predominano quelle a forma di cratere con dimensioni che arrivano a 19-20 metri di diametro. Risulta che dal 2009 al 2013 nel Poligono sono stati utilizzati circa 24.000 colpi tra artiglieria pesante, missili e razzi, la maggior parte dei quali sparati contro la penisola. Sulla base di questi dati e considerando soltanto le munizioni di calibro superiore, tenuto conto che negli ultimi 50 anni l’attività è stata costante, si calcola che sulla superficie si potrebbero trovare residuati per un peso totale che varia tra 1.750 e 2.950 tonnellate. Questi residuati contengono quantità rilevanti di materiali inquinanti e sono potenzialmente in grado di determinare la contaminazione dell’ambiente. La continua attività addestrativa potrebbe provocare dispersione di polveri e sedimenti sul suolo innescando processi di inquinamento delle principali matrici ambientali (suolo, acqua, aria) e delle componenti vegetali e animali.
La situazione ambientale di Capo Teulada, analiticamente descritta dal Dott. Cappai (dirigente tecnico dell’Arpa Sardegna) nelle sue audizioni (20 luglio e 3 agosto 2016) e negli atti che le hanno accompagnate, è ben sintetizzata nell’audizione del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, dott. Emanuele Secci (5 ottobre 2016), incaricato dell’indagine preliminare nata da alcuni esposti di persone che, affette da patologie tumorali, ne attribuivano la causa alle esercitazioni militari svolte all’interno del poligono. Il dottor Secci, facendo riferimento anche alle consulenze tecniche e all’attività svolta dall’ARPA Sardegna e dall’ISPRA per ricostruire tempi e modalità delle esercitazioni e relativo impatto sull’ambiente, ha dedicato una parte della sua audizione proprio alla cosiddetta Penisola interdetta, affermando: “ (...) dal punto di vista oggettivo gli accertamenti che abbiamo svolto hanno dimostrato una compromissione del territorio estremamente significativa (...) Dai dati che abbiamo rilevato, che sono molto empirici, sembrerebbe che siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano stati eliminati otto (...) In effetti, il problema nasce dal fatto che l’area della cosiddetta Penisola interdetta è ancora oggetto di esercitazioni. Certamente ciò non accade nel momento in cui stanno operando per aprire i varchi (...) ma dal 2008 in poi, nonostante l’entrata in vigore del decreto ministeriale del 2009 che ha imposto la bonifica dei luoghi coinvolti dalle azioni di esercitazione, quest’area ha continuato a essere il bersaglio delle esercitazioni”. Proseguendo nella sua esposizione, il Procuratore ha ricordato che le esplosioni comportano la diffusione degli eventuali contaminanti, anche di natura radioattiva presenti in situ: “Si rimette in movimento il materiale radioattivo e quindi si determina ancora un’immissione di sostanze pericolose contaminanti nell’ambiente. Certamente bonificare integralmente questa area non è semplice. In altre realtà, quando ci si è avveduti che una zona era contaminata a seguito di esercitazioni, l’attività è stata dismessa, anche per non esporre il personale a ulteriori rischi”.
A parte le riscontrate tracce di radioattività nei luoghi che sono stati nel tempo bersaglio del lancio dei missili Milan e l’alterazione dei luoghi (si contano circa 30.000 crateri nella sola penisola Delta) dovuti all’impatto degli ordigni con il suolo, ciò che ha contribuito non poco a determinare il potenziale disastro è stato il mancato, puntuale recupero del materiale di risulta delle esercitazioni, che, se è ufficialmente ammesso per la penisola interdetta, non è stato trascurabile anche in altre aree risultate bersaglio di colpi. Dai documenti dell’ARPAS acquisiti dalla Commissione (Indagine ambientale presso il Poligono di Capo Teulada, del 27 luglio 2016, accompagnato dalla bozza dell’Indagine ambientale preliminare sulla presenza di materiali radioattivi nell’area del Poligono militare di Capo Teulada, datato anch’esso luglio 2016) si può desumere che in alcune zone è presente un rilevante numero di corpi artificiali, inclusi i residui del tracciatore dei missili MILAN (secondo i dati comunicati dal comando del Poligono dal 1991 al 2004 sono stati utilizzati 4.242 missili) che costituiscono potenziali fonti di pericolo a causa dell’emissione radioattiva di torio potenzialmente in grado di contaminare il suolo circostante, così che alcune aree dell’insediamento potrebbero essere qualificate come discariche non controllate. Da questi ed altri documenti acquisiti nel corso dell’inchiesta risulta, in conclusione, che, oltre al caso estremo della Penisola interdetta, altre parti del territorio del Poligono sono oggetto di un utilizzo che minaccia lo stato dei luoghi e che potrebbe compromettere in modo irreversibile il suo ecosistema terrestre e marino se non saranno intraprese in breve importanti azioni di bonifica e nel contempo avviato un nuovo modello di uso.
Quanto alla bonifica, occorre rilevare che alla sua attuazione si frappongono non poche difficoltà, legate soprattutto a una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’Autorità militare, senza prevedere alcuna interlocuzione con l’amministrazione dell’ambiente, con la Regione e le autonomie locali: è auspicabile, a questo proposito, che le disposizioni recentemente varate nell’ambito della manovra di bilancio per il triennio 2018-2020, di cui si darà conto più avanti, possano concorrere a modificare questa situazione e segnare una decisa inversione di tendenza rispetto a una realtà di grave compromissione dell’ambiente e di colpevole inerzia delle istituzioni che avrebbero dovuto assicurarne la salvaguardia. Ad oggi, la bonifica è stata avviata con risorse tali da farla ritenere assolutamente inadeguata rispetto alle necessità; essa diventa inoltre ancora più complicata per le ragioni esposte dall’Ing. Sanna, dirigente dell’ARPA Sardegna (audizione del 4 ottobre 2016): “(...) quando si opera la bonifica di un sito industriale dismesso conosciamo il processo industriale e tutte le tipologie di lavorazione effettuate, di conseguenza diventa più facile capire quali sono gli elementi da indagare all’interno del sito. Allora, anche la predisposizione del piano di caratterizzazione, di eventuali piezometri, di deposimetri, e il prelievo di campioni di suolo possono essere fatti con una logica strettamente correlata all’attività industriale operata nell’ambito dei siti oggetto di bonifica. Nelle aree militari questo non accade. Il decreto ministeriale del 2009 prevede che l’autorità militare sia quella procedente, quindi diventa difficile operare i monitoraggi nell’area, non conoscendo i processi delle attività di addestramento che avvengono all’interno del poligono e non potendo di conseguenza stabilire le matrici da indagare”. Ed ancora: “Per le attività di monitoraggio sarebbe importante avere dei presidi che risultino essere sempre presenti sul territorio (...) Sarebbe inoltre opportuno fare anche un monitoraggio al contorno ovvero nelle fasce perimetrali per verificare le ricadute su quelle antropizzate situate in prossimità dei poligoni”.
Infine, la mancanza di presidi sul territorio interno ai poligoni di tiro funzionali al monitoraggio della situazione ambientale è tanto più importante se si considera che buona parte delle aree dei poligoni militari in Sardegna costituisce area SIC, ovvero sito di importanza comunitaria.
“Dei siti di importanza comunitaria (...) - ha dichiarato alla Commissione l’Assessore all’Ambiente della Regione Sardegna Donatella Spano (audizione del 6 ottobre 2016) - si dice che devono essere conservati, addirittura, essere elevati cioè portati a zone di speciale conservazione, per poi avviare dei piani di gestione, i quali per normativa devono subire una procedura, e cioè devono essere valutati in termini ambientali e se ne deve capire l’incidenza. E’ chiaro (...) che questa valutazione non può essere fatta se mancano i dati”. L’assessore ha poi aggiunto: “La VINCA (valutazione di incidenza ambientale) richiede, infatti, che ci sia un monitoraggio, ci siano informazioni, quindi una valutazione dello stato di conservazione dei siti. Ci troviamo, dunque, proprio nell’impossibilità di condurre questa procedura, questa valutazione di incidenza per i siti che insistono su zone interdette (...)”. A tale proposito, nel prosieguo dell’audizione, l’assessore Spano ha quindi dato lettura di una prescrizione inclusa nei piani di gestione dei SIC, nella quale si afferma, tra l’altro: “Dal piano di gestione emerge come l’attività militare sia potenzialmente una fonte di impatti significativi sull’habitat e sulle specie di interesse comunitario, e pertanto si ritiene opportuno che la stessa sia oggetto di apposita pianificazione”. Ha quindi tratto la seguente conclusione “Mi soffermerei ancora una volta su una differenza. C’è un principio che vale per tutti: chi inquina paga. Questo è vero anche per quanto riguarda i siti militari. Negli altri siti, chi ha inquinato è obbligato a condurre attività di bonifica, la quale però è controllata, vigilata per garanzia della salute, dell’effettuazione corretta delle attività appunto di bonifica e di caratterizzazione da un terzo.
Questo terzo può essere, a seconda dei casi, il ministero, la regione con le sue agenzie per l’ambiente e così via. Nel caso specificato, manca questa terzietà degli enti controllo. Allora, a garanzia di tutti - questa è ancora una sollecitazione - va garantita questa terzietà”.
La Commissione ha potuto acquisire dati sufficientemente ampi e aggiornati sullo stato di salute dei residenti nei comuni situati nei pressi del Poligono di Capo Teulada. Di particolare interesse sono le conclusioni della consulenza prestata per la Procura di Cagliari dal prof. Annibale Biggeri: risulta infatti preoccupante la situazione di Foxi, frazione del comune di Sant’Anna Arresi, che insiste su un territorio in prossimità delle esercitazioni militari. Infatti, i sopralluoghi effettuati dalla Commissione hanno consentito di accertare la notevole frequenza negli anni dal 1995 al 2014 di esercitazioni militari con impiego di mezzi corazzati e con attività a fuoco comprendenti missili con raggi a lunga gittata. Nell’area di Foxi, relativamente al periodo considerato, 2000-2013, si è registrato un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache. A tale proposito, nell’audizione del 6 agosto 2106, il prof. Biggeri ha precisato che “ci sono varie ipotesi per cui le patologie cardiovascolari, per quella piccola popolazione che risiede nell’area di Foxi, possono essere aumentate (...). Abbiamo diverse ipotesi tra loro molto coerenti legate alle attività militari. Quella più semplice riguarda il rumore delle esercitazioni, il rumore impulsivo relativo agli spari e quello relativo alle basse frequenze. In questo caso l’esposizione dalla popolazione è documentata in casa delle persone durante le esercitazioni. L’altra cosa non documentata ma chiaramente desumibile, è l’esposizione alle polveri fini (...). Polveri fini e rumore sono elementi molto solidi in letteratura come cause di malattie cardiovascolari”. Una situazione altrettanto compromessa è stata segnalata dal professor Biggeri anche per altre aree circostanti, come si legge nelle conclusioni dell’Indagine epidemiologica sugli impatti per la salute nella popolazione residente in prossimità del Poligono militare di Teulada predisposta nell’ambito della consulenza tecnica per la Procura di Cagliari, depositata il 20 maggio 2016 e consegnata dal professor Biggeri agli atti della Commissione. In tale documento si legge, tra l’altro: “I confronti tra le aree sub comunali, classificate per vicinanza alle attività militari del Poligono, hanno mostrato per i residenti nella frazione di Foxi un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio tre volte maggiore di mortalità e morbosità per malattie cardiache.” Le criticità riscontrate non riguardano solo Foxi. Prosegue infatti il documento: “Questo non esaurisce le problematiche relative all’impatto del Poligono. L’analisi sui residenti nelle aree di Sa Portedda, Gutturu Saidu e nelle zone del Comune di S. Anna Arresi limitrofe al Poligono mostra eccessi per patologie respiratorie, digerenti e del sistema urinario e per alcune patologie tumorali che potrebbero anche trovare riscontro nel profilo di sostanze tossiche emesse, ove tale informazione si rendesse disponibile”.
Queste, in sintesi, le conclusioni degli accertamenti tecnici sulla salute di alcune popolazioni che vivono nelle aree prossime ai due principali poligoni militari della Forze Armate.
Il caso dei poligoni sardi, considerata anche l’ampiezza dell’estensione degli insediamenti, è emblematica di una situazione che però investe anche altre realtà, e che è in una certa misura assimilabile a quanto si è già detto sulle carenze registrate in ordine alla valutazione dei rischi, in quanto entrambe queste criticità sono riconducibili a una più generale sottovalutazione da parte dell’Autorità militare degli effetti sulle persone e sull’ambiente derivanti da attività militari di particolari intensità. A questo proposito, peraltro, occorre sottolineare che nel corso dei sopralluoghi svolti in diverse realtà, la Commissione ha preso atto di un significativo cambio di passo, nel senso di una maggiore sensibilità verso le tematiche sanitarie e ambientali, sia da parte dei comandanti sia da parte delle autorità gerarchicamente sovraordinate, rilevante sotto il profilo culturale, ma ancora carente nei suoi profili operativi, proprio perché ancora limitato, dal punto di vista ordinamentale, da un regime che fino ad oggi ha privilegiato una dimensione di separatezza e autoreferenzialità del mondo militare rispetto alla sfera civile anche per quanto riguarda la gestione delle aree affidate alle Forze Armate e le conseguenti iniziative per la tutela dell’ambiente. È emblematica a questo proposito, la vicenda, della quale si riferirà più avanti, del Poligono di Torre Nebbia, dove il comando dell’ente gestore della struttura, la Brigata Pinerolo, si è impegnato a definire forme di collaborazione con l’autorità civile - in questo caso, la presidenza dell’Ente Parco dell’Alta Murgia, nel cui territorio il Poligono è situato - per quanto attiene alla programmazione e alla gestione delle esercitazioni e all’impatto di queste su una realtà ambientale particolarmente complessa, la cui efficacia è però limitata dalla mancanza, ad oggi, di un quadro normativo che definisca meglio compiti e responsabilità dei soggetti istituzionali coinvolti. Un passo in avanti, in tal senso, è costituito dall’approvazione delle norme sopra ricordate, che introducono principi di maggiore trasparenza e di collaborazione istituzionale nella gestione delle aree destinate ai poligoni di tiro e che hanno recepito le linee di indirizzo già indicate dalla Commissione nella seconda relazione intermedia.

4. Le modifiche normative
Venendo ai profili relativi all’aggiornamento e adeguamento della normativa, occorre in primo luogo considerare che il Codice sull'ambiente (decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia di tutela ambientale) nella sua originaria stesura non conteneva disposizioni specifiche sulle aree militari, che dovevano pertanto ritenersi assoggettate alla disciplina generale.
Con il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, fu inserita una norma, il comma 5- bis dell'art. 184, che attribuisce al Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro dell'Ambiente, il potere di regolamentare con apposito decreto l'intera materia del trattamento dei rifiuti prodotti da armi e infrastrutture destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale, e della bonifica dei siti contaminati.
In esecuzione della predetta disposizione, il Ministro della Difesa, con il decreto 22 ottobre 2009, ha dettato norme specifiche in materia ambientali prevedendo una distinta disciplina che comprende: l'intera riformulazione della materia dei rifiuti, a partire dalla definizione di rifiuto fino alle speciali procedure per la loro gestione, nonché la prevenzione da contaminazioni e la bonifica dei siti inquinati. Ma, per tale materia, l'impianto normativo dell’articolo 6 interviene solo a partire dal presupposto “di un evento potenzialmente in grado di contaminare un sito”. In tal caso l'intera attività di riscontro è affidata esclusivamente alle autorità militari e solo quando dall'indagine preliminare emerga l'avvenuto superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazione per un qualsiasi parametro l'autorità militare deve coinvolgere quelle civili.
Successivamente, il Codice dell'ambiente ha subito ulteriori modifiche. Con l'art. 13, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento [sic] energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea) è stato sostituito il citato comma 5-bis dell'art. 184 del Codice dell’ambiente, nel quale inoltre è stato introdotto l'art. 241-bis, avente specificamente a oggetto le aree militari .
La nuova formulazione in tema di rifiuti non innova quanto alla definizione di rifiuto e alle procedure di gestione ma si limita a prescrivere che le norme del decreto ministeriale “rispettino” quelle dell'Unione Europea e del codice dell'ambiente.
L'art. 241-bis dispone inoltre che, nelle aree del demanio destinate ad uso esclusivo delle Forze armate per attività connesse alla difesa nazionale si applichino le concentrazioni di soglia di contaminazione previste nella tab. 1, colonne A e B, dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152, a seconda delle diverse destinazioni e delle attività effettivamente condotte all'interno delle aree militari. In sostanza nelle aree ad uso residenziale si applicano le concentrazioni di soglia della colonna A), nelle altre, ovvero in quelle destinate alle esercitazioni o sperimentazioni trovano applicazione i parametri della colonna B), recanti parametri ben più elevati di quelli previsti per i siti ad uso residenziale.
In effetti la disciplina regolamentare risultava carente perché l'art. 6 del citato decreto ministeriale del 2009, pur introducendo il criterio obiettivo delle concentrazioni di soglia di contaminazione da verificare al termine dell'indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento dell’area interessata, da effettuarsi a cura del Comandante o del Direttore dell’ente, non specificava quali fossero in relazione ai vari composti inorganici i livelli massimi di concentrazione, se quelli della colonna A) o quelli della colonna B). Bisogna inoltre aggiungere che per le sostanze non incluse nella tab. 1 (v. uranio impoverito, torio e altre ancora) l'art. 241-bis attribuisce all'Istituto Superiore di Sanità il compito di determinare le concentrazioni soglia “sulla base delle informazioni tecniche fornite dal Ministero della Difesa”.
Il recente intervento del legislatore ha dunque voluto rimediare esclusivamente ad una carenza di sistema indicando per le aree militari i livelli di concentrazione di soglia di contaminazione più elevati grazie all'equivalenza tra aree militari e siti industriali. La normativa in materia di ambiente resta tuttavia quella di natura regolamentare, vale a dire le norme contenute del decreto del Ministro della Difesa del 22 ottobre 2009, anche per quanto riguarda la prevenzione e la bonifica delle aree militari e in particolare dei poligoni di tiro.
Partendo dai dati obiettivi raccolti durante l’inchiesta in corso e in quelle svolte in precedenti legislature, di cui si è dato conto nei paragrafi precedenti, relativamente all'attività militare svolta nei principali poligoni di tiro nazionali destinati ad uso esclusivo delle Forze armate, unitamente all'analisi delle conseguenze, certe, sulla alterazione dei luoghi e quelle, probabili, sulla salute di coloro che, pur risiedendo all'esterno dei poligoni, vivono per lunghi periodi in prossimità degli stessi, la Commissione, sin dalla seconda relazione intermedia, ha fornito alcune indicazioni che sono ora confluite in una serie di modifiche normative introdotte con l’articolo 1, comma 304, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).
La prima criticità emersa attiene alla dispersione nel territorio dei poligoni dei residui dei colpi esplosi nel corso delle esercitazioni militari.
Dalle dichiarazioni rese da alcuni rappresentanti delle Autorità militari competenti sembra emergere, sia pure implicitamente, che il puntuale controllo delle esplosioni avrebbe luogo solo quando le esercitazioni sono effettuate dalle Forze Armate italiane. Non così quando alle esercitazioni partecipino forze armate di altri paesi.
E' chiaro che si rende necessaria, per evitare la potenziale contaminazione dell'area circostante l'arrivo dei colpi, una rapida e generalizzata attività di recupero. Ed è altrettanto chiaro che l'attività di recupero presuppone la puntuale conoscenza di tutti i colpi in partenza, qualunque sia la Forza Armata che svolge le esercitazioni militari.
L’esigenza di specifici interventi normativi, posta dalla Commissione con l’approvazione della seconda relazione intermedia, è stata recepita nell’ambito della discussione parlamentare del disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, e tradotta in una serie di emendamenti, discussi e varati in prima lettura al Senato e ora definitivamente licenziati dalle Camere. In particolare, viene integrato l’articolo 184 (sulla classificazione dei rifiuti) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, con l’introduzione presso ciascun poligono e sotto la responsabilità del comandante, del registro delle attività a fuoco, nel quale sono annotati, immediatamente dopo la conclusione di ciascuna attività, l’arma o il sistema d’arma utilizzati, il munizionamento utilizzato e la data dello sparo e i luoghi di partenza e di arrivo dei colpi (comma 5-bis.1). Il registro è conservato per almeno dieci anni dalla data dell’ultima annotazione, ed è esibito, secondo l’indicazione fornita dalla citata relazione della Commissione, agli organi di vigilanza e di controllo ambientali (ISPRA e ARPA) e di sicurezza e igiene del lavoro, su richiesta degli stessi, per gli accertamenti di rispettiva competenza (comma 5-bis.2). Si tratta di un’importante innovazione, sul piano della trasparenza delle procedure e dei controlli, poiché si prevede che l’attività di vigilanza sull’applicazione della normativa ambientale, anche in aree appartenenti al demanio militare, possa essere svolta dalle amministrazioni titolari di queste funzioni, diverse dalle Forze Armate (che in questo come in altri ambiti hanno svolto finora queste attività attraverso le loro strutture), e quindi collocate in quella posizione di terzietà e indipendenza che appare indispensabile ai fini dell’effettività della sorveglianza sull’applicazione delle norme vigenti.
L’istituzione del registro è peraltro funzionale all’ordinato ed efficace svolgimento delle attività finalizzate al recupero dei residuati del munizionamento impiegato. Secondo la nuova disciplina, queste ultime devono essere iniziate entro trenta giorni dal termine del periodo esercitativo e concludersi entro centottanta giorni, al fine di assicurare gli adempimenti previsti dal Decreto del Ministro della difesa 22 ottobre 2009, riguardanti le procedure per la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti e delle infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale (comma 5-bis.3).
Un altro elemento di forte innovazione riguarda l’introduzione - con l’integrazione dell’articolo 241-bis (bonifica di aree militari contaminate) del citato decreto legislativo n. 152 - del piano di monitoraggio permanente sulle componenti di tutte le matrici ambientali in relazione alle attività svolte nel poligono, adottato dal comandante di ciascun poligono, e integrato con l’indicazione delle iniziative da assumere per estendere il monitoraggio, a cura degli organi competenti, anche alle aree limitrofe all’insediamento militare. Viene infine precisato che per i poligoni temporanei o semi permanenti, il piano è limitato al periodo di utilizzo da parte delle Forze Armate (comma 4-bis).
Al piano di monitoraggio si aggiunge un altro adempimento di grande rilievo: la predisposizione sempre da parte del comandante del poligono, per ciascuna tipologia di esercitazione o sperimentazione da eseguire nell'area del poligono, di un documento indicante, su base semestrale, le attività previste, le modalità operative di tempo e di luogo e gli altri elementi rilevanti ai fini della tutela dell'ambiente e della salute (comma 4-ter). Il documento è inoltre trasmesso alla regione in cui ha sede il poligono ed è messo a disposizione dell'ARPA e dei comuni competenti per territorio (comma 4-quater).
Con un’ulteriore disposizione si prevede la possibilità di istituire, nelle regioni in cui hanno sede poligoni militari delle Forze armate, un Osservatorio ambientale regionale sui poligoni militari, nell'ambito dei sistemi informativi ambientali regionali afferenti alla rete informativa nazionale ambientale (SINANET) di cui all’articolo 11 della legge 28 giugno 2016, n. 132. Il comandante del poligono militare, entro trenta giorni dal termine del periodo esercitativo, trasmette all'Osservatorio le risultanze del piano di monitoraggio ambientale, e le forme di collaborazione tra gli Osservatori ambientali regionali e il Ministero della difesa sono disciplinate da appositi protocolli.
L’adozione di queste norme risponde direttamente a un rilievo della citata seconda relazione intermedia, che aveva segnalato “l’assenza o la mera episodicità dell’attività di controllo dell’impatto sull’ambiente delle esercitazioni militari”, osservando anche che il citato decreto del Ministro della difesa 22 ottobre 2009 non fa parola di controlli ambientali, prevedendo solo, come già si è accennato in precedenza, l’adozione di misure specifiche di indagine e salvaguardia dell’ambiente soltanto ex post ossia, come recita l’incipit del comma 1 dell’articolo 6, “al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare un sito”. Con riferimento all’adozione anche per gli insediamenti militari delle concentrazioni di soglia di contaminazione previste nella tabella 1, colonne A (siti ad uso residenziale) e B (siti a uso commerciale e industriale) dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, la seconda relazione intermedia aveva anche rilevato che “la formale equiparazione delle aree militari ai siti industriali quanto alle concentrazioni di soglia di contaminazione non dà però conto di una differenza fondamentale che corre tra il sito che ospita un impianto industriale e quello che ospita un poligono di tiro. Si tratta di quel controllo che le autorità ambientali (statali e/o regionali) hanno il compito di svolgere in fase autorizzativa sulle iniziative industriali”: in effetti le procedure previste dal decreto legislativo n. 152 per le diverse valutazioni dell’impatto ambientale non hanno trovato applicazione per quanto riguarda i poligoni di tiro, con conseguente assenza di controlli con le caratteristiche di tecnicità e terzietà garantite dal Codice dell’ambiente relativamente alla compatibilità delle attività esercitative o sperimentali con la salvaguardia dell’ambiente e con la salute degli addetti al poligono e delle popolazioni che risiedono nelle aree prossime agli insediamenti militari.
L’insieme delle disposizioni introdotte con la legge di bilancio, include le Forze Armate nel circuito dei soggetti istituzionalmente preposti alla vigilanza sul rispetto della legislazione ambientale, interrompendo un’autoreferenzialità del mondo militare che, anche per questo aspetto, in passato ha prodotto diseconomie, inefficienze e ineguali ripartizioni di responsabilità, con negative ripercussioni sull’assetto del territorio, e sul benessere delle persone impiegate nei poligoni e della popolazione residente nelle aree ad essi adiacenti. Il superamento delle criticità che hanno caratterizzato l’attività di monitoraggio di queste aree, anche per effetto di norme che si muovano in questa prospettiva, può favorire il conseguimento dell’obbiettivo di realizzare una gestione del territorio non appannaggio di un unico soggetto, i cui gravosi oneri gestionali sono surrettiziamente compensati da un’implicita elusione delle corrispettive responsabilità, ma condivisa tra tutti i soggetti interessati, secondo principi di leale collaborazione tra le istituzioni.
In questa prospettiva, si muovono anche le altre disposizioni introdotte nel Codice dell’ambiente. La prima di esse ((comma 4-sexies) rinvia a un decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro della salute, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’economia e delle finanze, la definizione delle procedure applicabili al verificarsi, nei poligoni, di un evento in relazione al quale esista il pericolo imminente di un danno ambientale, seguendo il modello adottato con il comma 5-bis dell’articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativamente alla definizione delle procedure per la gestione dei rifiuti prodotti da sistemi d’arma e dai mezzi, dai materiali e dalle infrastrutture direttamente destinati alla difesa e alla sicurezza nazionale. Un’ulteriore disposizione (comma 4- septies) demanda a un decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro della salute, la fissazione del periodo massimo di utilizzo annuale dei poligoni militari delle Forze armate per le
esercitazioni e le sperimentazioni. Infine, viene introdotta un’importante novità in materia di vigilanza sul rispetto della normativa relativa ai rifiuti (4-octies): nell’ambito
dell’amministrazione della difesa, quest’ultima è attribuita, ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro della difesa 22 ottobre 2009 al Comando carabinieri tutela dell’ambiente e al Corpo delle capitanerie di porto; con le nuove disposizioni, sempre in materia di rifiuti, è previsto che a tali organismi, ferme restando le loro competenze, si affianchi anche l’ISPRA, con l’eventuale collaborazione delle ARPA, secondo le modalità definite con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ulteriori disposizioni specificano le sanzioni per la mancata osservanza degli obblighi contemplati dalla nuova normativa.
Nel complesso, quindi, con le modifiche introdotte al Codice dell’ambiente sono entrate a fare parte dell’ordinamento una serie di disposizioni che coronano l’attività di inchiesta svolta dalla Commissione e ne raccolgono l’indirizzo di fondo, rivolto alla realizzazione di una gestione più trasparente delle attività addestrative e dei territori di insediamento dei poligoni, alla garanzia della tempestività e della completezza delle attività di bonifica e al rafforzamento delle funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto della normativa in materia ambientale, attraverso la creazione di canali di collaborazione dell’amministrazione della difesa con altri soggetti istituzionali, per realizzare una maggiore tutela dei lavoratori in divisa e delle popolazioni che risiedono nei territori circostanti agli insediamenti militari.
La riconversione duale dei poligoni e il rapporto con gli enti locali. - Lo svolgimento dell’inchiesta ha posto in rilievo anche un altro problema, che si inserisce nella questione più generale di una complessiva rimodulazione e razionalizzazione della presenza di enti militari sul territorio e di un utilizzo sostenibile dello stesso, basato anche su un diverso e più equilibrato rapporto tra autorità militari e autorità civili. Si tratta della possibilità di realizzare forme di couso del territorio, inteso come gestione duale, civile e militare, delle aree di insediamento dei poligoni, già adombrate nella Relazione intermedia sui poligoni di tiro (30 maggio 2012) predisposta dal senatore Scanu nell’ambito dell’inchiesta svolta nella passata Legislatura dalla Commissione monocamerale istituita al Senato, nella quale, tra l’altro, si formulava l’ipotesi, relativamente al Poligono di Salto di Quirra, di “riqualificare l’intera area attualmente soggetta a servitù militare, pervenendo anche ad un suo ridimensionamento e destinando le aree non più soggette a vincolo ad usi civili o di tipo duale, con particolare riferimento allo sviluppo di attività attinenti alla protezione civile, alla ricerca scientifica e tecnologica in settori innovativi, ivi compresa l’elettronica, alla sperimentazione di aerei UAV, alla ricerca per il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei militari impegnati nelle missioni internazionali, alla tutela delle iniziative imprenditoriali e delle competenze tecniche e professionali sviluppate nei territori interessati”.
Una parziale realizzazione di questa ipotesi, pur in assenza di un ridimensionamento territoriale del PISQ, è costituito dall’esperienza del consorzio aerospaziale, che sta dando vita a forme di interazione con le autorità militari suscettibili di ulteriori e positivi sviluppi. Questo argomento è stato specificamente affrontato nell’audizione (4 ottobre 2016) dell’ingegner Giacomo Cao, presidente del Distretto aerospaziale della Sardegna (Dass), una società consortile con il 51 per cento di capitale pubblico (al quale partecipano l'Università di Cagliari, il CNR, l’Istituto nazionale di astrofisica e due istituti regionali, Sardegna ricerca e CRS4) e il 49 per cento di capitale privato (tra i soci privati sono stati citati in particolare tre aziende leader del settore aerospaziale, Avio S.p.A., che gestisce il lanciatore Vega dei satelliti, il Centro italiano ricerche aerospaziali di Caserta e Vitrociset): interpellato sulla collaborazione con il Poligono di Salto di Quirra, che vede attualmente 150 dei 200 dipendenti del Consorzio assegnati all’area di Capo San Lorenzo (l’area costiera del Poligono), l’ingegner Cao ha preliminarmente precisato che i progetti portati avanti dal distretto aerospaziale hanno esclusivamente applicazioni di carattere civile, e non ne esiste alcuno che abbia applicazioni di carattere militare: tali progetti, tuttavia, per potere essere adeguatamente sviluppati, hanno necessità di almeno due infrastrutture militari presenti in Sardegna. L’ingegner Cao ha citato in primo luogo i test di motori a propellente liquido e motori a propellente solido del razzo Vega: questo progetto, al quale si aggiunge la produzione di un composito carbon-carbon, può avvalersi, per la sua realizzazione, delle strutture presenti a Capo San Lorenzo. Un altro progetto riguarda il test e la certificazione di velivoli senza pilota. La regione Sardegna con le sue tre infrastrutture aeroportuali militari (Decimomannu, Fenosu, Tortolì) potrebbe costituire un unicum in tutto il territorio nazionale, poiché attraverso queste infrastrutture esiste la possibilità di testare velivoli senza pilota di qualunque tipo e dimensione.
Nella sua esposizione, l’ingegner Cao ha anche parlato dei progetti relativi al monitoraggio della cosiddetta «spazzatura spaziale» (SSA, Space situation awareness) e delle rotte satellitari (Space surveillance and tracking), che potrebbero candidare la Sardegna come punto di riferimento nazionale per quanto riguarda la sala controllo che monitora la spazzatura spaziale e le rotte satellitari, e che potrebbero essere svolti di concerto con le infrastrutture radar presenti al PISQ, nonché di altri progetti, la cui realizzazione potrebbe comportare il coinvolgimento di altre strutture militari, come l’aeroporto di Decimomannu. Rispondendo alle domande dei parlamentari presenti, il Presidente del Dass si è anche soffermato sulle prospettive occupazionali, e sulla possibilità, anche attraverso la collaborazione con la Regione (il 4 agosto 2016 è stato siglato un accordo quadro), di implementare i diversi progetti, e, con essi di accrescere il numero di occupati, al momento piuttosto modesto (200 persone impiegate nel consorzio).
Dell’esigenza di una “riconversione in senso duale” dei poligoni di tiro, ha parlato anche il presidente della Giunta regionale Sarda, prof. Francesco Pigliaru (audizione del 7 ottobre 2016), che ha insistito sulla necessità di un impegno del Governo e segnatamente dell’amministrazione della difesa, per mobilitare risorse idonee a promuovere attività di ricerca e sviluppo che facciano leva anche sul tessuto dell’imprenditoria locale: al tempo stesso, il presidente Pigliaru - che ha accennato nel corso della sua esposizione all’ipotesi di dare vita a una scuola di protezione civile sempre nei pressi del PISQ, anche con il coinvolgimento della Scuola di sottufficiali della Maddalena - non ha mancato di sottolineare l’esigenza di pervenire comunque a un riequilibrio della presenza militare in Sardegna, affinché vengano restituiti all’uso civile siti di grande rilevanza paesaggistica e ambientale, che da sessant’anni sono inclusi nei 30 mila ettari occupati da insediamenti militari nell’Isola.
Attività come quelle sviluppate dal Consorzio aerospaziale Dass dimostrano inoltre che è possibile adottare una prospettiva più dinamica relativamente al contributo dei poligoni e di altri analoghi insediamenti allo sviluppo economico e sociale delle aree circostanti. Nel corso dell’inchiesta svolta nella passata legislatura, da parte delle autorità militari si è molto insistito sul circolo virtuoso che la presenza di queste strutture può attivare, dando vita ad indotti significativi, anche in termini di impatto occupazionale, legati al fabbisogno di servizi per il personale militare residente. Si tratta di una circostanza che deve essere attentamente valutata, anche nell’ambito di un progetto di razionalizzazione e ridimensionamento dell’estensione territoriale di alcuni insediamenti. Al tempo stesso, come in taluni casi è stato posto in evidenza dai rappresentanti di alcune amministrazioni locali, non vanno trascurate le diseconomie legate al degrado ambientale conseguente ad alcune delle attività di addestramento e di esercitazione (di cui si è detta più sopra), e al pregiudizio che ne può derivare sul piano economico, in particolare per il turismo e l’agricoltura. Ben altro discorso è quello riguardante il potenziale di crescita, in termini qualitativi e quantitativi, riconducibile a una riconversione duale dei poligoni, che potrebbe portare alla creazione di occupazione più stabile e ben più qualificata e dinamica di quella indotta da una modesta crescita della domanda di servizi generata dalla presenza di personale militare nei poligoni.
Riconversione duale e ridimensionamento territoriale dei poligoni non sono dunque in contraddizione, ma risultano, al contrario, due elementi che possono costituire l’architrave di un più generale progetto di riorganizzazione e di razionalizzazione della presenza militare sul territorio nazionale.
In questo quadro, nella prospettiva di una maggiore sostenibilità nell’utilizzo del territorio, va ricordato anche il progetto SIAT (Sistema Integrato per l’Addestramento Terrestre), in fase sperimentale dal giugno del 2014 presso i Centri di Addestramento Tattico (CAT) distribuiti in 5 aree del territorio nazionale, tra cui il poligono di Capo Teulada, e i cui tratti essenziali sono stati illustrati alla Commissione nel corso del sopralluogo svolto presso quel sito (6 ottobre 2016). In tale occasione sono stati elencati i notevoli vantaggi che l’adozione di questo sistema di guerra simulata potrebbe comportare: tra di essi, la contrazione dei tempi necessari all’organizzazione logistica delle unità, il risparmio di strumenti e risorse (ad esempio i simulatori di guida abbattono i costi di carburante e l’usura dei mezzi impiegati), la maggiore sicurezza del personale e un impatto ambientale estremamente ridotto, con conseguente diminuzione delle bonifiche post-addestramento a fuoco. Si tratta, nel complesso, di una misura di modernizzazione che va nella direzione più volte auspicata nel corso delle inchieste parlamentari svolte su questi temi, anche nelle passate Legislature.
Nel prendere atto con favore di tale innovazione, occorre però sottolineare l’esigenza che anche il sistema SIAT sia funzionale al più generale progetto di razionalizzazione della presenza militare sul territorio nazionale, e che venga utilizzato anche in relazione alle sue potenzialità di generare ricerca duale, come peraltro è stato evidenziato anche nel corso della presentazione svoltasi presso il Poligono di Capo Teulada, realizzando così un duplice obiettivo di dare luogo ad attività militari che non solo alleggeriscano l’impatto ambientale, ma che aprano opportunità di ricerca avanzata e innovativa, da realizzare principalmente in loco, avvalendosi delle strutture scientifiche già presenti sul territorio, senza peraltro escludere la possibilità di dare vita a network di collaborazione internazionale.
La ricerca di sistemi di guerra simulata che riducano l’impatto delle attività svolte nei poligoni sul territorio richiama un altro profilo di forte criticità emerso nel corso delle audizioni e dei sopralluoghi, relativo alle condizioni delle aree protette e dei siti della Rete Natura 2000 (il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità, costituito dalla rete dei Siti di interesse comunitario - Sic) nel cui ambito insistono del tutto o in parte alcuni insediamenti militari. Sono infatti Siti di interesse comunitario l’area del Poligono militare di Torre Veneri in provincia di Lecce, e l’area di Isola rossa e Capo Teulada, in provincia di Cagliari, entrambi oggetto di specifici sopralluoghi da parte della Commissione. In queste stesse aree si svolgono attività di esercitazione e addestramento, anche a fuoco, da parte delle Forze Armate italiane e della NATO. Ad oggi, salvo alcune eccezioni, la maggior parte di tali attività si è svolta senza che ne venissero informati gli Enti gestori delle aree protette e senza che venissero svolte le valutazioni di impatto ambientale pur previste dalla normativa vigente: queste omissioni sono state sovente motivate invocando il segreto militare, ma non sempre tale giustificazione è apparsa basata su un solido fondamento fattuale. In forza delle modifiche al Codice dell’ambiente introdotte con la legge di bilancio 2018-2020, delle quali si è detto in precedenza, sarà possibile accertare, sulla base della documentazione messa a disposizione delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente da parte dei comandi dei poligoni, che lo svolgimento delle attività di addestramento ed esercitazione a fuoco non sia in contrasto con le esigenze di salvaguardia dell’habitat delle aree predette, e con la previsioni normative contenute nella legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge-quadro sulle aree protette) e nella Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, che ha istituito la Rete Natura 2000.
Appare a tale proposito emblematica l’audizione (21 marzo 2017) del Presidente dell’Ente Parco Alta Murgia, Cesare Veronico, il quale ha spiegato che da circa quattro anni lo svolgimento di attività militari facenti capo al Poligono di Torre Nebbia nell’area del Parco è concordata con il comando della Brigata Pinerolo (che gestisce il poligono) e di altri comandi eventualmente coinvolti, e l’intesa è preliminare alla presentazione del progetto al Comitato misto paritetico. Come è stato possibile riscontrare con l’audizione del comandante della Brigata Pinerolo (21 marzo 2017), i rapporti che si sono positivamente stabiliti nel singolo caso tra autorità militari ed ente gestore, hanno costituito comunque un evento isolato e, partendo su una base essenzialmente volontaristica, si sono andati evolvendo secondo un percorso concertativo che, a quanto affermato da ambo le parti, è stato comunque utile a contenere il rischio di grave pregiudizio che lo svolgimento di esercitazioni militari a fuoco può comportare per l’habitat naturale protetto: l’approvazione delle modifiche al Codice dell’ambiente consente, sotto questo profilo, di uscire da una dimensione informale e non codificata del rapporto tra autorità civili e autorità militari quanto alla gestione del territorio; di prospettare, di conseguenza, un ruolo più incisivo dei Comitati paritetici, il cui ruolo negli ultimi anni si è andato progressivamente appannando, e di porre i presupposti affinché i programmi di esercitazione e addestramento siano sottoposti a valutazione di incidenza ambientale (VINCA) condotta congiuntamente dal Ministero della difesa, dall’ARPA e dagli enti gestori delle aree protette eventualmente interessate
La questione si presenta sotto vari profili, che consentono una riflessione sul passato prossimo e sulle prospettive future della tutela dell’ambiente nelle aree di insediamento dei poligoni di tiro e nelle aree limitrofe.
In linea generale, il fatto che la gestione di porzioni di territorio, in alcuni casi di non trascurabile interesse paesaggistico e ambientale, sia stato completamente sottratto alla giurisdizione degli organi elettivi di governo locale, oltre che alla vigilanza degli organi istituzionalmente preposti alla tutela dell’ambiente, ha dato luogo a un situazione non del tutto in linea con il principio affermato all’articolo 5 della Costituzione, in virtù del quale la Repubblica “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”; pur tenendo conto delle specifiche esigenze, anche di segretezza, connesse allo svolgimento di attività militari, non sembra possibile sostenere l’ammissibilità di una deroga permanente a un principio fondamentale dell’ordinamento democratico. Guardando poi al concreto svolgimento degli eventi, non si può non rilevare che l’assenza di controlli sulla gestione del territorio, in particolare da parte degli organi di governo locale, ha consentito che si verificassero casi come quelli della cosiddetta “penisola interdetta di Capo Teulada”; può essere opportuno riportare a tale proposito quanto ha affermato, nella già citata audizione, il presidente della Giunta regionale sarda, rivolgendosi alla Commissione: “Non può essere accettabile - l’ho detto anche due mesi fa - che il poligono Delta di Teulada sia dichiarato permanentemente interdetto. So che adesso avete visto la penisola e che vi sono state illustrate le attuali attività di caratterizzazione, ma voglio anche qui ricordare che sono nate di nuovo sotto l’impulso della magistratura. Senza quell’indagine della magistratura ancora oggi forse parleremmo di un’area interdetta per sempre perché non sarebbe - da un certo punto di vista certamente sbagliato - economicamente conveniente bonificarla. Ovviamente, la difesa potrebbe giudicare non conveniente bonificarla, mentre dal punto di vista dell’interesse generale la situazione cambia ed è quello che dobbiamo assumere con forza perché è utile, importante, necessario ed essenziale proseguire con bonifiche sistematiche.”
Sotto questo profilo, pertanto, le modifiche apportare al Codice dell’ambiente delineano una serie di misure che si possono definire di adeguamento della legislazione ordinaria ai principi costituzionali , laddove si prevede che la gestione di una porzione del territorio nazionale risponda a principi di pluralismo, di partecipazione democratica e di collaborazione tra i diversi livelli istituzionali, secondo criteri che fino ad oggi sono rimasti disattesi, con conseguenze negative sulla salubrità dell’ambiente e sulla salute dei cittadini. Proprio partendo da queste premesse la Commissione ritiene che sia necessario mettere in campo, nell’immediato futuro, una pluralità di strumenti e di iniziative rivolti a fare sì che la presenza dei poligoni di tiro sul territorio venga armonizzata con le esigenze di sviluppo sociale ed economico, di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e di salvaguardia dell'ambiente nelle aree di insediamento. Occorre, a tal fine, riflettere sull’ineludibile esigenza di un riordino e di una razionalizzazione della rete degli insediamenti militari sul territorio nazionale, e in particolare in aree come la Sardegna, dove tale presenza si caratterizza per la sua particolare pervasività; si tratta di una questione che deve essere affrontata evitando di porre drastiche alternative, suscettibili di risolversi in astratte petizioni di principio di difficile attuazione, ma partendo piuttosto dalla situazione data e tenendo ben presenti i passi in avanti che sono stati compiuti negli ultimi anni per quanto concerne il reciproco ascolto delle ragioni dei diversi soggetti portatori di interessi distinti e potenzialmente configgenti, la cui composizione presenta difficoltà che non possono essere sottovalutate.
Il punto di partenza per una tale riflessione, peraltro, non può non essere quello indicato dalla Commissione d’inchiesta istituita nella precedente Legislatura e ripreso anche nel corso di alcune delle audizioni svolte nei recenti sopralluoghi (si vedano in particolare le audizioni del presidente Pigliaru e del Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau), ovvero la necessità di considerare tale problematica alla luce dei mutamenti intervenuti, soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘80 nel quadro geopolitico. Infatti, la rete dei poligoni di tiro, così come è ora, è stata attuata in larga misura in un periodo che risale agli anni ’50 e agli inizi degli anni ’60 (per fare fronte al fabbisogno addestrativo di un esercito di leva, di dimensioni molto più estese delle attuali Forze armate), caratterizzato da un contesto internazionale del tutto diverso da quello attuale. Non si può non confermare, a questo proposito, quanto si affermava nella citata Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro: “La dissoluzione del bipolarismo, la minaccia del terrorismo, non radicata in uno specifico ambito statale, e un assetto geopolitico caratterizzato dal multipolarismo sono tutti fattori che sollecitano un ripensamento di un assetto progettato in un periodo storico che ha ormai definitivamente concluso la sua parabola.”
Questa considerazione preliminare, inoltre, va declinata anche in un contesto politico e culturale nel quale una politica di contenimento della spesa pubblica orientata al ridimensionamento di apparati pletorici piuttosto che alla riduzione delle prestazioni ai cittadini appare un nodo non più eludibile. Ne consegue che un ripensamento sulla rete dei poligoni appare necessario, sia alla luce dei nuovi contesti geo politici, sia anche in relazione a innovazioni organizzative e tecnologiche che rendono oggi possibile una razionalizzazione che comporti in primo luogo la previa bonifica laddove essa si renda necessaria, e anche, laddove possibile, la dismissione di aree la cui utilizzazione non risulti più necessaria e la restituzione delle stesse ad usi civili.
Dai dati emersi dall’inchiesta in corso e dalle conclusioni contenute nelle Relazioni finali delle due precedenti Commissioni Parlamentari emerge la complessità dei problemi e la pluralità di nodi da sciogliere, che riguardano: in particolare, nella passata Legislatura, già la Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro (relatore: Scanu), approvata il 30 maggio 2012, aveva posto un’esigenza che mantiene tutta la sua attualità, e che la Commissione fa propria: quella, cioè, di un ripensamento complessivo della distribuzione e del dislocamento sul territorio nazionale degli insediamenti militari, in vista di una razionalizzazione e di un adeguamento ai nuovi assetti geopolitici, anche mediante il ridimensionamento delle aree del demanio militare; di un utilizzo sostenibile del territorio dove le predette strutture sono situate, con il coinvolgimento delle amministrazioni locali e degli altri enti a vario titolo interessati, per tutte la materie che attengono alla salubrità dell’ambiente e alla tutela della salute dei cittadini, in particolare per quanto attiene alla programmazione delle attività di bonifica; della verifica costante circa l’adeguatezza della legislazione vigente nell’assicurare che attività militari suscettibili di avere un impatto rilevante sull’ambiente circostante vengano assoggettate alle stesse misure di valutazione e di controllo che sono disposte dalle normative comunitaria e interna per attività civili con caratteristiche analoghe.
I passi in avanti compiuti con le modifiche del Codice dell’ambiente sopra illustrate, peraltro, se considerati anche alla luce degli accertamenti condotti dalla Commissione nel corso di diversi sopralluoghi, non solo non fanno venire meno, ma confermano e corroborano il convincimento della Commissione circa la necessità e indifferibilità dell’avvio di un percorso di snellimento, razionalizzazione e modernizzazione degli insediamenti militari sul territorio nazionale. In particolare, i sopralluoghi svolti in Sardegna hanno consentito di accertare non solo la possibilità, ma l’auspicabilità di un riordino basato su un deciso ridimensionamento delle aree destinate a impieghi militari, essenziale al fine di ridurre l’impatto delle attività ivi svolte sulla salute dei lavoratori e dei residenti, nonché sull’ambiente circostanze, ma anche più coerente rispetto ai processi di innovazione nelle tecniche addestrative ed esercitative delle Forze Armate, oltre che all’impegno alla promozione di forme di uso duale dei poligoni. Per questo motivo, la Commissione, a conclusione delle sue valutazioni sulla situazione dei poligoni di tiro, e riprendendo il filo della riflessione, già avviata nella passata legislatura su questa materia, ribadisce la necessità di ripensare nel suo complesso la presenza militare in Sardegna, e, conseguentemente, di adottare misure che conducano a un graduale ridimensionamento di insediamenti, che appaiono, nel loro complesso, rispondenti a esigenze difensive riconducibili a un contesto geopolitico del tutto diverso da quello attuale, e ormai superato. Pertanto, la Commissione ritiene necessario procedere in direzione di una radicale bonifica e della progressiva dismissione dei poligoni di Capo Frasca e di Capo Teulada, garantendo il mantenimento dei livelli di occupazione, e della concentrazione di tutte le attività sostenibili nel poligono interforze di Salto di Quirra, la cui estensione territoriale dovrà comunque essere ridimensionata, sempre previe le necessarie misure di bonifica, e ferma restando la prospettiva di una gestione duale dell’area e delle strutture in essa presenti, secondo le modalità che la Commissione stessa ha avuto modo di conoscere e apprezzare nel corso dei suoi lavori.

