Cassazione Civile, Sez. Lav, 05 marzo 2018, n. 5072 - Malattia professionale. Postumi e disciplina applicabile


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 05/03/2018

 

 

Ritenuto
la Corte d'appello di Bologna con sentenza n. 1135/2010, in accoglimento dell'appello proposto da B.L., accertava che sussistesse il nesso causale tra l'attività lavorativa espletata dalla medesima lavoratrice e la malattia contratta, i cui postumi invalidanti dichiarava nella misura dell'8% condannando l'Inail alla corresponsione del trattamento di legge;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Inail con un motivo col quale deduce violazione falsa applicazione dell'articolo 13 n. 2 del decreto legislativo n. 38 del 23/2/2000 e del Dm di approvazione delle tabelle del 25/7/2000, nonché dell'articolo 74 del d.p.r. 1124/1965, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., atteso che la Corte d'appello aveva condannato l'Inail al pagamento delle prestazioni di legge per malattia professionale con riferimento ad un grado di invalidità dell'8%, laddove la domanda di riconoscimento di malattia professionale era stata presentata dall'interessata all'Inail il 18 dicembre del 1998, cioè anteriormente al 25 luglio del 2000; non potendosi perciò applicare la nuova disciplina di legge ex art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000 la quale trovava applicazione soltanto agli infortuni verificatisi e alle malattie professionali denunciate dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di approvazione delle tabelle quindi dopo il 25 luglio del 2000; mentre per gli eventi precedenti il minimo indennizzabile con rendita richiedeva l'accertamento di un'invalidità permanente pari o superiore all'11%;
che col secondo motivo l'Inail denuncia la violazione falsa applicazione degli articoli 2907 c.c., 99, 100 e 278 c.p.c. (in relazione all'articolo 360 numero 3 c.c.) in quanto, quand'anche si volesse interpretare il dispositivo della sentenza come mero accertamento del nesso causale, la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l'impugnazione per difetto di interesse ad agire;
che l'intimata non ha esercitato attività difensive;
 

 

Considerato
che la malattia di cui si discute non rientrava ratione temporis nell'orbita della disciplina del d.lgs. 38/2000, siccome per espressa previsione dell'art. 13  comma 2 del d.lgs.38/2000 le disposizioni sul nuovo sistema di liquidazione, che ha introdotto l'indennizzo delle menomazioni per danno biologico a partire dal 6%, riguardano soltanto "I danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3" (emanato il 12 luglio 2000 e pubblicato nella G.U. del 25 luglio 2000);
che, per gli eventi dannosi antecedenti,si applica (legittimamente, secondo la Corte Cost. 426/2006) la disciplina precedentemente in vigore, nella quale non era previsto un sistema specifico di indennizzo del danno biologico essendo erogabile, ai sensi dell'art. 74 del DPR cit. (anche per le malattie professionali, dopo la sentenza della Corte Cost. 93/1977), soltanto una rendita per inabilità permanente commisurata all'attitudine al lavoro e solo in caso di raggiungimento della soglia minima dell'11% di menomazione;
che, pertanto, la Corte d'Appello, a fronte di una invalidità dell'8%, ha errato ad accogliere la domanda della ricorrente per una malattia professionale rientrante nella disciplina precedente al d.lgs. 38/2000, essendo stata la relativa denuncia presentata all'INAIL in data 18 dicembre del 1998 e quindi prima del 25 luglio 2000;
che il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto, mentre resta assorbito il secondo motivo; la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda ex art. 384, 2 comma c.p.c.;
che le spese dell'intero processo possono essere compensate in ragione dell'alternarsi dei giudizi e dei motivi della decisione;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda originaria. Compensa le spese dell'intero processo. Roma, Così deciso nell'adunanza camerale del 15.11.2017