Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 febbraio 2018, n. 4634 - Infortunio sul lavoro durante la pulizia del mezzo aziendale: nessun risarcimento danni se non rientrava tra i compiti dell'infortunato


 

 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 28/02/2018

 

 

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 21.7.2011, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da R.C. nei confronti di B.M. & C. s.a.s., avente ad oggetto il risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un infortunio sul lavoro;
che avverso tale pronuncia R.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, illustrati da memoria; che B.M. di B.M. & C. s.a.s. ha resistito con controricorso;
 

 

Diritto

 


che, con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1218 c.c. e dell'art. 2, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'attività di pulizia del mezzo aziendale, in occasione della quale era avvenuto l'infortunio, non rientrasse tra i compiti commessigli dal datore di lavoro; che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'anzidetta attività non rientrasse tra i suoi compiti nonostante che dall'istruttoria fosse emerso che nel garage aziendale erano collocati un aspirapolvere e una macchina idropulitrice;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito affermato che l'onere della prova dell'Inadempimento agli obblighi di sicurezza gravasse sul datore di lavoro;
che va disattesa la preliminare eccezione d'inammissibilità del ricorso per decorso del termine breve d'impugnazione, dal momento che la notifica della sentenza effettuata - come nella specie - alla parte personalmente presso il domicilio eletto in studio legale diverso da quello del suo procuratore non costituisce notifica ex art. 170 c.p.c. al procuratore costituito e non è dunque idonea, ai sensi dell'art. 282 c.p.c., a far decorrere il termine breve per impugnare (Cass. n. 19876 del 2016);
che i primi due motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente, stante l'intima connessione delle censure svolte;
che il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge da parte del provvedimento impugnato, riconducibile o ad un'erronea interpretazione della medesima ovvero nell'erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non va confuso con l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura in sede di legittimità era possibile, ratione temporis, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 del 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013);
che, nella specie, le doglianze proposte da parte ricorrente con il primo motivo incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulate con riferimento a una presunta violazione o falsa applicazione delle disposizioni citate nella rubrica del motivo, hanno in realtà di mira il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte di merito circa la insussistenza dei presupposti per la loro applicazione; che la circostanza di fatto di cui parte ricorrente lamenta l'omesso esame non può assurgere al rango di fatto (secondario) decisivo, avendo la Corte di merito escluso, sulla scorta di convergenti deposizioni testimoniali acquisite in giudizio, che l'odierno ricorrente avesse l'obbligo di provvedere al lavaggio dell'autovettura utilizzata per il servizio di autoscuola, a tanto provvedendo un'impresa cui il relativo servizio era stato appaltato in forza di apposita convenzione;
che il terzo motivo è palesemente inammissibile, stante la sua conclamata estraneità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, riconosciuta dalla stessa parte ricorrente (cfr. ricorso per cassazione, pagg. 12-13);
che il ricorso va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 14.11.2017.