Capitolo 5.
EFFETTI DELLE MODALITÀ’ DI SOMMINISTRAZIONE DEI VACCINI SUI MILITARI

1. Premessa.

Ai sensi dell’art. 1 della delibera istitutiva del 30 giugno 2015 la Commissione ha, tra gli altri, il compito di indagare: d) sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale; e) sulle modalità della
somministrazione dei vaccini al personale militare nonché sul monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati, tenendo conto in particolare dei risultati del progetto denominato «Studio sull’impatto genotossico nelle unità militari» (SIGNUM).
In relazione alle suddette tematiche è stato costituito un apposito gruppo di lavoro i cui risultati sono stati analiticamente illustrati nella Relazione intermedia approvata da questa Commissione il 19 luglio 2017, a cui si fa integrale rinvio.
Alla luce degli approfondimenti svolti è possibile formulare le seguenti osservazioni finali.

2. Lavori della Commissione sul tema.
Tra i temi approfonditi dalla Commissione, fanno spicco quelli concernenti la sorveglianza sanitaria e la profilassi vaccinale sul personale dell’Amministrazione della Difesa.
Per quanto attiene alla profilassi vaccinale, nell’ambito del decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 gennaio 2014, n. 7 e n. 8, è stata introdotta nel corpo del D.Lgs. n. 66/2010 il nuovo testo dell’art. 206-bis, intitolato “Profilassi vaccinale del personale militare” che qui di seguito si riporta:
1. La Sanità militare può dichiarare indispensabile la somministrazione, secondo appositi protocolli, di specifiche profilassi vaccinali al personale militare per poterlo impiegare in particolari e individuate condizioni operative o di servizio, al fine di garantire la salute dei singoli e della collettività.
2. Con decreto del Ministro della difesa adottato di concerto con il Ministro della salute sono approvati i protocolli sanitari di cui al comma 1 che recano altresì l'indicazione analitica degli adempimenti riferiti alle modalità di somministrazione dei vaccini, quali quelli di comporre il quadro anamnestico del paziente prima di iniziare le profilassi vaccinali e di registrare su apposita documentazione, anche elettronica, riferita a ciascun militare tutte le profilassi vaccinali adottate nei suoi confronti.
3. Se il militare da sottoporre a profilassi vaccinale rappresenta documentati motivi sanitari per non sottoporsi alla profilassi stessa, la valutazione di merito è rimessa alla commissione medica ospedaliera competente per territorio.
Questa nuova normativa, diversamente da quanto proposto dal Ministero della Difesa, non prevede che il rifiuto motivato di sottoporsi alle vaccinazioni costituisca una violazione disciplinare.
Pertanto la Commissione raccomanda di verificare con attenzione l’applicazione puntuale di quanto previsto dalla nuova normativa per limitare tutte le forme di rischio connesse alla profilassi vaccinale, anche quelle inerenti il personale da impegnare fuori dal territorio nazionale, precisando che qualora il militare da sottoporre a profilassi vaccinale rappresenti e produca copia delle certificazioni sanitarie inerenti pregresse attività vaccinali eseguite ed eventuali test sierodiagnostici, la valutazione di merito sia rimessa alla commissione medica ospedaliera competente per territorio.

3. Indagine sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale
La Commissione ha ricevuto nel mese di novembre 2017 la documentazione richiesta ad AIFA nella primavera 2016, riguardante le specifiche tecniche, gli studi di sicurezza e la composizione dei vaccini, comprensivi degli elementi sottosoglia.
La documentazione riguarda i vaccini compresi nella profilassi vaccinale militare di cui al D.M. 31 marzo 2003 del Ministero della Difesa e, cioè, vaccini che vengono somministrati a soggetti ADULTI, selezionati a mezzo di visita che accerta idoneità e buono stato di salute. Nello specifico si tratta di:
vaccinazione anti meningococcica;
vaccinazione antimorbillo, parotite e rosolia;
vaccinazione anti tetano, difterite e anti polio;
vaccinazione anti epatite A + B.
vaccinazione anti varicella;
vaccinazione anti influenzale;
vaccinazione contro agenti biologici critici;*
cutireazione tubercolinica;*
vaccinazione anti febbre gialla;
vaccinazione anti encefalite giapponese;
vaccinazione antirabbica;
vaccinazione anti febbre tifoide;
vaccinazione anti colera;
chemioprofilassi antimalarica.*

*dati non presenti nella documentazione

La documentazione appare incompleta, sotto diversi aspetti: alcuni vaccini non contengono tutta la documentazione richiesta e per alcune malattie manca il vaccino corrispondente. Tuttavia, i dati ricevuti risultano essere di enorme interesse ai fini dell’attività della Commissione.
Lo scopo della richiesta di tali dati era quello di verificare se dalla profilassi vaccinale militare, potessero configurarsi pericoli per la salute, tali da far incorrere in rischi inutili le persone sottoposte al trattamento. I singoli vaccini somministrati ai militari, che ricordiamo essere gli stessi autorizzati da AIFA per il settore civile, contengono adiuvanti, conservanti e contaminanti, nei limiti delle autorizzazioni per la commercializzazione individuale. Quando un farmaco viene autorizzato è preso in considerazione singolarmente e i parametri, nonché i criteri, per determinare la soglia oltre la quale un componente diventa tossico, sono determinati dal fatto che il farmaco sia assunto da solo. Tuttavia, nel caso di specie siamo di fronte alla somministrazione di un calendario vaccinale per la profilassi obbligatoria, e non di una vaccinazione singola, pertanto i farmaci e i loro componenti si sommano. La verifica che tale somma rispetti comunque le soglie del singolo vaccino è fondamentale, perché se così non fosse i militari sarebbero esposti ad inutili rischi di fenomeni di immunosoppressione e di reazioni avverse (causate appunto dai componenti estranei il principio attivo e dal principio attivo stesso).
Sebbene la Commissione sia al corrente del fatto che le reazioni avverse differiscono tra adulti e bambini, ritiene doveroso non sottovalutare la complessiva quantità di Alluminio somministrata ai militari nell’intera profilassi vaccinale, in quanto negli adulti il maggior grado di sviluppo dei sistemi immunitario e nervoso al momento della vaccinazione, e le possibili forme di autoimmunità fisiologiche, possono favorire l’induzione di reazioni di tipo linfoproliferativo e malattie autoimmuni, come risulta dall’elencazione degli effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni, contenute nelle schede tecniche elaborate dalle case farmaceutiche.

4. Verifiche richieste in merito ai rischi legati a problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità
Come già evidenziato nella relazione intermedia di luglio, la vaccinazione comporta dei rischi in termine di problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità. Questa affermazione ha trovato conferma dall’analisi dei documenti pubblici dei vaccini, quali fogli illustrativi e schede tecniche (vedi da punto 4.4 delle RCP fornite da AIFA), come sintetizzati nella tabella che segue. In particolare, le case farmaceutiche chiedono l’applicazione di opportune precauzioni all’impiego del vaccino e, tra l’altro, la verifica dello stato di salute del vaccinando e dell’assenza delle patologie sotto elencate al momento della vaccinazione.

Verifica richiesta dalla casa farmaceutica delle patologie di cui accertarsi dell'assenza prima di effettuare la vaccinazione

Numero dei vaccini compresi nella profilassi militare che la richiede

   

immunosoppressione endogena o iatrogena

7

Immunodepressione congenita

3

Immunodepressione idiopatica

2

terapia immunosoppressiva

10

immunodeficienza

6

soggetto HIV positivo

1

immunodeficienza umorale o cellulare

3

immunodeficienza congenita o ereditaria

1

malattia autoimmune

1

trombocitopenia

2

tumori solidi maligni

2

neoplasie maligne del sistema ematopoietico e linfatico

1

linfomi di qualunque tipo

1

leucemie

1

farmaci antimitotici

1

radioterapia

2

timoma

1

test qualitativo per gli anticorpi

2

produzione anticorpi efficacemente

1

sistema immunitario indebolito

2

Test sierologici

2

malattie gastrointestinali acute

1

malattie febbrili acute

8

dieta a basso contenuto di sodio

1

disordini della coagulazione

1

disordini neurologici

1

epilessia

1

emofilia

1

alterazioni della coagulazione

1

disturbi della coagulazione

2

malattia cerebrale

 

malattia febbrile grave acuta

31

Altre forme di Epatite

1

Incubazione Epatite A

2

emodialisi

2

insufficienza renale

1

farmaci citotossici

2

timectomia

1

disfunzione timica

1

infezioni gastrointestinali acute

1

trattamento con antibiotici o sulfonamidi

1

affezioni febbrili

5

infezione acuta

5

patologie a carico del sistema Nervoso Centrale

1

suscettibilità alle convulsioni febbrili

1

Complicazioni neurologiche a seguito di vaccinazione

1

gravi malattie croniche

1

discrasie ematiche

1

Tubercolosi attiva non trattata

1


Sono ben 22 le indicazioni di svolgere accertamenti pre-vaccinali volti ad escludere l’esistenza di eventuali stati di immunosoppressione, 7 quelle che prevedono la preventiva valutazione dell’efficienza o inefficienza del sistema immunitario, 3 quelle riferite alle necessità di escludere malattie autoimmuni, 9 le malattie oncologiche e, a vario titolo, ben 11 che chiedono una vera e propria analisi dell’eventuale immunodeficienza.
Alla luce di questo elenco la Commissione ritiene che l’allegato F alla direttiva DIFESAN 14 febbraio 2008, riguardante il modulo anamnestico e il consenso informato da compilare a cura del militare in sede di somministrazione vaccinale, appaia insufficiente e che la mera compilazione del modulo non possa ritenersi sostitutiva degli accertamenti sanitari richiesti dalle aziende produttrici dei vaccini. Conclude pertanto che il modulo debba essere integrato con i corrispondenti accertamenti diagnostici.

5. Ipersensibilità e allergie

Su tutti i vaccini analizzati e rientranti nella profilassi vaccinale militare, oltre al principio attivo del vaccino, sono 81 gli elementi per cui è prevista una valutazione di sensibilità o allergia.

Ipersensibilità da verificare prima della somministrazione del vaccino indicate dalla casa farmaceutica

Numero di vaccini che lo richiedono

   

Cloruro di Sodio (Sodio cloruro )

15

formaldeide

10

Principio attivo

8

neomicina solfato

8

potassio fosfato monobasico

6

proteine di pollo

5

Saccarosio

5

neomicina

4

polisorbato 80

4

Cellule di Uova di pollo*

4

embrioni di gallina*

4

Ovalbumina

4

Sodio fosfato dibasico diidrato

4

idrossido di alluminio

4

aminoacidi per preparazioni iniettabili

4

kanamicina

3

cetiltrimetilammonio bromuro (CTAB)

3

solfato di bario

3

sodio fosfato dibasico

3

lievito

3

Potassio cloruro

3

cloruro di potassio

3

Lattosio

3

Sorbitolo E420

3

emoagglutinina

3

ottoxinolo 10

2

Albumina umana

2

Cellule diploidi umane (MRC-5) *

2

sodio fosfato dibasico dodecaidrato

2

Sodio fosfato monobasico diidrato

2

cloruro di magnesio esaidrato

2

sodio desossicolato

2

a-tocoferolo succinato acido

2

Sodio borato

2

Potassio diidrogeno fosfato

2

gentamicina solfato

2

Mannitolo

2

Trometamolo*

2

gentamicina

1

clorotetraciclina*

1

anfotericina B

1

polisorbato 20

1

Sodio glutammato

1

Sodio fosfato dibasico anidro

1

Sodio bicarbonato

1

Sodio citrato

1

sodio diidrogeno fosfato

1

Sodio carbonato, anidro

1

Disodio idrogeno fosfato

1

Cloruro di Sodio

1

Sodio

1

alluminio fosfato

1

monofosforil lipide A

1

potassio tiocianato

1

Acido citrico

1

Saccarina sodica

1

Magnesio solfato

1

Calcio cloruro

1

E171 (titanio diossido)*

1

E172 (ossido di ferro giallo e ossido di ferro rosso)*

1

E127 (eritrosina)*

1

gelatina

1

Gelatina idrolizzata

1

idrossipropilmetilcellulosaftalato (HP-MCP)-50*

1

dibutilftalato*

1

dietilftalato*

1

etilenglicole

1

L-alanina

1

L-istidina idroclorito

1

fenolo

1

2-fenossietanolo

1

idrossido di sodio*

1

Acido cloridrico*

1

Urea

1

solfato diprotamina*

1

lattice*

1

Edetato bisodico

1

Potassio-L-glutammato*

1

Polygelina*

1

9-ottoxinolo*

1

streptomicina*

1

polimixina B*

1


*componenti di cui non ci è stata fornita una quantificazione

Come si evince dal prospetto sovrastante, piuttosto che una valutazione sulla tollerabilità ad ogni singolo elemento può essere percorribile la scelta di effettuare una valutazione di tollerabilità complessiva per vaccino da somministrare. In questo modo si metterebbe in evidenza anche la possibile intolleranza o ipersensibilità agli allergeni tra loro combinati.

6. Effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni
Dall’analisi degli effetti indesiderati, delle reazioni avverse e delle controindicazioni, sono emerse informazioni importanti. Nel totale le reazioni censite ammontano a ben 240, con frequenza variabile dal 10% alla “'frequenza non nota”. Di seguito si riporta la tabella che descrive la frequenza di accadimento di reazioni avverse e di eventi indesiderati e il numero di volte in cui è citata nei fogli illustrativi dei Vaccini.

 

MC

> 1/10

C

> 1/100, <1/10

NC

> 1/1.000, <1/100

R

> 1/10.000, <1/1.000

MR

< 1/10.000

MN

nessun dato

Reazione avversa o evento indesiderato

Numero di volte in cui è citata con la medesima frequenza²¹

 

MC

C

NC

R

MR

NN

dolore al sito di iniezione

13

1

0

1

0

0

Affaticamento

8

2

4

0

2

1

cefalea

5

8

3

0

2

0

Mialgia

5

5

5

1

2

1

indurimento al sito di iniezione

4

11

1

2

0

0

rossore al sito di iniezione

4

7

0

1

0

0

Irritabilità

4

2

2

0

0

0

febbre

3

16

1

1

1

1

dolore

3

2

1

0

0

1

eritema al sito di iniezione

2

5

1

0

0

0

mal di testa

2

4

0

0

0

0

Dolore e sensibilità al sito di iniezione

2

2

0

0

0

0

malessere

1

7

4

3

2

1

Ecchimosi al sito di iniezione

1

3

2

0

0

0

astenia

1

2

3

2

1

3

Ematoma al sito di iniezione

1

0

4

0

0

0

Eritema e gonfiore

1

0

1

4

0

0

Calore al sito di iniezione

1

0

1

2

0

0

nodulo al sito di iniezione

1

0

0

2

0

0

edema al sito di iniezione

1

0

0

0

0

0

gonfiore della sede di iniezione

1

0

0

0

0

0

nausea

0

15

3

2

2

0

Gonfiore al sito di iniezione

0

13

0

2

1

1

vomito

0

11

6

1

2

0

diarrea

0

10

6

2

2

1

dolore addominale

0

7

4

3

2

1

Artralgia

0

7

3

3

3

3

brividi

0

7

1

2

2

2

perdita dell’appetito o scarso appetito

0

6

0

1

0

1

sonnolenza

0

5

2

3

1

0

sudorazione

0

5

0

2

1

0

eruzione cutanea

0

3

1

0

2

0

piressia

0

3

0

0

0

0

Prurito al sito di iniezione

0

2

3

1

1

0

sindrome simil-influenzale

0

2

2

5

3

3

infezione del tratto respiratorio superiore

0

2

2

0

0

0

stanchezza

0

2

0

0

1

1

Vertigini

0

1

7

2

1

2

linfoadenopatia

0

1

5

4

4

2

Rash

0

1

5

1

6

3

capogiri

0

1

2

1

1

0

eruzione cutanea simile a varicella

0

1

1

0

0

0

Irritazione al sito di iniezione

0

1

1

0

0

0

Dolori muscoloscheletrici

0

1

0

1

0

0

Esantema

0

1

0

0

0

1

sindrome simile a morbillo

0

1

0

0

0

1

sindrome simile a rosolia

0

1

0

0

0

0

prurito

0

0

5

5

2

3

orticaria

0

0

4

5

6

6

Tosse

0

0

3

1

0

0

rigidità muscoloscheletrica

0

0

2

1

1

0

Anoressia

0

0

2

1

0

0

congiuntivite

0

0

2

1

0

0

rinite

0

0

2

1

0

0

insonnia

0

0

2

0

0

0

faringite

0

0

2

0

1

0

otite media

0

0

2

0

0

0

Pianto insolito

0

0

2

0

0

0

Nervosismo

0

0

1

3

0

0

Vampate di calore

0

0

1

3

0

0

Dolore al braccio (nell’arto in cui è stata effettuata l’iniezione)

0

0

1

1

0

1

Rigidità

0

0

0

1

0

1

Congestione nasale

0

0

1

1

0

0

infezione virale

0

0

1

1

0

0

iperidrosi

0

0

1

1

0

0

Malattia similinfluenzale

0

0

1

1

0

0

Rinorrea

0

0

1

1

0

0

aumento degli enzimi epatici

0

0

1

0

1

0

gastroenterite

0

0

1

0

0

1

atralgia

0

0

1

0

0

0

bronchite

0

0

1

0

0

0

congestione respiratoria

0

0

1

0

0

0

crampi addominali

0

0

1

0

0

0

Dermatiti da contatto

0

0

1

0

0

0

disturbi del sonno

0

0

1

0

0

0

emicrania

0

0

1

0

0

0

esantema virale

0

0

1

0

0

0

fastidio addominale

0

0

1

0

0

0

Gonfiore dei linfonodi

0

0

1

0

0

0

gonfiore delle ghiandole parotidi

0

0

1

0

0

0

gorgoglio gastrico/addominale (gas)

0

0

1

0

0

0

miliaria rubra

0

0

1

0

0

0

Otite

0

0

1

0

0

0

Varicella

0

0

1

0

0

0

parestesia*

0

0

0

6

4

3

Reazioni allergiche

0

0

0

5

7

4

Sindrome di Guillain Barré/paralisi*

0

0

0

3

7

6

Convulsioni

0

0

0

3

6

5

angioedema

0

0

0

3

4

3

neurite*

0

0

0

3

4

2

encefalomielite *

0

0

0

3

4

0

Dermatite

0

0

0

3

0

1

Trombocitopenia*

0

0

0

2

4

5

dolore alle estremità

0

0

0

2

2

0

dispnea

0

0

0

2

0

2

edema palpebrale

0

0

0

2

0

0

edema periferico

0

0

0

2

0

0

Reazioni circolatorie (come palpitazioni o vampate di calore)

0

0

0

2

0

0

paralisi*

0

0

0

1

2

1

sclerosi multipla*

0

0

0

1

2

1

mielite trasversa*

0

0

0

1

1

2

debolezza muscolare

0

0

0

1

1

1

Paralisi facciale/Paralisi di Bell's *

0

0

0

1

1

1

eczema

0

0

0

1

1

0

mieliti

0

0

0

1

1

0

flatulenza

0

0

0

1

0

2

Ipersensibilità

0

0

0

1

0

1

ipoestesia*

0

0

0

1

0

1

mal di schiena

0

0

0

1

0

1

acne

0

0

0

1

0

0

agitazione

0

0

0

1

0

0

anomalie del sogno

0

0

0

1

0

0

Apatia

0

0

0

1

0

0

aumento delle transaminasi (lieve e reversibile)

0

0

0

1

0

0

bronchiti

0

0

0

1

0

0

candidosi

0

0

0

1

0

0

Cinetosi

0

0

0

1

0

0

Compromissione/disturbi della visione

0

0

0

1

0

0

congestione polmonare

0

0

0

1

0

0

Congiuntiviti acute

0

0

0

1

0

0

contusione

0

0

0

1

0

0

dermatite atopica

0

0

0

1

0

0

disgeusia*

0

0

0

1

0

0

disturbi della deambulazione

0

0

0

1

0

0

Disturbi visivi

0

0

0

1

0

0

dolore agli occhi

0

0

0

1

0

0

Dolore al torace

0

0

0

1

0

0

Dolore all'orecchio

0

0

0

1

0

0

Dolore alla schiena

0

0

0

1

0

0

dolore pulsante o lancinante ad uno o più nervi

0

0

0

1

0

0

Eczema nel sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

ematochezia

0

0

0

1

0

0

epistassi

0

0

0

1

0

0

Fastidio al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

Formazione di una crosta al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

Formicolio al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

formicolio o intorpidimento

0

0

0

1

0

0

Fuoco di S. Antonio

0

0

0

1

0

0

herpes simplex

0

0

0

1

0

0

infezioni respiratorie

0

0

0

1

0

0

Infiammazione al cervello

0

0

0

1

0

0

Infiammazione al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

infiammazione dei nervi

0

0

0

1

0

0

infiammazione del nervo ottico

0

0

0

1

0

0

infiammazione della pelle

0

0

0

1

0

0

infiammazione delle meningi

0

0

0

1

0

0

ipersonnia

0

0

0

1

0

0

irritazione agli occhi

0

0

0

1

0

0

irritazione meningea

0

0

0

1

0

0

lacrimazione

0

0

0

1

0

0

Linfoadeniti

0

0

0

1

0

0

Morbillo

0

0

0

1

0

0

Otalgia

0

0

0

1

0

0

Patologie autoimmuni*

0

0

0

1

0

0

Polmoniti

0

0

0

1

0

0

Rapide pulsazioni del cuore

0

0

0

1

0

0

reazione simile a quella da morso/puntura non velenosa

0

0

0

1

0

0

respiro ansimante

0

0

0

1

0

0

Respiro corto

0

0

0

1

0

0

Rigidità/contrattura e sensazione di puntura

0

0

0

1

0

0

rossore della pelle

0

0

0

1

0

0

sbalzi emotivi

0

0

0

1

0

0

Sensazione di calore

0

0

0

1

0

0

Sensazione di scampanellio alle orecchie

0

0

0

1

0

0

sensibilità alla luce

0

0

0

1

0

0

sete

0

0

0

1

0

0

sintomi respiratori

0

0

0

1

0

0

Sinusite

0

0

0

1

0

0

starnuti

0

0

0

1

0

0

tachicardia

0

0

0

1

0

0

tendinite

0

0

0

1

0

0

Travaso sanguigno

0

0

0

1

0

0

tremore

0

0

0

1

0

0

ulcera del cavo orale

0

0

0

1

0

0

vescicole

0

0

0

1

0

0

Vasculiti*

0

0

0

0

5

4

Sincope

0

0

0

0

5

0

Nevralgia

0

0

0

0

4

0

Anafilassi

0

0

0

0

3

5

presincope

0

0

0

0

3

0

sintomi da malattia da siero

0

0

0

0

3

0

Encefalite*

0

0

0

0

2

5

Eritema multiforme

0

0

0

0

2

5

neurite ottica *

0

0

0

0

2

1

shock anafilattico

0

0

0

0

2

1

nevriti

0

0

0

0

2

0

Edema angioneurotico

0

0

0

0

1

3

Meningite

0

0

0

0

1

3

Artrite*

0

0

0

0

1

2

encefalopatia*

0

0

0

0

1

2

ipotensione

0

0

0

0

1

2

Sincope vasovagale in risposta all’iniezione

0

0

0

0

1

2

neuropatia*

0

0

0

0

1

1

alopecia*

0

0

0

0

1

0

Asma

0

0

0

0

1

0

disidratazione

0

0

0

0

1

0

dispepsia

0

0

0

0

1

0

dolore articolare

0

0

0

0

1

0

Gonfiore alle estremità, mani, caviglie e piedi

0

0

0

0

1

0

gonfiore della bocca

0

0

0

0

1

0

gonfiore della gola

0

0

0

0

1

0

gonfiore delle labbra

0

0

0

0

1

0

lipotimia

0

0

0

0

1

0

mal di gola

0

0

0

0

1

0

malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale*

0

0

0

0

1

0

ottundimento del gusto

0

0

0

0

1

0

poliarterite nodosa *

0

0

0

0

1

0

poliradicoloneurite *

0

0

0

0

1

0

Sintomi tipo broncospasmo

0

0

0

0

1

0

Uveite*

0

0

0

0

1

0

cerebellite*

0

0

0

0

0

2

edema facciale

0

0

0

0

0

2

Meningite asettica

0

0

0

0

0

2

sintomi simili a cerebellite*

0

0

0

0

0

2

acidosi metabolica

0

0

0

0

0

1

Anemia aplastica

0

0

0

0

0

1

attacco cerebrovascolare

0

0

0

0

0

1

aumento dell’espettorato

0

0

0

0

0

1

citolisi del muscolo e del fegato

0

0

0

0

0

1

Crisi cerebrovascolari

0

0

0

0

0

1

deficit neurologici focali

0

0

0

0

0

1

distensione addominale

0

0

0

0

0

1

eruzione maculopapulare

0

0

0

0

0

1

herpes zoster

0

0

0

0

0

1

ipertensione

0

0

0

0

0

1

ipoestesia dell'arto nel quale è stato somministrato il vaccino

0

0

0

0

0

1

letargia

0

0

0

0

0

1

lichen planus*

0

0

0

0

0

1

linfocitopenia

0

0

0

0

0

1

Neurite brachiale*

0

0

0

0

0

1

Pallore

0

0

0

0

0

1

Parestesia transiente*

0

0

0

0

0

1

porpora di Schönlein-Henoch*

0

0

0

0

0

1

porpora trombocitopenica*

0

0

0

0

0

1

raffreddore

0

0

0

0

0

1

scompenso renale

0

0

0

0

0

1

scompenso respiratorio

0

0

0

0

0

1

Sindrome di Stevens-Johnson *

0

0

0

0

0

1

sindrome simile a parotite

0

0

0

0

0

1

stato di confusione

0

0

0

0

0

1


*malattie autoimmuni

Dall’analisi dei prospetti emerge che i vaccini che hanno un alto contenuto di componenti in termini quantitativi, ma anche di varietà di componenti estranei, presentano più reazioni avverse.
Inoltre è il caso di rimarcare che i dati trasmessi dalle aziende produttrici evidenziano l’indicazione di una serie di malattie autoimmuni (indicate in grassetto e con asterisco in tabella) come effetti indesiderati o reazioni avverse alla vaccinazione.
Va sottolineato che il monitoraggio delle reazioni avverse viene svolto in un periodo molto ristretto dopo la vaccinazione, motivo per cui sono molto più frequenti le reazioni avverse immediate, mentre le reazioni rare sono relative a patologie più a lungo termine e che richiedono un campione di popolazione molto ampio, spesso non raggiunto in fase di autorizzazione all’immissione in commercio. Per tale motivo le reazioni avverse non acute sono notevolmente sottostimate.
A conferma della necessità di adottare precauzioni alle reazioni avverse si osserva infine che le case farmaceutiche richiedono esami e verifiche preventive in numero proporzionalmente maggiore, tanto più questi contengono componenti estranei al principio attivo.

7. Monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati. Analisi dei dati sul follow-up del progetto denominato Studio sull'impatto genotossico nelle unità militari (SIGNUM)
La seconda fase del Progetto SIGNUM prevede l’osservazione longitudinale della coorte di militari in esame per almeno dieci anni, con controlli eseguiti a cadenza annuale, finalizzati a valutare l’esposizione a genotossici ambientali e l’eventuale presenza di marcatori di un danno a carico del DNA.
In relazione a tale seconda fase, la Commissione ha svolto attività di indagine al fine di conoscere se l’osservazione annuale sulla coorte fosse di fatto avvenuta e con quali esiti.
Sul punto è stata acquisita la dichiarazione dell’allora colonnello DE ANGELIS resa nell’audizione del 1° marzo 2017, per cui il follow-up sarebbe stato effettuato e che la rielaborazione dei dati sarebbe stata concordata in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in data 24 febbraio 2017. 
Con l’interrogazione CATALANO n° 5/12290, sono stati accertati i costi relativi alla prima fase del progetto che ammontano a € 1.810.696,31. Per la seconda fase, il Gen. TOMAO ha comunicato, mediante lettera, che la spesa destinata all’ISS è stata determinata in € 40.700,00.
L’attività cui l’ISS è chiamato consiste nell'analisi della matrice dei dati del follow-up del progetto SIGNUM.
La Commissione, in data 10 maggio 2017, ha fatto richiesta di accesso a detto database, al fine di verificarne il contenuto e l’integrità dei dati. I dati richiesti sono stati trasmessi con nota del 16 giugno 2017.
A fronte dei dati trasmessi, la Commissione ha elaborato qualche dato statistico dal quale è emerso che nell’ambito del Progetto SIGNUM sono stati reclutati in tutte le Forze Armate solo 981 militari: 14 appartenenti all’Aeronautica Militare; 150 della Marina Militare, 187 all’Arma dei Carabinieri; 630 all’Esercito e 94 congedati.
Di questi, solo 644 in tutto, ossia il 65,6%, hanno dato adesione ad essere sottoposti al follow-up, e più precisamente 480 Militari su 981 nel 2005; 385 nel 2006; 388 nel 2007; 181 nel 2008 e via via sempre meno fino al numero di 98 nel 2014, secondo il grafico che si riporta di seguito.


Alla luce di questi dati la Commissione ha dovuto riscontrare l'impossibilità di giungere a conclusione precise a causa della loro insufficienza. Mancavano inoltre tutti i dati relativi ai soggetti congedati e i dati anagrafici dei militari della coorte di studio, nonché i dati sulle vaccinazioni multiple per ogni militare e i relativi effetti sul DNA per ogni singolo militare malato.
Pertanto, la Commissione insisteva con nuova richiesta con nota di prot. n° 854 datata 21/11/2017 al fine di conoscere se la matrice ricevuta a giugno fosse identica a quella consegnata all’ISS o se fossero sopraggiunte integrazioni. Con la nota di risposta del 14 dicembre 2017, l’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, nella persona del Direttore Brig. Gen. Claudio DE ANGELIS, ha trasmesso alla Commissione la matrice completa del progetto SIGNUM “come trasmessa all'Istituto Superiore di Sanità’”, che però risulta essere la stessa già ricevuta a giugno 2017.
Tuttavia, contrariamente a quanto fatto intendere, l’Allegato n° 2 della predetta nota di risposta, riporta le dichiarazioni dello stesso Brig. Gen. DE ANGELIS, rilasciata a verbale nella riunione tenutasi presso IGESAN in data 26 ottobre 2017 tra i rappresentanti del Ministero della Difesa, l’Istituto Superiore di Sanità e i ricercatori incaricati dello studio del follow-up, secondo cui “Le informazioni [di giugno 2017] sono state, altresì, integrate da dati in possesso all'OED per l'attività istituzionale che svolge e integrata con le informazioni circa il personale aderente allo studio e nel frattempo andato in congedo, già ottenute dalla Direzione Generale per il Personale Militare. I dati [così aggiornati] sono già stati consegnati alla dott.ssa De Angelis dell'ISS. Inoltre, si è pensato di arricchire i dati con quelli contenuti nelle Schede Dimissione Ospedaliera (SDO) da acquisire presso il Ministero della Salute dopo l'autorizzazione del Comitato Etico dell'Istituto Superiore di Sanità. Infine, l'ISS integrerà ulteriormente con i dati ISTAT sui decessi della popolazione”.
Alla luce di quanto sopra, la Commissione rileva la grave incompletezza dei dati ricevuti rispetto a quelli che sono nella disponibilità dal Ministero della Difesa e che quest’ultimo ha consegnato al solo Istituto Superiore di Sanità. Rileva in particolare che l’Osservatorio epidemiologico della Difesa, struttura competente del Ministero, ha omesso di trasmettere alla Commissione parlamentare tali integrazioni, sebbene ne avesse la disponibilità.
Osserva, infine, che il gruppo di rappresentanti delle istituzioni che si è fatto carico del follow-up di SIGNUM, nella stessa riunione del 26 ottobre 2017 presso IGESAN, sopra richiamata, ha concordato di filtrare le risposte da fornire a soggetti istituzionali, quali la presente Commissione, e volte a conoscere i dati relativi allo studio del follow-up: “[...] è necessario concordare preventivamente con l'Ispettorato Generale le informazioni eventualmente richieste da organi esterni” (cit. testuale del C.A. CROCIATA).
La Commissione avrebbe voluto che prima del termine della legislatura i dati richiesti fossero trasmessi nella loro versione integrale ma così non è avvenuto.
Fermo restando quanto sopra la Commissione ribadisce che per avere l’anagrafica completa dei dati relativi al follow-up SIGNUM è necessario incrociare le informazioni esposizionali (ossia conoscere i luoghi che hanno frequentato nelle missioni all’estero, nonché le caserme e i poligoni e le mansioni, espletate nel territorio nazionale) con le informazioni sanitarie e quelle anagrafiche vere e proprie. Pertanto valuterà i dati Trasmessi all’ISS anche nel merito dei criteri di selezione adottati nella loro raccolta. Infatti rileva che dal verbale non si evince che siano stati raccolti dati dal registro nazionale dei tumori, dal ministero delle finanze (per lo stato in vita e di residenza) e non è chiaro quali dati militari siano stati raccolti (occorrerebbero ad esempio i fogli matricolari - curriculum militari).
Come detto i risultati raggiunti dal progetto di ricerca denominato Progetto SIGNUM (Studio di Impatto Genotossico nelle Unità Militari), iniziato nel 2004, con l’obiettivo di comprendere se il rischio di contrarre patologie tumorali o malattie degenerative croniche riscontrate nei militari, potesse essere in rapporto con la variazione di alcuni biomarcatori di danno a carico del DNA o del patrimonio cromosomico.
Alla luce dei dati raccolti e delle risultanze del Progetto, già alla data del 9 gennaio 2013, la Commissione Costa aveva ritenuto che le patologie e i decessi osservati tra i militari potessero essere determinati da “una concomitante e interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi ” riassunta nel concetto di “multifattorialità”.
Pertanto, aveva sancito la necessità di adottare un “principio di precauzione” nell’attività di somministrazione dei farmaci e, in specie, dei vaccini, per cui “ogni attività di somministrazione di farmaci, vaccini, antidoti e ogni intervento medico-chirurgico suscettibile di determinare effetti iatrogeni [devono] essere effettuati tenendo conto della particolare situazione individuale, in relazione a specifiche indicazioni cliniche e [devono essere] praticati:
• previa puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica per il tipo di intervento da effettuare,
• previa acquisizione di consenso informato all’effettuazione dell’intervento con illustrazione puntuale degli effetti e dei rischi legati all’intervento stesso e alla sua mancata esecuzione secondo le disposizioni di legge,
• con rigoroso rispetto dei protocolli e dei calendari previsti”.
Peraltro, anche agli esiti della ricerca condotta su 600 militari del 186° Reggimento «Folgore» reduci da missioni internazionali in teatri di guerra, era emersa “la possibilità che pratiche vaccinali particolari fossero state suscettibili di comportare una «disorganizzazione del sistema immunitario» che avrebbe potuto a sua volta essere alla base di patologie autoimmuni quali la tiroidite autoimmune, la sclerosi multipla, l’eritema nodoso, il lupus, l’artrite reumatoide, il diabete, la neurite ottica e, secondo alcuni ricercatori, di leucemie e linfomi”²².
Una serie di elementi concorrono ad intaccare la salute dei militari selezionati ab origine sulla base di una valutazione di idoneità fisica che li qualifica per lo stato di salute certamente buono e comunque superiore alla media nazionale, come requisito essenziale per l’assunzione del servizio e che possono determinare, nella loro reciproca interconnessione causale, la malattia oncologica.
Si può trattare del contatto con armamenti radioattivi o con polveri sottili provenienti da metalli pesanti in assenza di protezione, o della somministrazione massiva di farmaci volti alla prevenzione di malattie infettive di vario genere o di altre malattie in violazione di principi di prudenza pacificamente riconosciuti dal mondo scientifico.
In ultimo si dà atto che la Commissione, nel corso della sua indagine, ha anche provveduto a sentire alcuni militari affetti da patologie contratte in servizio, al fine di acquisire utili elementi informativi così come i genitori di alcuni di loro risultati deceduti: in particolare si segnalano la vicenda del Caporale Maggiore F.R. (deceduto dopo quattro anni dall’arruolamento per linfoma di Hodgkin senza essere stato mai inviato in missione); quella del già Caporal Maggiore G.T., arruolato nel 1999 e in congedo dal 25.11.2000 dichiarato “permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato” perché affetto da linfoma di Hodgkin (tipo sclerosi nodulare in stadio clinico II A) e quella del soldato semplice D. G., congedato dopo poco più di sei mesi dall’arruolamento, avvenuto l’8 febbraio 2007, a seguito di grave astenia e deperimento fisico iniziati il giorno stesso della vaccinazione multipla, avvenuta il 19 giugno 2006.
Dalle loro testimonianze si sono tratti significativi elementi a conferma che non sempre sia stata richiesta, analizzata o comunque approfondita, da parte del medico vaccinatore l’analisi pre-vaccinale del militare sottoposto e analogamente è emerso, con preoccupante ricorrenza, che alcuni medici vaccinatori non si attengono nel somministrare i vaccini alle norme di precauzione indicate dalle Linee Guida del 14 febbraio 2008.

8. Le modalità di somministrazione dei vaccini. Art. 1, lett. e) della delibera istitutiva della Commissione.
La scelta dei vaccini da somministrare ai militari e le modalità di somministrazione sono regolate con D. M. 31 marzo 2003 e successive Linee guida attuative, contenute nella Direttiva tecnica per l’applicazione dello stesso, emanata dalla Direzione Generale della Sanità militare (DIGESAN, oggi IGESAN), intitolata "Aggiornamento delle schedule vaccinali e delle altre misure di profilassi per il personale militare” del 14 febbraio 2008.
L’adozione di pratiche come le vaccinazioni multiple compresse può rappresentare, di per sé, un rischio per la salute in relazione ad almeno tre aspetti:
• la quantità cumulativa dei vari componenti dei vaccini eccede il limite permesso per l’autorizzazione all’immissione in commercio del singolo vaccino;
• le ipersensibilità indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità delle analisi pre-vaccinali;
• le reazioni avverse indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità di una valutazione dei rischi personalizzata sulla profilassi vaccinale e la necessità di un monitoraggio periodico a lungo termine su ogni singolo vaccinato.
Fermo restando quanto sopra, la Commissione conferma ancora una volta le conclusioni già evidenziate dal Progetto SIGNUM, nonché dal lavoro del Prof. Nobile sulla Brigata Folgore - per quanto riguarda la necessità di non somministrare contemporaneamente più di 5 vaccini monovalenti monodose sui militari: tale modalità di inoculazione appare, dunque, la più corretta per evitare l’insorgere di reazioni avverse.
Infatti la Commissione, nell’ambito della sua attività di indagine, ha preso conoscenza di casi in cui si erano manifestate reazioni avverse in seguito alle vaccinazioni, con l’instaurarsi di patologie autoimmuni o neoplastiche sopravvenute, in una parte di popolazione militare non sottoposta a fattori di rischio diversi da quelli vaccinali.
Nel caso specifico è stato studiato nel dettaglio il caso del Caporalmaggiore Francesco Rinaldelli deceduto per linfoma di Hodgkin, mentre nell’ultimo periodo prima della chiusura del lavoro della Commissione sono stati analizzati altri casi quali Francesco Finessi, Giuseppe Tripoli, Davide Gomiero e Umberto Gambino. Per l’analisi di alcuni di questi si rinvia alla relazione intermedia della Commissione pubblicata nel luglio 2017. Va sottolineato, inoltre, che è giunto all’attenzione della Commissione il caso di Daniela Sinibaldi della compagnia femminile di Ascoli Piceno, con evidenze di patologia autoimmuni gravemente invalidanti.
Comunque l’introduzione del novellato art. 206-bis, sopra riportato, può efficacemente contribuire all’eliminazione di tali avverse reazioni, instaurando un percorso virtuoso sia nella somministrazione dei vaccini sia nell’anamnesi delle condizioni di salute soggettive del militare da sottoporre all’inoculazione.
Giova dunque raccomandare, ancora una volta, la puntuale applicazione della nuova normativa e la rigorosa verifica che ciò accada, anche e soprattutto con riferimento al personale militare da impegnare in missioni all’estero.

9. Conclusioni sulle modalità di somministrazione dei vaccini.
La Commissione ha approfondito la tematica dei componenti dei vaccini, assegnata allo studio dalla delibera istitutiva all'art. 1, comma 1, lett. d). Per quanto concerne l’approfondimento delle modalità di somministrazione dei vaccini si osserva quanto segue:
la Commissione, al fine di garantire una effettiva ed efficace tutela della salute (e della sicurezza) dei militari impegnati in Italia e all’estero, nonché per perseguire la sicurezza della somministrazione dei vaccini, nell’ottica della eliminazione o quantomeno della massima riduzione del rischio di effetti negativi conseguente all’uso di vaccini in dosi multiple, raccomanda l’utilizzo di vaccini monodose, stante la concreta possibilità che il militare, data l’età adulta, risulti già immunizzato contro alcuni antigeni contenuti nei vaccini in dosi multiple.
Si raccomanda altresì che non vengano inoculati, in un’unica soluzione, più di cinque vaccini, essendo questa la soglia oltre la quale possono verificarsi eventi avversi.
Si raccomanda ancora una particolare attenzione all’anamnesi prevaccinale e negli esami reputati necessari nei casi dubbi o di eventuale, pregressa immunizzazione.
La Commissione prende atto che, in data 14 gennaio 2018, sono pervenute dal Vicepresidente Ivan Catalano osservazioni “in merito all ’analisi dei componenti dei vaccini autorizzati per la profilassi vaccinale militare obbligatoria, all’analisi dei dati del follow-up di signum e sui dati relativi alle malattie neoplastiche di cui soffrono i militari italiani”. Data la rilevanza dei temi affrontati in queste osservazioni, ai fini di un’adeguata tutela della salute dei militari, la Commissione invita l’intera comunità scientifica, di cui l’ISS è parte, a prenderne conoscenza. La Commissione provvederà a trasmettere il predetto documento all’Istituto Superiore di Sanità per una indispensabile valutazione scientifica dei relativi contenuti. Il documento contenente le predette osservazioni viene integralmente allegato alla presente relazione. (vedi allegato 1)

Capitolo 6.
PARLAMENTO, GOVERNO E FORZE ARMATE

Un elemento importante di novità progressivamente emerso nel corso di un’inchiesta parlamentare protrattasi per più legislature è consistito nella comprensione che il tema dell’uranio impoverito e della sua nocività, con riferimento alla specifica realtà italiana, potesse essere collocato nella sua giusta rilevanza solo se preso in considerazione come aspetto di una questione più generale, che riguarda l’esposizione del personale militare a tutti i fattori di rischio lavorativo presenti nel mondo civile, oltre a quelli propri della specificità della funzione, nonché la mancata o parziale applicazione al personale delle Forze armate della disciplina generale di sicurezza e protezione del lavoro, di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni.
Solo inquadrato in tale contesto, il rischio derivante dall’esposizione all’uranio impoverito e dagli effetti prodotti dal suo impiego militare assume un significato più pregnante, esemplificativo non tanto di un episodio specifico e circoscritto di mancata protezione rispetto a un agente tossico ben definito dal punto di vista chimico e radiologico, quanto di uno dei tanti casi in cui, a fronte di una pluralità di situazioni di rischio note, sia nelle missioni di pace sia sul territorio nazionale, il personale militare si è trovato in condizioni di non protezione o comunque di protezione più ridotta rispetto a quella di cui avrebbe goduto un lavoratore civile nella medesima posizione e con le stesse mansioni. Così che l’attribuzione esclusiva a un solo fattore di rischio ovvero a un limitato numero di essi della causa delle patologie mortali o gravemente invalidanti riscontrate in ambito militare appare riduttiva rispetto a quanto è stato accertato nel corso della stragrande maggioranza delle audizioni svolte sia in forma libera sia rese come testimonianze durante l’inchiesta svoltasi nella presente legislatura: ovvero la sussistenza di una pluralità di rischi lavorativi amplificata da un assetto istituzionale inidoneo a valutarli e a prevenirli in modo corretto.
Occorre pertanto interrogarsi, ed è ciò che la Commissione ha fatto nel corso dei propri lavori, sulla radice di tale criticità, che investe problemi riguardanti non solo l’integrità psico-fisica dei lavoratori che indossano la divisa, ma anche la salute delle popolazioni che vivono nelle aree circostanti ad insediamenti militari e l’integrità dell’ambiente. Per quanto riguarda specificamente il tema della sicurezza del lavoro e della prevenzione nel mondo militare, occorre riportarsi in primo luogo all’articolo 3 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza ne luoghi di lavoro: questo articolo (che peraltro riproduce la sostanza del previgente articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994) dopo avere affermato al comma 1 che il decreto si applica a tutti i settori di attività, pubblici e privati, e a tutte le tipologie di rischio, al comma 2 precisa che per alcune amministrazioni, tra le quali le Forze armate, “le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalla Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale”. Tali peculiarità, secondo la citata disposizione, avrebbero dovuto essere individuate attraverso l’adozione di decreti emanati dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché, relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare. Come è noto, per le Forze armate si è provveduto nell’ambito del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (di seguito TUOM).
Come si potrà evincere dalla lettura degli atti della Commissione, in ambito militare, l’interpretazione che è prevalsa della citata disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 81 ha teso a enfatizzare, nell’interpretazione del “riferimento alle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative”, un profilo derogatorio, che ha riguardato sia la formulazione di alcune disposizioni del TUOM (ad esempio quelle relative all’individuazione del datore di lavoro e all’autonomia del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione, argomenti per i quali si rimanda alla Relazione sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate, approvata dalla Commissione nella seduta del 26 maggio 2016, di seguito “prima relazione intermedia”) sia, soprattutto, la concreta prassi applicativa delle norme del decreto legislativo n. 81. È sufficiente ricordare, a tale ultimo proposito, che in alcuni documenti ufficiali (ad esempio, la nota dello Stato Maggiore Esercito III Reparto n. 42843 del 23 marzo 2015, del cui contenuto si riferisce nella presente relazione), oltre che nelle dichiarazioni rese da alcuni alti ufficiali ascoltati dalla Commissione, si è giunti a teorizzare la possibilità di disapplicare, per talune specifiche situazioni, le disposizioni del decreto legislativo n. 81 relative alla valutazione dei rischi, come se la specificità delle funzioni potesse essere addotta per giustificare la degradazione di un obbligo tassativo di legge ad adempimento facoltativo, assoggettato alla discrezionalità dell’ammini strazione.
Giova riprendere, su questo specifico profilo, le considerazioni svolte nella prima relazione intermedia; questa, richiamandosi a una consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità (si veda, in particolare: Cassazione penale, Sez. I - Sentenza n. 6694 del 18 febbraio 2010) ha chiarito che le specificità alle quali si riferisce l’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 non possono essere invocate per circoscrivere delle “zone franche”, impermeabili al rispetto delle norme di legge; che anzi proprio nei luoghi di lavoro indicati dal predetto articolo 3 deve essere perseguita e garantita l’assoluta osservanza delle leggi, e in specie, proprio delle norme antinfortunistiche e di quelle che attengono alla sicurezza dei luoghi di lavoro, la cui precisa osservanza, pretesa dall’imprenditore privato, non può non essere richiesta a chiunque, nella pubblica amministrazione, ricopra un ruolo di responsabilità del tutto simile a quello dell’imprenditore privato, ed al quale si debba riconoscere una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore. Ne deriva, secondo la citata giurisprudenza, che le particolari esigenze connesse al servizio espletato riguardano evidentemente problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture che certamente non possono portare alla sostanziale abrogazione di precise norme di legge ed all’azzeramento, o anche solo alla compressione, delle garanzie riconosciute dalla legge a tutti i lavoratori, senza differenze di sorta, e con riguardo a tutti i luoghi di lavoro, nessuno escluso; e che il richiamo all’esigenza di adattare la normativa generale alle speciali esigenze del servizio risulta gravemente fuorviante rispetto alla lettera e allo spirito della norma quando finisca con l’attribuire ai dirigenti dell’amministrazione interessata il potere di individuare, di volta in volta, quali obblighi prevenzionali debbano essere rispettati e quali no, se non, addirittura, nei confronti di chi tra i lavoratori essi debbano essere osservati.
Ne deriva, in estrema sintesi, un principio che la Commissione non può fare a meno di ribadire, a conclusione dei propri lavori, ovvero che la specificità delle funzioni, come indicata dal legislatore nelle “effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative” non può essere invocata per legittimare una riduzione delle tutele che il legislatore stesso ha accordato a tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia contrattuale del rapporto di lavoro o dall’appartenenza al settore pubblico o privato, per garantire la loro sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda le Forze armate, occorre invece rilevare come la prevalente lettura in termini derogatori della disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 81 abbia comportato una espansione qualitativa e quantitativa del concetto di specificità, che si è andata configurando, sia nella percezione soggettiva sia nella pratica operativa dell’amministrazione della difesa, soprattutto in termini di separatezza e autoreferenzialità.
Si tratta di una questione cruciale, sulla quale non si deve dare adito ad equivoci. Disconoscere la specificità che caratterizza compiti e modalità operative delle Forze Armate sarebbe ovviamente erroneo, così come sarebbe erroneo negare che la complessità tecnica propria del comparto difesa richieda un grado di discrezionalità particolarmente elevato da parte dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di comando ai vari livelli. Al tempo stesso, se la considerazione della specificità del “mestiere delle armi” può senza dubbio motivare per alcune fattispecie l’adozione di discipline speciali, essa non può tradursi, come di fatto sembra essersi verificato per le materie di cui si è occupata la Commissione, nella teorizzazione e soprattutto nella pratica di uno spazio operativo separato e privo di controlli esterni e nella delimitazione di un perimetro assai ampio nell’ambito del quale le Forze Armate gestiscono in proprio (quindi con un assetto organizzativo solo interno) attività e funzioni che nella sfera civile sono invece istituzionalmente distribuite tra soggetti diversi e in posizione di indipendenza reciproca, in attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità che la Costituzione prescrive all’azione amministrativa (art. 97, secondo comma).
Ci si riferisce, in particolare, a profili ordinamentali che sono ampiamente affrontati nell’ambito dell’inchiesta: gli accertamenti compiuti hanno indotto la Commissione a ritenere necessario ricondurre anche il personale militare nell’ambito della disciplina generale dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie del lavoro di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, al fine di superare inadeguatezze che trovano la loro origine, come fu a su tempo affermato nella prima relazione intermedia, “non già nell’entità delle provvidenze previste dall’ordinamento vigente, ma nelle incongruenze e criticità del procedimento di attribuzione di tali provvidenze”; analogamente, l’attribuzione in via esclusiva agli organi interni del Ministero della difesa delle funzioni relative alla vigilanza sull’applicazione della normativa in materia di sicurezza del lavoro ha dato luogo, come si è più volte e con dovizia di argomenti sostenuto nei documenti della Commissione, a un sistema farraginoso e inefficace, nel quale oneri e responsabilità risultano distribuiti in misura inversa all’ordine gerarchico, e che, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla competenza e la correttezza delle persone che ne fanno parte, manca dei requisiti di terzietà e indipendenza (e per alcuni aspetti anche di professionalità) che costituiscono il presupposto giuridico e fattuale dell’efficacia di ogni attività ispettiva e di controllo. Peraltro, su questi temi, ripresi anche in specifiche iniziative legislative purtroppo rimaste senza esito, la difesa pregiudiziale da parte di autorevoli esponenti delle Forze Armate della richiamata posizione di separatezza, anche laddove essa è risultata in fine dei conti penalizzante e gravosa per il buon andamento del sistema militare nel suo complesso, ha fatto sì che la Commissione si sia trovata più volte a misurarsi con un vero e proprio cono d’ombra proiettato su alcune rilevanti criticità che, una volta evidenziate, si sono rilevate sintomatiche di una disfunzionalità del sistema nel suo complesso, misconosciuta, talvolta con una tenacia degna di miglior causa, da chi avrebbe potuto porvi rimedio: spesso, a fronte dei fondati rilievi emersi in Commissione sulle inadeguatezze del sistema di vigilanza interno, la maggior parte degli esponenti delle Forze Armate interpellati dalla Commissione in virtù della loro specifica competenza ha assunto una posizione meramente e burocraticamente difensiva, rivendicando pregiudizialmente la correttezza dell’operato dei singoli ispettori (mai messa in discussione, peraltro, dall’organo parlamentare inquirente) e l’efficacia dei risultati dell’attività ispettiva, della quale, però, non hanno potuto offrire riscontri oltre le assicurazioni verbali, regolarmente smentite dagli accertamenti condotti dalla Commissione, che ha invece potuto concretamente verificare il carattere episodico e limitato, nonché l’inefficacia della predetta attività.
Nel porre il problema dell’attuazione della legislazione in materia di tutela previdenziale e di sicurezza del lavoro in ambito militare, la Commissione ha inteso anche rimuovere una situazione di diritto e di fatto che fa gravare sulle Forze Armate e sui suoi vertici responsabilità che nella sfera civile sono distribuite in modo più equilibrato e coerente - come si è detto - con i principi costituzionali sui quali poggia l’ordinamento della pubblica amministrazione. Appaiono pertanto ingiustificate le diffidenze e i timori di quanti, più o meno velatamente, hanno ritenuto che l’approvazione di norma intese a trasferire all’INAIL la gestione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali del personale militare e a superare l’organizzazione “domestica” della vigilanza in materia di sicurezza del lavoro, potesse costituire un pregiudizio all’autonomia funzionale delle Forze armate. Al contrario, la redistribuzione di oneri e responsabilità tra diverse amministrazioni risultante da un intervento riformatore avrebbe potuto migliorare la tutela del personale e contestualmente liberare risorse umane e materiali che avrebbero potuto essere destinate in modo più congruo all’adempimento dei compiti istituzionali in materia di difesa e sicurezza. Poiché la conclusione della legislatura ha coinciso con la decisione del Governo di inviare un contingente militare italiano in Niger, la Commissione, sulla scorta della documentazione acquisita, raccomanda al prossimo Parlamento di vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione, anche per quanto attiene alla valutazione dei rischi, all’idoneità sanitaria e ambientale dei luoghi di insediamento del contingente, alla congruità delle pratiche vaccinali adottate e alle pratiche di sorveglianza sanitaria. I dati acquisiti relativamente a questi profili e riferiti a pregresse esperienze di missioni all’estero, come si può evincere dalla lettura degli atti della Commissione, hanno fatto emergere limiti e inefficienze che senza alcun dubbio l’approvazione delle riforme prefigurate dalla proposta di legge n. 3925, "Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e altre disposizioni concernenti la sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze Armate" avrebbe potuto superare o quanto meno ridurre in modo significativo.
Se, dunque, l’adozione, anche sul piano normativo, di una visione non “separatista” delle caratteristiche di specialità dell’ordinamento militare avrebbe consentito, come la Commissione ritiene, di pervenire a una tutela più efficace e tempestiva relativamente alla previdenza e alla sicurezza dei lavoratori che indossano la divisa, non si può non concludere questa breve riflessione con un’ulteriore considerazione sugli effetti e sulle conseguenze di una posizione di separatezza: quest’ultima, quando tenda ad estendersi oltre le ragioni oggettive che giustificano, per determinati profili, l’adozione di discipline speciali, è suscettibile di degenerare in un arroccamento corporativo, che, in una pubblica amministrazione caratterizzata da profili di elevata complessità, può a sua volta incoraggiare un’autorappresentazione come struttura parallela, legittimata a contrattare direttamente il proprio status con gli organi di vertice dello Stato, sia in positivo che in negativo, con il conseguente smarrimento della consapevolezza dei limiti entro i quali possono essere rappresentate le esigenze e le richieste di un apparato servente, posto a disposizione della comunità dall’ordinamento democratico, per soddisfare il fondamentale bisogno di pace e sicurezza dei cittadini.
Peraltro, nel corso dell’inchiesta, la Commissione ha avuto modo di appurare che i rilievi e le proposte avanzate hanno trovato interlocutori attenti in alcuni esponenti delle Forze armate, e che in seno a queste ultime è andata comunque maturando negli anni una maggiore sensibilità sui temi della tutela della salute e della sicurezza. Questa nuova consapevolezza, peraltro, si è tradotta anche in iniziative apprezzabili, anche se ancora troppo circoscritte ed episodiche per colmare le lacune riscontrate dalla Commissione. Proprio per tale motivo, e per incoraggiare segnali di cambiamento in seno al mondo militare che si sono rivelati ancora molto timidi, è essenziale che, anche nel prossimo Parlamento, non venga abbandonato un terreno di riflessione sulla necessità di mantenere fermo l’equilibrio tra le prerogative di discrezionalità, di cui le Forze armate godono e devono godere in quanto pubblica amministrazione, e l’affermazione inequivoca della centralità del ruolo del Parlamento e del Governo nell’esercizio della funzione di indirizzo politico, che deve restare al riparo da tensioni e rivendicazione di carattere settoriale ed attuarsi con modalità nelle quali la giusta e necessaria interlocuzione con i soggetti destinatari della decisione politica non sia spinta fino a mettere in discussione l’esclusività della titolarità del potere di decidere, spettante solo agli organi democraticamente legittimati.
Sciolto questo nodo, sarà possibile che alcuni dei temi trattati nel corso dell’inchiesta svolta nel corso della legislatura testè conclusasi possano essere ripresi nella prossima, nel presupposto che il superamento della condizione di separatezza della quale si è cercato di dare conto in queste pagine possa essere realizzato di concerto con tutti i soggetti coinvolti, nell’interesse della comunità e delle stesse Forze armate, e concorrere così a rendere più trasparente, partecipato ed efficiente il sistema nazionale di difesa e sicurezza nel contesto europeo, dando in tal modo una più piena e concreta attuazione al principio sancito al comma 3 dell’articolo 52 della Costituzione: “L’ordinamento delle Forze armate si ispira allo spirito democratico della Repubblica”.


UNA RIFLESSIONE FINALE

Ambizioso appare l’obiettivo che la Commissione si è proposta di raggiungere: quello di essere, non solo la quarta, ma soprattutto l’ultima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Perché una quarta Commissione d’inchiesta? Perché le tre Commissioni precedenti ebbero il merito di individuare le criticità e di proporre un ampio ventaglio di indicazioni e proposte volte ad eliminare queste criticità. Ciò malgrado, queste criticità non solo non sono state eliminate, ma sotto alcuni aspetti si sono persino aggravate.
Con la proposta di legge AC 3925, si sono accese grandi speranze, specialmente tra i “lavoratori militari” e tra i prossimi congiunti dei tanti morti e malati per causa di lavoro.
Salvatore RULLO, presidente dell’associazione Assodipro. Questa è la quarta Commissione che si occupa di un tema fondamentale e di argomenti importantissimi per i militari, per le loro famiglie, per il Paese e per l’ambiente. Si tratta di temi e argomenti che secondo noi dovrebbero essere delle priorità in un grande Paese come il nostro, tra i fondatori della Comunità europea e firmatario di trattati internazionali fondamentali sui diritti e le tutele di tutti i cittadini e lavoratori senza distinzione alcuna. Registriamo, invece, e temiamo fortemente che lavori importanti, profondi, accurati e documentati di questa Commissione parlamentare si possano concludere senza risultati e, fatto ancor più grave, senza che il Parlamento recepisca e approvi la proposta di legge AC 3925, che è frutto diretto dei lavori di questa Commissione. Denunciamo fortemente il rischio che si possa concludere la legislatura senza che sia stata fatta almeno una legge, in cinque anni, che possa migliorare i diritti e le tutele dei militari.
È riuscita la quarta Commissione d’inchiesta nel proprio intento?
Il suo bilancio è altamente positivo, in particolare sotto tre profili.
Un primo profilo concerne la tutela ambientale nei poligoni di tiro nazionali, sollecitata dalle apposite modifiche normative introdotte nell’ambito della legge di bilancio per il triennio 2018-2020 in seguito a un’apposita proposta di legge preparata dalla Commissione.
In secondo luogo, grazie a una molteplicità di accertamenti mirati (sia esami testimoniali, sia richieste di documentazioni), si è oggettivamente ottenuto un risultato non perseguito, ma quanto mai gradito: e, cioè, in più casi la scomparsa come d’incanto di comportamenti o situazioni contrastanti con le norme vigenti in materia di sicurezza del lavoro. Chi ha parlato di supplenza, chi di strategia della deterrenza, chi di ruolo pedagogico. Certo, non è questo il compito istituzionalmente affidato alla Commissione. Ma in fin dei conti un adempimento più diffuso dell’obbligo di valutazione dei rischi o l’estensione della vigilanza ai teatri operativi all’estero (in aggiunta alle “addettanze”) sono esiti di eccezionale rilievo mai prima conseguiti da alcuna istituzione, e denotano, d’altra parte, una reazione positiva dei debitori della sicurezza militare messi di fronte a contestazioni serrate e puntuali.
Ma è soprattutto il terzo profilo che deve essere ascritto a merito della quarta Commissione. Mai come questa volta il mondo militare della sicurezza è stato scandagliato in ogni sua piega anche più riposta, mai come questa volta l’inchiesta non si è fermata al rilievo di questa o quella carenza occasionale o episodica, e si è addentrata nell’oscuro groviglio delle scelte strategiche di fondo. D’ora in avanti, sarà arduo non partire in qualsiasi analisi sul mondo militare dalla scoperta degli otto meccanismi procedurali e organizzativi che oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti su militari e cittadini e nel contempo di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere: datori di lavoro sprovvisti di autonomi poteri decisionali e di spesa; ispettori “domestici”; DVR e DUVRI omessi o inadeguati; RSPP e medici competenti alle prese con problemi sovrastanti i propri livelli di autonomia e preparazione; Rappresentanti dei lavoratori militari per la sicurezza nominati dallo stesso datore di lavoro; crisi strutturale degli organi tecnico-operativi dell’Amministrazione della Difesa, in testa il CISAM e il CETLI; un Osservatorio Epidemiologico della Difesa scientificamente non accettabile; sanzioni per violazioni alle norme di sicurezza direttamente pagate dallo Stato, fatte salve rivalse nei confronti dei contravventori del tutto ipotetiche.
Spetterà al prossimo Parlamento approvare due capitoli fondamentali quali quelli attinenti alla sicurezza sul lavoro e alla tutela previdenziale. Tanto più che i principi ispiratori delle proposte elaborate al riguardo dalla Commissione -e, in ispecie, il superamento della giurisdizione domestica in materia di sicurezza del lavoro e un nuovo regime previdenziale ed assistenziale per il personale militare- hanno riscosso il consenso anche di altri comparti del settore sicurezza, quali le forze di polizia, la guardia costiera e la polizia penitenziaria. E per giunta hanno espresso parere favorevole i Ministeri della difesa, dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, nonché il Ministero del lavoro, chiamato a formare i nuovi ispettori e a coadiuvare i vari ministeri nell'elevare i livelli di sicurezza sul lavoro nell’ambito di tali amministrazioni. Un riconoscimento, questo, dell’importanza dei lavori svolti e dei risultati raggiunti dalla Commissione, e, segnatamente, delle soluzioni prospettate nella proposta di legge nata dal lavoro d’inchiesta al fine di garantire effettivamente la sicurezza e la salute di tutti gli addetti del comparto sicurezza. Tanto è vero che, in una missiva trasmessa alla Commissione l’11 gennaio 2018, la Ministra della Difesa ha espresso la “piena soddisfazione per il fatto che le interlocuzioni tenutesi in questi mesi, tra i rappresentanti di questo Dicastero e la Commissione, abbiano evidentemente contribuito alla definizione degli emendamenti proposti nella manovra di bilancio”, con particolare riferimento “alle modifiche approvate in materia di attività svolte nei Poligoni militari ed agli approfondimenti svolti per l'identificazione di potenziali misure per la migliore tutela del personale dell'Amministrazione della Difesa”.
In questo quadro, per dare concretamente seguito alle proposte di miglioramento dei livelli della salute e sicurezza e della tutela previdenziale del personale delle Forze armate e del comparto sicurezza, la Commissione chiede al Governo di avviare un tavolo di concertazione tra il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Interno, gli altri ministeri interessati, e l’INAIL per definire le più efficaci modalità di transizione dal regime vigente a quello che entrerà in vigore dopo l’auspicata approvazione, da parte del prossimo Parlamento, della proposta di legge A.C 3925.
La posta in palio è evidente: occorre proteggere a tutti i costi il mondo militare contro sguardi indiscreti? O invece a tutti i costi occorre proteggere la sicurezza e la salute dei “lavoratori militari”? Ed è giusto arrendersi all’asserita indisponibilità di risorse finanziarie per garantire indennizzi adeguati ai militari morti o deceduti per causa di lavoro?
La drammaticità dell’attuale situazione è confermata dai casi nei quali la Commissione ha doverosamente segnalato fatti specifici vuoi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma (in data 2 agosto 2017 e 27 novembre 2017), vuoi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma (in data 23 marzo 2017), onde consentire alle autorità competenti di valutare la configurabilità di ipotesi di reato. Né sfugga il rilievo della segnalazione in data 20 settembre 2017 al Presidente e al Procuratore generale della Corte dei conti, per quanto di competenza, dei risultati degli accertamenti eseguiti dalla Commissione e rappresentati nella Relazione sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte, approvata il 19 luglio 2017, “con la richiesta di voler altresì fornire ogni informazione, notizia, documento, in ordine alle molteplici e gravi criticità rappresentate dalla predetta relazione”. Non a caso, il Procuratore generale presso la Corte dei conti, letta la relazione, con missiva del 28 dicembre 2017, ha sottolineato “il rilievo delle criticità esposte e delle riflessioni contenute nella Relazione”, e ha “ritenuto opportuna la sua trasmissione all’Ufficio di controllo sul Ministero della difesa, perché ne possa eventualmente tener conto nelle valutazioni di competenza”.
Ecco perché la Commissione d’inchiesta ha pienamente assolto al proprio mandato. Infatti, ha avanzato una ricca gamma di proposte normative, organizzative, procedurali atte a completare l’opera di tutela dei lavoratori militari anche sotto i profili attinenti alla sicurezza sul lavoro e alla tutela previdenziale.

ALLEGATO 1

OSSERVAZIONI DEL VICEPRESIDENTE CATALANO in merito all’analisi dei componenti dei vaccini autorizzati per la profilassi vaccinale militare obbligatoria, all’analisi dei dati del follow-up di Signum e sui dati relativi alle malattie neoplastiche di cui soffrono i militari italiani

INDICE

❖ ABSTRACT - Sintesi del contenuto della relazione - vai al testo
❖ Indagine sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale - vai al testo
- Componenti: adiuvanti, eccipienti e contaminanti - vai al testo
- Verifiche richieste in merito ai rischi legati a problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità - vai al testo
- Ipersensibilità e allergie - vai al testo
- Effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni - vai al testo
- Conclusioni preliminari - vai al testo
❖ Monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati. Analisi dei dati sul Follow-up del progetto denominato «Studio sull'impatto genotossico nelle unità militari» (SIGNUM) - vai al testo
❖ Analisi dei dati sui casi di Neoplasie e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato anche nelle missioni militari all'estero - vai al testo
❖ Controesame dello studio commissionato dal Ministero della Difesa sulle vaccinazioni multiple nei giovani adulti - vai al testo
❖ CONCLUSIONI - vai al testo

ABSTRACT (Torna all’indice)
Breve sintesi del contenuto della relazione

Nell’adempimento dell'obiettivo di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d) della propria delibera istitutiva 30 giugno 2015 della Camera dei Deputati²³ - analisi dei “componenti dei vaccini somministrati al militare, indipendentemente dal successivo impiego del personale" -, la Commissione ha preliminarmente preso atto dell’assenza di qualunque studio scientifico in letteratura volto a valutare la tollerabilità della quantità complessiva dei componenti dei vaccini con riferimento ad adiuvanti, conservanti, antigeni e allergeni, eccipienti e contaminanti, anche in relazione alle conseguenze in termini di ipersensibilità e di reazioni avverse già dichiarate dalle industrie produttrici per singolo vaccino. Pertanto con nota n° 327 del 19/10/2016, ha fatto richiesta ad AIFA della documentazione tecnica dei singoli vaccini somministrati ai militari.
Con nota di risposta STDG/P/122005 datata 14/11/2017, AIFA ha trasmesso i dossier relativi ai vaccini somministrati in Italia, previsti dalla profilassi vaccinale di cui al D.M. 31 marzo 2003 del Ministero della Difesa, e cioè vaccini che vengono somministrati a soggetti ADULTI, selezionati a mezzo di visita che accerta idoneità e buono stato di salute. La documentazione si divide in: dati relativi alla quantità dei componenti, valutazioni di ipersensibilità ai componenti ed elenco delle reazioni avverse.
Dall’esame è emerso che:
• la quantità cumulativa dei vari componenti dei vaccini eccede il limite permesso per l’autorizzazione all’immissione in commercio del singolo vaccino;
• le ipersensibilità indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità delle analisi pre-vaccinali;
• le reazioni avverse indicate nei dossier di registrazione e allegati tecnici ai vaccini anche solo singolarmente considerati confermano la necessità di una valutazione dei rischi personalizzata sulla profilassi vaccinale e la necessità di un monitoraggio periodico a lungo termine su ogni singolo vaccinato.
Fermo restando quanto sopra, la Commissione conferma ancora una volta le conclusioni già evidenziate dal Progetto SIGNUM, nonché dal lavoro del Prof. Nobile sulla Brigata Folgore - ovvero la necessità di non somministrare contemporaneamente più di 5 vaccini monovalenti monodose sui militari.
Anche sulla base dei dati ricevuti da AIFA sopraddetti, e a maggior ragione, contesta le affermazioni del Ministro della Salute contenute nella comunicazione al Presidente della Commissione, nota prot. 6628-P-15/12/17, che si esprimono in senso critico sulla validità delle risultanze di SIGNUM. Dette affermazioni, infatti, sono basate su valutazioni generali e su dati statistici che non tengono in considerazione la somministrazione cumulativa dei componenti dei vaccini e lo stato immunitario del vaccinando. Inoltre, non tengono conto dei progressi dell’inchiesta effettuata da codesta Commissione in ambito militare e non considerano come letteratura di riferimento il lavoro scientifico documentale elaborato nell’ambito dei lavori della Commissione parlamentare.
La Commissione ha iniziato le sue attività di indagine sulle reazioni avverse alle vaccinazioni a seguito del riscontro di un cospicuo numero di casi con sopravvenute patologie autoimmuni o neoplastiche, in una parte di popolazione militare non sottoposta a fattori di rischio diversi da quelli vaccinali.
Nel caso specifico è stato studiato nel dettaglio il caso del Caporalmaggiore Francesco Rinaldelli deceduto per linfoma di Hodgkin, mentre nell’ultimo periodo prima della chiusura del lavoro della Commissione sono stati analizzati altri casi quali Francesco Finessi, Giuseppe Tripoli, Davide Gomiero e Umberto Gambino. Per l’analisi di alcuni di questi si rinvia alla relazione intermedia della Commissione pubblicata nel luglio 2017. Va sottolineato inoltre che è arrivato all’attenzione della Commissione il caso di Daniela Sinibaldi e della compagnia femminile di Ascoli Piceno, affette da patologie autoimmuni gravemente invalidanti, che aprono un capitolo a se stante.
Alla luce di quanto emerso agli atti, la Commissione riscontra la necessità di utilizzare vaccini maggiormente purificati, in modo che il limite dei componenti in quantità cumulativa rientri entro il limite permesso per il singolo componente di ciascun vaccino, nei termini in cui gli studi prodromici alle singole AIC li abbiano riconosciuti come non pericolosi per la salute.
In secondo luogo, La Commissione insiste sulla necessità di abbattere il rischio dovuto alla procedura di somministrazione, prevedendo che vengano affidate alla struttura sanitaria nazionale e che all’atto dell’arruolamento vengano esclusi i militari che non superano i test pre-vaccinali. Tali esami devono rilevare eventuali alterazioni del sistema immunitario e le ipersensibilità. Suggerisce inoltre che i risultati degli esami vengano inseriti nella scheda anamnestica del militare quale elemento di inidoneità all’arruolamento o di idoneità alla continuazione del servizio o di particolari mansioni.
La Commissione considera lo studio dal titolo «Lack of evidence for post-vaccine onset of autoimmune/lymphoproliferative disorders, during a nine- month follow-up in multiply vaccinatedItalian militarypersonnel», pubblicato nel mese di agosto 2017 a firma, tra l’altro, di alcuni esponenti della sanità militare, e finanziato dal Ministero della difesa italiano con domanda di sovvenzione di progetto n. D85D10000250001, come redatto in situazione di conflitto di interessi, privo di alcun fondamento scientifico nel metodo e negli esiti contraddittorio. Osserva che, a dispetto dell'intitolazione che induce ad erronee conclusioni, gli stessi autori dichiarano lo studio non conclusivo. Peraltro, lo studio è stato effettuato con esclusione dalla coorte di quei militari con problemi di immunosoppressione, in tal modo confermando la pericolosità delle somministrazioni vaccinali a tali categorie di soggetti. Sussistono dubbi di corretta utilizzazione del finanziamento pubblico a detto studio e per tali ragioni la Commissione trasmette la presente relazione alla procura della Corte dei Conti territorialmente competente.
La Commissione ha acquisito agli atti i dati del follow up del progetto SIGNUM.
Da un primo esame è emerso che la raccolta delle informazioni ai fini del follow up è stata effettuata utilizzando marcatori poco efficaci per valutare l’insorgenza di malattie linfoproliferative. la Commissione ha riscontrato, inoltre, che nella matrice dei dati fatta pervenire vi sono ampie lacune, che rendono impossibile una valutazione statistica, con conseguenti dubbi sulla fattibilità dell’incarico di studio di tali dati attribuito dal Comitato di Ricerca Sanitaria Militare all’Istituto Superiore di Sanità, finanziato con la somma di € 40.700,00, come comunicato con nota prot. 819/COMM.URANIO del 10/10/2017. Successivamente nel corso dell’attività istruttoria la Commissione, ha dovuto prendere atto che il Ministero della difesa è in possesso di ulteriori dati, utili ad integrare il quadro gravemente deficitario, rispetto a quelli fatti avere alla Commissione, come è risultato dal verbale della prima riunione del costituendo gruppo di studio sui dati del follow up²⁴.
Censura, pertanto, detto comportamento e ingiunge di completare l'invio e si riserva di fare denuncia alle autorità giudiziarie competenti in caso di perdurante omissione.

CONCLUSIONI
Alla luce degli elementi raccolti, la Commissione conferma che vi sia una associazione statisticamente significativa tra patologie neoplastiche e linfoproliferative, e altre patologie (es. quelle autoimmuni), e la somministrazione dei vaccini secondo la profilassi vaccinale militare. La Commissione ritiene di non poter escludere il nesso di causa.
4 La riunione è avvenuta in data 26 ottobre 2017. Dal verbale si evince che l'Osservatorio Epidemiologico della Difesa ha inviato al solo ISS i dati relativi al Follow-up in forma integrale e completa, omettendo di inviarli anche alla Commissione come da questa richiesto. Di seguito si riporta l'estratto del verbale: "Il Brig. Gen. DE ANGELIS (Direttore dell'Osservatorio Epidemiologico-OED), comunica di essere in possesso dei dati del follow-up decennale del personale che ha aderito allo studio, evidenziando, al riguardo, la progressiva diminuzione di adesione volontaria avvenuta nel corso degli anni. Le informazioni sono state, altresì, integrate da dati in possesso all'OED per l'attività istituzionale che svolge e integrata con le informazioni circa il personale aderente allo studio e nel frattempo andato in congedo, già ottenute dalla Direzione Generale per il Personale Militare. I dati sono già stati consegnati alla dott.ssa De Angelis dell'ISS. Inoltre, si è pensato di arricchire i dati con quelli contenuti nelle Schede Dimissione Ospedaliera (SDO) da acquisire presso il Ministero della Salute dopo l'autorizzazione del Comitato Etico dell'Istituto Superiore di Sanità. Infine, l'ISS integrerà ulteriormente con i dati ISTATsui decessi della popolazione."


Indagine sulle componenti dei vaccini somministrati al personale militare, indipendentemente dal successivo impiego del medesimo personale (Torna all’indice)

La Commissione ha ricevuto nel mese di novembre 2017 la documentazione richiesta ad AIFA nella primavera 2016, riguardante le specifiche tecniche, gli studi di sicurezza e la composizione dei vaccini, comprensivi degli elementi sottosoglia.
La documentazione riguarda i vaccini compresi nella profilassi vaccinale militare di cui al D.M. 31 marzo 2003 del Ministero della Difesa e, cioè, vaccini che vengono somministrati a soggetti ADULTI, selezionati a mezzo di visita che accerta idoneità e buono stato di salute. Nello specifico si tratta di:
vaccinazione anti meningococcica;
vaccinazione antimorbillo, parotite e rosolia;
vaccinazione anti tetano, difterite e anti polio;
vaccinazione anti epatite A + B.
vaccinazione anti varicella;
vaccinazione anti influenzale;
vaccinazione contro agenti biologici critici;*
cutireazione tubercolinica; *

vaccinazione anti febbre gialla;
vaccinazione anti encefalite giapponese;
vaccinazione antirabbica;
vaccinazione anti febbre tifoide;
vaccinazione anti colera;
chemioprofilassi antimalarica.*
*dati non presenti nella documentazione
La documentazione appare incompleta, sotto diversi aspetti: alcuni vaccini non contengono tutta la documentazione richiesta e per alcune malattie manca il vaccino corrispondente. Tuttavia, i dati ricevuti risultano essere di enorme interesse ai fini dell’attività della Commissione.
Lo scopo della richiesta di tali dati era quello di verificare se dalla profilassi vaccinale militare, potessero configurarsi pericoli per la salute, tali da far incorrere in rischi inutili le persone sottoposte al trattamento. I singoli vaccini somministrati ai militari, che ricordiamo essere gli stessi autorizzati da AIFA per il settore civile, contengono adiuvanti, conservanti e contaminanti, nei limiti delle autorizzazioni per la commercializzazione individuale. Quando un farmaco viene autorizzato è preso in considerazione singolarmente e i parametri, nonché i criteri, per determinare la soglia oltre la quale un componente diventa tossico, sono determinati dal fatto che il farmaco sia assunto da solo. Tuttavia, nel caso di specie siamo di fronte alla somministrazione di un calendario vaccinale per la profilassi obbligatoria, e non di una vaccinazione singola, pertanto i farmaci e i loro componenti si sommano. La verifica che tale somma rispetti comunque le soglie del singolo vaccino è fondamentale, perché se così non fosse i militari sarebbero esposti ad inutili rischi di fenomeni di immunosoppressione e di reazioni avverse (causate appunto dai componenti estranei il principio attivo e dal principio attivo stesso).
Il regime di riservatezza dei documenti impone di non divulgare alcuna descrizione del singolo vaccino che consenta di replicarlo in maniera completa. Pertanto, si è ritenuto di trattare i dati in modo aggregato. La documentazione tecnica specifica relativa ai singoli vaccini è depositata presso l'archivio della Commissione.
La Commissione ha scelto di effettuare un’analisi documentale sui vaccini che risultano ad oggi autorizzati in Italia, sviluppando 4 categorie di ricerca:
1. quantificazione dei componenti dei vaccini;
2. determinazioni di tutte le ipersensibilità dichiarate dai produttori;
3. determinazioni di tutte le verifiche pre-vaccinali indicate come necessarie dai produttori;
4. elencazione di tutti gli effetti indesiderati e/o reazioni avverse dichiarate, con relativa probabilità.

Componenti: adiuvanti, eccipienti e contaminanti. (Torna all’indice)

La Commissione ha provveduto a rilevare la quantità massima di ogni singolo componente censito dai documenti AIFA e a controllare nella letteratura disponibile le tolleranze ammesse²⁵.
Riportiamo di seguito la tabella riassuntiva sulla quantità complessiva dell’adiuvante a base di Alluminio che il militare riceve al termine della profilassi vaccinale obbligatoria.
La Commissione ha elaborato la profilassi vaccinale completa comprensiva dei vaccini che vengono somministrati in caso di missione. In caso di possibilità alternativa di vaccini è stata considerata la quantità massima di ogni singolo componente (quantità massima teorica).

ADIUVANTI²⁶

Nome Componente

 

quantità massima teorica

quantità minima relativa al modulo di base

Fascia Min e Massima della presenza del componente con la profilassi completa

Aluminium

[mg]

2,57

0

Tra 2,07 e 2,57

Aluminium hydroxide

[mg]

5,1

0,35

Tra 0,85 e 5,1

aluminium hydrated hydroxide

[mg]

1,05

0

Tra 0 e 1,05

Amorphous Aluminium hydroxyphosphate

[mg]

1,5

0

0


Appare interessante osservare che le quantità di Alluminio complessive iniettate nei militari risultano considerevoli.
Studi scientifici hanno dimostrato gli effetti neurotossici dell’Alluminio²⁷ -in quantità molto inferiori a quelle sopra riportate. A tal proposito si richiama il seguente studio pubblicato su Journal of Toxicol 2014;2014:491316. doi: 10.1155/2014/491316. Epub 2014 Oct 2, dal titolo “Aluminum-induced entropy in biological systems: implications for neurological disease” di Shaw CA a altri. Lo studio evidenza tra l’altro che : “l'Alluminio forma complessi tossici con altri elementi, come il fluoro, e interagisce negativamente con mercurio, piombo e glifosato. Al ha un impatto negativo sul sistema nervoso centrale in tutte le specie che sono state studiate, compresi gli esseri umani. L’Al ha un impatto negativo sul sistema nervoso centrale in tutte le specie che sono state studiate, compresi gli esseri umani. ”. Inoltre in conformità a quanto riscontrato dalla commissione nella lettura dei dossier forniti dalle case farmaceutiche chiarisce che gli esseri umani sono sempre più esposti all’Alluminio da varie fonti tra cui i vaccini.
Si richiama inoltre lo studio pubblicato sul Journal of Trace Elements in Medicine and Biology al Volume 46, nel marzo 2018, alle pagine 76-82, dal titolo: “Aluminium in brain tissue in autism” di Matthew Molda, Dorcas Umar, Andrew Kingc, Christopher Exley²⁸, concernente la presenza di Alluminio nel tessuto cerebrale di bambini affetti da malattie neurologiche. Lo studio ha riscontrato che “...Il contenuto di alluminio nel tessuto cerebrale nei soggetti autistici era costantemente alto. Il contenuto medio di alluminio (deviazione standard) su tutti e 5 gli individui per ciascun lobo era 3,82 (5,42), 2,30 (2,00), 2,79 (4,05) e 3,82 (5,17) μg / g di peso secco per il lobo occipitale, frontale, temporale e parietale rispettivamente. Questi sono alcuni dei valori più alti per l'alluminio nel tessuto cerebrale umano [finora] registrati e bisogna chiedersi perché, per esempio, il contenuto di alluminio del lobo occipitale di un bambino di 15 anni sarebbe di 8,74 (11,59) μg / g di peso secco... ”.
Sebbene la Commissione sia al corrente del fatto che le reazioni avverse differiscono tra adulti e bambini, ritiene doveroso non sottovalutare la complessiva quantità di Alluminio somministrata ai militari nell’intera profilassi vaccinale, in quanto negli adulti il maggior grado di sviluppo dei sistemi immunitario e nervoso al momento della vaccinazione, e le possibili forme di autoimmunità fisiologiche, possono favorire l’induzione di reazioni di tipo linfoproliferativo e malattie autoimmuni, come risulta dall’elencazione degli effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni, contenute nelle schede tecniche elaborate dalle case farmaceutiche. A riguardo si veda l’apposito paragrafo Effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni della presente relazione.
Di seguito la tabella completa divisa tra ECCIPIENTI e CONTAMINANTI (inclusi i conservanti) introdotti nell’organismo in seguito alla profilassi vaccinale militare. La tabella è suddivisa in cinque colonne: la prima contiene la denominazione del componente, la seconda l’unità di misura, la terza la quantità massima teorica²⁹, la quarta la quantità relativa al modulo di base della profilassi vaccinale³⁰, la quinta la quantità minima e massima relativa all’intera profilassi vaccinale³¹.
Nel caso in cui il componente sia causa di una reazione allergica, questo verrà indicato con un asterisco. Nel caso in cui il componente sia tossico o potenzialmente tossico verrà indicato con due asterischi.
I vaccini sono stati esaminati nella loro scomposizione nelle distinte componenti. Queste ultime sono state successivamente sommate quando presenti in più vaccini. Nel caso in cui siano disponibili vaccini di diverse case produttrici, relativi alla profilassi della stessa malattia, e quindi da somministrare in alternativa fra loro, il componente presente in ciascuno in quantità differenti è stato conteggiato nella sua quantità massima.
Per il modulo di base relativo alla semplice leva non ci sono, nella documentazione AIFA, marchi di vaccini utizzabili alternativamente. In questo caso dunque la somma è fatta per quantità effettivamente somministrate nell'intera profilassi di base.
1 Come per la nota precedente, anche in questo caso i valori si riferiscono alla quantità effettivamente somministrata, scegliendo tra le marche di vaccini alternativi, quelli più recenti e con maggiore o minore quantità totale di componenti.

ECCIPIENTI³²

Nome Componente

 

Quantità massima teorica

Quantità relativa al modulo di base

Fascia Min e Max della presenza del componente con la profilassi completa

         

2-phenoxyethanol**

[mg]

5

0

0

Amino acids for injection*

[mg]

21

6

Tra 9 e 18

Calcium chloride dihydrate CaCl2*2H2O

[mg]

0,09956

0,03356

Tra 0,09356 e 0,09956

Citric Acid

[mg]

0,04

0

Tra 0 e 0,04

Disodium phosphate dodecahydrate

[mg]

2,45

0

Tra 0 e 1,15

Ethanol

[mg]

1,632001

0

Tra 0 e 0,632001

Hydrolyzed Porcine Gelatin*

[mg]

17,8

0

Tra 0 e 17,8

L-Arginine

[mg]

4

0

Tra 0 e 4

Lactose*

[mg]

96

32

Tra 32 e 96

Magnesium chloride hexahydrate MgCl2*6H2O

[mg]

0,05545

0,00545

0,05545

Magnesium sulfate heptahydrate MgSO4.7H2O

[mg]

0,03655

0,02855

Tra 0,02855 e 0,03655

Mannitol

[mg]

24

8

Tra 8 e 24

Potassium dihydrogen phosphate KH2PO4

[mg]

0,65589

0,00789

Tra 0,32589 e 0,56589

Phenylalanine

[mg]

0,990001

0,33

Tra 0,330001 e 0,99

Polyethylene 400 (PEG 400)*

[mg]

0,000004

0

0,000004

Polysorbate 20*

[mg]

0,04005

0

Tra 0,04 e 0,04005

Polysorbate 80 + Octoxynol 10 (Triton X-100)*

[mg]

1,175003

0

Tra 0,000001 e 1,175

Potassium chloride KCl

[mg]

0,512

0,068

Tra 0,256 e 0,512

RRR-alpha-Tocopheryl hydrogen succinate

[mg]

0,1

0

0

Sodium borate

[mg]

0,21

0

0

Sodium Borate Decahydrate

[mg]

0,14

0

Tra 0 e 0,14

Sodium chloride NaCl

[mg]

129,44

5,84

Tra 84,44 e 128,04

Sodium citrate

[mg]

12,66

0

Tra 12 e 12,66

Sodium deoxycholate

[mg]

0,005

0

0

Sodium dihydrogen phosphate Na2HPO4

[mg]

0,415395

0,0126

Tra 0,013395 e 0,415395

Sodium dihydrogen phosphate dihydrate

[mg]

2,84

0

Tra 0 e 2,84

Sodium phosphate dibasic dihydrate

[mg]

24,05

0

Tra 20,12 e 23,39

Sodium phosphate monobasic dihydrate

[mg]

4

0

4

sorbitan trioleate

[mg]

24,05

0

Tra 0 e 1,175

Sorbitol

[mg]

21

9

Tra 9 e 21

Squalene**

[mg]

9,75

0

Tra 0 e 9,75

Sucrose

[mg]

36,5

0

Tra 0,000001 e 36,000001

Urea

[mg]

7,2

0

Tra 0 e 7,2

L-Cysteine hydrochloride -H2O

[mg]

0,000436

0,000436

0,000436

L-Arginine

[mg]

3

3

3

L-Glutamine

[mg]

0,01455

0,01455

0,01455

L-Tyrosine

[mg]

0,000602

0,000602

0,000602

Solution N°4 (Amino Acids)

[mg]

0,363

0,363

0,363

Solution N°6 (vitamins)

[mg]

0,145

0,145

0,145

Sodium hydrogen carbonate (NaHCO3)

[mg]

7200,17

0,17

7200,17

Sodium carbonate anhydrous

[mg]

800

0

800

D-Bactogalactose

[mg]

0,02909

0,02909

0,02909

Saccharin

[mg]

60

0

60

Dextrose

[mg]

0,02909

0,02909

0,02909

         

CONTAMINANTI³³

         

Acetaldehyde*

[mg]

0,00065

0

Tra 0 e 0,00065

Acetone**

[mg]

0,000375

0

Tra 0 e 0,000375

AmberliteTM XAD4*

[mg]

0,000001

0

0,000001

ANTIBIOTICS*

[mg]

0,00006

0

0,00006

Gentamicin sulfate*

[mg]

0,00015

0

0

Kanamycin acid sulphate*

[mg]

0,000001

0

0,000001

Neomycin*

[mg]

0,00168

0

Tra 0,0004 e 0,00128

Neomycin sulphate*

[mg]

0,075021

0,025

Tra 0,025021 e 0,075001

Antifoaming agent*

[mg]

0,00028

0

Tra 0 e 0,00028

Arsenic**

[mg]

0,00000975

0

Tra 0 e 0,00000975

Bacterially-derived DNA*

[mg]

0,000201

0

Tra 0 e 0,000201

Barium sulphate**

[mg]

0,000001

0

0,000001

BOVINE SERUM ALBUMIN (BSA)*

[mg]

0,00035

0,00005

Tra 0,00030002 e 0,0003345

CaCl2

[mg]

0,000004

0

0,000004

Caesium chloride (CsCl2)

[mg]

0,004

0

0,004

Cetyrilmethylammonium bromide (CTAB)

[mg]

0,200001

0

Tra 0,000001 e 0,200001

Chloroform**

[mg]

1,157

0

Tra 0,001 e 1,156

EDTA and phenylmethyl sulfonyl fluoride e PMSF**

[mg]

0,072004

0

Tra 0,000004 e 0,072004

Endotoxin**

[mg]

0,000001

0

Tra 0 e 0,000001

Ethylene glycol

[mg]

0,000004

0

0,000004

Formaldehyde*

[mg]

0,120003

0

Tra 0,015025 e 0,115001

Free Fatty Acids (acidi grassi)

[mg]

0,0052

0

Tra 0 e 0,0052

Haemagglutinin (HA) e Neuraminidase (NA)*

[mg]

0,015

0

0,015

Heavy metals

[mg]

0,000121

0

Tra 0 e 0,000121

Heptaacyl MPL

[mg]

0,001

0

Tra 0 e 0,001

HUMAN SERUM ALBUMIN (HSA)*

[mg]

2,45

0

Tra 0,45 e 2,45

Hydrocortisone

[mg]

0,0000016

0

0

Isopropanol

[mg]

0,000004

0

0,000004

KDO 2-keto-3-deoxyoctonate (Sialic acid)

[mg]

0,00048

0

Tra 0 e 0,00048

L-cystine

[mg]

0,0858

0,0678

Tra 0,0678 e 0,0858

Methanol

[mg]

0,628

0

Tra 0 e 0,628

Monosodium L-Glutamate**

[mg]

0,72

0

Tra 0 e 0,72

Ovalbumin*

[mg]

0,01685

0

0,0168

PCB/Dioxin**

[mg]

0,0000000064

0

Tra 0 e 0,00000000644

Phenol red**

[mg]

0,02111

0,00511

Tra 0,00511 e 0,02111

Phospholipid

[mg]

0,00076

0

Tra 0 e 0,00076

SILICIUM (SILICON)

[mg]

0,000001

0

Tra 0 e 0,000001

thiocyanate**

[mg]

0,000003

0

0

Thiomersal o sodio-etilmercurio- tiosalicilato (C9H9HgNaO2S)**

[mg]

0,2

0

0

Yeast DNA*

[mg]

0,000000004

0

Tra 0 e 0,000000004

Yeast-derived polysaccharides*

[mg]

0,008

0

0,008

Yeast-derived proteins (HBsAg etc..)*

[mg]

0,000801

0

Tra 0,0008 e 0,000801

B-propiolactone

[mg]

0,0006

0

0,0006

phenol**

[mg]

1,25

1,25

1,25

Medium 199

[mg]

1,33

1,33

1,33

Adenine

[mg]

0,0000618

0,0000618

0,0000618

Thymidine

[mg]

0,00000728

0,00000728

0,00000728

 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 
 

[mg]

 

0

 


Dai calcoli effettuati dalla Commissione è emerso che al termine della profilassi vaccinale, la quantità di contaminanti assunti (calcolata come Adiuvanti + contaminanti + eccipienti) è compresa tra circa 8,32 e 8,42 g. Questo valore è comunque sottostimato perché non sono stati testati i contaminanti biologici - ovvero virus, batteri, micoplasmi e micobatteri, nonché DNA umano fetale e DNA animale - che provengono dai tessuti biologici di coltura dei vaccini³⁴.
A questo proposito, nell’articolo già agli atti della Commissione (New Quality-Control Investigations on Vaccines: Micro and Nanocontamination³⁵) è riportata una foto (foto n. 7 a pag. 11) della contaminazione di un vaccino con cellule umane/animali provenienti dal tessuto di coltura.



Figure 7: Immagine di un’area in una goccia di Repevax (vaccino antidifterite, tetano, pertosse, polio) dove è stata identificata la morfologia di globuli rossi (frecce rosse). E’ impossibile stabilire se sono di origine umana o animale.

Poiché molti dei vaccini utilizzati vengono prodotti con colture di cellule e tessuti animali (embrioni di pollo) o umani (tessuti fetali, linee cellulari), tale contaminazione pone dei seri rischi per la salute umana, perchè potrebbe essere responsabile di reazioni autoimmuni contro il DNA umano. In particolare è il caso di richiamare lo studio dal tiolo “Epidemiologic and Molecular Relationship Between Vaccine Manufacture and Autism Spectrum Disorder Prevalence” di Deisher TA, et al. Issues Law Med. 2015, nelle cui conclusioni si legge: “I vaccini prodotti in linee di cellule fetali umane contengono livelli inaccettabili di contaminanti del frammento di DNA fetale. Il genoma umano contiene naturalmente regioni suscettibili di formazione di rottura a doppio filamento e mutagenesi inserzionale del DNA. La "Scossa di Wakefield" ha creato un esperimento naturale che può dimostrare una relazione causale tra vaccini fabbricati da linee cellulari fetali e la prevalenza di ASD”³⁶. La Commissione osserva che lo studio è frutto dell’analisi di laboratorio svolta su un vaccino presente nell’elenco della documentazione consegnata da AIFA, ma nella quale non si fa menzione di tale componente.
In relazione alle reazioni autoimmuni si fa rinvio alla trattazione nell’apposito paragrafo dal titolo Ipersensibilità e allergie, della presente relazione, in cui le aziende produttrici interessate suggeriscono di appurare l’ipersensibilità, tra l’altro, a cellule di pollo e uovo e a cellule diploide umane, prima di provvedere alla somministrazione del vaccino al fine di evitare reazioni indesiderate.

Verifiche richieste in merito ai rischi legati a problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità (Torna all’indice)
Come già evidenziato nella relazione intermedia di luglio, la vaccinazione comporta dei rischi in termine di problemi di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e di ipersensibilità. Questa affermazione ha trovato conferma dall’analisi dei documenti pubblici dei vaccini, quali fogli illustrativi e schede tecniche (vedi da punto 4.4 delle RCP fornite da AIFA), come sintetizzati nella tabella che segue. In particolare, le case farmaceutiche chiedono l’applicazione di opportune precauzioni all’impiego del vaccino e, tra l’altro, la verifica dello stato di salute del vaccinando e dell’assenza delle patologie sotto elencate al momento della vaccinazione.

Verifica richiesta dalla casa farmaceutica delle patologie di cui accertarsi dell'assenza prima di effettuare la vaccinazione

Numero dei vaccini compresi nella profilassi militare che la richiede

   

immunosoppressione endogena o iatrogena

7

Immunodepressione congenita

3

Immunodepressione idiopatica

2

terapia immunosoppressiva

10

immunodeficienza

6

soggetto HIV positivo

1

immunodeficienza umorale o cellulare

3

immunodeficienza congenita o ereditaria

1

malattia autoimmune

1

trombocitopenia

2

tumori solidi maligni

2

neoplasie maligne del sistema ematopoietico e linfatico

1

linfomi di qualunque tipo

1

leucemie

1

farmaci antimitotici

2

radioterapia

2

timoma

1

test qualitativo per gli anticorpi

2

produzione anticorpi efficacemente

1

sistema immunitario indebolito

2

Test sierologici

2

malattie gastrointestinali acute

1

malattie febbrili acute

8

dieta a basso contenuto di sodio

1

disordini della coagulazione

1

disordini neurologici

1

epilessia

1

emofilia

1

alterazioni della coagulazione

1

disturbi della coagulazione

2

malattia cerebrale

1

malattia febbrile grave acuta

3

Altre forme di Epatite

1

Incubazione Epatite A

2

emodialisi

2

insufficienza renale

1

farmaci citotossici

2

timectomia

1

disfunzione timica

1

infezioni gastrointestinali acute

1

trattamento con antibiotici o sulfonamidi

1

affezioni febbrili

5

infezione acuta

5

patologie a carico del sistema Nervoso Centrale

1

suscettibilità alle convulsioni febbrili

1

Complicazioni neurologiche a seguito di vaccinazione

1

gravi malattie croniche

1

discrasie ematiche

1

Tubercolosi attiva non trattata

1


Sono ben 22 le indicazioni di svolgere accertamenti pre-vaccinali volti ad escludere l’esistenza di eventuali stati di immunosoppressione, 7 quelle, che prevedono la preventiva valutazione dell’efficienza o inefficienza del sistema immunitario, 3 quelle riferite alle necessità di escludere malattie autoimmuni, 9 le malattie oncologiche e, a vario titolo, ben 11 che chiedono una vera e propria analisi dell’eventuale immunodeficienza.
Alla luce di questo elenco la Commissione ritiene che l’allegato F alla direttiva DIFESAN 14 febbraio 2008, riguardante il modulo anamnestico e il consenso informato da compilare a cura del militare in sede di somministrazione vaccinale, appaia insufficiente e che la mera compilazione del modulo non possa ritenersi sostitutiva degli accertamenti sanitari richiesti dalle aziende produttrici dei vaccini. Conclude pertanto che il modulo debba essere integrato con i corrispondenti accertamenti diagnostici.

Ipersensibilità e allergie (Torna all’indice)
Su tutti i vaccini analizzati e rientranti nella profilassi vaccinale militare, oltre al principio attivo del vaccino, sono 81 gli elementi per cui è prevista una valutazione di sensibilità o allergia.

Ipersensibilità da verificare prima della somministrazione del vaccino indicate dalla casa farmaceutica

Numero di vaccini che lo richiedono

   

Cloruro di Sodio (Sodio cloruro)

15

formaldeide

10

Principio attivo

8

neomicina solfato

8

potassio fosfato monobasico

6

proteine di pollo

5

Saccarosio

5

neomicina

4

polisorbato 80

4

Cellule di Uova di pollo*

4

embrioni di gallina*

4

Ovalbumina

4

Sodio fosfato dibasico diidrato

4

idrossido di alluminio

4

aminoacidi per preparazioni iniettabili

4

kanamicina

3

cetiltrimetilammonio bromuro (CTAB)

3

solfato di bario

3

sodio fosfato dibasico

3

lievito

3

Potassio cloruro

3

cloruro di potassio

3

Lattosio

3

Sorbitolo E420

3

emoagglutinina

3

ottoxinolo 10

2

Albumina umana

2

Cellule diploidi umane (MRC-5) *

2

sodio fosfato dibasico dodecaidrato

2

Sodio fosfato monobasico diidrato

2

cloruro di magnesio esaidrato

2

sodio desossicolato

2

a-tocoferolo succinato acido

2

Sodio borato

2

Potassio diidrogeno fosfato

2

gentamicina solfato

2

Mannitolo

2

Trometamolo*

2

gentamicina

1

clorotetraciclina*

1

anfotericina B

1

polisorbato 20

1

Sodio glutammato

1

Sodio fosfato dibasico anidro

1

Sodio bicarbonato

1

Sodio citrato

1

sodio diidrogeno fosfato

1

Sodio carbonato, anidro

1

Disodio idrogeno fosfato

1

Cloruro di Sodio

1

Sodio

1

alluminio fosfato

1

monofosforil lipide A

1

potassio tiocianato

1

Acido citrico

1

Saccarina sodica

1

Magnesio solfato

1

Calcio cloruro

1

E171 (titanio diossido)*

1

E172 (ossido di ferro giallo e ossido di ferro rosso)*

1

E127 (eritrosina)*

1

gelatina

1

Gelatina idrolizzata

1

idrossipropilmetilcellulosaftalato (HP-MCP)-50*

1

dibutilftalato*

1

dietilftalato*

1

etilenglicole

1

L-alanina

1

L-istidina idroclorito

1

fenolo

1

2-fenossietanolo

1

idrossido di sodio

1

Acido cloridrico*

1

Urea

1

solfato diprotamina*

1

lattice*

1

Edetato bisodico

1

Potassio-L-glutammato*

1

Polygelina*

1

9-ottoxinolo*

1

streptomicina*

1

polimixina B*

1


*componenti di cui non ci è stata fornita una quantificazione
Come si evince dal prospetto sovrastante, piuttosto che una valutazione sulla tollerabilità ad ogni singolo elemento può essere percorribile la scelta di effettuare una valutazione di tollerabilità complessiva per vaccino da somministrare. In questo modo si metterebbe in evidenza anche la possibile intolleranza o ipersensibilità agli allergeni tra loro combinati.

Effetti indesiderati, reazioni avverse e controindicazioni (Torna all’indice)
Dall’analisi degli effetti indesiderati, delle reazioni avverse e delle controindicazioni, sono emerse informazioni importanti. Nel totale le reazioni censite ammontano a ben 240, con frequenza variabile dal 10% alla “frequenza non nota”. Di seguito si riporta la tabella che descrive la frequenza di accadimento di reazioni avverse e di eventi indesiderati e il numero di volte in cui è citata nei fogli illustrativi dei Vaccini.

 

MC

> 1/10

C

> 1/100, < 1/10

NC

> 1/1.000, <1/100

R

> 1/10.000, < 1/1.000

MR

< 1/10.000

NN

nessun dato

Reazione avversa o evento indesiderato

Numero di volte in cui è citata con la medesima frequenza³⁷

 

MC

C

NC

R

MR

NN

 

dolore al sito di iniezione

13

1

0

1

0

0

Affaticamento

8

2

4

0

2

1

cefalea

5

8

3

0

2

0

Mialgia

5

5

5

1

2

1

indurimento al sito di iniezione

4

11

1

2

0

0

rossore al sito di iniezione

4

7

0

1

0

0

Irritabilità

4

2

2

0

0

0

febbre

3

16

1

1

1

1

dolore

3

2

1

0

0

1

eritema al sito di iniezione mal di testa

2

5

1

0

0

0

Dolore e sensibilità al sito di iniezione

2

2

0

0

0

0

malessere

1

7

4

3

2

1

Ecchimosi al sito di iniezione

1

3

2

0

0

0

astenia

1

2

3

2

1

3

Ematoma al sito di iniezione

1

0

4

0

0

0

Eritema e gonfiore

1

0

1

4

0

0

Calore al sito di iniezione

1

0

1

2

0

0

nodulo al sito di iniezione

1

0

0

2

0

0

edema al sito di iniezione

1

0

0

0

0

0

gonfiore della sede di iniezione

1

0

0

0

0

0

nausea

0

15

3

2

2

0

Gonfiore al sito di iniezione

0

13

0

2

1

1

vomito

0

11

6

1

2

0

diarrea

0

10

6

2

2

1

dolore addominale

0

7

4

3

2

1

Artralgia

0

7

3

3

3

3

brividi

0

7

1

2

2

2

perdita dell’appetito o scarso appetito

0

6

0

1

0

1

sonnolenza

0

5

2

3

1

0

sudorazione

0

5

0

2

1

0

0eruzione cutanea

0

3

1

0

2

0

0piressia

0

3

0

0

0

0

Prurito al sito di iniezione

0

2

3

1

1

0

sindrome simil-influenzale

0

2

2

5

3

3

infezione del tratto respiratorio superiore

0

2

2

0

0

0

stanchezza

0

2

0

0

1

1

Vertigini

0

1

7

2

1

2

linfoadenopatia

0

1

5

4

4

2

Rash

0

1

5

1

6

3

capogiri

0

1

2

1

1

0

eruzione cutanea simile a varicella

0

1

1

0

0

0

Irritazione al sito di iniezione

0

1

1

0

0

0

Dolori muscoloscheletrici

0

1

0

1

0

0

Esantema

0

1

0

0

0

1

sindrome simile a morbillo

0

1

0

0

0

1

sindrome simile a rosolia

0

1

0

0

0

0

prurito

0

0

5

5

2

3

orticaria

0

0

4

5

6

6

Tosse

0

0

3

1

0

0

rigidità muscoloscheletrica

0

0

2

1

1

0

Anoressia

0

0

2

1

0

0

congiuntivite

0

0

2

1

0

0

rinite

0

0

2

1

0

0

insonnia

0

0

2

0

1

0

faringite

0

0

2

0

0

0

otite media

0

0

2

0

0

0

Pianto insolito

0

0

2

0

0

0

Nervosismo

0

0

1

3

0

0

Vampate di calore

0

0

1

3

0

0

Dolore al braccio (nell’arto in cui è stata effettuata l’iniezione)

0

0

1

1

0

1

Rigidità

0

0

1

1

0

1

Congestione nasale

0

0

1

1

0

0

infezione virale

0

0

1

1

0

0

iperidrosi

0

0

1

1

0

0

Malattia similinfluenzale

0

0

1

1

0

0

Rinorrea

0

0

1

1

0

0

aumento degli enzimi epatici

0

0

1

0

1

0

gastroenterite

0

0

1

0

0

1

atralgia

0

0

1

0

0

0

bronchite

0

0

1

0

0

0

congestione respiratoria

0

0

1

0

0

0

crampi addominali

0

0

1

0

0

0

Dermatiti da contatto

0

0

1

0

0

0

disturbi del sonno

0

0

1

0

0

0

emicrania

0

0

1

0

0

0

esantema virale

0

0

1

0

0

0

fastidio addominale

0

0

1

0

0

0

Gonfiore dei linfonodi

0

0

1

0

0

0

gonfiore delle ghiandole parotidi

0

0

1

0

0

0

gorgoglio gastrico/addominale (gas)

0

0

1

0

0

0

miliaria rubra

0

0

1

0

0

0

Otite

0

0

1

0

0

0

Varicella

0 0 1 0 0 0

parestesia*

0

0

0

6

4

3

Reazioni allergiche

0

0

0

5

7

4

Sindrome di Guillain Barré/paralisi*

0

0

0

3

7

6

Convulsioni

0

0

0

3

6

5

angioedema

0

0

0

3

4

3

neurite*

0

0

0

3

4

2

encefalomielite*

0

0

0

3

4

2

Dermatite

0

0

0

3

0

1

Trombocitopenia*

0

0

0

2

4

5

dolore alle estremità

0

0

0

2

2

0

dispnea

0

0

0

2

0

2

edema palpebrale

0

0

0

2

0

0

edema periferico

0

0

0

2

0

0

Reazioni circolatorie (come palpitazioni o vampate di calore)

0

0

0

2

0

0

paralisi*

0

0

0

1

2

1

sclerosi multipla*

0

0

0

1

2

1

mielite trasversa*

0

0

0

1

1

2

debolezza muscolare

0

0

0

1

1

1

Paralisi facciale/Paralisi di Bell's *

0

0

0

1

1

1

eczema

0

0

0

1

1

0

mieliti

0

0

0

1

1

0

flatulenza

0

0

0

1

0

2

Ipersensibilità

0

0

0

1

0

1

ipoestesia*

0

0

0

1

0

1

mal di schiena

0

0

0

1

0

1

acne

0

0

0

1

0

0

agitazione

0

0

0

1

0

0

anomalie del sogno

0

0

0

1

0

0

Apatia

0

0

0

1

0

0

aumento delle transaminasi (lieve e reversibile)

0

0

0

1

0

0

bronchiti

0

0

0

1

0

0

candidosi

0

0

0

1

0

0

Cinetosi

0

0

0

1

0

0

Compromissione/disturbi della visione

0

0

0

1

0

0

congestione polmonare

0

0

0

1

0

0

Congiuntiviti acute

0

0

0

1

0

0

contusione

0

0

0

1

0

0

dermatite atopica

0

0

0

1

0

0

disgeusia*

0

0

0

1

0

0

disturbi della deambulazione

0

0

0

1

0

0

Disturbi visivi

0

0

0

1

0

0

dolore agli occhi

0

0

0

1

0

0

Dolore al torace

0

0

0

1

0

0

Dolore all'orecchio

0

0

0

1

0

0

Dolore alla schiena

0

0

0

1

0

0

dolore pulsante o lancinante ad uno o più nervi

0

0

0

1

0

0

Eczema nel sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

ematochezia

0

0

0

1

0

0

epistassi

0

0

0

1

0

0

Fastidio al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

Formazione di una crosta al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

Formicolio al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

formicolio o intorpidimento

0

0

0

1

0

0

Fuoco di S. Antonio

0

0

0

1

0

0

herpes simplex

0

0

0

1

0

0

infezioni respiratorie

0

0

0

1

0

0

Infiammazione al cervello

0

0

0

1

0

0

Infiammazione al sito di iniezione

0

0

0

1

0

0

infiammazione dei nervi

0

0

0

1

0

0

infiammazione del nervo ottico

0

0

0

1

0

0

infiammazione della pelle

0

0

0

1

0

0

infiammazione delle meningi

0

0

0

1

0

0

ipersonnia

0

0

0

1

0

0

irritazione agli occhi

0

0

0

1

0

0

irritazione meningea

0

0

0

1

0

0

lacrimazione

0

0

0

1

0

0

Linfoadeniti

0

0

0

1

0

0

Morbillo

0

0

0

1

0

0

Otalgia

0

0

0

1

0

0

Patologie autoimmuni*

0

0

0

1

0

0

Polmoniti

0

0

0

1

0

0

Rapide pulsazioni del cuore

0

0

0

1

0

0

reazione simile a quella da morso/puntura non velenosa

0

0

0

1

0

0

respiro ansimante

0

0

0

1

0

0

Respiro corto

0

0

0

1

0

0

Rigidità/contrattura e sensazione di puntura

0

0

0

1

0

0

rossore della pelle

0

0

0

1

0

0

sbalzi emotivi

0

0

0

1

0

0

Sensazione di calore

0

0

0

1

0

0

Sensazione di scampanellio alle orecchie

0

0

0

1

0

0

sensibilità alla luce

0

0

0

1

0

0

sete

0

0

0

1

0

0

sintomi respiratori

0

0

0

1

0

0

Sinusite

0

0

0

1

0

0

starnuti

0

0

0

1

0

0

tachicardia

0

0

0

1

0

0

tendinite

0

0

0

1

0

0

Travaso sanguigno

0

0

0

1

0

0

tremore

0

0

0

1

0

0

ulcera del cavo orale

0

0

0

1

0

0

vescicole

0

0

0

1

0

0

Vasculiti*

0

0

0

0

5

4

Sincope

0

0

0

0

5

0

Nevralgia

0

0

0

0

4

0

Anafilassi

0

0

0

0

3

5

presincope

0

0

0

0

3

0

sintomi da malattia da siero

0

0

0

0

3

0

Encefalite*

0

0

0

0

2

5

Eritema multiforme

0

0

0

0

2

5

neurite ottica *

0

0

0

0

2

1

shock anafilattico

0

0

0

0

2

1

nevriti

0

0

0

0

2

0

Edema angioneurotico

0

0

0

0

1

3

Meningite

0

0

0

0

1

3

Artrite*

0

0

0

0

1

2

encefalopatia*

0

0

0

0

1

2

ipotensione

0

0

0

0

1

2

Sincope vasovagale in risposta all’iniezione

0

0

0

0

1

2

neuropatia*

0

0

0

0

1

1

alopecia*

0

0

0

0

1

0

Asma

0

0

0

0

1

0

disidratazione

0

0

0

0

1

0

dispepsia

0

0

0

0

1

0

dolore articolare

0

0

0

0

1

0

Gonfiore alle estremità, mani, caviglie e piedi

0

0

0

0

1

0

gonfiore della bocca

0

0

0

0

1

0

gonfiore della gola

0

0

0

0

1

0

gonfiore delle labbra

0

0

0

0

1

0

lipotimia

0

0

0

0

1

0

mal di gola

0

0

0

0

1

0

malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale*

0

0

0

0

1

0

ottundimento del gusto

0

0

0

0

1

0

poliarterite nodosa *

0

0

0

0

1

0

poliradicoloneurite *

0

0

0

0

1

0

Sintomi tipo broncospasmo

0

0

0

0

1

0

Uveite*

0

0

0

0

1

0

cerebellite*

0

0

0

0

0

2

edema facciale

0

0

0

0

0

2

Meningite asettica

0

0

0

0

0

2

sintomi simili a cerebellite*

0

0

0

0

0

2

acidosi metabolica

0

0

0

0

0

2

Anemia aplastica

0

0

0

0

0

1

attacco cerebrovascolare

0

0

0

0

0

1

aumento dell’espettorato

0

0

0

0

0

1

citolisi del muscolo e del fegato

0

0

0

0

0

1

Crisi cerebrovascolari

0

0

0

0

0

1

deficit neurologici focali

0

0

0

0

0

1

distensione addominale

0

0

0

0

0

1

eruzione maculopapulare

0

0

0

0

0

1

herpes zoster

0

0

0

0

0

1

ipertensione

0

0

0

0

0

1

ipoestesia dell'arto nel quale è stato somministrato il vaccino

0

0

0

0

0

1

letargia

0

0

0

0

0

1

lichen planus *

0

0

0

0

0

1

linfocitopenia

0

0

0

0

0

1

Neurite brachiale *

0

0

0

0

0

1

Pallore

0

0

0

0

0

1

Parestesia transiente*

0

0

0

0

0

1

porpora di Schönlein-Henoch*

0

0

0

0

0

1

porpora trombocitopenica*

0

0

0

0

0

1

raffreddore

0

0

0

0

0

1

scompenso renale

0

0

0

0

0

1

scompenso respiratorio

0

0

0

0

0

1

Sindrome di Stevens-Johnson *

0

0

0

0

0

1

sindrome simile a parotite

0

0

0

0

0

1

stato di confusione

0

0

0

0

0

1


*malattie autoimmuni

Dall’analisi dei prospetti emerge che i vaccini che hanno un alto contenuto di componenti in termini quantitativi, ma anche di varietà di componenti estranei, presentano più reazioni avverse.
Inoltre è il caso di rimarcare che i dati trasmessi dalle aziende produttrici evidenziano l’indicazione di una serie di malattie autoimmuni (indicate in grassetto e con asterisco in tabella) come effetti indesiderati o reazioni avverse alla vaccinazione.
Va sottolineato che il monitoraggio delle reazioni avverse viene svolto in un periodo molto ristretto dopo la vaccinazione, motivo per cui sono molto più frequenti le reazioni avverse immediate, mentre le reazioni rare sono relative a patologie più a lungo termine e che richiedono un campione di popolazione molto ampio, spesso non raggiunto in fase di autorizzazione all’immissione in commercio. Per tale motivo le reazioni avverse non acute sono notevolmente sottostimate.
A conferma della necessità di adottare precauzioni alle reazioni avverse si osserva infine che le case farmaceutiche richiedono esami e verifiche preventive in numero proporzionalmente maggiore, tanto più questi contengono componenti estranei al principio attivo.

Conclusioni preliminari (Torna all’indice)
Concludendo, per la profilassi vaccinale obbligatoria militare, la valutazione della tossicità e della tollerabilità dei componenti (principio attivo, adiuvanti, eccipienti e contaminanti) contenuti nel farmaco deve essere effettuata in relazione all’intero ciclo di somministrazioni prescritto dal calendario vaccinale. Conseguentemente il grado di purezza del singolo vaccino deve essere maggiore rispetto a quello garantito per i farmaci considerati singolarmente e attualmente in commercio per i fini civili.
Occorre migliorare la selezione del personale militare, sottoponendolo all’atto dell’arruolamento a test di valutazione del sistema immunitario, nonché di tutte le ipersensibilità.
A tal fine la Commissione suggerisce che nella metodologia di valutazione delle ipersensibilità si prenda in considerazione l’intero vaccino in luogo del singolo componente al fine di verificare gli effetti della somministrazione del farmaco considerato in toto. La valutazione dell’ipersensibilità all’intero farmaco potrebbe essere condotta in analogia a quella relativa alle intolleranze alimentari, studiando la reazione linfocitaria sul sangue del vaccinando, ed i risultati inseriti nella scheda anamnestica del militare quale elemento di idoneità all’arruolamento o di idoneità alla continuazione del servizio o di particolari mansioni.
La Commissione ha riscontrato come la prescrizione dei vaccini monovalenti e monodose, a parte per i due trivalenti MPR e TDP, appaia rispettata. La Commissione per le ragioni già espresse in sede di relazione intermedia, e ribadite nei paragrafi di cui sopra, ritiene conforme al principio di precauzione anche la fornitura monovalente monodose di questi ultimi due.
Il completamento dell’analisi documentale sui dossier di registrazione fin qui svolta, richiede la verifica sperimentale su vaccini da prelevare a campione, nell’ambito di una attività ispettiva da svolgere nelle sedi dove vengono effettuate le vaccinazioni ai militari. Solo in tal modo è possibile controllare la conformità alla scheda tecnica nonché la presenza di componenti non dosati, e di cui non è stato dato conto. Questo obiettivo, già prefissato dalla legge istitutiva della Commissione non ha trovato attuazione a causa delle limitate risorse economiche a disposizione della Commissione. 
In merito alla profilassi anti influenzale e antitifica, la Commissione rileva che, nel calcolo rischio/beneficio, spesso, per indicazione di efficacia della vaccinazione si prende in considerazione la percentuale di copertura vaccinale. Al contrario detta valutazione deve prendere in considerazione anche la reale efficacia calcolata tenendo conto del numero di soggetti che incorrono nella malattia nonostante la vaccinazione³⁸.

Monitoraggio delle condizioni immunitarie dei soggetti osservati. Analisi dei dati sul Follow-up del progetto denominato «Studio sull'impatto genotossico nelle unità militari» (SIGNUM) (Torna all’indice)
La seconda fase del Progetto SIGNUM prevede l’osservazione longitudinale della coorte di militari in esame per almeno dieci anni, con controlli eseguiti a cadenza annuale, finalizzati a valutare l’esposizione a genotossici ambientali e l’eventuale presenza di marcatori di un danno a carico del DNA.
In relazione a tale seconda fase, la Commissione ha svolto attività di indagine al fine di conoscere se l’osservazione annuale sulla coorte fosse di fatto avvenuta e con quali esiti.
Sul punto è stata acquisita la dichiarazione dell’allora colonnello DE ANGELIS resa nell’audizione del 1° marzo 2017, per cui il follow-up sarebbe stato effettuato e che la rielaborazione dei dati sarebbe stata concordata in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in data 24 febbraio 2017.
Con l’interrogazione CATALANO n° 5/12290, sono stati accertati i costi relativi alla prima fase del progetto che ammontano a € 1.810.696,31. Per la seconda fase, il Gen. TOMAO ha comunicato, mediante lettera, che la spesa destinata all’ISS è stata determinata in € 40.700,00.
L’attivita’ cui l’ISS è chiamato consiste nell'analisi della matrice dei dati del follow-up del progetto SIGNUM.
La Commissione, in data 10 maggio 2017, ha fatto richiesta di accesso a detto database, al fine di verificarne il contenuto e l’integrità dei dati. I dati richiesti sono stati trasmessi con nota del 16 giugno 2017.
A fronte dei dati trasmessi, la Commissione ha elaborato qualche dato statistico dal quale è emerso che nell’ambito del Progetto SIGNUM sono stati reclutati in tutte le Forze Armate solo 981 militari: 14 appartenenti all’Aeronautica Militare; 150 della Marina Militare, 187 all’Arma dei Carabinieri; 630 all’Esercito e 94 congedati.
Di questi, solo 644 in tutto, ossia il 65,6%, hanno dato adesione ad essere sottoposti al follow-up, e più precisamente 480 Militari su 981 nel 2005; 385 nel 2006; 388 nel 2007; 181 nel 2008 e via via sempre meno fino al numero di 98 nel 2014, secondo il grafico che si riporta di seguito.

Alla luce di questi dati la Commissione ha dovuto riscontrare l'impossibilità di giungere a conclusione precise a causa della loro insufficienza. Mancavano inoltre tutti i dati relativi ai soggetti congedati e i dati anagrafici dei militari della coorte di studio, nonché i dati sulle vaccinazioni multiple per ogni militare e i relativi effetti sul DNA per ogni singolo militare malato.
Pertanto, la Commissione insisteva con nuova richiesta con nota di prot. n° 854 datata 21/11/2017 al fine di conoscere se la matrice ricevuta a giugno fosse identica a quella consegnata all’ISS o se fossero sopraggiunte integrazioni. Con la nota di risposta del 14 dicembre 2017, l’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, nella persona del Direttore Brig. Gen. Claudio DE ANGELIS, ha trasmesso alla Commissione la matrice completa del progetto SIGNUM “come trasmessa all'Istituto Superiore di Sanità’", che però risulta essere la stessa già ricevuta a giugno 2017.
Tuttavia, contrariamente a quanto fatto intendere, l’Allegato n° 2 della predetta nota di risposta, riporta le dichiarazioni dello stesso Brig. Gen. DE ANGELIS, rilasciata a verbale nella riunione tenutasi presso IGESAN in data 26 ottobre 2017 tra i rappresentanti del Ministero della Difesa, l’Istituto Superiore di Sanità e i ricercatori incaricati dello studio del follow-up, secondo cui “Le informazioni [di giugno 2017] sono state, altresì, integrate da dati in possesso all'OED per l'attività istituzionale che svolge e integrata con le informazioni circa il personale aderente allo studio e nel frattempo andato in congedo, già ottenute dalla Direzione Generale per il Personale Militare. I dati [così aggiornati] sono già stati consegnati alla dott.ssa De Angelis dell'ISS. Inoltre, si è pensato di arricchire i dati con quelli contenuti nelle Schede Dimissione Ospedaliera (SDO) da acquisire presso il Ministero della Salute dopo l'autorizzazione del Comitato Etico dell'Istituto Superiore di Sanità. Infine, l'ISS integrerà ulteriormente con i dati ISTAT sui decessi della popolazione”.
Alla luce di quanto sopra, la Commissione rileva la grave incompletezza dei dati ricevuti rispetto a quelli che sono nella disponibilità dal Ministero della Difesa e che quest’ultimo ha consegnato al solo Istituto Superiore di Sanità. Rileva in particolare che l’Osservatorio epidemiologico della Difesa, struttura competente del Ministero, ha omesso di trasmettere alla Commissione parlamentare tali integrazioni, sebbene ne avesse la disponibilità.
Osserva, infine, che il gruppo di rappresentanti delle istituzioni che si è fatto carico del follow-up di SIGNUM, nella stessa riunione del 26 ottobre 2017 presso IGESAN, sopra richiamata, ha concordato di filtrare le risposte da fornire a soggetti istituzionali, quali la presente Commissione, e volte a conoscere i dati relativi allo studio del follow-up-. “[...] è necessario concordare preventivamente con l'Ispettorato Generale le informazioni eventualmente richieste da organi esterni” (cit. testuale del C.A. CROCIATA).
La Commissione chiede che prima del termine della legislatura i dati richiesti siano trasmessi nella loro versione integrale. La Commissione si riserva di intraprendere ogni opportuna segnalazione nelle sedi giudiziarie competenti in caso di ulteriore omissione.
Fermo restando quanto sopra la Commissione ribadisce che per avere l’anagrafica completa dei dati relativi al follow-up SIGNUM è necessario incrociare le informazioni esposizionali (ossia conoscere i luoghi che hanno frequentato nelle missioni all’estero, nonché le caserme e i poligoni e le mansioni, espletate nel territorio nazionale) con le informazioni sanitarie e quelle anagrafiche vere e proprie. Pertanto valuterà i dati Trasmessi all’ISS anche nel merito dei criteri di selezione adottati nella loro raccolta. Infatti rileva che dal verbale non si evince che siano stati raccolti dati dal registro nazionale dei tumori, dal ministero delle finanze (per lo stato in vita e di residenza) e non è chiaro quali dati militari siano stati raccolti (occorrerebbero ad esempio i fogli matricolari - curriculum militari).


Analisi dei dati sui casi di Neoplasie e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato anche nelle missioni militari all'estero (Torna all’indice)
Nel corso dei propri lavori la Commissione ha acquisito un database predisposto dalla Procura della Repubblica di Padova, nell’ambito di indagini sulle patologie dei militari. All’interno di detto database sono contenuti tutti i dati dei militari ammalati e/o deceduti a causa di malattie linfoproliferative, contratte nel corso dell’attività militare, suddivisi tra militari andati in missione e non, per sesso e per corpo di appartenenza. Il database è stato realizzato unificando le informazioni contenute negli archivi dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa e dalle informazioni raccolte nell’ambito dell’indagine aperte dalla Procura della Repubblica di Padova, censiti fino ad aprile 2015. Nel confronto tra i dati unificati la Procura di Padova ha fatto emergere un disallineamento: il 45% dei casi di patologie conseguenti il servizio prestato e noti alla Procura, non erano registrati nella banca dati dell’Osservatorio. La Commissione dunque riteneva opportuno procedere ad aggiornarla acquisendo i dati ulteriormente raccolti dall’Osservatorio fino alla data odierna.
Con nota di prot. n° 854 del 21/11/2017 della Camera dei Deputati, la Commissione ha richiesto all’Osservatorio Epidemiologico il suddetto aggiornamento delle matrici dati, nonché il numero dei militari nuovi arruolati e congedati per anno relativi al Monte Venda, al fine di depurare ulteriormente i dati da possibili bias³⁹. I dati sono pervenuti alla Commissione il 14 dicembre 2017, con una nota datata 11/12/2017 e, per quanto riguarda la matrice con i dati anagrafici e di salute dei militari malati, secretati dalla commissione. Non sono invece consegnati i dati sullo stato di salute dei militari congedati richiesti in quanto l’Osservatorio ha dichiarato di non averne la disponibilità, che sarebbe invece in capo alla Direzione per l'Impiego del Personale dell'A.M. (DIPMA). Ha altresì dichiarato di averne inoltrato formale richiesta a quest’ultima direzione.
In ogni caso i dati forniti sono stati elaborati nel rispetto della classificazione di riservatezza, distinguendo per sesso, status (missionario e non missionario⁴⁰) e relativa forza armata.
In relazione all’insorgenza di neoplasie riscontrate tra i militari nel periodo dal 1995 a dicembre 2017, è emerso che:
1. il numero di tumori maligni segnalati all’Osservatorio da militari appartenenti a tutte le Forze Armate, era di di 3.788 nel 2013; di 4.791 nel 2014; di 5.135 nel 2015 e l’ultimo dato aggiornato a dicembre 2017 è di 6446 (i dati si riferiscono solo militari che si sono ammalati quando erano ancora in servizio⁴¹);

2. suddividendo i militari tra “andati in missione” e “non andati in missioni”, ai soli fini statistici, i militari che non sono andati in missione hanno sviluppate patologie tumorali in numero assoluto maggiore rispetto a quelli che sono stati inviati in missioni di peacekeeping fuori dal territorio nazionale (al 2013 si sono ammalati 2.976 militari non missionari contro 812 militari missionari; al 2014, 3.866 non missionari contro 925 missionari; al 2017, 4.291 non missionari contro 1.158 missionari);
Si fa presente che i dati non sono stati ancora elaborati in termini relativi, ma esclusivamente in termini assoluti. Pertanto, in relazione alle due categorie, manca il calcolo percentuale che esprime il rapporto tra il numero dei malati e il numero totale dei militare della rispettiva categoria. Di conseguenza il dato assoluto dei 1.158 militari malati e andati in missione al 2017, non deve essere inteso come risultato di una loro esposizione a minori rischi di morbilità, rispetto ai 4.291 militari malati non mandati in missione, ma deve semplicemente evidenziare la multifattorialità delle cause di malattie linfoproliferative oggetto della indagine della Commissione già asseverate dal Progetto SIGNUM.
Infatti, anche i militari che non vanno in missione e che, quindi, sono sottoposti a un minor numero di fattori di rischio, risultano essersi comunque ammalati, in quanto assoggettati anch’essi a fattori di rischio legati ai luoghi di servizio (poligoni di tiro o siti nazionali notoriamente inquinati) e a quelli connessi alla profilassi vaccinale del modulo di base, le cui criticità sono già state evidenziate. I militari che vengono mandati in missione, oltre a essere stati soggetti agli stessi rischi dei non missionari, sono esposti a quelli relativi al luogo di missione (acqua, aria e cibo contaminati, terreno insalubre, armamenti pericolosi etc..) e a quelli relativi ai moduli aggiuntivi della profilassi vaccinale prevista per la relativa missione all’estero, che comporta una assunzione di maggiori componenti, tossici e allergeni, come riportato nei capitoli precedenti.
Fermo restando la necessità di proseguire nella elaborazione dei dati con la eliminazione dei bias e di calcolare i dati in termini relativi, di seguito riportiamo i dati in versione integrale sui militari ammalati, indicanti i valori per sesso e per status (ammalato o deceduto) divisi per forza di appartenenza.

status

ffaa

sesso

missionari

no missionari

ammalati

altro

M

 

3

AM

F

1

11

M

170

722

CC

F

3

8

M

257

1885

EI

F

15

10

M

574

1241

MM

F

 

6

M

138

405

deceduti

AM

M

29

226

CC

M

38

331

EI

F

 

2

M

123

94

MM

M

21

133

Totale Parziale

   

1369

5077

Totale Complessivo

     

6446


Le tabelle successive invece riportano i dati del numero di militari ammalati, relativi alle singole neoplasie divide per sesso, status (ammalato o deceduto), se missionari o non missionari e singola forza armata.

 

MASCHI

Apparati-Sistemi-Organi del Corpo Umano

AM

CC

EI

MM

altro

 

Amm.

Dec.

Amm.

Dec.

Amm.

Dec.

Amm.

Dec.

Amm.

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

1

 

4

3

4

1

     

RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)

   

1

1

         

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

   

1

           

CARDIOVASCOLARE E PLEURA

4

2

8

5

8

4

1

1

 

CONNETTIVO ED ALTRI TESSUTI MOLLI

       

1

       

CONNETTIVO TESS.

       

3

       

DIGERENTE

205

70

508

109

327

51

100

18

 

DIGERENTE E APPARATO UDITIVO

2

 

2

 

2

       

E04

           

1

   

E05

1

 

1

           

EMANGIOMA DI QUALSIASI SEDE

   

1

 

2

 

1

   

ENDOCRINO

92

4

262

2

145

1

52

1

 

GAMMOPATIA

       

9

 

1

   

IMMUNITARIO

6

1

9

3

2

 

1

1

 

LEUCEMIA

63

21

111

35

132

32

29

8

 

LINFATICO

5

1

14

2

7

       

LINFOMA

6

1

5

 

9

 

3

   

LINFOMI

128

21

246

31

352

30

90

8

 

LOCOMOTORE

16

 

25

8

25

3

13

1

 

MIELOMA

6

2

35

5

23

1

10

1

 

NERVOSO

57

25

102

38

85

11

28

6

 

NON DISPONIBILE

12

5

1

 

2

       

OCCHIO

1

 

1

     

1

   

RESPIRATORIO

117

57

223

68

168

46

147

100

 

RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)

5

1

6

3

2

 

1

   

RIPRODUTTORE

127

3

308

6

329

8

81

1

2

SANGUE

4

1

7

2

6

 

4

   

SECONDARIO DI ALTRE SEDI SPECIFICATE

   

2

 

1

 

1

   

SEDE NON SPECIFICATA

11

6

24

6

13

4

     

TEGUMENTARIO

113

7

244

8

134

10

65

4

 

TESSUTO CONNETTIVO E TESS. MOLLI

8

2

51

11

47

8

12

   

TUMORI BENIGNI DEL TESSUTO CONNETTIVO E DI ALTRI TESSUTI MOLLI

1

 

1

           

TUMORI BENIGNI DI ALTRE E NON SPECIFICATE SEDI

   

2

     

1

   

TUMORI DI COMPORTAMENTO INCERTO O SCONOSCIUTO NON SPECIFICATO

4

 

6

2

24

1

5

   

URO-GENITALE

152

25

300

21

170

5

49

4

1

 

FEMMINE

Apparati-Sistemi-Organi del Corpo Umano

AM

CC

EI

MM

 

Amm.

Amm.

Amm.

Dec.

Amm.

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

         

RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)

         

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

         

CARDIOVASCOLARE E PLEURA

         

CONNETTIVO ED ALTRI TESSUTI MOLLI

         

CONNETTIVO TESS.

         

DIGERENTE

1

 

1

   

DIGERENTE E APPARATO UDITIVO

         

E04

         

E05

         

EMANGIOMA DI QUALSIASI SEDE

         

ENDOCRINO

8

7

11

1

1

GAMMOPATIA

         

IMMUNITARIO

         

LEUCEMIA

   

1

1

 

LINFATICO

   

1

   

LINFOMA

         

LINFOMI

1

 

4

 

2

LOCOMOTORE

         

MIELOMA

         

NERVOSO

       

1

NON DISPONIBILE

         

OCCHIO

         

RESPIRATORIO

 

1

     

RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)

         

RIPRODUTTORE

 

2

2

 

1

SANGUE

   

1

   

SECONDARIO DI ALTRE SEDI SPECIFICATE

1

       

SEDE NON SPECIFICATA

         

TEGUMENTARIO

 

1

4

 

1

TESSUTO CONNETTIVO E TESS. MOLLI

         

TUMORI BENIGNI DEL TESSUTO CONNETTIVO E DI ALTRI TESSUTI MOLLI

         

TUMORI BENIGNI DI ALTRE E NON SPECIFICATE SEDI

         

TUMORI DI COMPORTAMENTO INCERTO O SCONOSCIUTO NON SPECIFICATO

         

URO-GENITALE

1

 

2

   

 

MISSIONARI deceduti

Apparati-Sistemi-Organi del Corpo Umano

AM

CC

EI

MM

totale

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

   

1

   

CARDIOVASCOLARE E PLEURA

0

 

1

   

CONNETTIVO TESS.

   

1

   

DIGERENTE

7 10 35 6  

EMANGIOMA DI QUALSIASI SEDE

   

0

0  

ENDOCRINO

0

0

1

1  

GAMMOPATIA

    0 0  

IMMUNITARIO

0

0

     

LEUCEMIA

3

5

15

2  

LINFATICO

1

0

0

   

LINFOMA

0 0 0 0  

LINFOMI

2

6

15

3  

LOCOMOTORE

0

1

2

0  

MIELOMA

0 0 1 0  

NERVOSO

5

3

5

1  

NON DISPONIBILE

 

0

     

RESPIRATORIO

4

8

20

3  

RIPRODUTTORE

0 1 5 1  

SANGUE

   

0

0  

SEDE NON SPECIFICATA

3

1

2

   

TEGUMENTARIO

2

1

8

4  

TESSUTO CONNETTIVO E TESS. MOLLI

  0 8 0  

TUMORI BENIGNI DEL TESSUTO CONNETTIVO E DI ALTRI TESSUTI MOLLI

 

0

     

TUMORI DI COMPORTAMENTO INCERTO O SCONOSCIUTO NON SPECIFICATO

0

1

0

0  
URO-GENITALE 2 1 3 0  

totali

29

38

123

21

211

 

MISSIONARI non deceduti

Apparati-Sistemi-Organi del Corpo Umano

altro

AM

CC

EI

MM

totale

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

  0 3 0    

RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)

    1      

ALTRA E MAL DEFINITA SEDE

    0      

CARDIOVASCOLARE E PLEURA

  2 5 3 1  

CONNETTIVO ED ALTRI TESSUTI MOLLI

      0    

DIGERENTE

  63 99 16 12  
DIGERENTE E APPARATO UDITIVO   0 0 0    
E 04         0  
E 05   0 0      
EMANGIOMA DI QUALSIASI SEDE     0 0    

ENDOCRINO

  4 2 1 0  
GAMMOPATIA       0    

IMMUNITARIO

  1 3 0 1  

LEUCEMIA

  18 30 18 6  

LINFATICO

  0 2 0    

LINFOMA

  1 0 0 0  

LINFOMI

  19 25 15 5  

LOCOMOTORE

  0 7 1 1  

MIELOMA

  2 5 0 1  

NERVOSO

  20 25 6 5  
NON DISPONIBILE   5   0    

OCCHIO

  0 0   0  

RESPIRATORIO

  53 60 26 97  
RESPIRATORIO E DIGERENTE (SECONDARIO)   1 3 0 0  

RIPRODUTTORE

0 3 5 3 0  
SANGUE   1 2 0 0  

SECONDARIO DI ALTRE SEDI SPECIFICATE

  0 0 0 0  

SEDE NON SPECIFICATA

  3 5 2    

TEGUMENTARIO

  5 7 2 0  

TESSUTO CONNETTIVO E TESS. MOLLI

  2 11 0 0  

TUMORI BENIGNI DEL TESSUTO CONNETTIVO E DI ALTRI TESSUTI MOLLI

  0        
TUMORI BENIGNI DI ALTRE E NON SPECIFICATE SEDI     0   0  

TUMORI DI COMPORTAMENTO INCERTO O SCONOSCIUTO NON SPECIFICATO

  0 1 1 0  
URO-GENITALE 0 23 20 2 4  

totali

0

226

331

96

133

786


Dalla una prima lettura dei dati si ritiene di dover evidenziare le patologie tumorali riguardanti il sistema linfopoietico e i tessuti molli, che sono interessati da interazioni con il processo di immunizzazione vaccinale. Queste appaiono essere in numero molto elevato rispetto alle patologie tumorali che hanno interessato altri organi. In particolare, per leucemia risultano ammalati 236 militari; morti: 97; per patologie neoplastiche del sistema linfatico risultano ammalati: 27, morti: 3; per linfomi/linfoma 846, morti 91; per neoplasie del sangue risultano ammalati 22 militari, morti: 3; per patologie neoplastiche dei tessuti molli risultano ammalati 118 militari, morti 21.
Al fine di colmare le lacune dovute ai dati mancanti, e per allineare i dati dell’Osservatorio e della procura di Padova, la Commissione ritiene utile, che la successiva inchiesta, rivolga ulteriori richieste di integrazione ai seguenti enti:
❖ Agenzia delle Entrate:
- Dati anagrafici del contribuente, comprensivi di:
■ Codice fiscale,
■ Luogo e data di nascita,
■ Data di eventuale decesso,
■ Ultimo domicilio fiscale dichiarato.
❖ ISTAT
- Dati contenuti nell’Archivio Nominale delle Cause di Morte.
❖ MINISTERO della SALUTE:
- Dati afferenti alle Schede di Ricovero e di Dimissione ospedaliera che riportano i risultati di tutti gli accertamenti fatti nel periodo di ospedalizzazione.

Controesame dello studio commissionato dal Ministero della Difesa sulle vaccinazioni multiple nei giovani adulti (Torna all’indice)
La Commissione ha acquisito agli atti l’articolo scientifico intitolato: «Lack of evidence for post-vaccine onset of autoimmune/lymphoproliferative disorders, during a nine- month follow-up in multiply vaccinated Italian military personnel», pubblicato nel mese di agosto 2017 a firma, tra l’altro, di alcuni esponenti della sanità militare, e finanziato dal Ministero della difesa italiano con domanda di sovvenzione di progetto n. D85D10000250001.
Ritiene detto studio inaccettabile nel metodo e nel merito a partire dal titolo, che non è coerente con le conclusioni.
Lo studio pare voler contestare la fondatezza dell’attività sin qui svolta dalla Commissione, poiché afferma che «le vaccinazioni multiple nei giovani adulti [sarebbero] sicure e non associate allo sviluppo di autoimmunità e linfoproliferazione», basandosi su un monitoraggio svolto per soli nove mesi su un gruppo di militari:
• selezionati dopo aver eseguito una serie di esami prevaccinali volti ad escludere dalla coorte i soggetti ipersensibili o immunodepressi;
• sottoposti ad un numero di vaccinazioni inferiori a cinque e quindi al di sotto della soglia di pericolosità indicata le risultanze del progetto SIGNUM.
Così operando finisce invece per confermare quanto accertato da SIGNUM, in ordine alla necessità di effettuare esami pre-vaccinali e di non effettuare un numero di vaccinazioni superiori a 5.
Tanto è confermato dalla risposta fornita all’interrogazione CATALANO n° 5/12635, discussa in sede di question time, in Commissione difesa il 15/11/2017 nel punto in cui il Governo ha ribadito che le risultanze dello studio in esame non sono in contraddizione con quelle del progetto SIGNUM.
Peraltro, lo studio risulta realizzato da autori che si trovano in situazione di conflitto di interessi. Infatti, almeno 5 dei soggetti che hanno partecipato al progetto come autori appartengono alla sanità militare, che - come dichiarato dallo stesso Gen. TOMAO più volte in audizione innanzi alla Commissione - non intende svolgere controlli pre o post-vaccinali sul personale militare. Tra essi appare anche il nome dello stesso Gen. TOMAO.
Si evidenzia, altresì, un conflitto di interesse anche rispetto all’ente finanziatore, il Ministero della Difesa, per lo stesso profilo evidenziato.
Tra gli autori dello studio mancano esperti in malattie autoimmuni e malattie linfoproliferative, indispensabili per la valutazione del nesso di causa e della plausibilità
biologica tra le vaccinazioni multiple e tali patologie.
Con la medesima interrogazione CATALANO n° 5/12635 sono stati inoltre chiesti chiarimenti sulle motivazioni dello studio tenuto conto che nel testo si dichiara di voler negare alcuni casi report definiti “aneddotici” e “frutto di eccessiva attenzione mediatica”. L’articolo fa espresso riferimento al caso specifico del Sig.Francesco Finessi, deceduto per linfoma di Hodgking (come da nota [5] in calce a pagina 61 dello studio), di cui la Commissione ha acquisito la documentazione relativa al processo e all’evoluzione della patologia. Tale caso rientra tra quelli di studio da cui la Commissione è partita per le sue indagini, come evidenziato nell’Abstract. Il Governo in risposta omette di fornire chiarimenti, lasciando il legittimo dubbio sulle motivazioni dichiarate e sulla correttezza della spesa pubblica sostenuta per la sua realizzazione. Peraltro, è rimasta inevasa anche l’interrogazione CATALANO 5/12590 a conoscere “quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministero della difesa a finanziare questo studio, chi abbia assunto l'iniziativa, quanto sia costato lo studio nel dettaglio e quali siano le finalità dello studio medesimo”.
Lo studio presenta criticità anche sotto il profilo del monitoraggio delle reazioni avverse, dato che la loro individuazione non è stata rimessa ad apposite visite mediche cadenzate da svolgersi sotto la responsabilità dei medici referenti, ma alla compilazione di un questionario da parte dei soggetti reclutati, privi di competenze scientifiche. Presenta ulteriori criticità anche la scelta dei parametri utilizzati per lo studio dei disturbi linfoproliferativi e autoimmuni, in quanto limitati alla valutazione dell’emocromo, elettroforesi proteica e immunoglobuline sieriche (Ig), volte a monitorare l'eventuale insorgenza di segni suggestivi di disturbo linfoproliferativo. A riguardo, basti osservare che questi tre parametri non sono sufficienti per identificare uno squilibrio del sistema immunitario mentre sarebbe maggiormente significativa la tipizzazione delle sottopopolazioni linfocitarie con immunogramma e analisi delle citochine infiammatorie (vedi progettazione studio del dott. Nobile della Brigata Folgore).
Inoltre due punti di analisi sono troppo pochi per valutare la modificazione del sistema immunitario, sarebbe stato interessante valutare lo stato del sistema immunitario anche nei mesi iniziali e sicuramente per un tempo superiore ai nove mesi.
Quanto alla modalità di somministrazione dei vaccini, ai fini dello studio è il caso di osservare che:
1. i gruppi sono troppo ristretti per individuare la comparsa di patologie relativamente rare in soggetti suscettibili (tra l’altro scartati inizialmente) in un intervallo di tempo piuttosto ristretto;
2. i vaccini nei due gruppi sono personalizzati e quindi non è possibile fare un confronto basato sul tipo di vaccino somministrato, rendendo meno accurato il risultato;
3. il numero dei militari che ha ricevuto più di tre vaccini è statisticamente insignificante per poter valutare l’insorgenza di alterazioni del sistema immunitario (2 soggetti nel gruppo 1 e 3 soggetti nel gruppo 2 hanno ricevuto 5 vaccini). E’ pertanto impossibile poter valutare un’incidenza statisticamente significativa delle patologie da osservare su 5 soggetti ai quali sono stati somministrati vaccini diversi;
A questo ultimo riguardo e in relazione alle finalità dello studio già sopra evidenziate, la Commissione intende stigmatizzare che i casi c.d. “aneddotici”, che gli autori vorrebbero sminuire, quale ad esempio quello di Francesco Finessi, hanno normalmente ricevuto più di 5 vaccini, con ulteriore conforto dei dubbi già rilevati sull’utilità dello studio.
Quanto alle reazioni avverse registrate, in sè obbiettivamente minime, la Commissione osserva che la manifestazione clinica delle patologie evidenziate nell’ambito di SIGNUM, necessita di studi e follow-up ben più lunghi rispetto al termine di 9 mesi, per essere individuata nell’alveo delle reazioni avverse, come tra l’altro evidenziato nelle conclusioni dello stesso studio.
In relazione all’interpretazione dei risultati ottenuti, e alla luce delle stesse affermazioni dei ricercatori, la Commissione ritiene non condivisibile:
❖ la negazione della possibilità di un legame patogenetico tra vaccini e disturbi linfoproliferativi;
❖ l’interpretazione del rapporto tra aumento significativo dei linfociti circolanti, proteine del siero intero e dell’isotipo IgG osservato come mera conseguenza della stimolazione immunitaria fisiologica, indotta dai vaccini / adiuvanti somministrati, in quanto:
1. lo sviluppo di una patologia autoimmune, e da questa, lo sviluppo della patologia neoplastica, richiede tempi più lunghi di quelli previsti dallo studio in esame nonché gruppi di soggetti più ampi ed omogenei;
2. la mancata evidenza di autoimmunità vaccino-correlata non è un’evidenza della mancanza del nesso di causa ma è soltanto la prova della carenza di dati;
3. le argomentazioni esposte con riferimento all’aumento dei linfociti circolanti sono riferite all’esame dell’efficacia del vaccino, e trascurano completamente l’esame sulla tossicità dei vaccini. Se da una parte l’aumento dei linfociti è considerata una risposta fisiologica indotta dal vaccino, dall’altra questa stimolazione del sistema immunitario può diventare patologica nei soggetti suscettibili e può favorire l’autoimmunità/linfoproliferazione, ed è quindi speculativa l’affermazione che la risposta è fisiologica perché non è stato fatto alcun approfondimento successivo.
Infine lo studio è contradditorio quando raccomanda che la somministrazione dei vaccini del personale militare italiano sia personalizzata e rispetti sostanziali criteri di prudenza da un lato e dall’altro lato afferma la loro assoluta sicurezza.
La Commissione suggerisce la continuazione degli studi svolti dal compianto Prof. Nobile al fine di poter confermare i risultati preliminari, molto gravi, ottenuti dallo studio del sistema immunitario dei militari della Brigata Folgore, ampliando il numero di militari da osservare.

CONCLUSIONI (Torna all’indice)
Alla luce di quanto esposto nei capitoli precedenti e fino a questo punto, la Commissione ha verificato la presenza di effetti collaterali e di reazioni avverse derivanti dalla somministrazioni dei vaccini come descritte dalle stesse aziende produttrici, e in particolare quelle riferite ai fenomeni di immunosoppressione.
Ha quantificato e qualificato la presenza dei contaminanti dichiarati evidenziando quelli scatenanti fenomeni allergeni e quelli tossici per l’organismo, nonché quelli che sono causa dimostrata scientificamente di danni neurologici o che possono determinare malattie autoimmuni. Queste verifiche, effettuate su documenti elaborati dalle case farmaceutiche, devono essere ulteriormente riscontrate a mezzo di una analisi a campione dei vaccini.
La Commissione ha altresì riscontrato che tali effetti collaterali, allergici e neurotossici non possono che essere aggravati dalla somministrazione di una molteplicità dei suddetti farmaci come emerge dalle risultanze del progetto SIGNUM più volte richiamato. Ha poi iniziato a svolgere uno studio osservazionale sui militari malati di malattie neoplastiche riscontrandone l’incremento proporzionale di anno in anno.
Infine ha analizzato uno studio redatto in conflitto di interessi, allo scopo dichiarato di contestare casi particolari di militari deceduti per malattie neoplastiche (alcuni dei quali oggetto di studio della commissione e di contenzioso con il Ministero), definiti “anetoddici”, e ne ha evidenziato la inattendibilità, la contraddittorietà e la non conclusività.
Alla luce degli elementi raccolti, la Commissione conferma che vi sia una associazione statisticamente significativa tra patologie neoplastiche e linfoproliferative, e altre patologie (es. quelle autoimmuni), e la somministrazione dei vaccini secondo la profilassi vaccinale militare. La Commissione ritiene di non poter escludere il nesso di causa.
La Commissione auspica che vengano censite anche altre patologie di tipo psico/fisico (stress lavoro/correlato stress da combattimento) e che quelle insorte fino ad oggi nel corpo militare delle forze armate vengano rese disponibili per un’analisi. Suggerisce di dare seguito alla attività di ricerca iniziata coinvolgendo IGESAN e tutte le sue diramazioni territoriali, come ad esempio le CMMO (commissioni militari medico ospedaliere) per un vaglio e una valutazione di tutte le patologie (morbilità) insorte a vario titolo negli appartenenti alle forze armate.


ALLEGATO 2

 

1.
Relazioni sulle
MISSIONI SVOLTE DALLA COMMISSIONE

MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI TARANTO (20 maggio 2016)
MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI AUGUSTA (1° luglio 2016)
MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI LA SPEZIA (28 luglio 2016)
VISITA AI POLIGONI MILITARI SARDI E AL SITO MILITARE DI S. STEFANO, LA MADDALENA (4-7 ottobre 2016)
MISSIONE A PADOVA E VISITA AI POLIGONI MILITARI DI CELLINA MEDUNA (PN) E FOCE RENO (RA) (12-13 gennaio 2017)
MISSIONE A CALTANISSETTA E VISITA ALLA STAZIONE MUOS, ALLA BASE DI SIGONELLA E AL POLIGONO DI DRASY (3- 6 aprile 2017)
MISSIONE A BARI E LECCE E VISITA AI POLIGONI DI TORRE NEBBIA E TORRE VENERI (21-22 marzo 2017)

 

MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI TARANTO
(20 maggio 2016)

La missione a Taranto rientra nel quadro degli approfondimenti sul rischio amianto realizzati attraverso una serie mirata di sopralluoghi negli arsenali della Marina (segnatamente Taranto, Augusta e La Spezia), diretti ad acquisire un quadro fattuale aggiornato delle condizioni ambientali e di lavoro dei dipendenti della Difesa ivi impiegati, in adempimento dei compiti fissati dall’art. 1 della delibera istitutiva del 30 giugno 2015 e specificamente della lettera f).
La visita all’arsenale di Taranto di una delegazione della Commissione, guidata dalla Vicepresidente Donatella Duranti e composta dagli onorevoli Ivan Catalano, Gianluca Rizzo e Federico Massa, ha avuto luogo il 20 maggio 2016. Il ciclo di audizioni previsto nel programma comprendeva dirigenti militari dell’Arsenale, responsabili delle diverse competenze in materia di sicurezza sul lavoro e di sorveglianza sanitaria, rappresentanti dei lavoratori sia militari che civili e la direttrice INAIL della regione Puglia.
Mappatura e bonifica. Rispondendo ad una specifica domanda in materia posta dall’onorevole Rizzo, il Contrammiraglio Salvatore Imbriani, Direttore dell’Arsenale di Taranto, ha chiarito che lo stabilimento in questione non è l’unico in cui vengono effettuate bonifiche dall’amianto, ma ve ne sono tre, compresa la sede di Brindisi. Per quanto concerne la gestione della mappatura, su stimolo fornito dall’onorevole Catalano, il Comandante ha fatto presente che il Comando logistico e lo Stato Maggiore gestiscono un database comprendente le mappature delle navi di tutta la Marina - allo stato attuale 58 unità -, che aggiornano continuamente sulla base delle informazioni che ricevono dagli arsenali responsabili della bonifica per conto del Comando logistico e dalle unità navali.
La mappatura è costituita da due documenti di riferimento: il primo è la cosiddetta mappatura di riferimento, l’altro è il supplemento; tra i due documenti la differenza è tuttavia minimale e limitata a qualche singolo componente. I commissari sono stati comunque informati del fatto che l’operazione di mappatura delle navi - effettuata dal RINA, ente di certificazione nazionale - è iniziata tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008.
Il Contrammiraglio ha specificato al riguardo che, sulla base di tale mappatura, delle 58 unità in carico all’Arsenale, 3 risultano amianto free, cioè sono state costruite successivamente al 1992, anno nel quale è entrata in vigore la legge n. 257 che ha bandito l’amianto dalle costruzioni. Altre 5 sono unità in disarmo, per le quali, tra l’altro, la mappatura è stata in buona parte effettuata.
Delle altre 50 unità, 30 sono state bonificate, ad esclusione degli elementi diffusi, considerando sia la mappatura di riferimento, sia il supplemento. Le altre 20 sono state bonificate secondo la mappatura di riferimento (ossia, ad esclusione degli elementi diffusi: piccoli componenti - guarnizioni, passaggi a ponte o paratia o interruttori - che sono distribuiti in grandissimo numero sulla nave e che, a detta del Contrammiraglio, si trovano in ottime condizioni).
All’interno dello stabilimento i dipendenti operano su navi certificate dal titolare asbestos free. Ogni volta si abbia un minimo dubbio circa la presenza di amianto a bordo i lavori si interrompono e viene avvisato il preposto, quindi intervengono unità di personale competente - classificato ESEDI, cioè esposto occasionalmente a situazioni che possono comportare la presenza di amianto -, il quale effettua le analisi chimiche e fornisce il responso finale. Il Contrammiraglio ha inoltre aggiunto che ogni volta che i lavori vengono sospesi si procede al rilievo delle fibre aerodisperse, le quali non hanno mai superato il limite prescritto dalla legge di 2 fibre/litro. Di contro, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Ignazio Barbuto ha sottolineato che, avuto riguardo ai primi anni successivi al 1992, mancano in svariati casi i dati relativi ai rilievi delle fibre aerodisperse prima delle operazioni di bonifica. Inoltre, Domenico Bellangino, coordinatore RSU, ritiene che sia necessario eliminare ab origine nella norma il limite di concentrazione delle fibre di amianto per litro, in quanto a suo parere (confortato dalla letteratura scientifica) è sufficiente una sola fibra di amianto per causare patologie tumorali a esso correlate.
Relativamente alla presenza di amianto nelle infrastrutture e nei cosiddetti PDR (pezzi di rispetto) è intervenuto il Dirigente Maricommi, Giovanni Di Guardo, il quale ha informato i commissari che, a partire dal 2010, è iniziata presso l’Arsenale una massiccia attività di smaltimento di tutti i materiali contenenti amianto, basata su uno studio iniziato nel 2013 presso il centro gestione scorte navali di La Spezia. Per l’attuazione di tale studio si è deciso di razionalizzare il settore distinguendo tre grandi macroaree: i materiali sicuramente contenenti amianto, i materiali di sospetto contenuto amiantoso e i materiali con sicura assenza di amianto. Per quanto concerne i materiali sicuramente amiantosi, ha tenuto a precisare che tali materiali sono stati messi in sicurezza e preclusi all’accesso ed al maneggio da parte di chicchessia. I materiali con probabile presenza di amianto sono fermi nelle scaffalature, dove erano ubicati quando sono stati comprati e sono contraddistinti da un’apposita connotazione informatica che ne impedisce la gestione. In ultimo, i materiali di recente introduzione e contrassegnati dall’etichetta AF, cioè asbestos free, sono ovviamente normalmente gestiti e somministrati.
Secondo le dichiarazioni rilasciate da Domenico Bellagino, Coordinatore RSU, la mappatura fornita dall’amministrazione non è affatto aggiornata.
Lavoratori in servizio o quiescenza esposti all’amianto. Per quanto riguarda il numero di esposti all’amianto, il Contrammiraglio Imbriani ha fatto presente che, in aderenza al Protocollo di sorveglianza sanitaria sul personale ex esposto approvato dallo Stato Maggiore nel 2015, vi è ad oggi un elenco complessivo di circa 350 persone. Il suddetto protocollo è stato elaborato distinguendo tra una sorveglianza sanitaria obbligatoria sul personale che ha ricevuto dall’INAIL il riconoscimento della situazione di ex esposto e la possibilità, per chiunque voglia aderire a questo protocollo di sorveglianza sanitaria, di sottoporsi a visita preventiva, anche se attraverso modalità e tempistiche “leggermente” diverse. Riguardo poi alle visite mediche di controllo nell’arco dell’intera vita lavorativa, esse vengono effettuate periodicamente dai medici competenti.
Salvatore Antonio Mirabile, medico competente dell’arsenale, ha successivamente parlato del DVR (Documento di valutazione dei rischi), all’interno del quale vengono riportati i rischi lavorativi per la salute dei lavoratori, precisando che sulla base di questo documento viene istruita e creata per ogni dipendente una scheda di rischio individuale, della quale si terrà conto per elaborare in maniera accurata un protocollo di sorveglianza sanitaria.
Per descrivere meglio la sua attività ai commissari, il medico competente ha precisato che il suo precipuo compito è quello di valutare solamente coloro che sono stati definiti dall’INAIL ex esposti, secondo un programma emanato dallo Stato Maggiore della Marina in sinergia con l’Ispettorato di sanità della Marina militare. Inoltre, egli ha sottolineato che vi sono due tipologie di soggetti: coloro i quali sono riconosciuti dall’INAIL come ex esposti e coloro i quali non hanno ricevuto tale tipo di riconoscimento. La Marina militare redige un protocollo sanitario sulla base del quale si rendono obbligatori nei confronti degli ex esposti la sorveglianza ed il controllo sanitario, mentre si offre la possibilità ai non ex esposti di essere valutati dal medico competente con una diversa periodicità. Gli ex esposti vengono visitati ogni due anni, tranne eventuali ulteriori prescrizioni del medico competente, mentre i non esposti (coloro che aderiscono espressamente al Piano di promozione alla salute), vengono valutati ogni tre anni attraverso analisi quali la spirometria e l’esame radiografico del torace in triplice proiezione; se poi si dovesse verificare la presenza di ulteriori problematiche, è previsto l’esame di seconda istanza costituito dalla TAC del torace.
Secondo la relazione introduttiva di Ignazio Barbuto, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, negli ultimi due anni il personale dell’arsenale non è stato più sottoposto a screening per amianto, nonostante le reiterate sollecitazioni degli RLS. Solo di recente l’Ispettorato della sanità militare ha avviato una serie di visite mediche, sia per gli ex esposti all’amianto accertati con certificazione INAIL, sia per coloro che ritengano di essere stati esposti, nell’ambito del programma di promozione della salute soggetto ad adesione volontaria. Relativamente ai lavoratori rientranti nella categoria di coloro che non sono mai stati esposti all’amianto (cosiddetti non ex esposti), lo stesso Ignazio Barbuto, rispondendo ad una precisa domanda posta dall’onorevole Catalano, ha sottolineato che, sia a Taranto sia a La Spezia, non si ha notizia di alcun lavoratore - forse solamente uno - che abbia consegnato domanda per aderire allo specifico programma volontario; questo, a suo avviso, è accaduto poiché, ad esempio, vi sono alcuni lavoratori che intendono sottoporsi ad analisi particolarmente invasive (dato confermato anche dalla dottoressa Fabiola Ficola, Direttore INAIL della regione Puglia).
Domenico Bellangino, Coordinatore RSU, ha fatto peraltro presente che la situazione di esposizione all’amianto non riguarda solamente l’arsenale, ma anche gli altri enti della Marina militare che insistono nel medesimo comprensorio.
La dottoressa Fabiola Ficola, Direttore INAIL della regione Puglia, ha quindi descritto nel merito l’attività dell’Istituto relativamente all’analisi dell’esposizione all’amianto dei dipendenti della Marina militare - quindi, negli arsenali e nel naviglio della Marina militare -, nonché negli altri corpi dell’amministrazione della Difesa, ovvero nell’Esercito, nell’Aviazione e in tutti gli altri settori in cui lavoratori civili e militari hanno presentato domanda. Tale attività, ha sottolineato la dottoressa Ficola, si è conclusa nel 2015 ed ha portato al riconoscimento dell’esposizione all’amianto per i dipendenti civili e militari degli arsenali fino al 1992 per alcune qualifiche e per alcuni reparti.
Servizio di prevenzione e protezione. Formazione e informazione dei lavoratori. Ad una precisa domanda in merito formulata dalla presidente Duranti, il Contrammiraglio Imbriani ha risposto che, anche nel periodo precedente l’inizio delle mappature e delle bonifiche (2007-2008), i lavoratori dell’Arsenale sono sempre stati formati ed informati sulle lavorazioni da effettuare, nonché sugli eventuali rischi a cui potevano andare incontro. Di contro, Domenico Bellangino, coordinatore RSU, ha invece sostenuto che un’informazione a tappeto sui rischi dell’amianto successivamente al 1992 non è stata mai fornita, se non alcuni anni fa.
Sul tema è intervenuto in maniera compiuta anche Pietro Damanti, Capo dell’ufficio prevenzione e protezione. Sollecitato dalla presidente Duranti, egli ha precisato che, riguardo all’attività di informazione, prevista alla legge n. 626 del 1994, è stata promossa dal 2000 al 2003 l’operazione denominata “porta a porta”, in base alla quale ogni operatore impegnato in ciascuna officina è stato portato a conoscenza di tutti i rischi a cui poteva andare incontro, con annessa descrizione di tutte le precauzioni da adottare per i singoli casi, descrizione poi riassunta per iscritto in uno specifico manualetto. Nel periodo 2009-2010, ha aggiunto Damanti, in occasione della visita dell’Ispettorato del lavoro, sono stati promossi corsi di formazione per le lavorazioni meccaniche chiamati «gestione del transitorio» e, per chiosare, ha fatto presente che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza vengono puntualmente informati di tutte le attività poste in essere in questo senso dalla dirigenza dell’arsenale. Secondo Ignazio Barbuto, responsabile dei lavoratori per la sicurezza, si è invece registrata, almeno per i casi segnalati, una mancata informazione circa il rischio specifico di esposizioni a polveri pericolose e una mancata dotazione di dispositivi di protezione individuale delle vie respiratorie, così come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, nel quale si dispone che “nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti a impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambito di lavoro e nell’ambiente di lavoro”.

MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI AUGUSTA
(1° luglio 2016)

Secondo le dichiarazioni rilasciate alla delegazione della Commissione dal capitano di vascello Giuseppe Sica, direttore dell’Arsenale di Augusta, il “tema dell’uranio impoverito non riguarda gli arsenali, per i quali sono maggiormente rilevanti i manufatti contenenti amianto” mentre i locali sotterranei sono sottoposti a controllo, per monitorare la “potenziale presenza” di radon. Lo stesso direttore ha precisato che, per quanto attiene all’amianto, i compiti della struttura cui è preposto riguardano il supporto alle unità navali e che ad Augusta sei navi (Cigala Fulgosi e i nuovi pattugliatori) costruite dopo il 1992, sono state consegnate alla Marina intorno all’anno 2001, e dalla certificazione del costruttore sono esenti da amianto (asbestos free).
Mappatura. Il direttore dell’Arsenale ha affermato quindi che per la parte infrastrutturale dell’Arsenale la mappatura dei manufatti contenenti amianto si è svolta tra il 2002 e il 2003. Il segretario provinciale difesa FP CGIL Sebastiano Trigilio (intervenuto anche a nome di CISL, UIL, USB FLP e Federazione intesa nonché della RSU di Marinarsen di Augusta) colloca invece l’inizio dell’attività di mappatura nel 2003.
Secondo quanto riferito dal capitano di fregata Maurizio Fareri, addetto al reparto supporto tecnico Marinarsen Augusta, alla fine del 2012 è stata realizzata una prima mappatura conoscitiva, “basata sull’aspetto squisitamente obiettivo” del materiale di cui si trattava; nel 2014, dopo queste mappature conoscitive del 2013-2013, l’arsenale ha appaltato un’analisi del rischio con caratterizzazione e ha avviato anche un’analisi ambientale con fibre aerodisperse MOCF (microscopia ottica in contrasto di fase) e poi SEM (microscopia elettronica in scansione) per i casi in cui si superavano le 2 fibre/litro MOCF. A fine 2014 si è svolta un’analisi di valutazione del rischio amianto, con le mappature di tutti gli ambienti di lavoro. Da quel momento in poi è incominciata una serie di appalti.
Non è chiaro l’andamento cronologico delle mappature: poiché il cap. Fareri, all’inizio dell’audizione ha precisato di occuparsi delle infrastrutture dell’arsenale, e non anche alle navi, è presumibile che si riferisca solo a questa parte, per la quale ha peraltro descritto sommariamente strutture e macchinari dove era possibile trovare amianto. Se ne desume che c’è una differenza tra mappatura dei manufatti contenenti amianto e mappatura conoscitiva, ma permane la perplessità sul fatto che quasi dieci anni separano queste attività, e lo stesso periodo di tempo separa comunque l’avvio delle attività di mappature (anche se il cap. Sica aveva specificato che alcune attività di bonifica sono state poste in essere prima dell’inizio della mappatura) dall’approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 recante le norme relative alla cessazione dell ’impiego dell ’amianto.
Per quanto concerne il naviglio, il direttore Sica ha fatto presente che tra il 2007 e il 2008 è stata avviata dal Registro navale italiano la mappatura per individuare le aree in cui erano concentrati i manufatti contenenti amianto, conclusa nel 2010. A oggi sono state eseguite dall’Arsenale 41 mappature, e le attività devono essere completate su nove unità: una è in corso (nave Linosa) ed entro fine anno si conta di farne altre due o tre, a seconda delle disponibilità che ci saranno. Sembrerebbe quindi che a una mappatura generale effettuata a cura del RNI sia seguita una mappatura specifica effettuata dall’Arsenale. Occorrerebbe pertanto chiarire meglio le rispettive funzioni, tanto più che, a fronte di una mappatura generale conclusasi nel 2010, quella a cura dell’Arsenale sembra ancora in corso, a distanza di sette anni dalla conclusione della prima: un periodo di tempo indubbiamente molto diluito a fronte della gravità del problema costituito dall’esposizione professionale all ’amianto.
Di un certo interesse, a proposito dei tempi di avvio e realizzazione delle procedure di mappatura e di bonifica, risultano le affermazioni del capo sezione pianificazione dell’Arsenale di Augusta, capitano di fregata Marco Merluzzi, il quale nella sua audizione ha affermato testualmente: “In pratica, il 2007 è un anno spartiacque per la Marina militare perché prima non esistevano delle mappature strutturata a bordo delle navi, quindi le bonifiche erano eseguite sulla base dell’evidenza documentale e sulle richieste di bordo. Dal 2007 lapolicy della forza armata è diventata strutturata, quindi sono state commissionate delle mappature amianto nei riguardi del registro navale. Quindi, sulla scorta di queste mappature amianto concorriamo alla bonifica delle unità navali con lo scopo di raggiungere lo status di unità navale bonificata, a meno degli elementi diffusi.” Se ne può desumere, in qualche modo, non tanto l’assoluta assenza di interventi specifici per la rimozione dell’amianto da parte della Marina militare, bensì il carattere sporadico ed episodico degli interventi stessi, protrattosi per il quindicennio successivo all’approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 recante le norme relative alla cessazione dell ’impiego dell ’amianto.
Bonifica. Il direttore Sica ha affermato: “Sulla base di queste mappature viene svolta l’attività di bonifica, ovviamente in relazione alle risorse finanziarie che si rendono disponibili” (nel corso dell’audizione il tema della ridotta disponibilità di risorse è stato richiamato più volte); il direttore ha altresì precisato che attualmente, per la bonifica delle navi c’è un contratto centralizzato con la ditta Tecnosit (mandatario, perché poi c’è un sottostante di aziende) per tutti e tre gli arsenali, approntato dalla Direzione degli armamenti navali, con dei budget allocati per ciascun arsenale. Per le fibre aerodisperse i contratti sono fatti su fondi di ordine, mentre per rimuovere i pluviali, che sembrerebbero essere gli unici manufatti di mianto ancora presenti nell’Arsenale, occorrerebbe coprire parte della spesa con risorse proprie.
La responsabilità dello smaltimento è in carico alla ditta che si aggiudica l’appalto e svolge le attività; l’arsenale non procede alla verifica di conformità se non riceve il formulario dell’effettuato smaltimento.
Sempre per quanto riguarda le navi, sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo vista la genericità di alcune risposte) che per il coordinamento delle specifiche per le attività di bonifica navale relative al contratto centralizzato di Navarm e per le verifiche ambientali eseguite da ditte esterne, i compiti di controllo e di verifica di conformità delle attività eseguite spettino al caporeparto manutenzioni navali, capitano di vascello Salvatore Gianino, che, nel corso della sua audizione ha precisato che il suo reparto è il destinatario dei risultati delle analisi effettuate e dei formulari riguardanti la regolarità dello smaltimento. Non è del tutto chiaro come lo svolgimento delle attività di coordinamento delle specifiche per le attività di bonifica navale sia compatibile con il controllo di tale attività: anche se le predette specifiche sono indicate centralmente da NAVARM, non si può dire che vi sia piena separazione tra controllato e controllore. Un ulteriore elemento di perplessità, circa tale sovrapposizione di competenze, deriva dal fatto che il «documento di restituibilità», che certifica l’avvenuta bonifica dei locali e assicura che il locale e restituibile agli impieghi del personale di bordo, in precedenza predisposto dalla Asl (fino al 2010) è ora prodotto dall ’organismo di vigilanza della Marina militare (Marivigilanza).
Al completamento delle bonifiche non vengono presi in considerazione gli elementi cosiddetti «diffusi», ossia i piccoli componenti diffusi sulla nave (piccole guarnizioni o interruttori) per i quali per dimensione e posizionamento non è stato ritenuto utile procedere, che vengono trattati come potenzialmente contenenti amianto. A questo proposito il RSL Lo Giudice ha precisato che a bordo delle navi “ci sono degli interruttori, soprattutto quelli di grosso amperaggio, che usano come dielettrico proprio l’amianto” ed ha aggiunto: “A tutt’oggi inoltre la rimozione dell’amianto dalle unità navali non è stata ancora completata e non abbiamo un documento in cui sia scritto quali siano le navi sulle quali andiamo a prestare servizio in cui ancora non è stata conclusa la rimozione dell’amianto tuttora in corso”. Poiché a quanto risulta l’amianto presente negli interruttori non è stato rimosso, occorrerebbe verificare se questa informazione sia presente all’interno del DVR e, comunque, se i lavoratori impiegati sulle navi abbiano avuto informazioni adeguate e precise indicazioni in ordine al comportamento di adottare in caso di riscontrata presenza di amianto. Tale punto, peraltro è emerso con chiarezza dagli interventi dei componenti della delegazione successivi alle dichiarazioni del RSL.
Nella parte infrastrutturale dell’Arsenale l’amianto “è stato via via eliminato”; restano dei pluviali esterni su delle strutture di lunghezza variabile, che si conta di eliminare quanto prima.
Sulla bonifica degli ambienti di lavoro, il cap. Fareri ha precisato che la parte principale delle attività si è svolta tra il 2005 e il 2006, con la sostituzione della maggior parte delle coperture e il monitoraggio di quelle restanti, ivi compresi i pluviali. È da notare, a questo proposito, anche quanto ha riferito il Capo reparto magazzini supporto navale Maricommi Augusta, capitano di fregata Marcello D’Angelo, sui tre magazzini di pezzi di ricambio; per due di essi la mappatura dei componenti contenenti amianto è completata e una parte è stata smaltita mentre l’altra è in via di smaltimento in quanto è stata avanzata alle autorità competenti la richiesta di fondi (circa 1.700 euro)
Lavoratori in servizio o in quiescenza esposti all’amianto; riconoscimento dell’esposizione. Secondo le dichiarazioni del direttore Sica, il personale dell’Arsenale non svolge attività di bonifica. A bordo esistono dei team abilitati per intervenire nel caso in cui ci dovesse verificarsi quello che viene definito «evento amianto» (per esempio, una piccola lesione). I team intervengono, però, esclusivamente per la messa in sicurezza. Hanno dei kit e operano nell’ambito della ESEDI (esposizione sporadica e di debole intensità).
32 dipendenti civili e 4 dipendenti militari (il cap. Sica ha fatto presente che il turn over del personale militare è più frequente, e quindi il dato è suscettibile di modifica) dell’Arsenale sono stati riconosciuti esposti dall’INAIL, e sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria. Secondo il segretario provinciale della FP CGIL difesa, mancando la documentazione sulle mansioni svolte dal singolo lavoratore, nessuna amministrazione della difesa stessa ha rilasciato ai dipendenti una certificazione di esposizione.
Al dato sui dipendenti dell’Arsenale si deve aggiungere l’altro, fornito dal direttore della sede INAIL di Siracusa e Ragusa, riguardante l’esposizione all’amianto dell’insieme dei dipendenti civili della difesa residenti nell’area di sua competenza. L’audito ha quindi riferito di 164 domande di riconoscimento dell’esposizione all’amianto (“congelate” dal 2005), di cui 82 hanno avuto esito positivo. Il direttore ha precisato che, poiché la sede INAIL riceve le domande delle persone residenti nella provincia, i richiedenti potrebbero avere svolto l’attività riconducibile all’esposizione presso altri siti, diversi dall’Arsenale di Augusta, per cui i dati forniti sono compatibile con il numero di 32 esposti indicati dal direttore dell’Arsenale.
Con riferimento al decreto legislativo n. 81, il cap. Gaudioso (salvo poi precisare le sue affermazioni in una fase successiva della sua esposizione, relativa alla sorveglianza sanitaria) ha contestato che i 32 lavoratori cui ha fatto riferimento il capitano Sica possano essere considerati ex esposti, poiché sono considerati tali, ai sensi dell’art. 259, comma 2 del decreto legislativo n. 81, e soggetti pertanto a sorveglianza sanitaria “i lavoratori che durante la loro attività sono stati iscritti anche una sola volta nel registro degli esposti di cui all'articolo 243, comma 1”. Richiamandosi quindi al combinato disposto dell’art. 243 e dell’art. 246 del decreto legislativo n. 81, che definisce esposti i lavoratori impiegati in attività “quali manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate”, il cap. Gaudioso ha concluso che nella Marina militare non vi sono esposti di tipo professionale, poiché tale attività non è mai stata svolta da nessuna categoria dei dipendenti della difesa. Pertanto, non sarebbe necessario effettuare la sorveglianza sanitaria che si applica per le persone professionalmente esposte.
Si osserva peraltro, come rilevato anche dalla Presidente nel corso dell’audizione, che i benefici pensionistici connessi al riconoscimento dell’esposizione sono previsti anch’esse dalla legge essendo disciplinati ai sensi dell’art. 23 della legge n. 257, che stabilisce i requisiti per l’accesso ai benefici medesimi, tra i quali non si riscontra l’iscrizione al registro degli esposti, che quindi, diversamente da quanto ha affermato il medico competente dell’Arsenale, non costituisce l’unico requisito richiesto per il riconoscimento dell’esposizione; inoltre, mentre l’articolo 245 del decreto legislativo n. 81 considera esposti i lavori impiegati nelle bonifiche, poiché tiene conto del divieto legale di utilizzazione dell’amianto vigente dal 1992, i casi di esposizione precedenti a tale data possono riguardare anche lavoratori impiegati, con altre mansioni, in lavorazioni contenenti amianto. Ciò vale ancora di più nel caso della Marina militare, e in particolare per il personale imbarcato, dove, a quanto risulta dalle dichiarazioni degli auditi, per un periodo di almeno un decennio le prescrizioni della legge n. 257 del 1992 sembrano essere rimaste inattuate.
In passato, quindi, si son verificate situazioni di esposizione, poiché risulta agli auditi che l’INAIL ha riconosciuto i benefici previdenziali e lo “scivolo” pensionistico a elettricisti e motoristi. Peraltro, il cap. Fareri, interpellato sull’esposizione all’amianto dei lavoratori militari e civili prima del 1992, non è stato in grado di fornire dati certi, esprimendo però l’avviso che per alcune categorie (saldatori) vi possa essere stata esposizione nel periodo summenzionato.
A tale proposito, il segretario provinciale FP CGIL difesa ha ricordato che nel comprensorio di Pantano Danieli dell’Arsenale Marina Militare di Augusta e all’interno dello stesso stabilimento esistevano dei magazzini in cui venivano depositati sia manufatti in amianto, sia sacchi contenenti amianto in polvere utilizzato dai calderai per la realizzazione e la lavorazione di coibenti di parti di apparati navali e di pannelli in amianto. Il magazzino contenente sacchi di amianto risulterebbe dismesso nel 1991, mentre le organizzazioni sindacali non sanno se nel magazzino ubicato nel comprensorio di Pantano Danieli e nell’officina carpentieri in ferro sia stata completata la bonifica dell’amianto, anche con riferimento ai lavori i risanamento dell’officina carpentieri del 2005-06. Peraltro, sembrerebbe che le organizzazioni sindacali non escludano che vi sia un rischio di esposizione tuttora attuale, come risulta anche dalla seguente affermazione del segretario provinciale della CGIL riportata nel resoconto stenografico: “Detta officina era ed è ancora ubicata proprio di fronte l’ingresso della mensa aziendale, davanti alla quale passavano e passano tutt’oggi tutte le maestranze per recarsi a pranzo, quindi potenzialmente a rischio di esposizione amianto”.
Alle organizzazioni sindacali risulta inoltre che “dipendenti adibiti a queste lavorazioni sono deceduti in servizio a causa di patologie tumorali ai polmoni. Stessa sorte è toccata ad altri dipendenti in servizio adibiti alle lavorazioni, ai magazzini e negli uffici”. Tuttavia non è possibile disporre di dati sull’incidenza e correlazione di mortalità a causa dell’esposizione all’amianto, in quanto all’insorgere di gravi patologie tumorali il dipendente viene dichiarato inidoneo al servizio e inabile permanente, collocato anticipatamente in quiescenza, quindi se ne perdono le tracce. Anche sulla base di un ’analoga dichiarazione del medico competente, occorrerebbe forse approfondire il profilo del rapporto tra sanità militare e sanità civile, con la previsione di forme i collaborazione e della possibilità per il personale posto in congedo di potersi avvalere delle strutture e dei servizi della sanità militare.
Occorre infine richiamare la segnalazione del segretario provinciale della FP CGIL difesa circa la presenza di una problematica relativa all’esposizione all’amianto per tutti gli enti che insistono nel comprensorio della Marina militare di Augusta (Maricommi, Marigenimil, l’ex Maribase oggi Marisicilia e anche Maristanav). Fino a qualche anno fa, secondo l’audito, fa a Maribase, ora Marisicilia, l’autoreparto così come la squadra lavoro abitava per 8 ore al giorno nei capannoni con i tetti di amianto, così come a Marigenimil esisteva una squadra lavori che tagliava con il flex la tubazione di amianto che portava l’acqua.
Il segretario provinciale USB, Francesco Gianini ha sollevato il problema delle confezioni di amianto, e in particolare della carta VCI, utilizzata come involucro per pezzi di ricambio e oggetto di una circolare del 1994 dell’Ispettorato logistico, relativa allo smaltimento di questo materiale, contenente un certo quantitativo di amianto. Tale circolare, secondo l’audito, risulta disattesa e la VCI tuttora utilizzata, sebbene in misura molto ridotta.
Sorveglianza sanitaria. Il cap. Gaudioso ha quindi risposto ad alcune domande poste dalla Presidente e dai componenti della Commissione, aventi ad oggetto lo svolgimento della sorveglianza sanitaria, precisando in primo luogo che, ai sensi dell’art. 41 del decreto legislativo n. 81 sono sottoposti a detta sorveglianza solo i lavoratori per i quali il DVR riconosce un rischio per la salute. Pertanto, ha dichiarato di non sottoporre a visite mediche periodiche tutti i 336 lavoratori dell’Arsenale, e ha altresì dichiarato che sono “sottoposti a sorveglianza sanitaria tutti quelli che hanno fatto domanda all’INAIL, indipendentemente da quello che [l’INAIL] risponde”.
Si osserva in proposito che l’art. 41, comma 2, lettera b) afferma: che la sorveglianza sanitaria si effettua mediante “visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente”. La disposizione sembrerebbe essere indirizzata alla generalità dei lavoratori (come peraltro ha rilevato la Presidente, citando il caso delle visite periodiche effettuate presso l’Arsenale di Taranto) e non solo a quelli per i quali il DVR indica la presenza di un rischio specifico. È appena il caso di notare, poi, che il sistema di vigilanza interna all’ordinamento militare rende assai improbabile la possibilità di dare attuazione all’ultimo periodo della disposizione
Il cap. Gaudioso ha quindi precisato di svolgere l’attività di sorveglianza sanitaria tenendo conto anche di “uno strumento di promozione della tutela” predisposto dalla Stato Maggiore della Marina che rende possibile al personale che presume di essere stato esposto e che aderisce volontariamente a questo protocollo di essere sottoposto a controllo, anche se non dovesse avere in piedi la pratica di riconoscimento con l’INAIL. Il disciplinare è in corso di emissione, ma sono state anticipate delle linee-guida con dei diagrammi di flusso per il datore di lavoro e per il medico competente per dare un orientamento su come comportarsi. A quanto risulta dalle dichiarazioni del medico competente, sembrerebbe che dei lavoratori dell’Arsenale - pur adeguatamente informati - nessuno abbia aderito al predetto protocollo e richiesto di essere sottoposto a visita. Lo stesso ufficiale, rispondendo a una domanda della Presidente ha poi precisato le sue dichiarazioni preliminari, chiarendo che i 32 lavoratori che hanno ottenuto il riconoscimento da parte dell’INAIL sono sottoposti a sorveglianza sanitaria in quanto ex esposti all’amianto. Ha quindi dichiarato di non conoscere il numero di coloro che hanno contratto patologie asbesto correlato a seguito dell’esposizione, in considerazione del lungo periodo di latenza, per cui le patologie si manifestano il più delle volte quando i lavoratori sono in pensione, e quindi al di fuori della giurisdizione della sanità militare. Qualche elemento di informazione in più, a tale proposito, è emerso dall’audizione del RSPP (che ha confermato la presenza di soggetti esposti all’amianto anteriormente al 1992) e del RSL (che ha fattori riferimento, per lo stesso periodo, ai calderai, alcuni dei quali gli risulta siano deceduti per patologie tumorali ai polmoni). Ad avviso del cap. Gaudioso, infine, “i fattori di rischio più frequenti sono rumore, videoterminale e il rischio biologico dovuto all’attività del recupero migranti.”
Concentrazione e valori soglia dell’amianto. Rispondendo ad alcuni quesiti posti dall’on. Zardini, il cap. Merluzzi ha precisato che, per quanto riguarda l’esposizione all’amianto, la Marina militare è sottoposta alle legislazione vigente e che, dal momento dell’assunzione dell’incarico non ha evidenza di rilevazioni di valori oltre la soglia predisposta dalla legge: per quanto concerne le navi, il capitano Merluzzi ha dichiarato di non avere evidenza di luoghi di lavoro dove - come, per esempio, all’apparato motore -i valori delle fibre/litro rilevate siano decisamente diversi da altri luoghi di lavoro o comunque superiori ai limiti definiti per legge.
Servizio di prevenzione e protezione. Formazione e informazione dei lavoratori. Da quanto risulta dall’audizione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione (Vincenzo Scamporlino), a partire dal 2004, cessato l’affidamento della funzione di RSPP a soggetti esterni, la gestione dell’amianto a terra è stata affidata al Capo divisione DSA (all’epoca il cap. Fareri): pertanto, successivamente a tale data “l’UPP non ha avuto più contezza di quello che succedeva perché era gestito in prima persona dal Capo divisione che doveva riferire direttamente al direttore dell’Arsenale”. L’audito ha anche riferito che l’ultima mappatura dell’amianto a terra è stata svolta congiuntamente all’addetto al reparto servizio tecnico, che ha ereditato le precedenti funzioni del DSA. Probabilmente l’audito si riferisce all’analisi della valutazione del rischio amianto svoltasi, secondo il cap. Fareri, alla fine del 2014. Poiché il RSPP ha dichiarato di avere assunto l’incarico dal febbraio 2015, si deve presumere che la valutazione predetta si sia protratta anche successivamente alla fine del 2014. Inoltre, poiché l’articolo 33, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 81 prevede che il servizio di prevenzione e protezione provvede “all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale” la circostanza per cui dal 2004 il responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, come è stato affermato, non ha avuto contezza della gestione del rischio amianto (non si capisce bene per quanto si sia protratta tale condizione di ignoranza) risulta in contrasto con la lettera e lo spirito della legge, così come suscita qualche perplessità ed è meritevole di chiarimento, il fatto che tra la fine del 2014 e il 2015 il compito di gestire il rischio amianto sia stato condiviso tra il RSPP e l’addetto al reparto servizio tecnico.
Un altro punto riguarda la formazione e informazione del personale: conseguentemente a quanto affermato in precedenza sull’assenza di un rischio di esposizione all’amianto per i dipendenti dell’Arsenale, il RSPP ha dichiarato di non avere notizia di corsi di formazione in materia dall’inizio del 2000 a oggi; per il resto, ha precisato che “per quanto riguarda la formazione in generale il 90 per cento del personale di Marinarsen Augusta è formato” e che al momento “tutto il personale è stato informato dei rischi in generale”. Il RSPP ha quindi aggiunto che per i lavoratori dell’Arsenale che prestano la loro attività a bordo delle navi sono previste procedure di sicurezza in base alle quali l’esecuzione dell’ordine di effettuare alcuni lavori è subordinata alla richiesta della scheda di sicurezza del luogo dove dovranno svolgere l’attività. Sullo stesso argomento, il segretario della FP CGIL difesa ha fornito un quadro meno rassicurante, rilevando che le lavorazioni sia a bordo delle unità navali contenenti amianto in ogni suo apparato che a terra venivano effettuate senza adeguata protezione anche molti anni dopo il 1992 e che le tute indossate dai lavoratori risultavano anch’esse veicolo di diffusione delle fibre di amianto non solo nell’ambito lavorativo, inclusa la mensa aziendale, ma anche in ambito familiare, in quanto le stesse venivano e vengono portate tutt’oggi a casa per il consueto lavaggio.
Non è chiaro che cosa avvenga quando dalla scheda di sicurezza risulti un rischio di esposizione. Premesso inoltre che, dalle parole degli uditi, risulta che vi sono lavoratori dell’Arsenale che prestano attività di lavoro sulle navi (lo ha confermato anche il RLS Giovanni Lo Giudice) e che non tutte le navi risultano bonificate, non sembra del tutto congrua l’affermazione del RSPP che esclude categoricamente la sussistenza di un rischio di esposizione all’amianto. Analoghe perplessità desta la circostanza che sul rischio amianto non sia stata svolta alcuna attività specifica di formazione dei lavoratori e non siano stati forniti dispositivi di protezione individuale.
Queste perplessità sono suffragate anche dalle affermazioni del RLS Giovanni Lo Giudice, che si riportano integralmente dal resoconto stenografico: “Le categorie di lavoro interessate dall’esposizione all’amianto erano molteplici, perché è vero che abbiamo quasi completato i corsi di formazione, però sono generici, sul rischio amianto non sono previsti. È anche vero che nel DVR, siccome il rischio di amianto è quasi a zero, a terra non siamo esposti (io sono un operaio che va a lavorare a bordo), però andiamo a lavorare anche a bordo, e per il fatto che andiamo a lavorare a bordo onestamente, a quanto so, un corso specifico sul rischio amianto non è stato mai fatto.”
Analoghe preoccupazioni sono state espresse anche dal segretario della FP CGIL difesa, che, a conclusione del suo intervento ha affermato “che tutti i lavoratori sono stati e sono tutt’oggi potenzialmente esposti alle fibre dell’amianto”, auspicando oltre che un forte impulso alle bonifiche ambientali (che quindi secondo l’audito risulterebbero ancora incomplete) e all’attività di sorveglianza sanitaria “considerata la continua esposizione perdurata nel tempo”, anche l’introduzione di modifiche della normativa vigente con la revisione del coefficiente del periodo di esposizione per tutta la vita lavorativa, e il conseguente riconoscimento del diritto al pensionamento anticipato.
Anche l’affermazione del RSPP relativa la fatto che “non tutti i lavoratori sono dotati del DP, per una questione di natura economico-finanziaria” dovrebbe essere meglio chiarita; si adombra infatti la possibilità che i livelli di tutela di un bene costituzionalmente protetto come l’integrità psicofisica dei lavoratori possano risultare ridotti per ragioni di carattere finanziario.
Sulla situazione ambientale del territorio di Augusta è stato sentito, in seduta segreta, il rappresentante di Legambiente Enzo Parisi; questi ha ricordato preliminarmente che l’area è stata dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale agli anni Novanta e nel 1995 è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica il Piano di risanamento, poi rimasto inattuato; di conseguenza, secondo la un passata pronuncia della Commissione Ambiente del Senato, si tratta di un’area oggi in conclamata crisi di rischio ambientale. Tutte le matrici ambientali erano e sono fortemente deteriorate, dall’acqua ai suoli al mare, e naturalmente anche la salute delle persone che vivono nel territorio che va da Augusta fino a Siracusa. Nel 2000, l’area è stata inserita tra i siti di interesse nazionale ai fini delle bonifiche, e comprende circa 6.000 ettari di suoli nella zona industriale e circa 10.000 ettari di specchio d’acqua, dal porto di Augusta a quello di Siracusa. Ad oggi il primo stanziamento di circa 106 milioni di euro è servito soprattutto per i monitoraggi e la caratterizzazione del sito, ma solo alcune questioni sono state affrontate, tra cui quella della presenza della ex Eternit alle porte di Siracusa, parzialmente risolta; resta il fatto che, a causa della presenza di aziende come la Moncalieri che hanno lavorato amianto e che sono state messe in sicurezza sette-otto anni fa, nell’area di Augusta e Siracusa l’incidenza del mesotelioma pleurico raggiunge livelli molto elevati, intorno a 3,5 volte l’indice nazionale. Il Registro territoriale delle patologie dell’ASP 8 di Siracusa, commentando tale dato percentuale, afferma in proposito che «l’esposizione professionale o abitativa alle fibre di amianto è la causa primaria dei tumori della pleura. In provincia di Siracusa le principali fonti di esposizione professionale sono costituite dalle dismesse fabbriche di Eternit e di Priolo e dai cantieri navali di Augusta».
È pertanto preoccupante che ai rischi già esistenti (ampiamente documentati da studi dell’Istituto superiore di sanità, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e del CNR, riconducibili al noto studio Sentieri) se ne aggiungono di nuovi: l’anno scorso, sono arrivate da Taranto circa 10.000 tonnellate di polveri da altoforno che sono state scaricate ad Augusta (temporaneamente secondo il Ministro dell’Ambiente), che avrebbero potuto arrivare a 100.000, se non l’avesse impedito la protesta popolare. In questo contesto si colloca l’Arsenale, i cui fondali prospicienti le banchine sono contaminati in maniera grave da metalli pesanti, idrocarburi e, secondo l’ISPRA, andrebbero bonificati immediatamente. Questo appello è rimasto inascoltato e le navi continuano a muoversi lungo quei fondali e con il movimento delle eliche rimettono in sospensione gli inquinanti lì depositati. Inoltre, nel vicino deposito di carburanti marini della Maxcom sono stoccate più o meno 40.000 tonnellate di gasoli e di oli combustibili che servono per il rifornimento delle navi. A parte le emissioni fuggitive che derivano dai serbatoi, l’area intorno è tutta contaminata e va bonificata; un poco oltre ci sono i bacini sia della Marina Militare sia quelli privati dell’EBA, dove sono avvenute operazioni in cui sono liberate le fibre di amianto. In passato nell’Arsenale c’è stata esposizione alle fibre di amianto, anche nelle aree prospicienti la mensa. Il rappresentante di Legambiente ha posto in luce “un evidente scollamento tra gli enti di controllo, di tutela, di monitoraggio e di sorveglianza sanitaria”, osservando che anche dall’intervento del rappresentante dell’INAIL risulta che i dati dell’Istituto non sono coordinati con i dati per esempio dell’INPS e dell’ASP. Ha aggiunto che una ventina di anni fa il comune di Augusta fece un biomonitoraggio riscontrando una presenza di uranio fuori norma. Rispondendo a un quesito dell’on, Rizzo, ha poi fatto cenno all’area di Punta Izzo, utilizzato come poligono dalla Marina fino agli anni ‘90, poi dismesso. Legambiente auspica che, previa bonifica dei residui del munizionamento a suo tempo utilizzato e considerato che la Marina ha smentito che vi sia un’ipotesi di riattivazione del poligono, l’area venga destinata a Parco, considerato il suo elevato valore paesaggistico e storico.
Vincenzo Scamporlino, R.S.P.P. Marinarsen Augusta, ha poi fatto presente che le misurazioni delle onde magnetiche effettuate dal CISAM non hanno rilevato superamenti della soglia di emissione prescritta dalla legge, e il segretario provinciale della FP CGIL difesa ha parlato della banchina lavori costruita in Arsenale, definendola “una cattedrale nel deserto”: infatti, il dragaggio per costituire la profondità all’attracco delle navi per i lavori non può essere effettuato perché nel fondale marino esistono metalli pesanti come il mercurio. Gli operatori dei pontoni che fanno capo a Maristanav e sono addetti a salpare le ancore delle navi militari ormeggiate, ancore che toccano il fondo marino e quando risalgono sono piene di fanghi e quindi di metalli pesanti, effettuano questo lavoro a mani nude. Il rischio dei metalli pesanti e dei fondali marini all’interno del porto di Augusta è dunque un rischio concreto.


MISSIONE PRESSO L’ARSENALE DELLA MARINA MILITARE DI LA SPEZIA
(28 luglio 2016)

In adempimento dei compiti fissati dall’art. 1 della delibera istitutiva del 30 giugno 2015 e specificamente della lettera f), la Commissione di inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito ha svolto una serie di approfondimenti sui rischi associati alla presenza di materiali contenenti amianto negli ambienti in cui il personale militare e civile del Ministero della Difesa presta servizio.
La parte più significativa di tali approfondimenti, in cui rientra anche la visita di La Spezia, è stata resa possibile dallo svolgimento di una serie mirata di sopralluoghi negli arsenali della Marina militare (segnatamente quelli di Taranto, Augusta e appunto La Spezia), diretti ad acquisire un quadro fattuale aggiornato delle condizioni ambientali e di lavoro dei dipendenti della Difesa ivi impiegati, anche attraverso audizioni finalizzate a stabilire un contraddittorio fra i diversi soggetti interessati al tema della sicurezza dei lavoratori in questi luoghi di lavoro.
La visita all’arsenale di La Spezia ha avuto luogo il 28 luglio 2016 ed è stata svolta da una delegazione della Commissione guidata dalla Vicepresidente Donatella DURANTI (SI-SEL)e composta dai deputati Gianluca RIZZO (M5S) e Paola BOLDRINI (PD). Il ciclo di audizioni in forma libera previste del programma ha avuto inizio con una relazione introduttiva svolta dal direttore dell’Arsenale, il Contrammiraglio Livio CECCOBELLI.
Mappatura e bonifica. Relativamente alle attività di mappatura, il direttore dell’Arsenale ha citato la circolare n. 45 del 10 luglio 1986 emessa dall’allora Ministero della sanità che, come egli stesso ha tenuto a ricordare, «forniva indicazioni in tema di localizzazione e caratterizzazione dei materiali contenenti amianto, procedure per valutare il livello di contaminazione ambientale e direttive tecniche per le operazioni bonifica». A seguito di tale atto amministrativo, l’ultimo contratto stipulato dall’arsenale che prevedeva ancora l’acquisto di materiale coibente con amianto risale al 16 ottobre 1986; da allora, non risulta siano stati più acquisiti materiali del genere e si è andati alla ricerca di materiali coibenti alternativi.
Il 29 giugno del 1988 è stato emanato un ordine di servizio temporaneo, il n. 25, con cui l’arsenale ha adottato un regolamento interno di sicurezza per le operazioni di bonifica. L’ordine di servizio ha istituito presso il laboratorio chimico un settore denominato “Accertamenti di gas free e igiene ambientale”, al quale sono stati, tra gli altri, devoluti i seguenti compiti: monitoraggi ambientali nei locali oggetto di operazioni di bonifica, analisi dei campioni dei monitoraggi eseguiti, sorveglianza delle attrezzature e dei mezzi di protezione utilizzati dai lavoratori delle ditte o di Marinarsen.
Nel 1989, al fine di rafforzare le dotazioni interne al laboratorio chimico, veniva acquistato un microscopio per eseguire la cosiddetta analisi MOCF (microscopia ottica in contrasto di fase). In un momento successivo è stato acquisito anche un microscopio elettronico a scansione (SEM), in grado non solo di rilevare il numero di fibre, ma anche di accertare se effettivamente esse fossero o meno di amianto. Attualmente, così come specificato dal Contrammiraglio Ceccobelli, le analisi delle fibre disperse, il cui campionamento viene effettuato dall’arsenale, sono eseguite dal CSSN (Centro di Supporto e Sperimentazione
Navale), mentre per quanto riguarda le analisi massive viene fatto ricorso a ditte e a laboratori specializzati in questo settore.
Nel 1998 è stato effettuato il censimento amianto previsto dalla legge n. 257 del 1992 e dal successivo decreto ministeriale del 1994 attraverso la rilevazione e la caratterizzazione dei manufatti contenenti amianto all’interno dei fabbricati in uso a Marinarsen. A seguito del censimento ha avuto inizio una serie di opere di bonifica realizzate, a seconda dei casi, mediante rimozione o confinamento.
Una menzione a parte va fatta per le cosiddette opere protette, una serie di officine realizzate nel dopoguerra con fondi NATO e ubicate all’interno di una collina del versante ovest, oltre il muro di cinta della base, pensate per continuare ad operare con l’arsenale nel caso di incursioni aeree e, purtroppo, coibentate con pannelli costituiti al 100 per cento da amianto. Alle preoccupazioni manifestate dall’onorevole Paola Boldrini, l’Ammiraglio Roberto CAMERINI ha risposto che si tratta di aree scavate all’interno di una montagna e totalmente inaccessibili.
All’onorevole Gianluca Rizzo, che ha sollevato la questione relativa alla discarica di Campo in ferro di pertinenza dell’arsenale, l’Ammiraglio Camerini ha risposto che, essendo stati trovati fondi da SEGREDIFESA, sta per partire la sperimentazione per una fitorimediazione del sito che durerà un anno e alla quale seguirà la bonifica vera e propria, che però non sarà completata prima di tre o quattro anni.
In definitiva, per la parte a terra, il Contrammiraglio Ceccobelli ha informato la delegazione circa la disponibilità di una cifra complessiva di 233.000 euro - derivante da finanziamenti e controprestazioni relative ad un contratto di permuta (l’arsenale svolge anche attività a beneficio di aziende esterne) - attraverso cui è stato eliminato amianto da quattro delle cinque gru in fermo tecnico e da sette carriponte, in aggiunta ad un certo numero di bonifiche minori. Ad ogni modo, ha sottolineato il Contrammiraglio, tutto ciò che non si riuscirà a fare con questo finanziamento rientrerà sicuramente nella dotazione prevista dal piano triennale (2016-2018), cosiddetto Brin.
Venendo ora alla trattazione della mappatura e bonifica delle unità navali, il Contrammiraglio Ceccobelli ha fatto presente che l’arsenale svolge un’attività di mantenimento in efficienza delle stesse. Delle unità navali in servizio, che rientrano quindi nella competenza della base di La Spezia, la cui manutenzione è affidata all’arsenale, e che sono oggetto di attenzione riguardo alle problematiche dell’amianto, vi è un elenco di 60 unità. In quest’elenco sono comprese tutte le navi a prescindere dalle dimensioni, purché abbiano un equipaggio fisso a bordo, quindi dalle più grandi, come la Scirocco, fino al livello dei rimorchiatori portuali, quelli che hanno comunque un equipaggio fisso a bordo, i cosiddetti RP.
Per quanto riguarda la gestione del problema amianto, a queste unità navali si aggiungono 14 navi in disarmo e 257 cosiddetti mezzi minori.
Sollecitato dalla presidente Duranti circa la particolare situazione concernente le navi in disarmo, il Comandante Ceccobelli ha specificato che attualmente è programmata la demolizione di due unità navali. Oltre a queste, vi è un elenco di navi sulle quali è stato concluso un protocollo d’intesa tra il Ministero della difesa e la regione Toscana, secondo cui il Ministero deve rendere disponibile un certo numero di navi per far funzionare il polo demolizioni navali di Piombino; quindi, se il protocollo dovesse effettivamente essere realizzato per come è stato stipulato, le navi sarebbero sicuramente demolite fuori dal sito. Tutto questo in piena sintonia con quello che il Contrammiraglio ha dichiarato essere il core business dell’Arsenale che consiste nell’effettuare manutenzione navale più che demolizione. Per mezzi minori si intendono imbarcazioni, galleggianti e tutto quello che è privo di equipaggio fisso, ma a detta del Contrammiraglio è stato censito tutto, a partire dalle barche a vela della sezione velica non solo di La Spezia, ma anche di Livorno: il riferimento è a tutta l’area nord che rientra sotto la giurisdizione di La Spezia.
Per la gestione del rischio amianto a bordo ci si avvale di un documento denominato Mappatura amianto. Lo scopo di questo documento, custodito e periodicamente aggiornato dal comando di bordo con il supporto dell’arsenale, è quello di identificare i siti e i macchinari delle navi contenenti amianto.
La parte più rilevante di questo tipo di attività si è avuta tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008; in seguito, è stato necessario un ulteriore approfondimento di indagine per specifici item, che ha dato vita nel 2010 a due ulteriori documenti. Si tratta della redazione di un compendio e della configurazione iniziale, denominato Supplemento alla mappatura amianto. Sempre del 2010 un ulteriore documento, successivamente denominato Nota integrativa per guarnizioni impianti vari, ha ricordato i cosiddetti “elementi diffusi”.
Circa l’intera documentazione di mappatura, a specifica domanda rivolta dall’onorevole Rizzo, il Comandante Ceccobelli ha risposto che ad oggi tutto viene gestito digitalmente attraverso uno specifico database.
Tutte le citate 60 unità navali in servizio sono dotate di documenti di mappatura aggiornati. Per quanto riguarda i 257 mezzi minori, a seguito della campagna di accertamenti ed analisi effettuata da ditta specializzata, è emerso che 231 sono privi di amianto, di cui 25 lo sono diventati a seguito di bonifica; 26 hanno ancora amianto, ma in uno stato di conservazione che non crea pericoli di esposizione al personale, anche se saranno comunque oggetto di una prossima attività di bonifica.
Per quanto riguarda la programmazione delle bonifiche, i contratti riguardanti l’amianto, siano essi di rilievo, bonifica o mappatura, sono da diversi anni di tipo centralizzato, ovvero stipulati da enti centrali che in fase di esecuzione periferizzano le quote stabilite per le varie sedi. Tipicamente se ne occupa NAVARM, prendendo a riferimento capitoli di ammodernamento e rinnovamento, dopodiché il contratto così stipulato viene suddiviso per i vari stabilimenti di lavoro e ciascuno, a secondo dell’esigenza che rappresenta, ha una quota parte da spendere.
Servizio di prevenzione e protezione. Formazione e informazione dei lavoratori. La formazione e l’informazione del personale riguardo la gestione delle problematiche relative all’amianto sono inserite nel più generale contesto dell’attività formativa e informativa della prevenzione degli infortuni e della tutela della salute dei lavoratori.
L’arsenale di La Spezia può contare su 21 dipendenti formati come dirigenti cantiere amianto, 10 dipendenti formati come addetti cantiere amianto e 10 ancora formati come responsabili del problema amianto in strutture, edifici ed impianti; queste tre tipologie di corsi di formazione sono state svolte presso la scuola provinciale di formazione «Durand de la Penne», dove viene svolta una serie di attività a carattere più generale e, tra i vari aspetti di prevenzione, si tratta anche il tema dell’amianto. In particolare, vi sono 34 dipendenti formati attraverso il corso di gestione prodotti chimici pericolosi dei rifiuti, sempre tramite la scuola «Durand de La Penne»; un corso per preposti, tenuto in maniera molto estensiva, per 246 dipendenti; un corso di formazione base per 120 dipendenti.
Per quanto riguarda l’informazione, sono stati eseguiti negli ultimi mesi dello scorso anno, esclusivamente con risorse interne, corsi di informazione per 126 dipendenti, secondo un programma che comprendeva una parte dedicata proprio alla problematica amianto.
È opportuno sottolineare che questi corsi sono del tutto equivalenti a corsi di formazione, in quanto i docenti che tengono i corsi sono tutti abilitati formatori ed i programmi sono esattamente gli stessi di quelli di formazione.
L’ex R.S.P.P. Gaetano Di Tonno ha precisato che già nel 1998, a seguito dell’emanazione della legge n. 626 del 1994, venne portata a compimento tramite un ente esterno un’attività informativa generale rivolta a tutti i lavoratori.
Sorveglianza sanitaria. Venendo alla trattazione dello specifico tema relativo alla sorveglianza sanitaria, il Contrammiraglio Ceccobelli ha voluto precisare, fin dalla premessa, che nessun lavoratore dell’arsenale svolge attività che prevedono la manipolazione di materiali contenenti amianto e che tutti gli interventi di bonifica mediante rimozione sono effettuati da personale di ditte specializzate e abilitate.
Nello specifico la situazione dei dipendenti dell’arsenale è la seguente. Vi sono 3 dipendenti del servizio prevenzione e protezione che rientrano nella categoria dei cosiddetti ESEDI (soggetti a esposizioni sporadiche e di debole intensità). Un quarto dipendente del servizio prevenzione e protezione - si tratta della persona che fisicamente effettua tutte le uscite in mare per il rilievo delle fibre disperse -, poiché svolge questo tipo di attività per più di 60 ore l’anno, è soggetto ad un potenziale rischio in più, quindi viene sottoposto ad una sorveglianza sanitaria specifica, come se si avesse a che fare con un’esposizione di tipo diretto.
L’ESEDI è una forma «blanda» di potenziale esposizione; a carattere generale, comunque, tutti i dipendenti sono sottoposti a sorveglianza sanitaria a seconda della mansione svolta e del rischio a cui sono esposti durante l’attività lavorativa.
È stata definita nel tempo una serie di differenti protocolli sanitari di concerto con il medico competente. In alcuni casi, questi protocolli sanitari sono invece definiti da enti come lo Stato maggiore della Marina, di solito di concerto con l’Ispettorato di sanità. Tra l’altro, per recenti disposizioni, questo è accaduto anche per i cosiddetti ex esposti: il protocollo è stato stabilito da MARISTAT UGECOPREVA di concerto con MARISAN.
Quanto agli ex esposti all’amianto, attualmente si contano 272 dipendenti civili e un solo militare che risultano appartenere a questa categoria, con formale riconoscimento da parte dell’INAIL. Gli ex esposti sono inseriti in una lista apposita e sono sottoposti ad un protocollo sanitario definito dallo Stato maggiore che si integra, qualora previsto, con il protocollo sanitario previsto per l’attività lavorativa attualmente svolta.
Su specifica domanda dell’onorevole Rizzo riferita alla tutela della categoria dei lavoratori non esposti, il Comandante Ceccobelli ha informato che in passato è stata assunta un’iniziativa al riguardo da parte dell’università Tor Vergata di Roma attraverso il progetto Archimede, rivolto a persone con una certa storia lavorativa che, su base volontaria, potevano effettuare una serie di accertamenti clinici. Tuttavia, non tutti coloro che avevano aderito al progetto si sono poi sottoposti alle analisi previste, anche perché dovevano recarsi fuori sede. Il Comandante ha pertanto auspicato che, nel momento in cui tali accertamenti facoltativi fossero svolti all’interno di strutture proprie dell’Arsenale, si registreranno adesioni sicuramente superiori a quelle pervenute in passato. Sul tema, il segretario CGIL e rappresentante RSU Emanuele Bernardini ha espresso la necessità che una simile tutela venga indifferentemente estesa a tutti i lavoratori dell’Arsenale e non debba riguardare solamente coloro che, per le specifiche mansioni svolte, si presume vengano più facilmente a contatto con materiale a rischio; il concetto è stato poi condiviso e ribadito anche dal rappresentante RLS, Alberto Figoli.
Relativamente alla presenza di materiali contenenti amianto all’interno dello stabilimento di lavoro, quindi nelle infrastrutture o in impianti a carico dell’arsenale, il Contrammiraglio Ceccobelli ha fatto preliminarmente presente che l’arsenale è un sito storico, con oltre 150 anni di vita.
I diversi impianti ed infrastrutture sono stati oggetto di svariate attività di modifica ed ammodernamento; in particolare, il grosso dei cambiamenti è avvenuto tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, quando l’intera base navale è stata oggetto di una radicale opera di ricostruzione, conseguente alla pressoché totale devastazione avvenuta durante il secondo conflitto mondiale. I materiali MCA (materiali contenenti amianto) sono, quindi, in larga misura presenti, anche in quei tempi la nocività dell’amianto per la salute umana non era ancora nota.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta è stata condotta una serie di opere di bonifica realizzate mediante rimozione o confinamento, a seconda dei casi, che ha condotto ad una drastica riduzione dei materiali contenenti amianto. Successivamente, verso la fine del 2014, a seguito di alcuni rinvenimenti di materiali sospetti, è iniziata la campagna di campionamenti ed analisi, che poi è continuata anche per tutto il 2015, rilevando la presenza di amianto in tre diverse tipologie di manufatti: i pavimenti, i ferodi dei mezzi di sollevamento e le tubulature degli impianti di riscaldamento sotto l’officina dell’edificio n. 53. Per quanto riguarda i pavimenti, la mitigazione del rischio è stata effettuata sgomberando, sigillando ed incapsulando gli elementi. Per i ferodi, cinque delle otto gru sono risultate positive, quindi, recependo anche i suggerimenti dell’ASL, si è disposto il fermo tecnico di tutti questi impianti e ad oggi rimane da bonificare soltanto la gru tra i bacini 3 e 4. Per quanto riguarda, infine, la tubulatura sottotraccia, laddove è risultato possibile è stata portata avanti un’opera di bonifica consistente nella sigillatura e nell’apposizione di cartelli di avviso.
Nei locali e nelle aree dove è stata accertata la presenza di MCA è stato effettuato il rilevamento di campioni di fibre aerodisperse, ma da questi accertamenti non è emersa alcuna presenza di amianto.
Ad una domanda della presidente Duranti, volta ad avere contezza dell’esistenza di magazzini interessati dalla presenza di amianto, il Comandante di Maricommi, Massimo Martucci, ha anzitutto fatto presente che la Direzione di commissariato militare marittimo ha preso in carico la gestione dei magazzini dal 1° gennaio 2015, aggiungendo che Maricommi è interessata alla problematica amianto sia dal punto di vista infrastrutturale, sia con riferimento ai cosiddetti PDR (pezzi di rispetto), contenuti nei magazzini. Per la parte infrastrutturale, vi sono magazzini con delle problematiche connesse all’amianto ed altri invece idonei all’impiego in quanto, pur in presenza di amianto, sono stati portati a compimento interventi di incapsulamento per cui, al momento, non risultano pericolosi. Per quanto riguarda invece la questione dei PDR è in corso, a cura del comando logistico, un’attività di monitoraggio e campionamento di tutti i pezzi di rispetto che potrebbero avere contenuto amiantoso.
Più in generale, il Contrammiraglio si è fatto carico di fornire personalmente alla Commissione il Piano di sorveglianza sanitaria, sottolineando che esiste un programma, denominato Infopress, in cui sono inseriti tutti i lavoratori ai quali, in funzione della combinazione mansione-rischio, è associato un protocollo sanitario ed un elenco di analisi cliniche da svolgere.
Per quanto riguarda il DVR (Documento di valutazione dei rischi) dell’ente, il Comandante ha dichiarato di ritenere, non manifestandone però la certezza, che esso sia stato diffuso anche a livello centralizzato. Si è detto comunque disponibile a metterlo a disposizione dei commissari con l’aggiunta di tutte le schede di rischio della parte navale, utili per completare il quadro informativo da fornire non solo ai lavoratori dell’arsenale, ma anche a quelli delle ditte esterne.
Lavoratori in servizio o in quiescenza esposti all’amianto; riconoscimento dell’esposizione. Sulle patologie derivanti dall’esposizione all’amianto il Contrammiraglio ha dato notizia di 15 contenziosi attualmente in corso, correlati a mancati riconoscimenti di indennità per presunta esposizione all’amianto.
Nel corso dell’audizione di Enrico Lanzone, Direttore regionale vicario dell’INAIL Liguria, la delegazione della Commissione è stata informata che, in base ai dati in possesso dell’INAIL, si registrano 79 patologie legate a fibre di amianto, di cui: 24 hanno dato origine ad una rendita ai superstiti, una è stata definita come morte senza superstiti; 7 a rendita diretta; 30 sono state definite regolari senza indennizzo in quanto il grado di invalidità era minore di quello previsto dalla legge; infine 17 sono state definite negativamente per inidoneità del rischio, assenza di malattia o perché la documentazione presente non era sufficiente a determinare una valutazione dal punto di vista medico-legale. Relativamente a quest’ultimo caso, su sollecitazione della presidente Duranti, Stella Greco, Direttore sanitario della sede INAIL di La Spezia, ha infine precisato che per avanzare una domanda di riconoscimento di malattia professionale è necessario che sia presentata una idonea documentazione sanitaria - un certificato medico che accerti una diagnosi e altri documenti di tipo amministrativo -, in mancanza della quale l’INAIL, in alcuni casi, può respingere la domanda stessa.

VISITA AI POLIGONI MILITARI SARDI E AL SITO MILITARE DI S. STEFANO, LA MADDALENA
(2-7 ottobre 2016)

Dal 2 al 7 ottobre 2016, la Commissione ha svolto una missione di visita ai poligoni militari sul territorio della regione Sardegna, nonché al sito militare di Santo Stefano, nell’isola della Maddalena, completando i sopralluoghi con una prolungata sessione di audizioni ed esami testimoniali che hanno avuto luogo presso la sede della Prefettura di Cagliari e che hanno visto la partecipazione di rappresentanti dei comandi militari dei singoli poligoni, di lavoratori civili e militari, della regione e degli enti locali dei territori interessati, delle associazioni civili e della procura della repubblica di riferimento per procedimenti giudiziari connessi alla presenza dei poligoni stessi sul territorio.
Componevano la delegazione, oltre al Presidente Scanu, i deputati Donatella Duranti (MDP-LU), Ivan Catalano (Misto CI-EPI), Paola Boldrini (PD), Gianluca Rizzo (M5S), Roberto Capelli (DES-CD), Maria Chiara Carrozza (PD), Edmondo Cirielli (FDI-AN), Luigi Lacquaniti (MDP-LU), Mauro Pili (Misto) e Diego Zardini (PD).
In particolare sono stati visitati la Scuola Sottufficiali della Marina Militare della Maddalena e il Deposito munizionamento in Località Guardia del Moro - Isola di Santo Stefano - La Maddalena (OT); il Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra - P.I.S.Q. - a Perdasdefogu (OG) il Poligono di Capo Frasca (VS) il Poligono di Capo Teulada (CA).
Nel corso delle visite in loco e successivamente presso la Prefettura di Cagliari la delegazione ha audito in forma libera, in qualche caso incontrando anche in modo informale, i seguenti soggetti:
> presso la Scuola Sottufficiali della Marina Militare della Maddalena: il Comandante della medesima Scuola, C.V. Roberto Fazio; una Rappresentanza Co.ba.r. e RSU del personale civile e il Sindaco della Maddalena Luca Montella;
> presso il Poligono di Perdasdefogu: i Sindaci dei comuni di Perdasdefogu, Mariano Carta, di Ulassai, Gianluigi Serra, di Villagrande Giuseppe Loi e di Villaputzu Sandro Porcu; una Rappresentanza Co.ba.r. e RSU del personale civile;
> presso il Poligono di Capo Frasca: i sindaci dei comuni di Arbus Antonio Ecca e di Terralba Pietro Paolo Piras; una Rappresentanza Co.ba.r. e RSU del personale civile;
> al Poligono di Capo Teulada, i sindaci dei comuni di S. Anna Arresi, Teresa Pintus e di Teulada, Daniele Serra; una Rappresentanza Co.ba.r. e RSU del personale civile.
Presso la Prefettura di Cagliari sono stati auditi i rappresentanti di famiglie delle vittime dell’uranio impoverito Giuseppina Vacca e Antonio Cancedda; il Presidente del Distretto aerospaziale della Sardegna (Dass), Giacomo Cao; il Portavoce del comitato “Gettiamo le basi”, Mariella Cao; i componenti civili del Comitato misto paritetico regione Sardegna per le servitù militari: Giovanni Aramu, Agostino Armeni, Agostino Bifulco, Andrea Diana, Salvatore Mocci, Gianluigi Sechi, Antonello Tanas, Gianuario Fiori; il Direttore generale dell’Arpas, Alessandro Sanna; i funzionari dell’assessorato all’ambiente della regione sarda, Alessandro Murgia e Nicoletta Sannio; una rappresentanza dei sindaci dei comuni limitrofi al poligono di Lago Omodeo: di Abbasanta, Stefano Sanna, di Bidonì, Ilaria Sedda, di Ghilarza, Marco Defrassu, di Soddì Francesco Medde e di Sorradile, Pietro Arca; il Sostituto Procuratore della Repubblica di Cagliari, Emanuele Secci; l’Assessore alla difesa dell’ambiente della regione Sardegna Donatella Emma Ignazia Spano; l’Assessore dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale della regione Sardegna Luigi Benedetto Arru; il Presidente del Consiglio regionale della regione Sardegna Gianfranco Ganau; il Presidente della regione Sardegna Francesco Pigliaru.
Sono stati auditi nella forma dell’esame testimoniale il Comandante di Salto di Quirra, gen. Giorgio Russo; il Comandante di Capo San Lorenzo, col. Giovanni Tonarelli; il Comandante Deposito munizioni S. Stefano, C.F. Marcello Pinna; il Medico competente di Capo San Lorenzo, Salto di Quirra e Capo Frasca, dott. Marcello Campagna; il RSPP Salto di Quirra, ten. col. Alessandro Castellet Y Ballarà; il Comandante e RSPP Capo Frasca, ten. col. Mariano Marchetti; il Comandante di Capo Teulada, col. Fabrizio Giardini; il Medico competente di Capo Teulada, ten. col. Alberto Cireddu; il RSPP Capo San Lorenzo, 1° M.llo Andrea Sartorello; il RSPP Capo Teulada, Pier Paolo Silli; l’ex medico competente Deposito munizioni S. Stefano, C.F. Lorenzo Tucci; il Medico competente Scuola Sottufficiali Maddalena, C.V. Cosimo Nesca; il RSPP Scuola Sottufficiali della Maddalena, C.C. Andrea Pampaloni.

Oggetto e inquadramento della visita.
La missione rientrava nel solco di più di un filone di inchiesta, fra quelli intrapresi dalla Commissione nel corso della sua attività, in particolare però era mirata ad uno specifico approfondimento della situazione dei poligoni sardi, sia sotto il profilo della verifica dell’effettiva attuazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro dei militari ivi impiegati, sia in connessione con le complesse problematiche della tutela del territorio e dell’ambiente su cui insistono le installazioni militari sarde, anche in relazione alla salute delle popolazioni circostanti e alle importanti ricadute economiche sulle comunità locali.
In questo senso, poiché i poligoni sardi nel loro insieme compongono il 60% della superficie delle servitù militari nazionali, la missione in Sardegna ha rappresentato la chiave di volta dell’attività di indagine della Commissione realizzata a mezzo di sopralluoghi e accertamenti in loco, nonché di verifica delle premesse poste nel primo semestre di attività d’inchiesta per quanto concerne il quadro generale della sicurezza sul lavoro delle Forze armate, come delineato sin dall’inizio dei lavori della quarta Commissione di inchiesta. Si trattava infatti di recarsi nella regione che assomma per eccellenza le problematiche e gli scenari più concreti, connessi alla presenza di vastissimi territori soggetti a servitù militari da più di sessant’anni, per pervenire a valutazioni e conclusioni da estendere, ove pertinenti, al resto del territorio nazionale e per orientare il prosieguo dell’inchiesta.
A questo scopo, un’ampia tranche di audizioni, sia in forma libera che testimoniale, ha riguardato in primo luogo il tema della sicurezza sul lavoro, prevedendo in forma sistemica l’ascolto dei responsabili dei poligoni sotto i rispettivi profili di competenza (comandante, RSPP, medico competente, RLS), nonché dei rappresentanti dei lavoratori e di tutti quei soggetti che potessero fornire una voce discorde o anche solo alternativa a quella dei diretti responsabili dei poligoni.
Contestualmente, la delegazione della Commissione ha individuato una platea di ascolto del governo regionale e delle comunità locali quanto più ampia e inclusiva, in modo che fossero rappresentati tutti gli interessi in campo senza trascurare alcuna istanza - economica, politica o territoriale - interessata da un territorio così vasto (anche quando in alcuni casi ciò ha comportato una fuoriuscita dalle strette competenze di inchiesta tracciate dalla delibera istitutiva.
In questo quadro, ad esempio, la Commissione ha ricevuto informalmente anche una delegazione di pescatori di Capo Frasca, che chiedevano di rappresentare nelle competenti sedi parlamentari (e
segnatamente presso la XI Commissione Lavoro) esigenze di programmazione delle attività militari di esercitazione che consentissero l’uso delle acque di pesca circostanti il poligono.
Rientrano in questo ambito le audizioni dei vertici della regione Sardegna, dei sindaci di tutti i comuni interessati, dei rappresentanti civili del Comitato misto paritetico regione Sardegna per le servitù militari, dell’associazionismo legato alla presenza delle basi e delle famiglie di vittime di particolari patologie.
Al versante delle ricadute ambientali e di possibili ipotesi di riconversione dei poligoni militari sardi appartengono invece le audizioni di ARPAS e del Presidente del Distretto aerospaziale della Sardegna, che hanno posto in luce non poche criticità connesse al monitoraggio della qualità ambientale nei territori dei poligoni, evidenziando contestualmente diverse opzioni percorribili in futuro per una ottimizzazione dell’uso dei siti militari in armonia con esigenze di valorizzazione del territorio.
Infine, fin dall’atto della deliberazione sul programma della missione la Commissione aveva individuato la necessità di audire il procuratore competente per ipotesi di reati ambientali commessi nell’area dei poligoni sardi e correlati al mancato esercizio delle attività di bonifica dei siti destinati alle esercitazioni militari, con particolare riguardo al grave caso di contaminazione della cosiddetta «penisola interdetta» di Capo Teulada.

Principali evidenze emerse nel corso delle audizioni e dei sopralluoghi
Nel corso delle visite e dei sopralluoghi effettuati presso i poligoni, la Commissione ha riscontrato anzitutto una carente attuazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, attestata principalmente dalla insufficiente o lacunosa redazione dei documenti di valutazione del rischio (particolarmente per quanto riguarda il poligono di Salto di Quirra) o talvolta dalla mancanza di DUVRI (Documento unico di valutazione rischi interferenti) nelle aree in cui si sovrappongono esercitazioni militari condotte da diversi soggetti, sotto la responsabilità di differenti datori di lavoro. Peraltro la condizione dei luoghi di lavoro (i poligoni addestrativi e il deposito munizioni) visitati dalla delegazione della Commissione ha confermato la necessità di un’efficiente azione di sorveglianza sanitaria e di prevenzione del rischio alla salute che non sembra essere tuttavia garantita.
A questo proposito, dall’esame testimoniale del medico competente del poligono di Capo San Lorenzo, Salto di Quirra e Capo Frasca, è emerso che la valutazione del rischio chimico all’interno del rispettivo DVR non prendeva in esame l’esposizione ad agenti chimici e fisici dispersi nell’ambiente durante le esercitazioni a fuoco o derivanti da inquinamento ambientale, mentre con riferimento a Capo San Lorenzo, il relativo DVR con conteneva una valutazione specifica del rischio di esposizione a cancerogeni per il personale dell’officina e del rifornimento carburanti. Nel corso della visita alla Maddalena e in particolare al deposito munizioni di S. Stefano, collocato in una galleria sotterranea, la delegazione della Commissione ha rilevato una condizione degli impianti di aspirazione non sufficiente a garantire un’areazione adeguatamente salubre.
Di tutta evidenza è risultato peraltro lo stato dei luoghi nella citata «penisola interdetta» di Capo Teulada, del tutto inaccessibile se non per la difficoltosa e insufficiente azione di bonifica dei materiali contaminanti presenti sul suolo ormai da decenni, nel quadro di una vera e propria condizione di disastro ambientale.
Gli esami testimoniali dei responsabili dei poligoni in materia di sorveglianza sanitaria hanno altresì evidenziato una significativa mancanza di terzietà nell’esercizio della funzione di vigilanza sul rispetto della normativa di sicurezza, già ripetutamente rilevata dalla Commissione nel corso dell’attività di indagine svolta precedentemente alla missione, nonché una certa scarsezza del personale a disposizione in organico.
Si veda in particolare l’esame testimoniale del medico competente di Capo Teulada, dove il teste conferma laconicamente la mancanza di un “incarico esclusivo” nell’esercizio delle proprie funzioni, che sembra adombrare una insufficiente garanzia di indipendenza. L’incaricato di svolgere le funzioni di medico competente del deposito della Maddalena ha dichiarato davanti alla Commissione di ricoprire lo stesso incarico anche per tutti gli enti della Marina militare della Sardegna, confermando una condizione di difficoltà che potrebbe essere estesa anche ad altri poligoni. Anche il Comandante della Scuola sottufficiali della Maddalena Roberto FAZIO ha implicitamente riconosciuto che auspicherebbe una più ampia dotazione organica, segnatamente da parte del Genio militare.
Dagli esami testimoniali dei responsabili dei poligoni ai diversi livelli è emersa in generale una inadeguata disponibilità di risorse non solo ai fini della sorveglianza sanitaria, ma anche ai fini della prevenzione del rischio per la salute e per l’ambiente, posto che in alcuni casi i comandanti dei poligoni hanno ammesso di non disporre delle professionalità idonee e della necessaria strumentazione per far fronte ad una eventuale emergenza da contaminazione ambientale.
Si veda al riguardo quanto dichiarato dal comandante di Capo Frasca: «al momento il distaccamento di Capo San Lorenzo non dispone delle professionalità idonee e della necessaria strumentazione per riconoscere in proprio un’emergenza radiologica, né dispone dei dispositivi di protezione individuale e di sorveglianza dosimetrica eventualmente necessari per farvi fronte». Sempre a proposito di Capo Frasca, il Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione in un cantiere per la raccolta e la gestione di rifiuti presenti in loco e successivo ripristino delle aree, Graziano MURRU, ha illustrato alla Commissione la complessa procedura di raccolta di rifiuti abbandonati, consistenti principalmente in residuati bellici, la verifica di una eventuale presenza di ordigni inesplosi, i cosiddetti simulacri, con conseguente pericolo di radiazioni, per procedere poi alla raccolta e all’accumulo del materiale eventualmente contenente amianto.
Gravi lacune in tema di prevenzione del danno ambientale e di successiva bonifica dei luoghi contaminati da vari agenti (soprattutto munizionamenti depositati a terra a seguito delle esercitazioni) sono stati direttamente constatati dalla delegazione della Commissione soprattutto per quanto riguarda l’area della già menzionata «penisola interdetta» di Capo Teulada e del poligono di Salto di Quirra, dove il sopralluogo ha consentito di visitare aree di smaltimento rifiuti altamente pericolosi e zone interessate da una intensa attività esercitativa con conseguenti importanti ricadute inquinanti sul territorio circostante. Le condizioni ambientali di questi luoghi, sia nelle parti che è stato possibile visitare direttamente, sia nelle zone il cui accesso era interdetto per ragioni di pericolosità da agenti inquinanti, sono risultate particolarmente - e in alcuni irrimediabilmente -compromesse.
Il PISQ (poligono interforze sperimentale di Salto di Quirra) è il poligono militare più grande d’Europa. Le attività addestrative svolte al suo interno, dal 1956 a oggi, vanno dal lancio di missili aria-terra, terra-mare, da sperimentazioni di vario genere svolte dagli eserciti di Paesi alleati e da aziende produttrici di armi, attività qualificabili in altro grado come pericolose. Fino a un recente passato, la gestione del PISQ è stata caratterizzata da una notevole sottovalutazione dell’impatto delle attività svolte sull’ambiente circostante; in particolare, hanno fornito un contributo molto pesante in tal senso i continui i brillamenti di munizionamento obsoleto (i cosiddetti “fornelli”), nonché il mancato recupero dei residuati di torio. L’area di Perdasdefogu, infatti, è stata ampiamente utilizzata per la distruzione di arsenali di materiali obsoleti, principalmente di pertinenza dell’Aeronautica militare (come bombe d’aereo, munizioni di artiglieria antiaerea e anche munizionamento leggero).
Anche l’insediamento del poligono di Capo Teulada, che si estende su una superficie di 7.200 ettari, soffre di una condizione ambientale fortemente compromessa, soprattutto con riferimento alla presenza del poligono Delta, più noto come «penisola interdetta», un’area utilizzata per decenni come zona di arrivo proiettili, razzi, bombe, che non è mai stata interessata da operazioni di bonifica, né di recupero degli ordigni inesplosi e di rimozione dei materiali (anche inerti) utilizzati per le singole esercitazioni, inclusi i residui di tracciatori dei missili MILAN, contenenti torio. Per tutte queste ragioni l’area è interdetta permanentemente al movimento di uomini e mezzi.
Alla luce di quanto verificato sul posto, la delegazione della Commissione ha ritenuto di corroborare «la necessità non più derogabile dell’avvio di un monitoraggio indipendente sui danni sanitari e di salute pubblica legati alla presenza dei poligoni militari e l’istituzione di osservatori permanenti indipendenti per il monitoraggio ambientale al loro interno», esigenza testualmente rappresentata anzitutto dai rappresentati del governo regionale e locale, con particolare riguardo alla vasta area del poligono interforze sperimentale di Salto di Quirra.
Con il mutamento delle esigenze strategiche e geopolitiche dell’Italia e della NATO, è emersa la necessità di un costante monitoraggio dei rischi e delle conseguenze delle esercitazioni e di tutte le attività effettuate nei poligoni sardi, per il quale la regione Sardegna ha individuato nell’ARPAS l’organismo deputato a svolgere tale attività, presentando formale richiesta al Governo, ma non ottenendo formale risposta alla data dell’audizione, come ha avuto modo di riferire alla Commissione il Presidente della regione.
Sul tema della gestione del territorio su cui insistono le installazioni militari, le audizioni dei rappresentanti della regione e degli enti locali hanno posto l’accento sulla necessità di rivedere il modello di gestione delle servitù militari, promuovendo una razionalizzazione ed una progressiva modificazione dello stesso, che tenga conto dei mutamenti intervenuti nel quadro geopolitico a partire dalla fine degli anni ’80 e che impedisca che intere e rilevanti porzioni di territorio, di notevole interesse paesaggistico e ambientale, siano integralmente sottratti alla giurisdizione del governo locale, oltre che alla vigilanza degli organi istituzionalmente preposti alla tutela dell’ambiente. Gli incontri con i rappresentanti degli enti locali hanno inoltre posto l’accento sull’opportunità di erogare a cadenza più ravvicinata gli indennizzi destinati ai comuni su cui insistono i poligoni (attualmente erogati a cadenza quinquennale e soggetti alle regole del patto di stabilità interno), nonché sulla necessità di garantire le condizioni per l’esercizio di un’attività di monitoraggio permanente, da parte degli enti locali e dell’ARPA, della qualità ambientale dei siti militari (attualmente resa impossibile o difficoltosa dalla presenza dell’autorità militare) e dello stato delle bonifiche dei territori inquinati, anche in considerazione del rilevante numero di siti di interesse comunitario nelle aree limitrofe ai poligoni.
In particolare su quest’ultimo punto, l’audizione dell’Assessore alla difesa dell’ambiente della regione Sardegna, Donatella Emma Ignazia SPANO, ha posto l’accento sul fatto che dei 93 siti di importanza comunitaria presenti in Sardegna 5 ricadono all’interno di poligoni militari, ciò che rende impossibile i monitoraggi dello stato di conservazione e di integrità dei siti stessi, necessari all’effettuazione della valutazione di incidenza ambientale (VINCA). Il Presidente della regione Francesco PIGLIARU ha contestualmente ribadito la necessità di rispettare contenuti dell’ordine del giorno approvato all’unanimità dal consiglio regionale il 17 giugno 2014, nel definire il mandato del presidente della regione nell’interlocuzione con il Governo per il riequilibrio della presenza militare in Sardegna, nel quale si stabiliva «il preminente interesse alla tutela della salute e dell’ambiente, nonché il diritto delle popolazioni e dei lavoratori dei poligoni a essere informati in modo credibile circa gli impatti delle attività addestrative».
In questo quadro la Commissione ha potuto confermare e ribadire le conclusioni cui era pervenuta la precedente commissione di inchiesta, quando aveva individuato come obiettivo prioritario nel processo di modernizzazione nell’uso dei poligoni la riqualificazione delle aree attualmente soggette a servitù militare, destinandole ad usi civili o di tipo duale nel campo della protezione civile, della ricerca scientifica e tecnologica in settori particolarmente innovativi come l’aerospaziale.
Si veda sul punto l’audizione dell’ing. Giacomo CAO, mirante ad illustrare i progetti di monitoraggio della cosiddetta «spazzatura spaziale» - SSA, Space Situation Awareness - e delle rotte satellitari, verso i quali potrebbe essere indirizzata una eventuale riconversione dei poligoni e che potrebbe fare della Sardegna un hub della ricerca aerospaziale a livello almeno europeo.
A completamento del quadro informativo sulle ricadute ambientali della presenza dei poligoni addestrativi sul territorio sardo, la delegazione della Commissione ha audito il 5 ottobre il Sostituto Procuratore della Repubblica di Cagliari, Emanuele SECCI, il quale ha richiamato in quella sede le principali risultanze dell’indagine preliminare sulla condizione ambientale di Capo Teulada, nata da alcuni esposti di persone affette da patologie tumorali che ne attribuivano la causa alle esercitazioni militari svolte all’interno del poligono.
A proposito della «penisola interdetta», in particolare, il dottor Secci ha parlato di «una compromissione del territorio estremamente significativa», aggiungendo che dai dati empirici raccolti, «sembrerebbe che siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano stati eliminati otto», senza parlare del fatto che ad oggi, un decreto ministeriale del 2009 abbia imposto la bonifica dei luoghi coinvolti dalle azioni esercitative, quest’area ha continuato a essere il bersaglio delle esercitazioni.

MISSIONE A PADOVA E VISITA AI POLIGONI MILITARI DI CELLINA MEDUNA (PN) E FOCE RENO (RA)
(12-13 gennaio 2017)

Nelle giornate del 12 e 13 gennaio 2017 una delegazione della Commissione si è recata presso la Prefettura di Padova, per svolgere una serie di rilevanti audizioni nel quadro degli approfondimenti riguardanti l’inquinamento da radon nel sito militare della ex base Nato, denominata 1° ROC (Regional Operation Center) - Monte Venda. La Commissione aveva in precedenza deliberato di svolgere nella medesima occasione anche due sopralluoghi presso i poligoni militari di Cellina Meduna, in provincia di Pordenone, e Foce Reno, in località Casal Borsetti, in provincia di Ravenna, nell’ambito del ciclo di missioni dedicato ai poligoni militari più rilevanti sotto il profilo del controllo dell’attuazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione dell’inquinamento ambientale.
In questo quadro sono stati auditi i procuratori della Repubblica responsabili del procedimento penale avente per oggetto ipotesi di omicidio colposo plurimo in relazione a patologie tumorali polmonari connesse alla presenza di gas radon all’interno della base del Monte Venda; dei rappresentanti dei lavoratori della Difesa colpiti dalle citate patologie, ormai in quiescenza o destinati ad altre sedi; di esperti della materia.
Nel corso dei sopralluoghi ai poligoni poi, come di consueto, la delegazione della Commissione ha svolto gli esami testimoniali dei responsabili dei singoli profili della sicurezza sul lavoro, ovvero dei comandanti, degli RSPP, dei medici competenti, allo scopo di acquisire un quadro informativo completo relativo allo stato dei luoghi e delle persone, con specifico riferimento alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori e alla prevenzione del rischio professionale e ambientale.
Componevano la delegazione, oltre al Presidente Scanu, i deputati Donatella DURANTI e Ivan CATALANO (Vice Presidenti), Paola BOLDRINI e Gianluca RIZZO (Deputati Segretari), Diego CRIVELLARI e Diego ZARDINI.
In particolare, nel corso dei sopralluoghi e successivamente presso la Prefettura di Padova la delegazione ha audito in forma libera il Procuratore della Repubblica di Padova, Matteo STUCCILLI, e il Sostituto Procuratore, Francesco TONON; il tecnico per la prevenzione ambientale Omero NEGRISOLO; rappresentanti del Comitato vittime ed ex lavoratori del Poligono di Monte Venda; Fernanda FASOLO, vedova di vittima del lavoro; Franco CAROCCI, già addetto Manutenzione Radio 1° ROC Monte Venda; Giovanni AMATO, già in servizio presso il I ROC Monte Venda.
Sono invece stati ascoltati nella forma dell’esame testimoniale i responsabili del poligono, ovvero: il Ten. Col. Saverio RAMETTA, Comandante, il Ten. Col. Roberto MARIANI, medico competente, il Ten. Col. Renato TAMPIERI, RSPP.
La delegazione ha altresì incontrato in via informale i sindaci dei comuni di Cordenons, Andrea DELLE VEDOVE, di Vivaro, Mauro CANDIDO, di San Quirino, Gianni GIUGOVAZ, di Zoppola, Francesca PAPAIS, di San Giorgio della Richinvelda, Michele LEON.
Il primo giorno la delegazione della Commissione si è recata nell’area del poligono militare di Cellina Meduna, situato al centro di un territorio scarsamente popolato della provincia di Pordenone, verificando sul posto la funzionalità di un sito utilizzato per addestramenti ed esercitazioni da tutti i reparti dell’Esercito italiano, della Marina e dell’Aeronautica, nonché Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia di Stato e da unità di eserciti alleati, in un contesto di particolare pregio paesaggistico e ambientale.
Il poligono, che si estende su un’area di 34,70 chilometri quadrati alla confluenza dei torrenti Cellina e Meduna, insiste nell’alta pianura friulana e precisamente nella subzona del “magredi”, unica nel territorio italiano per la presenza di un ecosistema di tipo sub-steppico, con limitata vegetazione arborea ed estese praterie persistenti. Il terreno, ad elevata permeabilità e prevalentemente costituito da ciottolami calcarei e dolomitici, è caratterizzato da rilevanti fenomeni carsici e si presta particolarmente alla percorribilità di mezzi ruotati e cingolati, con alcune limitazioni dovute ai greti dei torrenti. Le responsabilità del poligono sono affidate alla Divisione “Friuli” come ente gestore dei turni di utilizzazione; alla 132A Brigata corazzata “Ariete”, come ente gestore dell’area; al 32° Reggimento carri, come ente consegnatario della stessa area.
Prima di procedere al sopralluogo nell’area del poligono la delegazione della Commissione ha incontrato a livello informale una rappresentanza dei sindaci dei comuni sui cui territori insiste l’area addestrativa. Tale rappresentanza era composta da Andrea DELLE VEDOVE (sindaco di Cordenons), Mauro CANDIDO (sindaco di Vivaro), Gianni GIUGOVAZ (sindaco di San Quirino), Francesca PAPAIS (sindaco di Zoppola), Michele LEON (sindaco di San Giorgio della Richinvelda). I sindaci hanno concordemente indicato nella presenza storica del poligono un importante elemento identitario della zona interessata e una presenza economica da non sottovalutare, se mai da valorizzare e rafforzare con un adeguato piano di investimenti locali realizzabili da parte della Difesa.
I responsabili della sicurezza sul lavoro del poligono di Cellina Meduna erano stati auditi dalla Commissione plenaria il mese precedente allo svolgimento della missione: in particolare, nell’esame testimoniale dell’ex comandante della 132° Brigata Ariete, generale di brigata Antonio VESPAZIANI, svoltosi il 21 dicembre 2016, era stata evidenziata la mancata predisposizione del DVR per l’insediamento di Cellina Meduna. In quella circostanza il comandante aveva segnalato che ciò dipendeva dal carattere episodico dell’utilizzazione della struttura, le cui caratteristiche operative rendevano necessaria la valutazione del rischio soltanto in occasione dello svolgimento delle esercitazioni.
Questa criticità peraltro è stata peraltro successivamente posta in evidenza all’interno della seconda Relazione intermedia sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle Forze armate, approvata dalla Commissione il 19 luglio 2017, in cui si ribadisce opportunamente che il carattere di non continuità delle attività lavorative svolte in alcuni poligoni (fra cui segnatamente Cellina Meduna, Foce Reno e Torre Veneri) non giustifica di per sé una deroga alla legislazione vigente, ossia non consente che la valutazione dei rischi sia limitata a quanto descritto nell’ambito dei documenti dei reparti impegnati nelle esercitazioni, non sostituendo il DVR, né esimendo dall’obbligo di redigerlo - che resta in capo al singolo comandante responsabile del poligono (si veda a tale proposito anche supra, il capitolo concernente i poligoni di tiro).
Successivamente, nella sede della Prefettura di Padova si è passati alla fase di svolgimento delle audizioni libere dei procuratori Stuccillo e Tonon, nonché del tecnico ambientale Negrisolo, che hanno fornito una ricostruzione delle vicende storiche relative alla base I ROC in concomitanza con la scoperta della presenza di radon e della sua pericolosità, peraltro nota dall’inizio del secolo scorso e considerata dalle Forze armate statunitensi già all’inizio degli anni Novanta.
Il procuratore della Repubblica di Padova Matteo STUCCILLI ha riferito alla delegazione della Commissione sul procedimento concernente ipotesi di omicidio colposo plurimo in relazione a tre eventi mortali e un evento lesivo, dovuti a patologie tumorali polmonari riconducibili alla presenza di gas radon all’interno della base protetta del Monte Venda, procedimento che alla data di svolgimento della missione si trovava nella fase del giudizio.
L’installazione militare del Monte Venda comprendeva delle strutture incavernate, cioè in galleria, la cui costruzione ha avuto inizio nel 1952 e la cui operatività risale al 1959. Dai primi sopralluoghi della procura competente nel 2005 fu subito chiaro che l’elevata concentrazione di gas radon superava di molto quelli che erano considerati gli standard internazionali più accreditati: proprio per questi motivi, infatti, la base era già stata chiusa fin dal 1998. Il sito, particolarmente strategico per la difesa aerea nazionale e nell’ambito NATO, lavorava infatti in depressione, cioè con una speciale funzionalità di risucchio dal sottosuolo, per cui quando la sua operatività era al massimo paradossalmente aumentava anche la concentrazione di radon risucchiato dal sottosuolo.
Il Sostituto procuratore Francesco TONON ha sottolineato che i valori rilevati nel 2005 all’interno del sito incavernato e non più in funzione erano mediamente di 9.000 becquerel al metro cubo, rispetto ad una normativa, entrata in vigore solamente nel 2000, che prevedeva un valore limite di 500 (tuttavia, già nel 1969 i limiti stabiliti erano di circa 3.700 becquerel al metro cubo). Peraltro, poiché il sito incavernato del Monte Venda è una galleria simile ad un budello, in alcune sale dove i militari prestavano servizio all’epoca dei fatti e dove la ventilazione forzata era minore la concentrazione di radon arrivava a sfiorare i 40.000 becquerel per metro cubo.
Agli atti della Procura risultavano al 2005-2006 circa 95 neoplasie in militari che avevano prestato servizio presso il Monte Venda: si trattava tuttavia di un dato parziale, poiché mancava del tutto quello della popolazione militare che aveva soggiornato o lavorato nel sito e che poi però era rientrata nelle regioni d’origine. Di queste patologie il numero maggiore era riferito a neoplasie di tipo polmonare, dato che per altre (cervello, fegato, intestino, linfomi, sangue, testicoli, tiroide, vescica) mancava la dimostrazione di un nesso di causalità certo tra l’esposizione a radon e l’insorgenza della malattia.
Peraltro le dichiarazioni dei procuratori hanno posto in luce il fatto, già denunciato ripetutamente dalla Commissione in altre sedi, che le autorità sanitarie militari non hanno esercitato alcun tipo di valutazione epidemiologica sulla popolazione esposta nel corso degli anni al radon, che pare si aggirasse intorno alle 750 unità. Anche a precisa richiesta della Procura di disporre dell’elenco completo dei militari che avevano prestato servizio a Monte Venda nell’arco degli anni, il Ministero della difesa - ha confermato il Procuratore Tonon - non ha fornito risposta, pur riconoscendo invece la malattia professionale per esposizione al radon dei soggetti offesi, di cui al procedimento penale.
Successivamente alle audizioni dei procuratori, la delegazione della Commissione ha ascoltato i rappresentanti del Comitato vittime ed ex lavoratori di Monte Venda, i quali hanno illustrato le condizioni di lavoro dei dipendenti militari e civili della Difesa nel corso degli anni, a partire dall’inizio di attività della base, e hanno riferito sugli esiti delle 64 istanze avanzate per il riconoscimento della causa di servizio.
Di queste 64 istanze 20 si sono concluse con esito positivo, essendo stata riconosciuta la causa di servizio e l’equiparazione a vittime del dovere, 23 con esito negativo, 20 risultano ancora in itinere ed una sola è stata riconosciuta solo come causa di servizio.
Nel corso dell’audizione, che ha visto anche la partecipazione della signora Fernanda FASOLO, vedova del maresciallo Sergio Proietti (deceduto per neoplasia ai polmoni a seguito del servizio prestato alla base di Monte Venda), è emerso che per diversi anni il Ministero della difesa ha ignorato la probabile, se non certa, presenza del radon nella base, in un contesto in cui peraltro, nello stesso periodo ed anche precedenza, i militari americani erano stati forniti di adeguata protezione dai propri superiori, cosa che avrebbe dovuto indurre ad una ovvia considerazione e prevenzione del rischio anche per i nostri militari.
Le stesse autorità militari statunitensi avevano infatti deciso in quegli anni di ritirare le loro truppe da Monte Venda ad Aviano proprio per il pericolo del radon, rischio rilevato e valutato dal Ministero della difesa italiano invece solo dopo le misurazioni effettuate dall’ARPAV fra il 2005 e il 2006. Tuttavia, anche a seguito della relazione dell’Arpav attestante l’entità del rischio, i lavoratori sono stati lasciati presso la base del Monte Venda, anche in assenza di adeguata protezione, oltre al fatto che le parti più interne della caverna - secondo quanto dichiarato dai rappresentanti del Comitato vittime ed ex lavoratori - non erano sufficientemente aerate.
Il giorno 13 gennaio la delegazione della Commissione ha visitato il poligono di Foce Reno, in località Casal Borsetti, in provincia di Ravenna. Al briefing introduttivo dei responsabili del poligono erano presenti i sindaci di Comacchio, Marco FABBRI, e di Ravenna, Michele DE PASQUALE, con i quali i commissari hanno avuto un breve scambio informativo in ordine alle ricadute ambientali ed economiche del sito militare sulle comunità locali.
Il poligono di addestramento di Foce Reno, ricompreso fra Comacchio (FE) e Ravenna, insiste su un’area di terre basse, originariamente paludose, digradanti verso la costa, al centro di una delle zone dell’Adriatico maggiormente interessate dal settore della pesca, di notevole pregio naturalistico e a forte intensità turistica. Le porzioni di spiaggia dell’area del poligono fanno infatti parte di due riserve naturali, la Sacca di Bellocchio e la Pineta di Ravenna. La zona dedicata alle esercitazioni di tiro si estende per 12 miglia marine, fino a 4 miglia al largo, ciò che determina importanti ricadute sul settore della pesca che viene interdetta in maniera corrispondente.
Al termine del sopralluogo, la delegazione della Commissione ha ascoltato, nella forma dell’esame testimoniale, i responsabili del poligono per i temi della vigilanza sull’attuazione della normativa in materia di sicurezza e salute dei lavoratori: il comandante Ten. Col. Saverio RAMETTA, il medico competente Ten. Col. Roberto MARIANI, e l’RSPP Ten. Col. Renato TAMPIERI.
Il comandante ha anzitutto illustrato il tipo di operatività del poligono, atto sostanzialmente ad offrire la disponibilità di aree addestrative ai reparti esterni, garantendo un servizio di sgombero in mare che si estrinseca nell’impiego di personale su motovedette al largo della costa. Il poligono è utilizzato da reparti dell’Esercito, corpi militari dello Stato, corpi civili, come la Polizia di Stato, e Forze alleate, che usufruiscono delle aree addestrative previa specifica richiesta.
Come la Commissione aveva già avuto modo di constatare a proposito di Cellina Meduna in ordine alla mancata redazione del DVR, è emerso che anche a Foce Reno la valutazione del rischio viene sintetizzata in un documento denominato verbale di coordinamento e sopralluogo, che viene inviato dal comandante al reparto esercitato. Il datore di lavoro del personale esercitato prende visione dei rischi e fa compilare al proprio personale la cosiddetta scheda di preaccesso, nella quale sono evidenziati i rischi da affrontare e le misure da adottare. A specifica domanda del presidente il comandante ha specificato che la valutazione dei rischi interferenziali entra a far parte di un annesso in cui vengono riportate tutte le misure da adottare per la tutela dell’ambiente e la prevenzione e protezione dei lavoratori. Non vengono peraltro impiegati nel poligono armamenti che contengono o che possono liberare agenti chimici, fisici, radiologici o biologici pericolosi, dal momento che il munizionamento in uso al poligono è esclusivamente di tipo inerte non scoppiante, né è mai stato rilevato un rischio di esposizione ad agenti cancerogeni mutageni e teratogeni. Queste affermazioni sono state successivamente confermate dal medico competente e dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il comandante Rametta ha altresì illustrato la procedura adottata per la prevenzione del rischio ambientale: prima dell’esercitazione viene indicato un responsabile per tale rischio, tratto dal reparto in esercitazione, che firma un apposito registro e prende visione del piano di tutela ambientale elaborato dal comando sulla base di un apposito disciplinare d’uso del 2012. Quindi, il personale esercitato viene edotto dal responsabile ambientale del reparto in esercitazione. A seguito dell’attività esercitativa, avviene poi la cosiddetta bonifica di primo grado, che elimina qualsiasi residuo disperso nell’ambiente; nel caso in cui questa non sia sufficiente, si chiede il concorso del reparto del Genio per effettuare una bonifica più approfondita, detta di secondo grado, inclusiva di una pulizia straordinaria.
A tale riguardo, l’onorevole Paola BOLDRINI ha sollevato la questione relativa all’interdizione della navigazione di fronte al poligono in concomitanza con le esercitazioni, chiedendo chiarimenti sul fatto che l’ancoraggio e l’esercizio della pesca possano essere comunque interdetti a causa della presenza permanente sul fondo marino di ordigni esplosivi, come si evince da alcune ordinanze di enti locali. L’RSPP Renato TAMPIERI ha tuttavia assicurato che la presenza di ordigni esplosivi sul fondo antistante il poligono di Foce Reno non è dovuta alle attività specifiche svolte al poligono, ma risale all’ultimo conflitto mondiale, aggiungendo ad adiuvandum che, per la pulizia straordinaria della matrice acque, sono state contattate delle aziende specializzate per il recupero delle ogive eventualmente giacenti sul fondo.

MISSIONE A CALTANISSETTA E VISITA ALLA STAZIONE MUOS DI NISCEMI, ALLA BASE DI SIGONELLA E AL POLIGONO DI DRASY
(3- 6 aprile 2017)

Una delegazione della Commissione, guidata dal presidente Scanu e composta dai deputati Gian Piero SCANU Presidente, Ivan CATALANO (CI) (Vicepresidente),Paola BOLDRINI (PD) (deputato Segretario), Gianluca RIZZO (M5S) (deputato Segretario), Giulia GRILLO (M5S),Diego ZARDINI (PD), si è recata in missione in Sicilia dal 3 al 6 aprile 2017 per visitare il MUOS di Niscemi, il Comando Aeroporto di Sigonella (CT) ed il poligono di Drasy (AG) e per svolgere una serie di esami testimoniali ed audizioni alla base di Sigonella (3-4-2017) e presso la Prefettura di Caltanissetta (5-4-2017).
Il M.U.O.S. (Mobile User Objective System) è un moderno sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare statunitense, composto da cinque satelliti geostazionari e quattro stazioni di terra, di cui una a Niscemi. Sarà utilizzato per il coordinamento capillare di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo, in particolare i droni che saranno allocati anche a Sigonella. I cittadini siciliani e gli attivisti NOMUOS esprimono fortissime preoccupazioni riguardo le conseguenze dell'installazione di tale sistema su salute umana, ecosistema, qualità dei prodotti agricoli, diritto alla mobilità e allo sviluppo del territorio, diritto alla pace e alla sicurezza del territorio e dei suoi abitanti.
Il Comando Aeroporto di Sigonella, gerarchicamente dipendente dal Comando Forze di Supporto e Speciali dell’Aeronautica Militare di Roma, è stato costituito nel 2013, ma di fatto ha iniziato ad operare dal 2014, anno in cui è stato trasferito il personale dal ridimensionato 41° Stormo. Il Comando ha il compito di fornire il supporto tecnico, logistico, amministrativo ed operativo al 41° Stormo Antisom e ad altri reparti in transito sull’omonima Base Aerea, assicurando - al contempo - i servizi necessari per il sicuro ed efficace svolgimento delle attività di volo.
La missione era finalizzata ad approfondire in particolare il filone di inchiesta volto ad indagare sui potenziali effetti del MUOS sull’ambiente e sulla salute dell’uomo e sulle problematiche legate all’eventuale non osservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro dei militari impiegati presso la base di Sigonella ed il poligono di Drasy.
A Sigonella sono stati escussi in qualità di testimoni il colonnello Federico Fedele, il tenente colonnello Alessandro Conti ed il tenente colonnello Francesco Callegari, rispettivamente Comandante, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e medico competente del Comando Aeroporto Sigonella.
Durante la sua escussione il Comandante Fedele, che ricopre tale carica dall’ottobre del 2015, su impulso delle numerose domande rivolte dal presidente e dai commissari, ha fornito chiarimenti su varie tematiche, a cominciare dalla predisposizione del DVR (Documento di valutazione dei rischi) e del DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze). Con riferimento al DVR ha specificato che, sulla base del decreto legislativo n. 81 del 2008 (Testo unico sulla sicurezza del lavoro), è stata portata a compimento una revisione attraverso l’analisi di tutti i rischi collegati alle attività svolte all’interno della base, anche se pare non sia emerso nulla di rilevante dal punto di vista dei rischi ad alto ed altissimo livello. Il Comandante Fedele ha chiarito che l’operazione è stata possibile grazie al supporto del RSPP (Responsabile del servizio prevenzione e protezione) e del medico del lavoro, aggiungendo tuttavia che, dopo le visite di UCoPRATA (Ufficio generale di coordinamento della prevenzione antinfortunistica e della tutela ambientale) ed UCoVA (Ufficio generale di coordinamento della vigilanza antinfortunistica), non sono state impartite prescrizioni particolari.
Riguardo alla predisposizione del DUVRI, il comandante Fedele ha specificato che il documento in questione viene predisposto solamente nei casi in cui vengano concessi appalti a ditte esterne, mentre per regolare i rapporti intercorrenti tra il Comando Aeroporto Sigonella e le unità militari provenienti da altre basi viene predisposto un “verbale di cooperazione e coordinamento”, così come prescritto dall’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il Comandante ha poi chiarito di aver chiesto consulenze nello specifico al CISAM (Centro interforze studi per le applicazioni militari) per effettuare misurazioni circa la presenza di interferenze elettromagnetiche ma, anche se il rapporto finale non è ancora stato portato a compimento, da colloqui informali pare non sia stato rilevato nulla di allarmante.
Dopo aver ammesso una oggettiva carenza di fondi utili all’adozione di provvedimenti relativi alla salute ed alla sicurezza del personale, il Comandante Fedele ha affermato che nel suo ruolo di datore di lavoro è in possesso di poteri decisionali e di spesa, esercitati, quando ciò è stato ritenuto necessario, per poter assumere in autonomia le scelte - anche strategiche - in merito all’organizzazione del lavoro ed alle misure di tutela della salute e della sicurezza del personale, aggiungendo di non aver mai rinunciato all’esercizio di tali poteri per mancanza di disponibilità di tipo finanziario.
A ripetute sollecitazioni riguardanti l’argomento MUOS (Mobile user objective system), in particolare dell’onorevole Giulia Grillo e del presidente, il Comandante Fedele ha informato la delegazione che il sedime su cui insiste questo particolare sistema di comunicazioni satellitari è stato ceduto ad uso esclusivo agli americani in base ad un technical agreement, che impone loro di rendere edotte le autorità militari italiane, con scadenza semestrale, di tutte le attività svolte.
Come responsabile del servizio prevenzione e protezione del Comando Aeroporto Sigonella è stato escusso dalla delegazione anche il tenente colonnello Alessandro Conti la cui opera, come da lui stesso esplicato, è portata a compimento anche grazie alla collaborazione di tre addetti, del medico competente e degli RLS (Responsabili della sicurezza sul lavoro). Dopo aver chiarito che il personale della base svolge attività continuativa e non saltuaria, il colonnello Conti ha anche illustrato i rischi specifici a cui il personale potrebbe essere sottoposto quali, ad esempio, quelli legati al rumore ed ai campi elettromagnetici, pur sempre tuttavia entro i limiti consentiti dalle norme (come dimostrato da misurazioni scientifiche effettuate da organismi quali il laboratorio tecnico di Fiumicino per il rischio rumore ed il CISAM di San Piero a Grado per i rischi legati ai campi elettromagnetici). Riguardo ai rischi potenziali, mai concretizzatisi nella realtà considerata, sono stati presi in esame il rischio biologico, il rischio vibrazioni ed il rischio legato alla presenza di agenti cancerogeni, mutageni e teratogeni.
Così come il Comandante Fedele, anche il tenente colonnello Conti ha ribadito l’attuale mancanza di fondi per l’acquisto dei DPI (Dispositivi di protezione individuale) quali, ad esempio, scarpe antinfortunistiche e giubbotti ad alta visibilità. Su specifica domanda posta dal presidente Scanu il tenente colonnello ha fatto presente che, riguardo al munizionamento, sicuramente l’Aeronautica fa uso di armi portatili leggere quali pistole, fucili SC 70, calibro 9 Parabellum, 5,56, mentre personalmente “non ha conoscenza diretta” di eventuali munizionamenti detenuti dai militari statunitensi.
Il tenente colonnello Stefano Callegari, medico competente, ha dichiarato di far visita agli ambienti di lavoro della base - officine, hangar ed uffici - almeno una volta l’anno e di aver riconosciuto inidoneità temporanee legate, ad esempio, a valori alterati relativamente alla funzionalità epatica. Inoltre, rilievo di notevole importanza, egli - contrariamente ai dirigenti che lo hanno preceduto - è a conoscenza dell’arrivo del documento del CISAM relativo ai campi elettromagnetici, anche se pare nulla di rischioso sia stato riscontrato. Da ultimo, contrariamente alle testimonianze del Comandante della base e dell’RSPP, il tenente colonnello Callegari non era al corrente del fatto che all’interno della struttura vi sia attuale carenza di DPI.
Presso la prefettura di Caltanissetta sono stati escussi in qualità di testimoni il Comandante della brigata meccanizzata Aosta, utilizzatrice del poligono di Drasy, Roberto Angius, il tenente colonnello Antonino Morana RSPP della Brigata Aosta ed il maggiore Domenico Garufi, medico competente del Comando Brigata Aosta e del Reparto Comando e supporti tattici Aosta. Sono stati invece auditi il generale Alessandro Veltri, Comandante militare dell’Esercito nella regione Sicilia, il rappresentante del Comitato misto paritetico della regione Sicilia, onorevole Vincenzo Marinello, il dottor Claudio Lombardo, rappresentante dell’associazione Mare amico di Agrigento, il sindaco di Niscemi, Francesco La Rosa, Sebastiano Papandrea, Paola Ottaviano e Marino Miceli del Coordinamento comitati NOMUOS, Salvatore Ferlito, militare già attivo presso la base NRTF di Niscemi ed il Direttore generale dell’Arpa Sicilia, Francesco Licata di Baucina.
Il Comandante Angius, su specifica domanda del presidente Scanu ha precisato che nel predisporre il DVR prevede tutte le misure di sicurezza per le attività addestrative fuori sede e nei poligoni, compreso quello di Drasy. Dopo aver sottolineato che, a suo dire, i rischi maggiori ai quali sono esposti i militari sotto il suo comando sono quelli normalmente previsti per tutte le attività addestrative, il Comandante ha precisato che ogni utilizzatore del poligono in questione predispone un proprio DVR sulla base della specifica attività svolta e tutti comunque debbono attenersi al regolamento del poligono.
Il tenente colonnello Morana ha dichiarato di organizzare il servizio di prevenzione e protezione attraverso la descrizione dei luoghi di lavoro per i quali è stata effettuata la valutazione dei rischi, in collaborazione con il medico competente e con la partecipazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Il maggiore Domenico Garufi ha dichiarato che nel mese in cui ha svolto il ruolo di medico competente per il Comando Brigata Aosta non ha portato a compimento nessuna attività di tipo sanitario e non ha avuto modo di predisporre il DVR in collaborazione con gli altri dirigenti preposti, ma si attiverà quanto prima per assolvere pienamente ai suoi compiti.
Il generale Alessandro Veltri, in qualità di Comandante militare dell’Esercito nella regione Sicilia si è premurato di informare i commissari circa la stesura di un calendario di impiego del poligono a cui, una volta diramato, fa seguito l’ordinanza per lo svolgimento delle esercitazioni.
Il rappresentante del Comitato misto paritetico della regione Sicilia, Vincenzo Marinello, ha contribuito a chiarire alla delegazione il tipo di rapporto che esiste fra il Comitato misto paritetico ed il comando militare dell’Esercito, nello specifico per quanto concerne le attività poste in essere nei poligoni. Si è specificato che il Comitato si riunisce ogni semestre e la sua attività consiste nell’esprimere il proprio parere su progetti presentati dalla Difesa nelle sue varie articolazioni. Alle riunioni presenzia anche l’Agenzia del demanio o l’Agenzia delle entrate, i dirigenti militari e, naturalmente, tutti gli organismi tecnici che, di fatto, vagliano questi progetti; oltre a ciò, si predispone un calendario semestrale dove sono indicati i periodi in cui vengono svolte esercitazioni all’interno dei poligoni.
Il dottor Claudio Lombardo, rappresentante dell’associazione Mare amico di Agrigento, ha sottolineato che la situazione attuale dell’area in cui si trova il poligono di Drasy non è più critica come qualche anno addietro, questo anche grazie all’opera dell’associazione che si è sostanziata attraverso l’emanazione del decreto della regione Sicilia 13 aprile 2001 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio costiero dalla foce del Vallone di Sumera al Castello di Montechiaro, ricadente nei comuni di Agrigento e Palma di Montechiaro”. Per il resto, l’associazione ha anche ipotizzato la presenza di uranio impoverito nella zona, ma l’ARPA ha fugato ogni dubbio ritenendo sussista una quota fisiologica di radioattività legata all’ambiente. Tuttavia, secondo il dottor Lombardo, rimangono le preoccupazioni legate alla considerevole quantità di piombo e metalli pesanti che insiste sul territorio preso in considerazione, per la diminuzione della quale è stata avanzata la proposta di limitare i giorni in cui sono previste esercitazioni.
Nel passare alla trattazione della questione MUOS, la Commissione ha ascoltato in audizione il sindaco di Niscemi, Francesco La Rosa, il quale ha rappresentato la manifesta contrarietà della popolazione locale alla persistenza delle installazioni del MUOS sul territorio ed ha altresì affermato che in cinque anni di governo comunale nessun rappresentante istituzionale - Governo, regione, ARPA - si è mai confrontato con le rappresentanze locali per trattare in maniera bilaterale o multilaterale l’argomento MUOS.
Ad appoggiare le tesi supportate dal sindaco di Niscemi sono intervenuti Sebastiano Papandrea, Paola Ottaviano e Marino Miceli del Coordinamento comitati NOMUOS, i quali hanno reso edotti i commissari sugli aspetti storici, giudiziari e medici legati alla questione. Salvatore Ferlito, militare già attivo presso la base NRTF di Niscemi, audito dalla Commissione in veste di ex malato di leucemia mieloide cronica, ha messo a disposizione del presidente una cospicua documentazione attestante la sua precedente, nonché attuale, condizione fisica e ha denunciato il fatto di non essersi mai visto riconoscere la causa di servizio.
E’ stato poi ascoltato dalla Commissione anche il Direttore generale dell’Arpa Sicilia, Francesco LICATA DI BAUCINA, accompagnato dai suoi collaboratori, per la descrizione dettagliata dell’attività di monitoraggio del sito di Niscemi svolta dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Sicilia.

MISSIONE A BARI E LECCE E VISITA AI POLIGONI DI TORRE NEBBIA E TORRE VENERI
(21-22 marzo 2017)

Una delegazione della Commissione, guidata dal presidente Scanu e composta dai deputati Donatella Duranti, Ivan Catalano, Gianluca Rizzo e Diego Zardini, si è recata in missione in Puglia dal 21 al 22 marzo 2017 per visitare i poligoni di Torre di Nebbia e di Torre Veneri e per svolgere una serie di esami testimoniali ed audizioni a Bari (21 marzo 2017), presso il Comando della Brigata meccanizzata Pinerolo, e a Lecce (22 marzo 2017) presso la locale Scuola di Cavalleria. Lo scopo della missione era di quello di approfondire in particolare il filone di inchiesta volto ad indagare sui potenziali effetti sull’ambiente e la salute dell’uomo e sulle problematiche legate all’eventuale non osservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro dei militari impiegati presso i poligoni pugliesi succitati.
A Bari sono stati escussi in qualità di testimoni il Generale Gian Paolo Mirra, il Tenente Colonnello Giovanbattista Trovato, ed il Tenente Colonnello Pierluigi Palumbo, rispettivamente Comandante, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e medico competente della Brigata meccanizzata Pinerolo. Sempre a Bari sono stati invece sentiti in audizione Cesare Veronico, presidente dell’Ente parco Alta Murgia e Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia.
Durante la sua escussione il Generale Mirra, comandante della Brigata meccanizzata Pinerolo dal 17 luglio del 2015 e responsabile del poligono di Torre di Nebbia dal 12 dicembre del 2016, ha sottolineato che il personale sottoposto al suo comando svolge attività anche non continuative presso l’area del poligono e che nel suo ruolo di datore di lavoro ha valutato i rischi connessi alle suddette attività, individuati e indicati nel relativo DVR (Documento di valutazione dei rischi).
In relazione alla predisposizione del DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi da interferenza) il Comandante ha precisato che a monte dell’attività addestrativa svolta all’interno del poligono viene effettuato un sopralluogo nell’ambito del quale si definiscono le modalità di coordinamento ed i vari temperamenti che possano rendersi necessari all’attività addestrativa stessa. L’esito di questa attività viene condensato in un documento chiamato “verbale di coordinamento e sopralluogo congiunto”, in cui vengono elencati gli eventuali rischi da interferenza che si possono verificare nel poligono. Il presidente Scanu ha però chiarito che il DUVRI come documento specifico deve essere predisposto secondo determinate modalità ed i rischi interferenziali devono essere esplicitati, evidenziati e monitorati.
Nel sottolineare che da quando ricopre il ruolo di Comandante della Brigata Pinerolo non ha mai ricevuto visite ispettive da parte di UCoSeVA (Unità di coordinamento della vigilanza d’area), il Generale Mirra ha rilevato che assieme al medico competente e all’RSPP (Responsabile del servizio di prevenzione e protezione) si riunisce periodicamente per individuare ogni possibile rischio cui può essere esposto il personale, sia all’interno del palazzo che ospita il Comando sia nell’ambito delle diverse attività che lo vedono impegnato; a parere del Comandante questi rischi potenziali vengono presi in considerazione e vengono concordate le migliori predisposizioni per ridurli.
Poiché, a volte, si potrebbe andare incontro ad una non adeguata disponibilità di mezzi al fine di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori sottoposti al suo comando, il Generale ha fatto presente che al verificarsi di simili ipotesi vengono assunte soluzioni alternative come, ad esempio, quella di non svolgere attività che esporrebbero il personale a rischi non mitigabili. Egli ha poi specificato che, sia per il poligono di Torre di Nebbia sia per il comando della Brigata Pinerolo, non sono mai stati rilevati rischi da esposizione ad agenti cancerogeni, mutageni o teratogeni, quindi la sorveglianza sanitaria viene esercitata solamente nei confronti dei videoterminalisti attraverso specifiche e periodiche visite, anche oculistiche. Infine, su specifica domanda rivoltagli dal presidente Scanu, il Comandante Mirra ha confermato che sono state avanzate richieste di consulenza al CISAM (Centro interforze per le applicazioni militari) ed al CETLI (Centro tecnico logistico interforze NBC) per sospetta presenza di radon poi dimostratasi infondata.
Alla vicepresidente Donatella Duranti, che ha chiesto delucidazioni riguardo a modalità e tempi di svolgimento delle esercitazioni in poligono, il Comandante Mirra ha risposto che il tetto massimo previsto per le attività a fuoco è di 90 giorni e che gli indennizzi ai proprietari delle masserie in prossimità delle zone interessate sono riconosciuti nei soli casi in cui venga procurato dalla Difesa un danno oggettivo. La loro quantificazione è compito della commissione liquidazione danni, istituita presso il Comando militare Esercito Puglia, l’ente territoriale sotto la cui giurisdizione ricade il poligono di Torre di Nebbia.
Per quanto concerne i rapporti con l’ente parco nazionale dell’Alta Murgia, le giornate di utilizzazione del poligono, formalizzate dal Comitato misto paritetico, vengono precedentemente concordate nell’ambito di alcune riunioni con rappresentanti dell’Ente Parco, i quali di volta in volta si premurano di fornire indicazioni circa le giuste modalità di utilizzazione.
Ad una specifica domanda rivoltagli dall’onorevole Rizzo, il Comandante Mirra ha risposto che all’interno del poligono sono stati utilizzati missili Milan anche se privi di tracciatore, elemento da cui si potrebbe desumere la presenza di torio; al riguardo, dallo stesso Comandante è stata avanzata richiesta, seguendo la catena gerarchica militare, di sottoporre il poligono di Torre di Nebbia a monitoraggio ambientale.
L’RSPP, Tenente Colonnello Giovanbattista Trovato, ha informato i commissari che egli ricopre la carica di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione del Comando Brigata Pinerolo, mentre riguardo al poligono di Torre di Nebbia non esiste un RSPP fisso, poiché si tratta di un’area addestrativa il cui uso è occasionale, tanto è vero che sul territorio sussistono anche delle multiproprietà, così come precedentemente specificato dal Generale Mirra. Traendo quindi spunto dalla VINCA (Valutazione di incidenza ambientale) - frutto della collaborazione tra regione ed Ente Parco -, il Tenente Colonnello Trovato ha valutato l’impatto negativo che ciascuna delle attività svolte all’interno del poligono potrebbe avere sui lavoratori (attività appiedate, volo, realizzazione dell’accampamento e così via).
Il Tenente Colonnello Pierluigi Palumbo ha informato la Commissione che egli svolge la funzione di medico competente del Comando della Brigata Pinerolo dal dicembre 2015 e come tale visita gli ambienti di lavoro con una frequenza almeno biennale. I rischi specifici ai quali il personale è sottoposto secondo il medico competente sono fondamentalmente quelli legati alle attività di attendamento ed accampamento, mentre vengono esclusi rischi da esposizione ad agenti cancerogeni.
Cesare Veronico, Presidente dell’ente parco Alta Murgia, e Francesco Tarantini, Presidente di Legambiente Puglia hanno reso edotti i commissari circa il rapporto sussistente tra gli organismi da loro presieduti ed il mondo militare.
In particolare, Cesare Veronico, Presidente dell’ente parco Alta Murgia, ha descritto l’avvio di una fase concertativa tra l’organismo da lui presieduto ed i comandi militari che si concretizza attraverso una rimodulazione del programma di esercitazioni presentato all’ente dai comandi militari stessi. Il Presidente di Legambiente Puglia ha poi messo in risalto l’assoluta necessità di sottoporre le attività militari ad una valutazione di incidenza ambientale e di ridurre il più possibile le interferenze relative alla fruizione del parco dell’Alta Murgia, anche perché negli ultimi cinque anni in particolare la regione ha puntato molto sul turismo sostenibile; egli ha sottolineato infatti che il parco è stato più volte premiato da Legambiente per essere l’area verde più ciclabile d’Italia.
Presso la Scuola di Cavalleria di Lecce sono stati escussi in qualità di testimoni il Generale di Brigata Fulvio Poli, il Capitano Mario Paladini e il Tenente Colonnello Vincenzo Napolitano, rispettivamente Comandante, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e medico competente della Scuola di Cavalleria di Lecce. Sono stati invece auditi in forma libera all’interno della medesima struttura il Generale Mauro Prezioso, Comandante territoriale dell’Esercito in Puglia, Gabriele Molendini, Presidente dell’Associazione Lecce città pubblica, Luca Ruberti, Presidente dell’Associazione Lecce bene comune e Francesco Paolo Fanizzi, Professore ordinario di chimica generale e inorganica presso l’Università del Salento. Il Generale Poli, nel confermare che il personale sottoposto al suo comando svolge attività anche non continuative consistenti in sgomberi, monitoraggi, ricognizioni e addestramenti, ha assicurato i commissari circa la redazione del DVR (Documento di valutazione dei rischi), il cui contenuto in linea di principio fa riferimento all’utilizzo dei mezzi del poligono e all’impiego dei sistemi d’arma. Per ciò che concerne il DUVRI (Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze), il Generale ha ammesso di non averlo mai redatto nei casi in cui reparti esterni al suo comando hanno svolto attività addestrative all’interno dell’area del poligono; ha dichiarato tuttavia che, ai fini della sicurezza dei lavoratori, viene redatto un verbale di “sopralluogo e coordinamento” attraverso il quale si tende a minimizzare i rischi.
Ad un’ulteriore specifica domanda rivoltagli dal presidente Scanu, il Comandante Poli ha dichiarato altresì di non aver mai ricevuto visite ispettive da UCoSeVA e di non aver mai registrato segnalazioni provenienti dal medico competente e dall’RSPP in relazione a rischi per la salute del personale sottoposto al suo comando. Inoltre, egli ha fatto presente che il munizionamento impiegato all’interno del poligono è costituito da colpi d’addestramento inerti (Target-Practice Tracer), dichiarando (a specifica domanda) che, da quando ricopre il ruolo di Comandante della Scuola di Cavalleria di Lecce, presso il poligono di Torre Veneri non è mai stato fatto uso di munizionamento calibro 105 di fabbricazione israeliana.
Il Generale Mauro Prezioso, Comandante territoriale dell’Esercito in Puglia, audito dalla Commissione, ha raccolto l’invito del presidente e della vicepresidente Duranti ad impegnarsi per l’istituzione di un tavolo di concertazione permanente tra regione Puglia ed autorità militare volto al miglioramento dei criteri di gestione ambientale.
Il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione del poligono di Torre Veneri, Capitano Mario Paladini, ha descritto ai commissari il tipo di attività da egli esercitata, consistente nel collaborare alla valutazione dei rischi connessi alle attività svolte dal personale ivi impiegato. Tali rischi derivano per lo più da attività preparatorie e logistiche, in aggiunta a quelli originati da agenti chimici quali, ad esempio, fumi prodotti dall’uso di armi da fuoco. Confermando le affermazioni rilasciate dal Generale Poli, anche l’RSPP Mario Paladini ha informato i commissari circa la predisposizione di un verbale di “sopralluogo e coordinamento” in sostituzione del DUVRI - la cui compilazione viene caldamente raccomandata dal presidente Scanu -, mentre il tenente colonnello Vincenzo Napolitano, medico competente, ha approfondito la tematica relativa alle attività saltuarie svolte all’interno del poligono, tra le quali egli fa rientrare le stesse attività a fuoco. Contrariamente al parere dell’RSPP Mario Paladini, il tenente colonnello Napolitano non ha ritenuto che il personale impiegato all’interno del poligono possa considerarsi a rischio per l’inalazione di fumi provocati dalle rare esplosioni che ivi si verificano. Egli ha descritto nei particolari anche la sorveglianza sanitaria esercitata nei confronti di circa 450 persone esercitanti svariate mansioni lavorative, sia fuori sia all’interno del poligono.
Successivamente, la Commissione ha proseguito i propri lavori con le audizioni di Gabriele Molendini, Presidente dell’associazione Lecce città pubblica, Luca Ruberti, Presidente dell’associazione Lecce bene comune e Francesco Paolo Fanizzi, professore ordinario di chimica generale e inorganica presso l’Università del Salento, che hanno incentrato tutti i loro interventi sulla tematica del rischio ambientale derivante dalle operazioni militari svolte all’interno dei poligoni pugliesi, analizzando la questione sia da un punto di vista legale e ricostruttivo di fatti (Molendini e Ruberti), sia da un punto di vista prettamente scientifico (Fanizzi).
In particolare, Gabriele Molendini, Presidente dell’associazione Lecce città pubblica, ha ricordato la relazione conclusiva della Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito presieduta da Rosario Giorgio Costa secondo la quale “I sopralluoghi effettuati sia in terra sia in ambiente marino presso il Poligono di Torre Veneri hanno portato ai seguenti risultati: in terra, nell’area bersagli sono stati rinvenuti numerosi frammenti metallici da post esplosione, materiale balistico vario e un certo numero di petali per penetratori metallici. In mare sono stati individuati nell’area prospiciente il poligono numerosi rottami metallici e un certo numero di penetratori metallici con sigle non identificate. Non è stato possibile approfondire questo profilo anche per la mancata acquisizione delle schede tecniche e storiografiche dei colpi completi da 105x617 mod. APFSDS-T DM 33 e da 105/51 lotto IMI 1-1-1985 acquistato presso la ditta IMI (Israel), richieste agli uffici del Ministero della difesa, ma pervenute solo in parte”. Proprio in riferimento ai ritrovamenti citati dalla relazione Costa, il presidente Molendini ha fatto presente ai commissari che i vertici militari non si sono ancora attivati per fornire nella loro completezza le schede tecniche richieste.

 

2.
AUDIZIONI IN FORMA LIBERA

Falco Accame Presidente dell'Associazione nazionale assistenza delle vittime arruolate nelle Forze armate e famiglie dei caduti, (17.02.16)
Raffaele Tartaglia rappresentante dell'Osservatorio permanente e centro studi per il personale delle Forze armate e di Polizia, (18 .02.16)
Andrea Rinaldelli, rappresentante del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino - CONDAV (24.02.16)
Giorgio Trenta Presidente dell'Associazione italiana di Radioprotezione medica, (25.02.16) (23.03.16)
Luciano Carleo rappresentante di CONTRAMIANTO e altri rischi - Onlus, (02.03.16) (26.7.17)
Carlo Magrassi Segretario generale del Ministero della difesa, (03.03.16) (17.03.16) (20.04.16)
Maura Paolotti Direttore generale della Previdenza Militare e della Leva - PREVIMIL, (09.03.16) (31.03.16)
Massimo De Felice Presidente dell'INAIL, Giuseppe Lucibello Direttore generale, di Ester Rotoli, Direttore della Direzione Centrale Prevenzione dell'INAIL, e di Agatino Cariola, Direttore della Direzione Centrale Assicurazione, Prevenzione e Servizi Istituzionali dell'INAIL (10.03.16) (25.05.16)
Enrico Tomao Ispettore generale della Sanità militare (IGESAN), (16.03.16) (13.04.16)
Mario Melazzini Presidente dell'Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), (30.03.16)
Luigi Buonincontro, Carlo Calcagni, Adamo Ferrara, Lorenzo Motta, Vincenzo Riccio e Giuseppe Tripoli (30.03.2016)
Enrica Preti Direttore generale della direzione generale di Commissariato e di servizi generali (COMMISERVIZI) del Ministero della difesa, (06.04.16)
Col. Claudio De Angelis Direttore dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa, (07.04.16)
Gualtiero Ricciardi Presidente dell'Istituto superiore di sanità, Loredana Musumeci, Direttore del Dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto superiore di sanità, e Angelo Del Favero Direttore generale, (21.04.16)
Cirino Strano, consigliere scientifico dell'Associazione Movimento No MUOS Sicilia (21.04.16)
Fiorenzo Marinelli, ricercatore presso l'Istituto di genetica molecolare del CNR di Bologna (21.04.16)
Claudio Graziano Capo di Stato Maggiore della Difesa, (28.04.16)
Cons. Edoardo Andreucci, già Presidente del Comitato di verifica per le cause di servizio del Ministero dell'economia e delle finanze (04.05.16)
Paolo Gerometta, presidente del Comitato di presidenza del Consiglio Centrale di Rappresentanza Interforze, Antonio Ciavarelli, rappresentante COCER per la Marina, Antonsergio Belfiori, rappresentante COCER per l'Aeronautica, Giovanni Cutrupi, rappresentante COCER per la Guardia di Finanza, Andrea Cardilli, rappresentante COCER per l'Arma dei Carabinieri, Roberto Congedi, rappresentante COCER per l'Esercito (11.05.16) (19.5.16)
Bernardo De Bernardinis, Presidente dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), Luciano Bologna, Giancarlo Torri e Claudio Numa, Dirigenti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) (18.05.16)
Antonio Cancedda, Francesco De Angelis, Salvatore Donatiello, Gaetano Luppino, Santa Passaniti e Salvatrice Pirosa (18.05.16)
Roberta Pinotti, Ministra della Difesa (26.05.16)
Massimo Cappai, professore di statistica medica dell'Università degli Studi di Firenze (20.07.16) (3.08.16)
Annibale Biggeri, dirigente dell'Arpas Sardegna, (20.07.16) (3.08.16) Francesco Pigliaru, Presidente della Regione Sardegna, (3.08.16)
Massimo Massella Ducei Teri, Avvocato generale dello Stato (3.08.16)
Paolo Pasquinelli (9.11.16) (11.01.17)
Fausta Di Grazia presidente del Comitato di verifica per le cause di servizio presso il MEF, (19.01.17) (02.02.17)
Omero Negrisolo, tecnico prevenzione ambientale ARPAV Veneto, (01.02.17)
Adriano Chiò, professore associato di neurologia presso l'Università di Torino, (08.02.17)
Marco Lampis Sindaco di Escalaplano, Giuseppe Caboni e Riccardo Caboni, legali del Comune, accompagnati dal Consigliere Comunale Nicola Prascolu (22.02.17)
Gen. Enrico Tomao Ispettore Generale della Sanità Militare, Gen. Div. Angelo Palmieri Capo del VI Reparto di SMD - Sistemi C4I e Trasformazione, Col. Claudio De Angelis, Direttore dell'Osservatorio epidemiologico del Ministero della Difesa, Alessandro Sgrò Capitano di Fregata, ufficiale addetto presso l'Ufficio sistemi informativi di supporto del VI Reparto - Sistemi C4I e trasformazione, dello Stato Maggiore della Difesa. (08.03.17)
Caporale Maggiore Scelto Antonio Attianese e Maria Forino, moglie del Caporal Maggiore Scelto (15.03.17)
On. Rosario Crocetta Presidente della Regione Siciliana, e Maria Lo Bello Vice Presidente della Regione Siciliana (17.05.17)
Silvana Miotto, madre del militare David Gomiero (31.05.17)
Teresa Ruocco, madre del militare Fulvio Pazzi (31.05.17)
Biagio Mazzeo procuratore di Lanusei (21.06.17)
Emanuele Secci Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari (28.06.17)
Maria Forino, vedova del militare Antonio Attianese, Carlo Chiariglione, Walter Cecchettin, militare in congedo, Francesco Zito, padre del militare deceduto Leonardo Zito, Mercedes Pacileo, vedova del militare Enzo Liguori, Giovanna Soria, vedova del militare Pasquale Cinelli, Gianluca Parisi, Silvana Pirosa (13.9.17)
Salvatore RULLO, presidente di As.so.di.pro, Salvatore Antonaci, padre di Andrea Antonaci, Pier Paolo Cipriani, fratello di Luciano Cipriani, Marisa Marcolini, madre di Valerio Saviantoni, Aniello Brancaleone, fratello di Alfonso Brancaleone, Fabio Felaco, figlio di Giovanni Felaco, Patrizia Sadocco, rappresentante di As.so.di.pro, e Alberto Tuzzi, Vicepresidente della medesima associazione (11.10.17)
Stefano Silvestri, igienista del lavoro presso ISPO (18.10.17)
Alessandro Marinaccio, ricercatore presso il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell'INAIL (19.10.17)
Dario Mirabelli, ricercatore presso il centro di riferimento per l'epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte (CPO Piemonte) (26.10.17)
Raffaele Guariniello, già Procuratore Vicario presso la Procura della Repubblica di Torino (15.11.17)
Antonietta Morena Gatti, ricercatrice ed esperta in materia di nanopartice